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L'economia russa e la sua modernizzazione

economia



L'economia russa e la sua modernizzazione


Nel 1800 l'economia russa era senz'altro arretrata. L'agricoltura era l'attività predominante, ma le

caratteristiche del clima freddo, la scarsa fertilità del suolo e le grandi distanze impedivano un suo sviluppo

oltre quello di sussistenza. Anche dal punto di vista industriale si risentiva della grande distanza alla quale si

trovavano le materie prime e dell'arretratezza delle tecniche che ne impediva lo sfruttamento su larga scala.

La struttura sociale era ancora feudale, con i signori, lo Stato e la Chiesa che possedevano i servi (ridotti a

condizioni di schiavi) e i nobili avevano addirittura potere di vita e di morte su di essi.

I contadini, che formavano la larga maggioranza del popolo, vivevano in comunità di villaggio dette mir, che



gestivano le occupazioni e i redditi dei loro appartenenti e divennero ben presto strumenti di governo da

parte dello Stato.

Il commercio e il mercato avevano scarsa importanza, in quanto i contadini adempivano ai loro obblighi in

natura o con le corveés e il mercato di generi di lusso che i nobili alimentavano era poco rilevante. Non poté

così svilupparsi il ceto medio borghese individualista e indipendente che fu il motore della Rivoluzione

Industriale e Francese. Il timore principale della classe nobile dominante era quindi solo quello di una rivolta

dei contadini e non della borghesia che appunto non esisteva. La sua assenza fece in modo che lo sviluppo

dell'economia dovette essere affidato al sostegno statale.

La sconfitta nella guerra in Crimea da parte delle nazioni industrializzate mise la Russia di fronte alla sua

arretratezza e costrinse il governo a intraprendere un'opera riformatrice, la cui misura più importante fu

l'emancipazione dei servi. Era infatti necessario sedare il malcontento dei contadini e l'istituto della servitù

era sempre meno efficiente, perché ci si rendeva conto che il libero lavoro remunerato era molto più

vantaggioso di quello servile. Nel 1861 furono emanati i decreti di emancipazione, che se da una parte

resero i servi uomini liberi di fare ciò che volevano, dall'altra li costrinsero ad una dipendenza finanziaria ed

economica dal proprietario terriero, e quindi se il contadino la desiderava doveva pagarla molto cara.

Le terre potevano essere riscattate in due modi: o effettuando un periodo di 30/40 giorni all'anno nelle

proprietà padronali, oppure lo Stato anticipava l'80% del valore della terra e il contadino doveva rimborsarlo

entro 49 anni con un interesse del 6,5%. Responsabile delle rate del riscatto fu il mir, che assunse anche

compiti di autogoverno con organi formati dai capifamiglia e dagli anziani.

Questo per quanto riguarda gli ex servi dei nobili, mentre gli ex servi statali ebbero generalmente un

trattamento migliore.

Tuttavia questa riforma fu una farsa, perché i contadini ebbero meno terre di quante ne avessero prima e

questa minor quantità dovevano pagarla più di quanto avesse rese vendendola o dandola in affitto. Inoltre

l'ex servo pagava non solo per la terra ricevuta, ma anche una nascosta aliquota di riscatto personale e

quindi doveva acquistare anche la sua libertà.

L'aumento della popolazione (che ridusse ancora la ripartizione delle singole quote) e lo sviluppo

dell'industria tessile (che tolse ai contadini, che durante l'inverno tessevano per conto di mercanti

imprenditori, una importante fonte di reddito), fecero crescere ancora di più il malcontento.

Anche i proprietari non erano in buone condizioni finanziarie, perché gran parte delle loro terre era sotto

ipoteca e quindi buona parte delle loro rendite finiva alla banche. Alla fine sia i contadini che i proprietari

rimasero delusi dalla riforma.

Tuttavia i debiti dei contadini ebbero il risultato di risanare i conti dello Stato: essi infatti per pagare i debiti

vendevano sui mercati europei perfino il grano necessario al sostentamento (oltre all'eccedenza), quindi il

forte attivo della bilancia commerciale fu ottenuto solo a costo di affamare e denutrire la popolazione, che

dopo l'emancipazione aveva visto crollare il proprio tenore di vita.

Vista la povertà dei contadini, il mercato interno era inesistente, tuttavia all'epoca esisteva un settore di

investimento importante consistente nelle costruzioni ferroviarie, che si svilupparono rapidamente e

stimolarono l'afflusso di capitali interni ed esteri e tutto il sistema industriale pesante.

All'inizio del 1800 si riteneva che lo sviluppo industriale dovesse avvenire "naturalmente" grazie all'apporto di

capitale derivante dalla produzione cerealicola venduta all'estero, trascurando l'intervento statale e attuando

una politica protezionistica per assicurarsi il mercato interno. Ma sul finire degli anni '50 si passò ad una

politica di industrializzazione e modernizzazione dei trasporti e dell'agricoltura, politica sostenuta con tutti i

mezzi dallo zar. Lo Stato dominò sui maggiori settori della vita economica.




La Russia poté godere fino in fondo dei vantaggi dell'ultimo venuto nell'industrializzazione; inoltre

l'emancipazione dei servi garantì la formazione di una classe di operai salariati e il forte protezionismo, unito

alla grande disponibilità di materie prime e agli aiuti statali, fecero compiere alla Russia la rivoluzione

industriale tanto che alla fine del 1800 essa aveva preso il suo posto tra le grandi nazioni industriali.

L'industria russa era peculiare: da una parte c'erano le fabbriche moderne (statali, miste o appartenenti ai

nobili), dall'altra l'artigianato al quale i contadini si dedicavano durante l'inverno (kustar).

Il primo settore in cui fu introdotta l'industria moderna fu quello tessile, in particolare cotoniero, che si

sviluppò grazie a una tariffa protezionistica e all'introduzione dei filati inglesi di qualità superiore rispetto a

quelli asiatici finora utilizzati. Anche gli altri settori (lino, lana) godettero degli aiuti statali e dell'intervento

del capitale straniero.

L'industria del legno e dello zucchero (sottoposta a rigido controllo statale) si svilupparono anch'esse, mentre

l'industria del ferro fu riorganizzata. Essa infatti nella prima metà del 1800 era in decadenza, perché non era

possibile introdurre le innovazioni tecnologiche inglesi e soprattutto perché non si riusciva a insegnare ai

servi ad adoperare le nuove macchine. Ma alla fine del 1800, grazie alla politica protezionistica e all'aiuto

straniero, furono aperte nuove fabbriche oltre a quelle degli Urali e la produzione di ghisa e ferro iniziò a

crescere notevolmente. In questi anni anche l'industria meccanica compì rilevanti progressi.

L'industria del carbone invece si sviluppò lentamente, sia per l'abbondanza di legname che per il cattivo stato

delle vie di comunicazione; ma grazie ai forti investimenti francesi e belgi si iniziò l'estrazione del carbone su

larga scala.

Nel campo dell'industria estrattiva molto importante fu il petrolio, che fu sfruttato con tecniche perfezionate.

L'industria moderna si era quindi sviluppata notevolmente, ma a spese dell'artigianato tradizionale. La

popolazione urbana si raddoppiò tra il 1863 e il 1897 mentre quella rurale solo del 50%; il fenomeno

dell'urbanesimo era quindi molto vivo.

I capitali stranieri e l'aiuto statale avevano impresso al Paese una forte spinta verso l'industrializzazione,

aiutati anche dallo sviluppo del settore bancario, soprattutto statale. La stretta connessione tra Stato e

industrie, insieme all'assenza di una borghesia capitalista, portò ad una concentrazione di produzioni su

vasta scala sconosciute agli altri Paesi. In Russia le fabbriche di piccole dimensioni erano rare mentre molto

importanti erano quelle con migliaia di operai.

La direzione statale delle industrie fece in modo che esse non si sviluppassero secondo le direttive del

mercato, ma secondo i voleri del governo, che favoriva quelle utili militarmente. Naturalmente tutto questo

portò a notevoli malumori sociali: ad esempio i capitali esteri erano frutto principalmente dell'esportazione

dei cereali, per cui in una annata cattiva pur di mantenere intatta la quantità destinata all'esportazione si

diminuiva quella destinata al consumo interno.

Da un lato i contadini, che vivevano in condizioni misere, non avevano la possibilità di unirsi in associazioni

per far valere i propri diritti, dall'altra invece gli operai poterono dar vita a movimenti come quello socialista,

comunque in modo clandestino visto che non era possibile fondare sindacati né scioperare. Nel 1898 nacque

il Partito Socialdemocratico dei lavoratori russi, che con la guida di Lenin iniziò la sua opera per la creazione

di una repubblica socialista. Nel 1903 il partito si divise nelle due correnti dei bolscevichi capeggiati da Lenin

(che propugnavano la rivoluzione popolare) e dei menscevichi capeggiati da Trotsky e Martov (che invece

credevano che bisognasse dapprima rovesciare l'assolutismo con il capitalismo e solo in seguito rovesciare il

capitalismo con il socialismo).

Le agitazioni e gli scioperi si diffusero e ben presto si crearono le premesse per la grande rivoluzione che

culminerà nell'ottobre del 1917.







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