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ECONOMIA INTERNAZIONALE - TEORIE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE

economia politica



ECONOMIA INTERNAZIONALE


TEORIE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE


LEZIONE 1: INTRODUZIONE AI VANTAGGI COMPARATI


Introduzione all’economia internazionale

Come campo di specializzazione l’economia internazionale ha avuto uno sviluppo di 200 anni e le sue teorie si sono affermate nel tempo. Vari sono stati i contributi di grandi economisti quali Smith (1776), Ricardo (1817), Mill, Marshall, Keynes e Samuelson. Tale teoria si divide in due campi:

Il commercio internazionale che spiega le ragioni degli scambi a livello internazionale, i benefici, le motivazioni dei dazi e di altre ostruzioni di commercio internazionale imposte alle nazioni. Si spiegano anche le ragioni dell’integrazione economica e l’essenza del sistema commerciale internazionale. In tale ambito non si parlerà mai di prezzi in termini monetari, ma in contesto relativo (confronto fra Stati);



La finanza internazionale che esamina la bilancia dei pagamenti, il mercato dei cambi e il sistema monetario internazionale ($/€).


Teoria Mercantilista

Nel 1776 con “La ricchezza delle Nazioni” di A. Smith nasce il campo d’applicazione dell’economia internazionale. Nel XVI – XVII alcuni commercianti, banchieri, finanzieri e filosofi evidenziarono la teoria del commercio mercantilistico, prima ancora della nascita della vera e propria teoria. La teoria mercantilista afferma che l’unico modo per far diventare ricca una nazione è rappresentato dalla condizione che le esportazioni siano maggiori rispetto alle importazioni: bisognava quindi stimolare le esportazioni e restringere al minimo le importazioni. Come ricompensa delle esportazioni vi era l’apporto di oro e argento che determinavano la ricchezza di una nazione. L’idea della ricchezza oggi è totalmente diversa in quanto si valuta il reddito pro capite. Ciò nonostante è importante non sottovalutare la teoria mercantilista, ma bisogna analizzarla attentamente nel contesto dell’epoca in cui questa si è sviluppata: la teoria mercantilista era funzionale al sovrano, infatti gli economisti servivano il re che aveva bisogno di oro da investire negli armamenti.

Tuttavia, siccome non tutti i paesi possono simultaneamente avere un avanzo commerciale, è chiaro che un paese può guadagnare solo a spese degli altri. I mercantilisti quindi predicavano il nazionalismo economico (teoria dei giochi a somma zero: più una nazione guadagna, meno sarà riservato alle altre).

Oggi sembra esservi la ripresa di un neo-mercantilismo, dato che paesi affetti da alti livelli di disoccupazione cercano di sottoporre a restrizione le importazioni allo scopo di stimolare la produzione e l’occupazione interne.


Vantaggi assoluti A. Smith

Affinché due paesi siano disposti volontariamente ad effettuare degli scambi, entrambi devono ricavarne dei benefici. Se un paese non guadagnasse nulla o perdesse, chiaramente rifiuterebbe di scambiare. E’ quindi importante capire come avvengono questi scambi reciprocamente convenienti. Secondo A. Smith gli scambi tra due paesi si basano sul vantaggio assoluto: se una nazione è più efficiente nella produzione di un bene (ha un vantaggio assoluto), ma meno in quella di un altro bene, deve specializzarsi dove è più efficiente ed importare l’altro bene. Così facendo ogni nazione ne trarrà un profitto. Ci si specializza quindi nei settori in cui si è più efficienti.

Ciò giustifica l’esistenza del commercio internazionale, infatti tale sistema consente ad ogni paese di guadagnare; è però vero che spesso tale sistema non distribuisce i benefici in modo equo, quindi è importante apportare dei correttivi.

Così mentre i mercantilisti credevano che un paese potesse guadagnare soltanto a spese di altri paesi, e sostenevano uno stretto controllo dell’attività economica e del commercio estero da parte del governo, Adam Smith era convito che tutti i paesi potessero trarre benefici dal libero scambio e sosteneva fermamente una politica di laissez-faire: Smith non concepiva i dazi e le restrizioni, ma auspicava un mercato libero dove i livelli di specializzazione sarebbero stati massimi e conseguentemente anche i benefici.

Alcune eccezioni al laissez-faire riguardavano la protezione delle industrie importanti ai fini della difesa nazionale.


Vantaggi comparati D. Ricardo

Nel 1817 Ricardo pubblicò i suoi “Principi di economia politica e della tassazione” nei quali presentò la legge del vantaggio comparato la quale postula che anche se una nazione è meno efficiente (soffre uno svantaggio assoluto) di un’altra nella produzione di entrambi i beni, esiste ancora la possibilità per scambi reciprocamente vantaggiosi. La nazione più efficiente deve specializzarsi nella produzione del bene in cui il suo vantaggio assoluto è maggiore e deve importa 939i88j re il bene in cui il vantaggio assoluto è inferiore; la nazione meno efficiente deve specializzarsi nella produzione e nell’esportazione del bene nel quale il suo svantaggio assoluto è minore (questo è il bene per il quale si ha un vantaggio comparato) e deve importare il bene nel quale il suo svantaggio assoluto è maggiore (svantaggio comparato).


USA

Regno Unito


Unità Grano

(1 ora di lavoro)

4 (V.A.)

1 (S.A.)

4 > 1 (Vantaggio assoluto by USA)

Unità Stoffa

(1 ora di lavoro)

3 (V.A.)

2 (S.A.)

3 > 2 (Vantaggio assoluto by USA)


Come si evince si ha la seguente situazione:

gli Usa hanno un vantaggio assoluto nel grano e nella stoffa, ma dato che il vantaggio assoluto è maggiore nel grano che nella stoffa, gli USA hanno un vantaggio comparato nel grano, mentre per la stoffa vi è uno svantaggio comparato;

il Regno Unito ha uno svantaggio assoluto per entrambi i beni, ma poiché tale svantaggio assoluto è più piccolo per la produzione di stoffa (3>2), ha un vantaggio comparato nella stoffa e uno svantaggio comparato nel grano.


I benefici derivanti dal commercio internazionale

Come si osserva dall’esempio precedente, con 1 ora di lavoro gli usa producono 4 G e 3 S, quindi 4G = 3S = 1L. Se gli Usa riuscissero a vendere 4G per ricevere dal Regno unito 4S, guadagnerebbero 1S ottenendo più di quello che potrebbero produrre. Per far si che si verifichi tale situazione, anche il Regno unito deve guadagnarci: essi ricevono 4G, quindi le 4L che dovevano impiegare nella produzione del grano le impiegano nella produzione della stoffa ottenendo così 8S (per UK 4G = 8S).

Il Regno unito, se riceve 4G, cederà solo 4S, guadagnando le ulteriori 4S. Il beneficio totale è 5S, ossia le 4S guadagnate dal regno unito e 1S guadagnata dagli USA.

Per far in modo che gli Usa nello scambio ci guadagnino devono scambiare 4G con più di 3S, nel caso del Regno unito le 4 unità di Grano ricevute devono essere scambiate con meno di 8S affinché anche questa nazione possa guadagnare: pertanto 3S < 4S < 8S; la differenza tra 8S e 3S è il vantaggio totale pari a 5S in cui entrambe le nazioni guadagnano.


Vantaggio comparato in presenza di moneta

Secondo la legge del vantaggio comparato, benché un paese abbia rispetto all’altro uno svantaggio assoluto nella produzione di entrambi i beni, sussiste ugualmente una base per scambi reciprocamente convenienti. E’ importante capire com’è possibile che il Regno unito, pur essendo meno efficiente degli Usa, riesce comunque ad esportare e a guadagnare dallo scambio.

A tal riguardo si osserva che la nazione meno efficiente in tutto (UK) ha salari più bassi, tali da rendere il prezzo del bene in cui ha un vantaggio comparato più basso in termini monetari, rispetto alla nazione più efficiente in tutto.

Ad esempio, analizzando solo il fattore lavoro, avremo la seguente situazione:

Salario


Paese

Valore 1 ora di L

Pz. beni

USA


USA

6$ = 4G

PG = 1,50 $

UK


6$ = 3S

PS = 2,00 $



UK

2$ = 1G

PG = 2,00 $



2$ = 2S

PS = 1,00 $

Come si evince, la Stoffa è il bene in cui UK ha un vantaggio comparato e di conseguenza il prezzo è inferiore.

Attraverso i tassi di cambio e il costo del lavoro, il vantaggio comparato in termini di produttività si trasforma in vantaggio di prezzo in termini monetari. Tutto ciò permette di comprendere come effettivamente una nazione meno efficiente ha la possibilità di esportare.


LEZIONE 2: LA TEORIA STANDARD DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE


1. La frontiera di produzione di due nazioni




Tale rappresentazione mostra l’ipotetica frontiera di produzione del Grano e della Stoffa per Usa e Uk. Entrambe le frontiere sono concave rispetto all’origine, e ciò riflette il fatto che ogni paese sostiene costi-opportunità crescenti nella produzione di entrambi i beni.

Come si evince, gli Usa hanno una frontiera più alta rispetto al grano perché la produttività è più alta nel grano; il contrario accade per UK.

Nella figura sono evidenziati i seguenti punti:

A lungo la frontiera della produzione possibile rappresenta la condizione di piena occupazione in cui sono utilizzate tutte le risorse e le tecnologie;

C è un punto d’inefficienza in quanto la nazione non sta utilizzando tutte le risorse o la migliore tecnologia;

F è un punto al disopra delle capacità produttive attuali della nazione;

B è il punto in cui la nazione decide di produrre maggiori quantitativi di Stoffa a scapito del Grano.








2. Autarchia e prezzi relativi

Come si evince, entrambe le nazioni producono al punto A e A’ che rappresentano quei punti in cui la nazione massimizza la produzione e la soddisfazione: la produzione è massimizzata in quanto A e A’ si trovano lungo la frontiera della produzione; la soddisfazione è massimizzata perché tali punti sono tali per cui si ha una tangenza con la curva d’indifferenza sociale che rappresenta i gusti di una nazione. In regime di autarchia (assenza del commercio internazionale) la nazione ottimizza la produzione producendo secondo la curva d’indifferenza più alta possibile.

Altro aspetto rilevante è che A e A’ di equilibrio consentono di determinare il prezzo relativo della Stoffa rispetto al Grano; in tal modo è possibile comprendere il vantaggio comparato.

Come si evince dalla figura, in corrispondenza di A e A’ è possibile tracciare una retta tangente alla frontiera della produzione, la cui pendenza offre il prezzo della stoffa rispetto a quello del grano.

In tale ottica avremo:

nel Regno unito, come si evince dalla retta, 10 G = 20 S → 1G = 2 S → 1S = ½ G, pertanto il prezzo relativo della Stoffa rispetto al Grano è ;

negli Usa 20 G = 10 S → 2 G = 1 S, pertanto il prezzo relativo della Stoffa rispetto al Grano .

Conseguentemente, poiché UK < Usa, l’UK ha un vantaggio comparato nella stoffa; viceversa, poiché Usa < UK, gli Usa hanno un vantaggio comparato nel grano.

Se una nazione ha un vantaggio comparato su un bene, l’altra inevitabilmente avrà il suo vantaggio comparato sull’altro bene.


3. Saggio marginale di trasformazione

Il saggio marginale di trasformazione di Stoffa in termini di Grano indica l’ammontare di Grano cui un paese deve rinunciare per produrre ciascuna unità addizionale di Stoffa. Esso è rappresentato dall’inclinazione della frontiera di produzione calcolata nel punto in cui si colloca la produzione.




Come si evince dalla figura, la situazione è differente tra UK e USA:

in UK si parte dal punto A (situazione di autarchia) e ci si specializza (punto B). Per ogni unità in più di stoffa bisognerà sacrificare sempre più grano. Il saggio marginale di trasformazione aumenta perché la frontiera è concava; ciò accade perché le risorse di una nazione non sono omogenee, infatti se lo fossero la frontiera non sarebbe concava (sarebbe una retta) e il saggio marginale di sostituzione sarebbe costante. Essendo la frontiera concava, la pendenza (SMT) aumenta sempre più: ciò significa che costa sempre più sacrificare grano per produrre un’unità di stoffa in più. L’Inghilterra ha un vantaggio comparato nella stoffa, ma per specializzarsi su di essa andrà in contro a costi marginali crescenti. Il SMT è crescente perché costa sempre di più in termini di sacrificio di un bene a vantaggio dell’altro (costo opportunità crescente);

in Usa si parte dal punto A’ (autarchia) e ci si specializza (punto B’). Per ogni unità di grano in più bisognerà sacrificare sempre più stoffa. Gli Usa hanno un vantaggio comparato sul grano, quindi devono specializzarsi su di esso, ma in tal modo sacrificano più stoffa e sopportano costi marginali crescenti in termini di stoffa.

La specializzazione andrà avanti finché i prezzi relativi delle due nazioni saranno uguali.


4. Modello standard del commercio internazionale

Come osservato, una differenza nei prezzi relativi tra due paesi riflette i rispettivi vantaggi comparati e costituisce la base di scambi reciprocamente vantaggiosi. Il paese con il minor prezzo relativo per un certo bene, gode di un vantaggio comparato per quel bene, quindi deve specializzarsi nella sua produzione, ossia deve produrne più di quanto ne desideri consumare al proprio interno e scambiare parte del proprio prodotto con l’altro paese, in cambio del bene per il quale ha uno svantaggio comparato. Come già osservato la specializzazione comporta costi-opportunità crescenti, ma procederà finché i prezzi relativi dei beni nei due paesi si eguaglieranno ad un livello in presenza del quale gli scambi sono in equilibrio. Attraverso lo scambio internazionale, entrambi i paesi consumeranno alla fine più di quanto avrebbero consumato in assenza di commercio internazionale.

Tale situazione è illustrata nella figura in cui si verifica la seguente situazione:

il Regno Unito in situazione di autarchia è nel punto A; gode inoltre di un vantaggio comparato nella produzione di stoffa, infatti . Con il commercio internazionale, UK si specializza nella produzione di stoffa e nella sua esportazione, in cambio di grano prodotto dagli USA. A partire dal punto A, man mano che il paese si specializza nella produzione di stoffa e si sposta verso il basso della frontiera di produzione, sostiene costi-opportunità crescenti nella produzione di stoffa (crescente inclinazione della frontiera). Questo processo continua finché i prezzi relativi dei beni (inclinazione delle frontiere di produzione è la stessa nei due paesi, infatti le rette tangenti a B e B’ sono parallele) si eguagliano: UK giunge al punto B e la tangente alla frontiera mostra che . Giunti al punto B, UK decide di scambiare i suoi beni con quelli USA, pertanto esporta unità di stoffa pari a BC e riceve stesse unità di grano pari a CE (triangolo BCE): il paese quindi finisce col consumare al punto E collocato all’esterno della frontiera di produzione sulla curva d’indifferenza II. Questo è il massimo livello di soddisfazione che il paese può raggiungere in presenza di scambi internazionali, con prezzo relativo , in cui, rispetto al punto A lungo la curva d’indifferenza I, si guadagna sia in termini di grano che in termini di stoffa;

negli USA accade la situazione opposta. Anche qui in situazione di autarchia il paese è nel punto A’, ma gode di un vantaggio comparato nella produzione di grano, infatti . Segue quindi la specializzazione nel grano e nella sua esportazione in cambio di stoffa UK; il paese si sposta verso l’alto lungo la propria frontiera di produzione e sperimenta costi-opportunità crescenti nella produzione di grano (decrescente inclinazione della frontiera, in cui una riduzione del costo-opportunità della stoffa comporta un incremento in quello del grano). Si giunge al punto B’ in cui i prezzi si eguagliano con quelli UK, quindi gli USA decidono di esportare grano per unità pari a quelle richieste da UK (BC’) e importano stoffa per unità pari a C’E’: il paese di fatto consuma al punto E’ lungo la curva d’indifferenza II’, quindi guadagna rispetto al punto A sia in termini di grano che in termini di stoffa.

Come si è osservato, con la specializzazione e il commercio internazionale, ogni paese è in grado di consumare al di fuori della propria frontiera di produzione.










LEZIONE 3: CURVE DI DOMANDA RECIPROCA E RAGIONI DI SCAMBIO


Curva di domanda reciproca di una nazione (UK)

La curva di domanda reciproca di un paese indica qual è la quantità della merce di esportazione che il paese è disposto ad offrire, per ciascuna delle quantità della merce d’importazione che il paese domanda. Tale curva quindi incorpora sia elementi di domanda che elementi di offerta, quindi indica la disponibilità di un paese ad importare ed esportare in corrispondenza di differenti prezzi relativi dei beni. La curva è sempre convessa ma la curvatura sarà rivolta verso l’asse che misura il bene in cui la nazione ha un vantaggio comparato.  

Con riferimento al Regno Unito avremo la seguente situazione, in cui la curva di domanda reciproca è ricavata dalla frontiera di produzione:

UK si trova inizialmente nel punto di autarchia A, con il commercio internazionale ci si sposta al punto B scambiando BC di stoffa per avere CE di grano; si raggiunge quindi il punto E sulla curva d’indifferenza II e si ricava anche il punto E della curva di domanda reciproca nel grafico a destra.

In corrispondenza del prezzo , UK si sposterebbero per quanto riguarda la produzione, dal punto A al punto F in cui sarebbero disposti a scambiare FG di stoffa per avere GH di grano; si raggiunge il punto H sulla curva d’indifferenza III e conseguentemente si ricava il punto H nel grafico della curva di domanda reciproca. Unendo l’origine con i punti E e H si ottiene la curva di domanda reciproca del UK. Essa mostra le importazioni di grano che UK richiede per esportare varie quantità di stoffa.

Tale curva giace sopra il prezzo di autarchia e presenta una curvatura rivolta verso l’asse x relativa alla stoffa, che misura le quantità del bene in cui UK gode di un vantaggio comparato e che esporta. Per indurre il paese ad esportare in misura maggiore, il prezzo relativo PS/PG deve aumentare.


Curva di domanda reciproca dell’altra nazione (USA)

Per quanto concerne la situazione degli USA anche in tal caso la posizione di partenza è il punto A’ di autarchia. Se il commercio internazionale si svolge in corrispondenza di il paese si sposta nel punto B’ e dal punto di vista della produzione scambia B’C’ con C’E’ e raggiunge così il punto E’ sulla curva d’indifferenza II’; si ricava così il punto E’ sul grafico della curva di domanda reciproca degli USA.

In corrispondenza del prezzo il paese si sposterebbe da A’ ad F’ e dal punto di vista della produzione sarebbe disposto a scambiare F’G’ di grano con G’H’ di stoffa; in tal caso ci si posiziona sul punto H’ lungo la curva d’indifferenza III’ e si ottiene il relativo punto H’ sulla curva di domanda reciproca del paese.

Come si evince dalla seguente figura, nel grafico di destra unendo l’origine con i punti E’ e H’ si ottiene la curva di domanda reciproca degli USA che mostra le quantità importate di stoffa che gli USA richiedono per esportare varie quantità di grano.

In tal caso la curva di domanda reciproca degli Usa giace al di sotto della linea del prezzo di autarchia e presenta una curvatura rivolta verso l’asse y del grano, che misura le quantità del bene in cui gli USA godono di un vantaggio comparato e che esportano. Per indurre gli USA ad esportare più grano, il prezzo relativo del grano deve aumentare, quindi il suo reciproco PS/PG deve diminuire.


Ragioni di scambio

L’intersezione tra le curve di domanda reciproca dei due paesi definisce il prezzo relativo di equilibrio in corrispondenza del quale si svolgono gli scambi internazionali. Solo a questo prezzo il commercio tra i due paesi sarà in equilibrio in quanto . In presenza di qualsiasi altro prezzo relativo, le quantità destinate ad importazioni ed esportazioni dei due beni da parte dei due paesi, non saranno uguali, il che spingerà il prezzo relativo ad aggiustarsi verso il proprio livello di equilibrio. In corrispondenza del punto E gli scambi sono in equilibrio poiché UK offre OC di stoffa e richiede EC di grano e gli USA offrono OC’ di grano e richiedono E’C’ di stoffa. In presenza di qualsiasi altro valore di la quantità di stoffa che UK sarebbe disposto ad esportare, sarebbe inferiore a quella richiesta dagli USA, quindi il prezzo relativo è spinto verso l’equilibrio E.

Questo processo continuerà finché offerta e domanda non diventeranno uguali in corrispondenza di E.

Il triangolo OCE indica l’andamento del commercio internazionale, ma rappresenta lo stesso risultato ottenuto nel caso della determinazione del prezzo di equilibrio con la produzione (cfr. grafico del modello standard).

In tale ottica si può comprendere l’importanza delle ragioni di scambio che sono il rapporto tra il prezzo del bene che un paese esporta e il prezzo del bene che importa: . Nel caso dei paesi in analisi avremo: le ragioni di scambio per UK sono; per gli USA invece sono.

Considerando che in realtà non si scambiano solo due beni, le ragioni di scambio di un paese sono date dal rapporto tra l’indice dei prezzi dei beni esportati e l’indice dei beni importati.


LEZIONE 4: LA TEORIA DI HECKSCHER – OHLIN


Introduzione

Nel 1919 Heckscher scrisse un articolo (Gli effetti del commercio estero sulla distribuzione del reddito) nel quale presentava le linee generali di quella che sarebbe diventata la teoria moderan del commercio internazionale. Tale articolo fu ripreso nel 1933 da Ohlin che pubblicò il libro “Commercio interregionale e internazionale”. Tale teoria comprende aspetti delle basi sul vantaggio comparato di Ricardo e studia l’effetto del commercio sulla remunerazione dei fattori produttivi e in particolare sui salari.

Essa è presentata sotto forma di due teoremi: il primo che riguarda la struttura degli scambi; il secondo che riguarda invece gli effetti del commercio internazionale sui prezzi dei fattori.


I Teorema: il teorema di Heckscher – Ohlin

Un paese esporterà il bene la cui produzione richiede l’utilizzo intensivo del fattore che nel paese è relativamente abbondante e poco costoso, mentre importerà il bene la cui produzione richiede l’impiego intensivo del fattore che nel paese è relativamente scarso e costoso. In breve, il paese relativamente ricco di lavoro esporterà il bene labour-intensive e importerà il bene relativamente capital-intensive.

Tale teorema individua nella differenza dell’abbondanza fattoriale relativa o delle dotazioni dei fattori tra paesi, la causa fondamentale del vantaggio comparato e del commercio internazionale: in sostanza si va alle radici del vantaggio comparato. In situazione di autarchia, la differenza fra i prezzi relativi dei beni nei due paesi è dunque causata dalla differenza nelle abbondanze relative dei fattori e nei prezzi relativi dei fattori.

In particolare si giunge ad una struttura di equilibrio generale così come illustrato nella seguente figura:

i gusti e la distribuzione dei diritti di proprietà sui fattori (cioè la distribuzione del reddito) determinano la domanda di beni. La domanda per i beni determina la domanda derivata per i fattori necessari a produrre i beni stessi. La domanda dei fattori produttivi, insieme all’offerta di fattori, determina il prezzo dei fattori in condizioni di concorrenza perfetta. Quest’ultimo, assieme alla tecnologia determina i prezzi dei beni finali. La differenza tra prezzi relativi dei beni finali tra paesi determina il vantaggio comparato e la struttura degli scambi (ossia quale paese esporta quale bene).

In particolare si osserva che il prezzo dei beni di consumo dipende da molti fattori, però ciò che determina e differenzia principalmente le nazioni non sono tanto né la tecnologia (che è facilmente acquisibile e trasferibile), né i gusti dei consumatori, quanto in realtà l’offerta di fattori che influisce sul prezzo dei fattori e quindi sul prezzo dei beni. 


II Teorema: il teorema del pareggiamento dei prezzi dei fattori

Il commercio internazionale conduce all’eguaglianza delle remunerazioni relative e assolute dei fattori omogenei tra paesi: tende a ridurre o eliminare il divario nella remunerazione dei fattori di produzione omogenei fra le nazioni. Esso quindi sostituisce la mobilità internazionale dei fattori.

Il commercio internazionale fa si che il salario del lavoro di tipo omogeneo (con lo stesso livello di addestramento, abilità, . ) sia lo stesso per tutti i paesi che partecipano allo scambio.

Si consideri la seguente rappresentazione:

L’India, avendo un prezzo del lavoro basso, ha un vantaggio comparato nel lavoro per cui deve specializzarsi nella produzione di beni labour-intensive. Per esportare l’India deve produrre di più, quindi in tal modo sale la domanda di lavoro e conseguentemente anche il prezzo del lavoro salirà. Viceversa, per l’Italia che deve produrre beni capital-intensive, scenderà la domanda di lavoro e anche il suo prezzo.

Parimenti è possibile considerare la seguente situazione relativa al fattore produttivo capitale:

L’India ha uno svantaggio comparato nella produzione di beni capital-intensive, quindi la domanda di capitale si sposta in basso e scende il suo prezzo. Ciò perché l’India si deve specializzare in beni labour-intensive. Il contrario accade per l’Italia che gode di un vantaggio comparato nei beni capital-intensive e può incrementare la domanda di capitale; conseguentemente il tasso d’interesse aumenterà.


Teorema II + ineguaglianza

Myrdal sostenne che le remunerazioni dei fattori omogenei convergono, ma questo non è sufficientemente influente sulle variazioni del reddito pro-capite. Le divergenze nei fattori omogenei non provocano necessariamente divergenze sul reddito pro-capite. E’ un’applicazione del teorema II secondo cui le divergenze nel tempo diminuiscono.

Consideriamo il seguente esempio in cui si esprime il salario orario del settore manifatturiero nei maggiori paesi industrializzati come percentuale del salario degli USA:

Paese




Giappone




Italia




Francia




UK




Germania




Canada




Media




USA




La teoria di Myrdal è sbagliata perché ciò che si uniforma non è il reddito pro-capite, bensì i salari.

Si può notare come la Germania, avendo costi del lavoro molto alti, il teorema II funziona.


Teorema II + protezionismo

Come osservato nel teorema II, il commercio internazionale tende ad eguagliare sia i salari che il costo del capitale in entrambi i paesi. E’ però importante comprendere come il commercio internazionale influenza i salari reali e il reddito reale del lavoro in rapporto al tasso di interesse reale e al reddito reale dei proprietari di capitale all’interno di ogni paese.

Come già osservato, il commercio internazionale accresce il prezzo del fattore che nel paese è relativamente abbondante e meno costoso e riduce il prezzo del fattore scarso e costoso: nel caso dell’India il prezzo del lavoro sale e quello del capitale scende; viceversa per l’Italia il costo del capitale sale, mentre quello del lavoro scende.

In virtù di tali variazioni nei prezzi di entrambi i fattori produttivi, varieranno anche il reddito reale del lavoro e il reddito reale del capitale: il commercio internazionale comporta in India l’aumento del reddito reale del lavoro e la caduta del reddito reale dei capitalisti; in Italia però diminuiscono i redditi reali da lavoro e aumentano i redditi dei possessori di capitale.

Dato che nei paesi sviluppati il capitale è relativamente abbondante, il commercio internazionale tende a ridurre il reddito reale del lavoro e ad accrescere il reddito reale dei possessori di capitale. Per tale ragione i sindacati nei paesi sviluppati sono propensi ad adottare restrizioni agli scambi internazionali. Bisogna osservare che nei paesi meno sviluppati il lavoro è relativamente abbondante e il commercio estero accrescerà il reddito reale del lavoro riducendo il reddito da capitale.

Ci si chiede se i governi dei paesi sviluppati debbano adottare misure protezionistiche per tutelare i redditi da lavoro. In realtà sarebbe errato adottare restrizioni al commercio internazionale perché le perdite arrecate dal commercio estero ai lavoratori sono inferiori al beneficio ottenuto dai possessori di capitale. Mediante un’appropriata politica redistributiva basata sulla tassazione dei possessori di capitali e sui sussidi ai lavoratori, entrambe le grandi classi di fattori di produzione possono trarre beneficio dal commercio internazionale. La politica di redistribuzione può assumere la forma di riaddestramento dei lavoratori, ma anche quella di sgravi fiscali e fornitura di alcuni servizi sociali.





Teorema II + migrazioni

Le migrazioni sono un’alternativa al commercio internazionale, infatti è possibile importare il fattore lavoro per la produzione di beni anziché importare direttamente i beni.

Si consideri la seguente situazione relativa ad India e Italia in cui opera solamente il commercio internazionale:

Con la migrazione avremo invece la seguente situazione:

In India il salario è basso, quindi gli indiani abbandonano l’India e vengono in Italia per cercare lavoro. L’offerta di lavoro in India si sposta quindi verso sinistra e determina un aumento dei salari. In Italia avviene il contrario in quanto l’aumento dell’offerta di lavoro determina una riduzione dei salari.

Commercio e migrazioni hanno quindi lo stesso effetto sui salari. La differenza è rappresentata dal fatto che mentre il commercio sposta la domanda di lavoro, le migrazioni influiscono sull’offerta.

Un paese povero può quindi essere aiutato incentivando le sue esportazioni: più il divario salariale è eliminato con il commercio, meno ci sarà necessità di migrazione da parte delle popolazioni dei paesi poveri.





LEZIONE 5: TEORIE COMPLEMENTARI


Commercio basato su economie di scala

Le economie di scala si verificano quando la produzione aumenta più che proporzionalmente rispetto all’aumento degli input (fattori di produzione). La produzione può più che raddoppiare con l’utilizzo delle stesse risorse.

In tal caso i costi sono decrescenti. In particolare la frontiera di produzione è in cenere concava in quanto una nazione che produce di più va in contro a costi marginali crescenti (diseconomie di scala); in tale modello delle economie di scala, come si evince la frontiera di produzione è invece convessa perché si hanno costi decrescenti.

Questo modello è complementare a quello di H-O (che presuppone prezzi relativi diversi), in quanto vi è una complementarietà sia nei gusti che nella produzione delle nazioni, quindi conviene la produzione e lo scambio tra diverse nazioni.



Nella figura a destra si considerano quindi due nazioni identiche (stesso grafico, stessa frontiera di produzione e stessa curva d’indifferenza sociale). Sembrerebbe che nessuna di queste nazioni ha un vantaggio comparato dato che i prezzi relativi sono gli stessi. Non ci sarebbero quindi i presupposti del commercio secondo la teoria di H-O.

In realtà più una nazione produce, più va in contro ad economie di scala. Se la nazione A si specializza nel prodotto X  e B si specializza e produce Y, si crea una nuova frontiera di produzione che consente di toccare una curva d’indifferenza più alta e si ha una specializzazione completa. Anche se non c’è vantaggio comparato, quindi, ci può essere commercio purché vi siano economie di scala.


Commercio intra-industriale

Nelle ipotesi considerate, il commercio tra stati sussiste considerando prodotti diversi: si parla di commercio interindustriale (tra due settori differenti); a livello mondiale il commercio interindustriale incide per meno della metà.

L’altra metà si basa su un commercio di tipo intra-industriale, ovvero basato su stessi settori merceologici (questo non è contemplato nella teoria di H-O). Se quindi prima si era ipotizzata una diversità fra i paesi che praticavano gli scambi, nella realtà metà del commercio avviene tra paesi simili tra loro (ad esempio i paesi europei sono simili tra loro perché sono prevalentemente economie di trasformazione). I paesi non si stanno più specializzando nella produzione di un bene piuttosto che un altro, bensì in processi e fasi di lavorazione. Ci si sposta quindi con la specializzazione in fasi o in componenti di prodotti appartenenti comunque allo stesso settore merceologico.

In realtà in questo caso non sono i paesi che commerciano tra di loro, bensì le imprese. L’impresa di una nazione si specializza in una determinata fase della produzione perché trova le condizioni economiche per il relativo sviluppo. Attraverso le economie di scala un’impresa può diventare più competitiva. Quando un’impresa raddoppia l’input avremo la seguente situazione rappresentata sulla frontiera della produzione con economie di scala:

Dal punto A di generale equilibrio tra i paesi, se uno aumenta la produzione diventa più competitivo e il prezzo diminuisce (Px). Il paese aumenta la produzione fino al punto N dove la produzione di specializzazione è completa.

Il paese 1 quindi aumenta la produzione di X e diminuisce quella di Y; viceversa nel paese 2 si ha una specializzazione opposta fino al punto M. I due punti N e M rappresentano punti di specializzazione completa e di maggiore benessere e in questo modo i due paesi non finiranno mai di specializzarsi al fine di ottenere i benefici delle economie di scala, sfruttando un commercio intra-industriale.

Il benessere di un paese si misura con la quantità di beni a disposizione. Attraverso le economie di scala, dunque, aumentando la quantità di input si ottiene una quantità di output sempre maggiore a costi decrescenti. Per comprendere quanto un paese rappresenti nel commercio intra-industriale, nello stesso settore merceologico, il livello degli scambi intra-industriali può essere misurato mediante l’indice di commercio intra-industriale:

dove X rappresenta il valore delle esportazioni e M il valore delle importazioni di una particolare industria o gruppo di beni. Il valore di T varia da 0 a 1, quindi se T=0 vuol dire che i beni del paese in questione sono solamente esportati o importati (assenza di commercio intra-industriale); se T=1 le esportazioni e le importazioni di un bene sono uguali, cioè il commercio intra-industriale è massimo.

Tanto maggiore è il commercio intra-industriale, tanto minori saranno le ripercussioni negative del commercio tra paesi diversi. Rispetto alle teorie precedenti, in cui si parlava di una concorrenza perfetta tra i paesi, di imprese come price taker, di trasparenza di mercato e di perfetta mobilità, nel commercio intra-industriale le aziende sfruttando le economie di scala possono influenzare il mercato o meglio possono determinare il prezzo del bene sul mercato, diventando da price taker a price maker (si crea un piccolo potere monopolistico all’interno di una piccola nicchia di mercato). A tal riguardo è importante osservare la presenza di due tipologie di economie di scala:

economie di scala interne che rimangono all’interno di un’azienda e riguardano una migliore allocazione delle risorse produttive, tale da migliorare l’efficienza con un conseguente incremento della produzione;

economie di scala esterne in cui si osserva la seguente situazione: la maggiore competitività delle aziende deriva dalla concentrazione di imprese che operano nello stesso settore e che caratterizzano il tessuto economico di un’area geografica (es. distretto del salotto). Si osserva quindi che le curve dei costi medi tendono a diminuire grazie alle sinergie presenti all’interno del distretto.

In base a quanto osservato è importante enunciare la teoria dell’import substitution (teoria della sostituzione dell’importazione), in base alla quale, anziché applicare le teorie per cui si esporta il prodotto in cui si ha un vantaggio comparato e importare il prodotto in cui si ha uno svantaggio comparato, si decide di non importare tecnologia, ma di svilupparla all’interno della nazione impiantando industrie con tecnologie più elevate, al fine di sfruttare un costo del lavoro inferiore. Ciò accade spesso nei paesi sottosviluppati che, per proteggere le loro produzioni, erigono barriere all’importazione; anche le esportazioni però diminuiranno perché il paese da cui si importava non sarà più disposto a cedere tecnologia al paese che si è chiuso. In tal modo si registreranno forti squilibri nella bilancia dei pagamenti e la mancata specializzazione comporterà anche una qualità inferiore dei prodotti. Si dimostra quindi che la teoria della sostituzione delle importazioni non funziona, quindi per tali paesi sono migliori le teorie ricardiane in base alle quali questi paesi devono produrre quei beni in cui godono un vantaggio comparato.

Come si evince dalla seguente rappresentazione,  chiaramente il costo medio di produzione tende a scendere con le economie di scala. Teoricamente la funzione dei costi medi di produzione di un PVS dovrebbe essere più bassa poiché questo paese, a parità di condizioni dovrebbe produrre a costi inferiori.

Anche i PVS possono sfruttare le economie di scala riducendo ulteriormente i costi. Ci si chiede quindi se un PVS può scalzare un paese industrializzato. Come si evince dal grafico, ciò non è possibile perché fino alla quantità Q1 il PVS produrrebbe in perdita. Per realizzare rendimenti crescenti dovrebbe ottenere sostegni tali da poter produrre in Q1 e solo dopo questa soglia riuscirà a diventare competitivo. Quindi è possibile che il PVS scalzi il paese industrializzato, ma è alquanto improbabile.

Tutto ciò è giustificato dal fatto che il PVS nel momento storico considerato non ha ancora le industrie. In questo caso il paese industrializzato potrebbe fornire al mercato quantità pari a Q0 ad un costo medio pari a P0. Parimenti il PVS potrebbe però offrire maggiori quantità (Q*) ad un prezzo inferiore (P1). Tuttavia, con il paese industrializzato che è già presente sul mercato, il PVS non può entrare sul mercato perché sosterrebbe un costo pari ad A per poter iniziare a produrre il bene. Dato che A supera il prezzo P0 al quale il paese industrializzato vende sul mercato mondiale, il PVS non produrrà il bene, altrimenti se lo producesse andrebbe in perdita.

Pertanto, in presenza di economie esterne la struttura degli scambi non può essere determinata sulla base dei costi unitari effettivi o potenziali.























POLITICHE COMMERCIALI


LEZIONE 6: LE RESTRIZIONI AL COMMERCIO


Commercio libero e protezionismo

Il commercio libero è il miglior sistema perché ogni nazione può specializzarsi nella produzione dei beni in cui è più efficiente e sfruttando il proprio vantaggio si raggiunge una massimizzazione del prodotto mondiale. Tutto ciò è valido in teoria, ma nella realtà tutti gli stati farebbero e fanno protezionismo che in realtà comporta un beneficio elevato a pochi pur provocando un danno piccolo a molti. Il protezionismo ha delle conseguenze in quanto accresce il prezzo pagato dai consumatori riducendo il loro tenore di vita (reddito reale). Inoltre fa un danno gravissimo perché protegge spesso settori che costituiscono gli input per altri settori; siccome tali input sono inefficienti si danneggiano anche altre imprese e settori che quindi competono in maniera poco efficiente.

Ci sono diversi modi per fare protezionismo: il dazio (restrizioni di prezzo), la quota (restrizioni di quantità), nuove forme di protezionismo rappresentate dalle restrizioni volontarie alle esportazioni (una nazione dice ad un’altra di esportare di meno in via amichevole), dalle norme anti-dumping e dalle restrizioni su salute e sicurezza. 


Effetto dazi

Si consideri il seguente esempio relativo alla stoffa. Con la domanda di stoffa (Ds) e l’offerta di stoffa (Os) il prezzo di equilibrio è Pe e la quantità di equilibrio è Qe senza importazioni.

Si ipotizza che il paese in questione sia piccolo, quindi con un’economia piccola, per cui l’offerta mondiale (OM) è orizzontale perché il paese, essendo piccolo, non riesce ad incidere sul prezzo pur variando la sua domanda del bene.

Se la nazione non fa protezionismo il prezzo della nazione è pari al prezzo mondiale (Pm). A questo prezzo la quantità di domanda di stoffa è pari ad AC, di cui AB è prodotto nella nazione e BC è importato. Il fatto che il prezzo mondiale è più basso rispetto a quello della nazione, vuol dire che la nazione ha uno svantaggio comparato nel settore della stoffa, per cui dovrebbe produrre meno quantità del bene, rispetto a quanto ne produce (AB anziché AT).

Con il dazio (d) la quantità di stoffa domandata è FH (anziché AC, perché il prezzo è più alto) di cui FG è prodotta nella nazione e GH è importata. Il prezzo è aumentato; la domanda di stoffa è diminuita; nella nazione si produce di più: tutto ciò va a vantaggio dei produttori, ma a discapito dei consumatori.

Come si evince il dazio comporta i seguenti effetti:

effetto consumo, ossia la quantità domandata (QD) si riduce da AC a FH con una conseguente riduzione di – CK;

effetto produzione, ossia la quantità offerta (QO) aumenta da AB a FG con un conseguente aumento pari a + BJ;

effetto commercio internazionale (importazioni), ossia le importazioni si sono ridotte di  -(BJ+CK), infatti prima dei dazi erano pari a BC, mentre dopo sono GH (BC-GH = BJ+CK);

effetto entrate fiscali, ossia il governo guadagna dai dazi imposti entrate fiscali pari all’area di JGHK (JG rappresenta l’entità del dazio, GH rappresenta le importazioni).


L’effetto netto è negativo in quanto bisogna comparare il danno ai consumatori con il beneficio per produttori e stato: si dimostra che in realtà il consumatore perde più di quanto guadagnano i produttori e lo stato. Ciò è dimostrato dal seguente confronto tra il surplus del consumatore e il surplus del produttore.











Come si evince dalle figure avremo:

il surplus del consumatore è la differenza fra ciò che il consumatore paga effettivamente e ciò sarebbe disposto a pagare; il consumatore infatti paga Q1, Q2, Q3, Q4 al prezzo di P4 anziché pagare prezzi più elevati per le prime unità del bene. Come si evince dalla rappresentazione, in assenza di dazi, ossia al livello di prezzi Pm, il consumatore ha un certo surplus; quando il prezzo sale per effetto del dazio (livello di prezzo pari a Pm + d) il surplus del consumatore si contrae.

il surplus del produttore è pari alla differenza tra quello che riceve e quello che sarebbe disposto a ricevere; il produttore infatti vende Q1, Q2, Q3, Q4 al prezzo di P4 anziché a prezzi inferiori. Come si evince dalla rappresentazione, in assenza di dazi, ossia al livello di prezzi Pm, il produttore ha un certo surplus; quando il prezzo sale per effetto del dazio (livello di prezzo pari a Pm + d) il surplus del produttore aumenta

Osservando tali aspetti nel grafico precedente relativo all’esempio della stoffa, si evince che quando la nazione impone un dazio, il surplus del consumatore diminuisce di – FHCA, il surplus del produttore aumenta invece di + FGBA; il governo guadagna + JKHG. Rimangono i due triangoli in rosso BGJ e HCK che rappresentano il costo sociale del dazio, ovvero la differenza tra ciò che produttori e stato guadagnano e ciò che i consumatori perdono: BGJ è l’inefficienza nell’utilizzo degli input che la nazione spreca nel produrre un bene in cui non è efficiente; HCK rappresenta una distorsione dei prezzi e dei consumi perché si consuma di meno per un bene che si potrebbe pagare meno.


Effetto quote

La quota è la forma più importante di barriera commerciale non tariffaria. E’ una restrizione quantitativa diretta sull’ammontare di una merce che è consentito importare o esportare.

Le quote sulle importazioni possono essere usate a fini protezionistici dell’economia nazionale. In tal caso, riferendoci al grafico precedente del dazio, si suppone che la nazione, invece di imporre il dazio fissi una quantità massima di importazioni pari a GH.

Gli effetti delle quote sono molto simili a quelli prodotti dall’introduzione di un dazio: per quanto riguarda i prezzi l’effetto sarà pari all’entità del dazio d, infatti con la quota il prezzo sale a Pm + d. Tutti gli effetti sono identici al dazio eccetto uno: nel caso delle quote chi riceve il permesso d’importazione ottiene conseguentemente l’equivalente del beneficio fiscale che dava il dazio; infatti chi riceve il permesso per importare pagherà il bene al prezzo mondiale (Pm) ma lo rivenderà a Pm + d. Ciò accade se il governo non mette all’asta le licenze e quindi le imprese godranno di profitti di monopolio. Per evitare tale situazione lo Stato deve vendere all’asta tali licenze per evitare il rischio di corruzione nel decidere come distribuire tali permessi: in tal modo il beneficio che avrebbero tratto gli importatori è riacquistato dal governo a patto che con l’asta il prezzo pagato equivalga al dazio.

Se analizziamo la distinzione tra dazio e quote dal punto di vista dell’esportatore, si osserva la seguente situazione: se l’esportatore grazie ad una maggiore efficienza raggiunta (maggiore produttività), fosse disposto ad esportare ad un prezzo inferiore a Pm, in presenza del dazio, questi potrebbe comunque esportare di più, viceversa con la quota questo non accade perché come visto, le quote limitano proprio le quantità e quindi la maggiore produttività dell’esportatore rimane bloccata.


Effetto restrizioni volontarie alle esportazioni

Le restrizioni volontarie alle esportazioni si riferiscono al caso in cui un paese importatore induce, sotto la minaccia di maggiori restrizioni globali al commercio, un altro paese a ridurre “volontariamente” le sue esportazioni di un bene quando tali esportazioni costituiscono un pericolo per un’intera industria nazionale.

Se il paese che subisce la restrizione decide di ridurre la produzione fino ad un certo limite, non ci perde perché investe il guadagno derivante dalla produzione in settori in cui non produceva con elevate possibilità di differenziazione.



LEZIONE 7: ALTRE RESTRIZIONI AL COMMERCIO E NEGOZIAZIONI MULTILATERALI


Dumping

Il dumping consiste nell’esportazione di un bene sotto costo o alla vendita di un bene all’estero ad un prezzo inferiore rispetto a quello praticato all’interno del paese. Vi sono tre tipologie di dumping:

dumping sporadico che consiste nella vendita occasionale di un bene sottocosto o ad un prezzo inferiore all’estero rispetto a quello praticato sul mercato interno, al fine di liberarsi di un’imprevista e temporanea eccedenza del bene prodotto, senza dover ridurre i prezzi nazionale.

dumping predatorio che consiste nella vendita temporanea di un bene sottocosto o a un prezzo più basso all’estero rispetto a quello praticato sul mercato interno, al fine di spingere i produttori esteri fuori mercato, successivamente i prezzi vengono di nuovo aumentati, traendo vantaggio dal potere di monopolio conquistato all’estero (questa è una pratica illegale, pena sanzioni pecuniarie e obbligo di rialzare il prezzo).

dumping persistente o discriminazione internazionale dei prezzi è la continua tendenza da parte di un monopolista nazionale a massimizzare i profitti totali vendendo il bene a un prezzo più elevato sul mercato interno rispetto a quello applicato sul mercato internazionale su cui fronteggia la concorrenza di produttori internazionali.

A tal riguardo si consideri il seguente esempio:

Nella figura la somma orizzontale tra la curva del ricavo marginale nazionale (RMN) e quella del ricavo marginale estero (RME), fornisce come risultato ∑RM per l’impresa. Il punto E dove la curva dei costi marginali (CMg) interseca ∑RM, indica che il monopolista nazionale dovrebbe vendere una quantità totale pari a 300X al fine di massimizzare i suoi profitti totali. La distribuzione nelle vendite di questi 300X tra il mercato interno e quello internazionale è dato dal punto in cui la linea orizzontale che parte dal punto E, interseca rispettivamente le curve dei ricavi marginali nazionali e esteri. Quindi il monopolista nazionale dovrebbe vendere 200X sul mercato estero al prezzo di 3 e 100X sul mercato interno al prezzo 4. Px è più elevato sul mercato interno rispetto al mercato estero. Il principio generale per massimizzare i profitti totali è quello di eguagliare RMN a RME. Il prezzo estero è minore del prezzo interno perché la domanda estera è più elastica di quella interna.


Esempio

In virtù delle differenze presenti tra elasticità nazionale e estera, si vuol determinare a quale prezzo il monopolista dovrebbe vendere i suoi prodotti sul mercato estero (PE) per massimizzare i profitti totali, supponendo di conoscere il prezzo nazionale; avremo ad esempio la seguente situazione:

elasticità nazionale (ηN) = -2

elasticità estera (ηE) = -3

Prezzo nazionale (PN) = 12 €

PE = ?

Sapendo che e che per massimizzare i profitti l’azienda deve eguagliare i RMg della nazione ai RMg esteri, allora avremo:


Altre barriere commerciali

Tra le varie forme di protezionismo ve ne è anche una caratterizzata dalla seguente situazione: ci sono nazioni che, avendo un potere di mercato più alto rispetto agli stranieri, possono approfittarne praticando un prezzo più alto, come se imponessero un dazio. Chiaramente, siccome il prezzo di esportazione aumenta, la nazione esporterà di meno, ciò nonostante questa diminuzione non compromette i guadagni dell’esportatore: questo tipo di politica può portare a delle ritorsioni da parte dei paesi che otterranno un guadagno inferiore.

Altre forme di protezionismo vengono attuate per tutelare la salute, l’igiene, ed altre esigenze del paese. Ad esempio l’Europa rifiuta di importare carne degli USA perché gli animali vengono allevati con ormoni; per tale ragione impone dazi. Tali politiche sono di tipo protezionistico perché incrementano i costi per chi esporta. Spesso quindi diventa difficile distinguere quando si tratta effettivamente di protezionismo o meno.


Politiche strategiche industriali e commerciali

La politica commerciale strategica è una politica attivista e diretta al protezionismo. Un paese può crearsi un vantaggio comparato (attraverso il temporaneo protezionismo commerciale, sussidi, sgravi fiscali e programmi di cooperazione governo-industria) in alcuni settori ritenuti cruciali per lo sviluppo futuro del paese.

Per poter comprendere meglio tale politica è possibile impiegare la teoria dei giochi ricorrendo ad un esempio: supponiamo che la Boeing e la Airbus debbano decidere se produrre o meno un nuovo aereo; si ipotizza inoltre che a causa dell’elevato costo richiesto per sviluppare il nuovo velivolo, per conseguire un profitto (100 milioni di $) un singolo produttore dovrebbe assicurarsi l’intero mercato mondiale. Se entrambi i produttori sviluppano il velivolo, perdono entrambi 10 mln $ come si evince dalla seguente tabella:




AIRBUS

Produce

Non produce

BOEING

Produce



Non produce



Si supponga che la Boeing entri per prima nel mercato e consegua un profitto pari a 100, pertanto la Airbus è tagliata fuori dal mercato. Si supponga, quindi che i governi europei garantiscano un sussidio pari a 15 mln $ annui alla Airbus; a tal punto la Airbus produrrebbe l’aereo anche se la Boeing lo stesse già producendo, infatti la perdita di 10 si trasformerebbe in un utile di 5 (15 – 10). Tuttavia, se non ha alcun sussidio, la Boeing in tale ottica, passerebbe da un profitto di 100 ad una perdita di 10 mln $. A causa della perdita non sussidiata, la Boeing smetterà di produrre il velivolo lasciando infine l’intero mercato alla Airbus che realizzerà un profitto pari a 100 mln $ senza bisogno di ulteriori sovvenzioni.

Questo tipo di analisi è stata ritenuta carente perché è molto difficile prevedere in maniera accurata i risultati delle politiche industriali e commerciali del governo. Infatti persino una piccola variazione nei dai potrebbe far cambiare completamente gli scenari. In particolare, nell’esempio proposto, se si suppone che entrambe le compagnie producono, ma invece di perdere entrambe 10 mln $, la Boeing consegue un profitto pari a 10 mln $ (è più efficiente) e la Airbus perde 10 mln $, a questo punto la Airbus avrebbe sempre bisogno del sussidio, ma ciò non è considerato efficiente dal punto di vista della politica economica dei governi.


Tariffa ottimale

Dall’esempio precedente è possibile comprendere come il sistema economico/commerciale migliore è quello caratterizzato dal libero scambio, in quanto ciascuna nazione si specializza nella produzione di un bene in cui gode di un vantaggio comparato, quindi utilizza i fattori in cui è più efficiente: la produzione mondiale non può che migliorare in virtù di tale specializzazione.



Una nazione potrebbe sfruttare il proprio vantaggio a scapito di ogni altra nazione imponendo un prezzo che massimizzi i ricavi: il prezzo è aumentato tramite un dazio ottimale, tenendo conto dell’inelasticità della domanda. Chiaramente, però c’è il rischio di ritorsione da parte delle altre nazioni.


LEZIONE 8: INTEGRAZIONE ECONOMICA (Unioni doganali e imprese multinazionali)


Tipi di integrazione

La teoria riguardante l’integrazione economica si riferisce alla politica commerciale volta a ridurre o ad eliminare in maniera discriminatoria le barriere commerciali, esclusivamente tra i paesi che aderiscono ad un trattato. L’integrazione rappresenta una forma di protezionismo parziale, ovvero nei confronti delle nazioni che non fanno parte dell’unione. Ci sono diversi tipi di integrazione economica:

Accordi di commercio preferenziale che assicurano minori barriere commerciali tra i paesi partecipanti. Questa è la forma più generica di integrazione economica;

Area di libero scambio che è un modello di integrazione economica dove ogni forma di barriera commerciale tra i paesi membri viene abolita, ma ogni paese mantiene le sue barriere nei confronti dei paesi non membri;

Unione doganale che è un’area di libero scambio in cui vi è assenza di dazi e di altre barriere tra i membri; in più armonizza le politiche commerciali nei confronti del resto del mondo (es. Comunità Europea nel 1957);

Mercato comune che va oltre l’unione doganale in quanto permette il libero movimento di lavoro e capitale tra gli stati membri (Unione Europea agli inizi del 1993);

Unione economica che prevede l’armonizzazione e l’unificazione delle politiche monetarie e fiscali degli stati membri; questo è lo stadio più evoluto dell’integrazione economica;

Zone franche che sono aree istituite con lo scopo di attrarre investimenti esteri attraverso l’esenzione da dazi su materie prime e beni intermedi.


UE, NAFTA, MERCOSUR

L’UE è stata costituita nel 1957 originariamente da Germania occidentale, Olanda, Francia, Italia, Belgio e Lussemburgo. In seguito si è evoluta fino ai giorni d’oggi con 25 stati; essa è oggi un’unione economica-monetaria.

Il NAFTA (North American Free Trade Agreement) è l’accordo nord americano per il libero scambio formato nel 1993 tra USA, Messico e Canada. Non è né unione doganale, né mercato comune.

Il MERCOSUR è un accordo di libero scambio realizzato nel 1991 da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay; Cile e Bolivia sono divenuti membri nel 1996.


Unione doganale che crea commercio o provoca diversione del commercio

Fino al 1950 si chiedeva agli economisti cosa potesse accadere se si fosse realizzata una restrizione parziale nell’ambito di un’area di commercio libero; si intendeva comprendere se la restrizione avesse comportato un beneficio o meno alle nazioni partecipanti all’unione. Si osserva che se c’è diversione di commercio la restrizione danneggia sia i membri che i non membri all’unione; viceversa se c’è integrazione economica questo comporta un beneficio.

Si ipotizza la seguente situazione in cui l’Italia, la Francia e la Germania producono uno stesso bene X e poi quello Y. Ad esempio si analizza il comportamento dell’Italia che potrebbe imporre un dazio del 100% oppure del 50% sulle nazioni non aderenti all’unione. Avremo la seguente situazione:


Px/Py

Commercio Libero

Px/Py

con Dazio del 100%

Px/Py

con Dazio del 50%

ITALIA



non c’è unione


non c’è unione

FRANCIA




GERMANIA




Innanzitutto, supponendo che l’Italia impone un dazio del 100%, i valori sarebbero 10, 16 e 12. Se l’Italia forma un’unione con la Francia, anche in presenza del dazio del 100% questo non grava sulla Francia, quindi i valori sarebbero 10, 8 e 12: l’unione doganale ha quindi creato commercio nel senso che mentre prima l’Italia produceva per sé, ora importa il bene X dalla Francia pagando un prezzo più basso; questo provoca però una riduzione dei posti di lavoro in Italia nella produzione di X, ma consente l’impiego di lavoratori nella produzione di Y dove l’Italia gode di un vantaggio comparato in quanto e . Quindi la Francia importa Y dall’Italia e l’Italia importa X dalla Francia. In questo caso l’Italia e la Francia ci guadagnano entrambe perché si specializzano nella produzione di due beni in cui godono di un vantaggio comparato e risparmiano in termini di prezzo per l’altro bene. In virtù di questa specializzazione di Francia ed Italia, anche la Germania a lungo termine ci guadagnerà, pur mantenendo una propria autonomia: la Germania pagherà prezzi inferiori nell’acquisto dei beni in cui le altre due nazioni si sono specializzate. La specializzazione comunque è a scapito dell’autonomia perché crea una necessaria interdipendenza tra gli stati (es. Francia ed Italia).

Un’unione doganale creatrice di commercio quindi accresce anche i benefici per i paesi non membri, poiché parte del maggiore reddito reale dell’unione (dovuto alla più elevata specializzazione) si traduce in maggiori importazioni dal resto del mondo;

Altra supposizione, è relativa alla presenza di un dazio del 50% con il quale i valori sarebbero 10, 12 e 9, quindi il prezzo della Germania è più conveniente per l’Italia che anche in presenza di dazio acquisterebbe dalla Germania. Se ci fosse un’unione tra Italia e Francia i valori con il dazio del 50% sarebbero 10, 8 e 9 e l’Italia importerebbe quindi dalla Francia al prezzo di 8 (diversione del commercio). Ciò provoca però una perdita per le tre nazioni, infatti l’Italia se avesse acquistato dalla Germania al prezzo di 6, con il dazio al 50% avrebbe guadagnato 3; ora invece importa dalla Francia pagando 8 e non intascando nessun dazio: si registra quindi una perdita complessiva di 5 perché si rinuncia al potenziale guadagno di 3 e si paga 8 quando in Germania costava 6. Pertanto l’Italia paga un prezzo più alto e ci perde; la Francia non si specializza; la Germania pur essendo specializzata rimane senza commercio.

La distorsione dei flussi commerciali avviene quando importazioni a costi inferiori provenienti da paesi esterni all’unione, sono sostituite da importazioni a costi superiori provenienti da paesi che fanno parte dell’unione; essa riduce il benessere perché sposta la produzione da produttori più efficienti (esterni all’unione) a produttori meno efficienti, ma appartenenti all’unione, quindi peggiora l’allocazione internazionale delle risorse e sposta la produzione in una direzione contraria rispetto alla teoria dei vantaggi comparati.


Effetto del mercato UE

All’inizio del 1993 tutte le rimanenti restrizioni al libero flusso di beni, servizi, capitali e forza lavoro  tra i paesi membri sono stati eliminati, in maniera tale che l’Unione Europea è diventata un mercato unico. Si suppone che nel tempo questo arrechi sostanziali guadagni in termini di efficienza e altri benefici per i membri della UE. La tabella, infatti mostra le attese dell’UE in termini di aumento del PIL nel 1988:


Percentuale del PIL dell’UE nel 1988

Guadagni da:


Rimozione barriere non tariffarie


Rimozione barriere alla produzione


Economie di scala


Maggiore concorrenza


Guadagni totali



LEZIONE 9: SISTEMA COMMERCIALE MONDIALE


Sistema commerciale internazionale

Il sistema commerciale mondiale è stato creato durante il secondo conflitto mondiale, precisamente nel 1947; esso è costituito da tre istituti:

il GATT o General Agreement on Tariffs and Trade regola il sistema del commercio internazionale; esso è l’accordo generale su commercio e dazi, creato con l’obiettivo di ridurre qualsiasi tipo di restrizione ed evitare che le popolazioni avessero subito gli effetti della discriminazione; esso promuoveva quindi il libero scambio attraverso negoziati commerciali multilaterali.

Si fonda su tre principi fondamentali: la non discriminazione (si accetta il principio della nazione più favorita che estende a tutti i partner commerciali qualsiasi reciproca riduzione tariffaria negoziata dagli USA con uno di essi; eccezioni a tale principio si riferiscono alle unioni doganali e al commercio tra un paese e i suoi precedenti possedimenti), l’eliminazione delle barriere commerciali non tariffarie (come le quote, fatta eccezione per i prodotti agricoli e per i paesi con problemi nella bilancia dei pagamenti), la consultazione tra paesi per risolvere le controversie commerciali.

Entro il 1993 123 paesi sottoscrissero il GATT e 24 paesi fecero domanda di ammissione; l’accordo copriva circa il 90% del commercio mondiale. I dazi furono ridotti del 35% nel corso di cinque negoziati commerciali che si svolsero tra il 1947 e il 1965. Nel 1965 gli accordi furono estesi per permettere trattamenti commerciali preferenziali ai PVS (beneficiare delle riduzioni tariffarie negoziate tra i paesi industrializzati, senza obbligo di reciprocità).

Altro aspetto importante è relativo al fatto che il GATT funge da corte di giustizia in quanto dà risoluzioni alle eventuali dispute;

il FRI che regola il sistema finanziario;

la Banca Mondiale.




Problemi del sistema

Nonostante gli ingenti benefici apportati dal GATT è opportuno evidenziare la presenza di alcuni problemi del sistema. In particolare si osserva che l’agricoltura e i servizi non erano inclusi nei negoziati; i servizi inoltre erano in forte espansione dagli anni ’50 agli anni ’90, quindi nello stesso tempo in cui i dazi si riducevano, nascevano nuove forme di protezionismo (forme di dumping, regole di protezionismo per ambiente e salute, . ). Il problema che è ancora presente riguarda l’inapplicabilità di talune sentenze del GATT a varie dispute commerciali prodottesi nel tempo.


Uruguay Round

Nel 1993 l’Uruguay Round, l’ottavo giro di negoziati commerciali multilaterali della storia, si è concluso dopo sette anni di trattative. Il round ebbe inizio nel 1986 e sarebbe dovuto terminare nel 1990, ma i disaccordi tra USA e UE sulla riduzione dei sussidi all’agricoltura, ritardò la sua conclusione. Lo scopo era quello di stabilire regole per controllare la proliferazione del nuovo protezionismo e invertirne la tendenza; portare i servizi, l’agricoltura e gli investimenti esteri nell’ordine del giorno dei negoziati; stabilire regole internazionali per un miglior funzionamento delle regole del GATT.

I provvedimenti contenuti nell’accordo sono i seguenti:

i dazi sui prodotti industriali devono essere ridotti da una media del 4,7% al 3% e deve aumentare la quota di beni esenti da dazio; devono esser rimossi i dazi su prodotti farmaceutici, materiale da costruzione, attrezzature mediche, prodotti cartacei e acciaio;

per quanto riguarda le quote, i paesi devono sostituire le quote sulle importazioni di prodotti agricoli, tessili e abbigliamento, con dazi meno restrittivi;

l’accordo prevede più rigide e rapide misure di risoluzione delle dispute risultanti dalle leggi antidumping, ma non vieta l’adozione delle stesse;

a riguardo dei sussidi, il volume delle esportazioni di prodotti agricoli sussidiati deve essere ridotto del 21% entro 6 anni;

per quanto concerne la salvaguardia, ai paesi è concesso di aumentare temporaneamente i dazi su importazioni che possono compromettere severamente un’industria nazionale, ma proibisce di imporre specifici standard sanitari e/o di sicurezza;

inoltre si disciplina la proprietà intellettuale (brevetti, marchi, . ), i servizi, altri provvedimenti per l’industria e misure relative all’investimento commerciale. Infine è stato previsto il WTO (World Trade Organization) che ha sostituito il GATT; esso ha autorità non solo in materia di prodotti industriali, ma anche in materia di prodotti agricoli e servizi. Le dispute nel WTO non sono più risolte con il voto unanime, bensì con il voto di 2/3 o di 3/4 dei paesi (ciò serve per evitare che il paese colpevole avrebbe potuto bloccare qualsiasi azione promossa contro di lui).


Doha Round

Anch’esso fu stipulato per continuare a ridurre il protezionismo; nel 2003 è però crollato perché i paesi in via di sviluppo hanno chiesto di eliminare tutte le restrizioni internazionali sui prodotti agricoli, ma quando si sono accorti che i paesi industrializzati non avrebbero accettato le richieste, si sono ritirati dall’accordo. Inoltre i PVS non erano disposti a concedere benefici ai propri lavoratori e a contenere le causi di inquinamento; i paesi sviluppati, d’altra parte, hanno deciso di non competere con nazioni senza regole.









Problemi commerciali odierni

Nel commercio odierno è possibile riscontrare le seguenti tre situazioni problematiche:

mancata crescita e ristrutturazione in Europa che causa un freno alla crescita del commercio e degli scambi. Ciò accade perché le nazioni sono interdipendenti, quindi se l’Europa non produce, il suo Pil non cresce e quindi il commercio non gira;

la globalizzazione che si sta realizzando non è disciplinata da regole equivalenti a livello globale (ad esempio si osserva una differenza circa le regole relative alla disciplina del problema dell’inquinamento);

la povertà nel mondo, il terrorismo e altri problemi rilevanti bloccano l’espansione dei commerci. Si registra infatti un aumento della soglia di povertà: il livello minimo al di sotto del quale si è considerati poveri è 1,5$ al giorno (Banca Mondiale); nel 2000 la stima sui poveri è pari al 13% della popolazione mondiale con una drastica riduzione rispetto alle stime del 1980 in base alle quali si aveva una percentuale del 25% della popolazione mondiale. Le popolazioni povere si concentrano principalmente in Cina e in India, in cui si osserva che le cause dell’impoverimento non dipendono dalla globalizzazione, bensì dalle guerre, da condizioni igieniche precarie, dall’AIDS. L’unico problema della globalizzazione è che essa non ha permesso di partecipare al fenomeno del libero commercio ai paesi poveri.


COME MISURARE IL PIL

Il reddito pro-capite si misura calcolando il valore totale della produzione di consumo e dei servizi diviso per la popolazione; ma c’è anche l’inflazione che dev’essere considerata. In più, con l’avvento della moneta unica, bisogna considerare il tasso di cambio di equilibrio (la Banca Mondiale determina il valore che corrisponde al tasso di equilibrio).


MOVIMENTO INTERNAZIONALE  DEI FATTORI PRODUTTIVI

Altro aspetto rilevante del commercio di beni è relativo al movimento internazionale di risorse, infatti il capitale, il lavoro e le tecnologie si muovono anche oltre i confini nazionali. Oltre ai movimenti internazionali, i fattori produttivi possono “muoversi” anche all’interno dello stesso paese. Il commercio internazionale e i movimenti di risorse produttive hanno tuttavia effetti economici molto diversi sui paesi coinvolti.  

Il lavoro è generalmente meno mobile del capitale a livello internazionale, tuttavia i fattori che spingono la movimentazione del lavoro sono l’alta disoccupazione e i salari bassi, quindi motivi economici, ma anche motivi non economici. In particolare, considerando i movimenti di lavoro tra Sud e Nord all’interno di un singolo paese, si osserva che essi sono in funzione del livello dei salari e del livello dell’occupazione: MSN = f (SS, SN ; OS, ON).







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