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Le origini del collettivismo e la nascita dell'URSS

economia



Le origini del collettivismo e la nascita dell'URSS

Alle origini della rivoluzione nella Russia zarista

All'inizio del XX secolo le strutture economiche e politiche in Russia erano ancora arcaiche. Il governo era

nelle mani degli zar, che governavano in modo assolutistico e dispotico, mentre l'agricoltura e l'industria

erano ancora arretrate. La popolazione viveva in condizioni di disagio e manifestò la sua condizione con

frequenti scioperi che culminarono nel 1905 nella cosiddetta "Domenica Rossa" quando un corteo di 100.000

persone raggiunse il Palazzo d'Inverno di Pietroburgo per chiedere sussidi e la costituzione di un parlamento.

La folla fu accolta a fucilate e morirono centinaia di persone. La violenta repressione accese la ribellione in



altre città e in tutti gli stati sociali che erano contrari al regime (contadini, esercito, borghesia, burocrazia).

In particolare, i socialisti rivoluzionari diedero vita all'esperienza dei Soviet dei Deputati degli Operai,

espressione di una democrazia diretta che si componeva di centinaia di delegati, eletti e rieletti dai lavoratori

a brevi intervalli di tempo.

Lo zar Nicola II, intimorito dagli eventi, riconobbe i Soviet, promise una costituzione liberale e istituì la

Duma, un'assemblea rappresentativa con funzioni legislative e di controllo, della durata di 5 anni. La prima e

la seconda Duma ebbero vita breve perché la loro maggioranza era liberale, quindi lo zar modificò la legge

elettorale in modo che la maggioranza fosse conservatrice, sottorappresentando le classi inferiori.

La rivoluzione del 1905 fu alla fine un fallimento, ma perlomeno ebbe il merito di preparare le basi per la

grande svolta del 1917.

I presupposti ideologici del comunismo in Russia

Il marxismo arrivò in Russia grazie all'opera di alcuni studenti ed esiliati in Europa occidentale, che portarono

nella madrepatria le opere di Marx ed Engels che ebbero subito grande diffusione. Si creò c 323j97d osì un nucleo di

marxisti russi che fondò nel 1898 il Partito Operaio Socialdemocratico Russo, ma la maggioranza degli iscritti

fu subito arrestata. Il partito si ricostituì all'estero nel 1903 e subito si verificò al suo interno una scissione

tra menscevichi (minoranza) e bolscevichi (maggioranza), guidati da Lenin.

I menscevichi sostenevano che il rovesciamento dell'attuale regime fosse compito della borghesia, che

avrebbe affermato un sistema capitalistico che a sua volta avrebbe ampliato e rafforzato la classe operaia.

Essi ritenevano che solo a questo punto, in un futuro remoto, si sarebbe potuta attuare la rivoluzione

socialista, e che non si poteva contare sull'alleanza delle masse contadine per rovesciare immediatamente il

sistema, in quanto esse costituivano una forza sostanzialmente antirivoluzionaria.

Anche i bolscevichi erano a favore di una rivoluzione borghese iniziale, ma a causa della debolezza e

dell'incapacità dei borghesi essa avrebbe dovuto essere coadiuvata immediatamente con un'alleanza con i

contadini oppressi dai latifondisti. Una volta compiuta la rivoluzione borghese, i contadini avrebbero cessato

di essere una forza rivoluzionaria e il proletariato avrebbe continuato il cammino verso la rivoluzione

socialista, servendo da esempio per il resto del mondo.

Infine nel 1905 si formò un terzo gruppo, quello di Trockij, che teorizzava la cosiddetta "rivoluzione

permanente". Per Trockij la rivoluzione sarebbe stata attuata direttamente dai proletari, in quanto in Russia

mancava una classe borghese. Una volta assunto il potere, i proletari avrebbero combattuto per difendere le

conquiste realizzate, anche con l'aiuto estero, ottenuto con il diffondersi della rivoluzione in Europa.

Il presidente del consiglio Stolypin per contrastare i fermenti rivoluzionari operò alcune riforme

economico-sociali: ammise i sindacati, costituì una cassa malattia a favore dei lavoratori ma soprattutto varò

la riforma agraria, con la quale abolì la proprietà collettiva rurale dei mir (che i contadini identificavano nel

regime con il suo ruolo di condizionamento) e permise di disporre liberamente delle terre, di trasferirsi e di

emigrare. Lo scopo politico era quello di formare un folto gruppo di piccoli proprietari conservatori, ma in

realtà si costituì una categoria di grandi proprietari terrieri mentre moltissimi contadini, dopo aver venduto i

propri appezzamenti, si trasferivano in città proletarizzandosi.

La fame di terra restò elevata, e dopo l'assassinio di Stolypin nel 1911 il debole zar, sotto l'influenza

conservatrice di Rasputin, abbandonò ogni tentativo innovativo. Gli scioperi ripresero, e ben presto

sopraggiunsero la Prima Guerra Mondiale e la rivoluzione.


L'economia dell'impero zarista alla vigilia della rivoluzione del 1917

L'economia russa all'inizio del XX secolo era in rilevante ritardo rispetto a quella occidentale. Nonostante i

progressi dell'economia in questi anni (che lo Stato aveva stimolato con la protezione doganale, il gold

standard, la Transiberiana, i capitali stranieri, lo sfruttamento del petrolio e dell'oro), la grande industria era

localizzata in pochissime zone, mentre ampissime risultavano le aree sottosviluppate (soprattutto al sud e

all'est), mentre l'attività manifatturiera era basata essenzialmente sull'artigianato. Allo scoppio della guerra

fu particolarmente avvertita la mancanza di armi dovuta allo scarso sviluppo dell'industria meccanica. Le vie

di comunicazione infine erano del tutto insufficienti per soddisfare le crescenti esigenze commerciali.

Le basi dell'economia erano ancora costituite dell'agricoltura: la popolazione viveva in gran maggioranza

nelle campagne e il suo numero aumentava costantemente, mantenendo a livelli bassissimi redditi agricoli,

salari e consumi.

Il governo, grazie all'opera del ministro delle finanze Witte, aveva promosso l'industrializzazione ricorrendo al

prestito estero; ma per sanare il deficit della bilancia dei pagamenti ritenne necessario provocare un avanzo

della bilancia commerciale, attraverso l'aumento delle esportazioni di prodotti agricoli. Per far questo si

ridusse con l'imposizione fiscale il consumo dei contadini, similmente a quanto farà Stalin con l'industria.

Dopo la riforma di Stolypin effettivamente la produzione agricola crebbe ad un ritmo superiore rispetto

all'aumento della popolazione e agli effettivi consumi, ma la struttura agricola era ancora tradizionale, con

base tecnologica arretrata. La rivoluzione agraria in Russia fu di natura quantitativa, perché aumentò

l'estensione delle terre messe a coltivazione ed aumentò la quantità di lavoro impiegato. Come risultato

finale il commercio con l'estero fu molto più intenso dopo il 1900 e sempre più elevata fu l'eccedenza delle

esportazioni sulle importazioni.

Tuttavia le contraddizioni interne politiche, economiche e sociali erano ancora forti, tanto che non si può dire

che la Russia fosse un Paese avviato sulla strada dell'industrializzazione.

Le rivoluzioni del 1917

Dal punto di vista sociale, l'entrata in guerra della Russia fu accolta passivamente dai contadini, mentre gli

operai erano speravano che una sconfitta militare avrebbe potuto aprire il varco ad una rivoluzione politica e

la borghesia manifestava apertamente la sua sfiducia nei confronti del governo.

Dal punto di vista economico, la guerra fu finanziata grazie all'aumento della circolazione fiduciaria e ai

prestiti esteri. In questo modo il rublo si svalutò e i prezzi aumentarono vertiginosamente. A causa

dell'arretratezza dell'industria meccanica, si avvertì la carenza di materiale bellico, mentre le insufficienti vie

di comunicazione rendevano sempre più difficili i rifornimenti alle industrie e gli approvvigionamenti alle città.

Inoltre l'esercito russo, composto prevalentemente da contadini, andò incontro a rovinose sconfitte da parte

del meglio organizzato esercito tedesco.

La crisi economica aggravò quella sociale: il regime zarista era avversato anche da alcune frange

dell'aristocrazia e della borghesia; la corte era screditata; la penuria degli approvvigionamenti aggravò la

condizione alimentare delle città; i continui scioperi; sfociarono nella rivoluzione che scoppiò a Pietrogrado.

I militari si rifiutarono di intervenire contro gli scioperanti, mentre arrestarono i ministri dello zar e liberarono

i prigionieri politici; fu costituito un Soviet e la Duma decise a sua volta di assumere il potere e di proclamare

la repubblica, guidata da Kerenskji.

Il Paese si trovò di fronte quindi due poteri: il Soviet, di natura socialista e ansioso di proclamare la pace per

assistere i contadini; la Duma, di natura borghese e decisa a tornare in guerra per il controllo degli stretti e

dei Balcani, indifferente alle esigenze del popolo.

Lenin tornò dall'esilio svizzero e diffuse le sue Tesi d'Aprile, con le quali predicava "pace immediata, terra ai

contadini, tutto il potere ai Soviet", rivolgendosi alle masse dei soldati, dei contadini e degli operai. E infatti i

bolscevichi si impadronirono del potere, instaurando il governo del Consiglio dei Commissari del Popolo che

entrò nella fase del "comunismo di guerra" in cui lo Stato attuava la collettivizzazione dell'economia.


Il "comunismo di guerra" 1917-1921

I primi atti di Lenin una volta al governo furono la ricerca della pace con i governi stranieri, ma soprattutto la

confisca delle terre che andarono ai contadini e delle fabbriche che andarono agli operai. Nel 1918 a Brest-

Litovsk fu firmato il trattato di pace con la Germania a condizioni estremamente onerose per la prima.

Il periodo tra il 1917 e il 1921 corrisponde al cosiddetto "comunismo di guerra": all'interno incalzava la

guerra civile, mentre gli Stati esteri tentavano di recuperare con la forza i capitali investiti in Russia in

svariate attività industriali, confiscate dal governo rivoluzionario.

Dal punto di vista della politica agricola, Lenin abolì la proprietà privata delle terre, ridistribuendola tra ricchi

e poveri a vantaggio di questi ultimi, con i conseguenti disordini. In seguito la gestione delle terre e delle

scorte dei privati fu affidata alle autorità, ma questa misura portò a gravi disordini perché i contadini non

avrebbero potuto né conservare né vendere il surplus da loro generato, che sarebbe stato requisito. Di

conseguenza la produzione agricola calò paurosamente, la fame aumentò, le fabbriche chiudevano e tutto

questo alimentava lo scontento e la guerra civile.

Dal punto di vista dell'industria e del commercio le attività industriali furono poste sotto il "controllo operaio",

cioè dei comitati di fabbrica. Ma essi non si dimostrarono all'altezza del compito affidatogli e quindi fu creato

un organismo che coordinasse le attività dei poteri centrali e locali e che dirigesse l'economia del Paese, il

Consiglio Supremo dell'Economia Nazionale. Contemporaneamente si diede l'avvio alle nazionalizzazioni,

prima di singole imprese, poi di interi settori produttivi (ferrovie, flotta, banche, commercio estero, energia

elettrica), infine di tutte le imprese con capitale superiore a un milione di rubli.

Ma il risultato di questa improvvisa e disordinata socializzazione fu fallimentare. La produzione agricola si

ridusse di 1/3 e quella industriale di 1/13. La disoccupazione galoppava, anche per la smobilitazione

dell'Armata Rossa, mentre gli ex combattenti reclamavano i loro diritti di proprietari terrieri e la fame

uccideva 5 milioni di persone. Ormai il problema fondamentale era la sopravvivenza.

La fortissima inflazione (causata anche dal fatto che la guerra era stata finanziata con l'emissione di biglietti)

fece crollare il rublo e il governo finì per pagare agli operai i salari in natura ottenuti dalle requisizioni nelle

campagne.

Gli effetti più rilevanti delle misure adottate tra il 1917 e il 1921 furono quindi la concentrazione del potere

nella mani di un'unica autorità e la sostituzione dell'economia di mercato con l'economia di baratto.

Le scelte di Lenin non furono tanto guidate dall'ideologia e da una logica precisa, quanto dall'opportunismo e

dai problemi contingenti, che tuttavia non riuscì a risolvere e perfino portarono a moti controrivoluzionari;

per questo egli operò una decisa svolta nella politica economica con la NEP (Nuova Politica Economica) come

fase di transizione ai fini di una definitiva instaurazione del comunismo.


La NEP (1921-1928)

Con il Per Congresso dei Soviet del 1922 fu creato il nuovo Stato, l'Unione delle Repubbliche Socialiste

Sovietiche (URSS) e fu varata la NEP (Novaja Ekonomiceskaja Politica).

Dati i risultati fallimentari dei primi anni di collettivizzazione, con la NEP Lenin adottò elementi capitalistici

nell'economia alla fine di assicurarne la ripresa. Si ritornò all'economia di mercato e quindi fu indispensabile il

risanamento monetario.

In campo agricolo, al fine di ricavare un aumento di produttività, si pose termine alle requisizioni di grano, in

modo da lasciare al contadino un'eccedenza di cui poteva disporre liberamente sul mercato. Tuttavia la

carestia del 1921 costrinse ad accettare in via eccezionale gli aiuti del presidente americano Hoover.

Il processo di liberalizzazione delle terre proseguì con il Codice Agrario del 1922 con il quale i contadini

potevano decidere autonomamente la forma di coltivazione della terra. Tuttavia fu l'uso comunitario della

terra a prevalere con i sovchozy gestiti direttamente dallo Stato.

Queste riforme andarono a favore dei Kulaki, i contadini ricchi, che erano i soli a poter disporre di eccedenze

che vendevano sul mercato e che quindi raggiunsero posizioni influenti all'interno del villaggio.

Contemporaneamente il governo cercò di affrettare la collettivizzazione incoraggiando tre forme di

associazione tra i produttori (kolchozy): quelle in cui tutti i beni erano in comune, i salari erano soppressi e le

abitazioni appartenevano all'amministrazione; quelle che avevano in comune aratri, edifici e bestiame, nelle

quali ciascun produttore possedeva la sua casa e percepiva un salario; e quelle che avevano in comune solo

le macchine agricole, mentre al contadino era concesso possedere il suo appezzamento personale.

In questo modo crebbe la superficie coltivata e la produzione cerealicola, mentre la meccanizzazione restò

scarsa.

In campo monetario, per porre un freno all'inflazione fu emessa una nuova moneta agganciata all'oro, il

cervonez, la cui emissione era rigidamente controllata e che ben presto sostituì il rublo.

In campo finanziario, il pareggio del bilancio fu raggiunto mediante l'imposizione fiscale, a cui si aggiunse il

risparmio volontario e forzato.

In campo industriale e commerciale, furono snazionalizzate le imprese che impiegavano meno di 20 operai.

Nel settore nazionalizzato, di gran lunga più ampio, l'industria fu divisa in 478 trust che raggruppavano le

aziende per settore produttivo ed elaboravano i paini di produzione. Si tentò di promuovere la

meccanizzazione anche con l'aiuto di tecnici stranieri. Nel 1922 fu liberalizzato anche il commercio al

dettaglio.

Se la carestia agricola del 1921 fu superata e la situazione migliorò negli anni successivi, non altrettanto si

può dire del settore industriale, la cui scarsa efficienza causava prezzi molto alti. I prezzi agricoli invece

erano molto bassi per le grandi quantità prodotte e la forbice tra i prezzi agricoli e quelli industriali si andò

sempre più allargando. La "crisi delle forbici" ebbe ripercussioni anche nel settore industriale, perché provocò

la riduzione del potere di acquisto dei contadini.

Per far fronte alla crisi, lo Stato limitò i crediti all'industria, e le fabbriche furono costrette ad immettere le

scorte sul mercato abbassando i prezzi. Il risanamento monetario inoltre agevolò la ripresa dei salari e la

produttività del lavoro.

I risultati della NEP furono abbastanza positivi, perché nel 1926 l'economia dell'URSS era in netta ripresa;

tuttavia esso restava un Paese ancora essenzialmente agricolo, in cui prevaleva la piccola proprietà ed

esistevano alcuni poli industriali dispersi e scarsamente collegati, mentre i rapporti con l'estero erano stati

interrotti e l'URSS scomparve dalla scena economica internazionale.

Gli obiettivi erano dunque quelli di promuovere l'industrializzazione mantenendo l'isolamento economico e

potendo disporre solo delle risorse interne del Paese; per questi fini prevalse la politica di Stalin che decise di

tornare alla collettivizzazione.


Stalin e la politica di pianificazione

Il programma di autosufficienza di Stalin si fondò sulla pianificazione e sulla collettivizzazione dell'economia.

In campo agricolo Stalin soppresse il settore privato e favorì la costituzione dei kolchozy, anche con l'uso

della violenza. Di conseguenza si creò un baratro tra agricoltori e regime, che si ripercosse sui raccolti che

furono compromessi per le mancate semine. L'opposizione contadina alla collettivizzazione era tale che nel

1930 fu concesso ai contadini di abbandonare i kolchozy. Ma i rigidi vincoli che lo Stato impose alla proprietà

e le facilitazioni con cui favorì i kolchozy fecero in modo che questi ultimi divennero la forma di gran lunga

predominante.

Grazie alla collettivizzazione (e ai prelievi forzati ai contadini) lo Stato realizzò il controllo della produzione

agricola e poté sfamare la popolazione urbana. I prelievi forzati furono inoltre fondamentali per finanziare

l'industrializzazione, e anche in questo settore Stalin soppresse il settore privato a favore di quello statale.

Tramite l'organismo del Gosplan si predispose la pianificazione completa dell'economia nazionale, ponendo 5

anni come termine per la realizzazione di obiettivi scelti quali prioritari. Il primo Piano Quinquennale

(1928-1932) concentrò risorse e lavoro ai fini dello sviluppo dell'industria pesante. Ma l'inesperienza dei

pianificatori e la carenza di statistiche non permisero la completa attuazione delle ipotesi previste; tuttavia i

progressi realizzati furono enormi.

Con il Secondo Piano Quinquennale (1932-1937) si diede la precedenza alla produzione di beni di consumo e

alla costruzione di moderne abitazioni. Ma l'espansione giapponese in Manciuria e il rischio di una guerra

contro la Germania nazista spinsero a dare priorità assoluta al riarmo, favorendo le industrie pesanti e

accentuando la sproporzione tra la produzione di beni capitali e beni di consumo. Durante l'attuazione del

secondo piano furono compiuti notevoli progressi nella produttività del lavoro per la diffusione dello

stacanovismo.

Con i primi tre piani quinquennali (il terzo fu interrotto dall'invasione tedesca del 1941) l'URSS si trasformò

da Paese agricolo a Paese industrializzato, il tasso di sviluppo fu elevatissimo e molte produzioni la posero al

terzo posto nella scala mondiale. Tuttavia questi risultati furono raggiunti a costi molti alti. La pianificazione

dell'economia, diretta interamente da un'autorità centrale, causò ben presto la formazione di una dittatura

che comportò drammatiche tensioni anche all'interno dello stesso Partito Comunista. Stalin dovette ricorre al

terrore, gravando pesantemente sulla popolazione; famose restarono le sue "grandi purghe".

La politica di assenteismo internazionale invece fu dovuta essenzialmente alla crisi del 1929, che impedì

all'URSS di finanziare l'industrializzazione tramite l'esportazione di prodotti agricoli e materie prime e rese

indispensabile il ricorso all'autarchia. Lo Stato dovette quindi accrescere la pressione sui consumi privati e

gravare soprattutto sull'agricoltura.

Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale l'opera di collettivizzazione e di sfruttamento della terra era ormai

compiuta, a scapito delle condizioni di vita dei contadini. La pianificazione privilegiò lo sviluppo industriale e

riconobbe alla classe proletaria urbana un ruolo decisivo ai fini dell'edificazione della moderna società

sovietica.





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