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Lo "sviluppo trasferito" degli anni Sessanta
Negli anni Sessanta le politiche di cooperazione furono utilizzate come strumento per mantenere in uno stato di dipendenza i paesi ex-coloni 232g67c e. Inoltre, in accordo con i fondamenti teorici delle politiche di sviluppo di quegli anni (Primo Decennio delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, 1960-69), gli interventi specifici si connotavano per produttivismo, tecnicismo e settorialitą. La prioritą dell'"obiettivo crescita" si traduceva nel potenziamento della produzione per colmare il gap, attraverso un travaso tecnologico dal centro alla periferia, riguardante i singoli settori ("sviluppo trasferito"). Le tecnologie impiantate, che contrastavano con i processi di lavorazione tradizionali, imperniati su tecnologie dalla debole potenza, avrebbero avuto in seguito ripercussioni sull'ambiente e sul contesto socio-culturale locale. Mancava del tutto, in quel periodo, una concezione sistemica dell'ambiente, che si basasse sul concetto di retroazione (feed-back).
Si trattava di un approccio riduzionista, fondato sulla convinzione che lo sviluppo fosse realizzabile attraverso un semplice trasferimento di capitali e di tecnologie e sull'impianto di poli di sviluppo industriali. L'obiettivo era fondamentalmente quello di sostenere la crescita del prodotto interno lordo dei paesi in via di sviluppo.
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