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La responsabilità sociale - La teoria sistemica: l'impresa come sistema aperto

economia



La responsabilità sociale



La teoria sistemica: l'impresa come sistema aperto.

La teoria generale dei sistemi si è andata affermando attorno al 1950 per opera del biologo Ludwig von Bertalanfy.[1] Tale teoria prende le mosse dall'esigenza di superare il particolare attraverso una più ampia visione che conduca a uno studio unitario dei vari problemi riferibili a un dato contesto.

Prima di considerare le implicazioni specifiche relative all'impresa, appare opportuno soffermarsi brevemente sui caratteri essenziali di tale approccio. La teoria sistemica, in particolare, si basa su due concetti fondamentali:



a) quello di sistema;

b) e quello di equilibrio dinamico.

Il sistema è visto da von Bertalanfy come "una combinazione di parti o elementi riunite in un tutto". L'espressione è volutamente generica perché deve avere un valore universale, cioè deve essere riferibile a esseri umani, istituzioni sociali, atomi, pianeti, ecc.. A nostro avviso il sistema può concepirsi come un insieme di elementi legati da vincoli e da relazioni di complementarità e interdipendenza. Ogni sistema che fa parte dell'universo può esser visto come un insieme di sist 434d35e emi di ordine inferiore o come parte o elemento di un sistema di ordine superiore: tra tutti questi sistemi di diverso ordine si crea un rapporto di condizionamento reciproco. Tale condizionamento rappresenta il punto focale dell'intera teoria sistemica, in quanto determina il passaggio al secondo concetto prima enucleato: quello di equilibrio dinamico. Per mezzo di esso infatti i diversi fenomeni - siano essi chimici, fisici, sociali, ecc. - offrono una spiegazione in termini di interazione dei loro processi vitali, in netto contrasto con la teoria cartesiana che analizza i fenomeni in termini di strutture prestabilite. Il sistema, dunque, va inteso in modo dinamico; e anche quando si accoglie l'idea di struttura, questa deve essere vista come premessa all'azione, la quale finirà inevitabilmente per modificarla.

Strumento indispensabile per il mantenimento di questo equilibrio dinamico è il controllo omeostatico [5], che si basa su un circuito di retroazione. In sostanza dagli "output" si ottiene un segnale di ritorno che viene riportato all'input e a questo sottratto, così da ottenere un "segnale di errore" o di scostamento, il quale a sua volta si trasformerà in un "segnale attivante" nel momento in cui il dispositivo di controllo lo utilizzerà per porre in essere azioni correttive. In definitiva possiamo concordare con Boulding, secondo cui "la teoria generale dei sistemi è lo scheletro della scienza; nel senso cioè che serve a costruire una struttura idonea a trasformare il campo conoscitivo di ogni disciplina in un ordinato e coerente corpo di conoscenze".

Anche nella dottrina economico-aziendale è stata accolta la teoria dei sistemi, che concepisce l'impresa come sistema integrato di elementi in interazione dinamica. In altri termini, l'impresa si configura come un'entità appartenente ad un più ampio ambiente sovrasistemico e costituito a sua volta da una pluralità di componenti sottosistemici. L'azienda ha un proprio processo di riproduzione e rigenerazione che risulta essere alimentato dal continuo interscambio fra la stessa azienda e l'ambiente esterno di appartenenza; cioè il sistema aziendale si configura come sistema aperto.

In quanto sistema aperto, l'impresa è in grado di sopravvivere indefinitamente poiché capace di combattere l'entropia interna.[8] Resta fuor di dubbio che al centro del sistema impresa si colloca sempre la razionalità economica, tuttavia questa deve essere adattata con le razionalità degli altri sistemi legati all'impresa. Il problema è che su queste razionalità il management ha una limitata capacità di influenza, per cui occorre predisporre una strategia di interscambio che tenga conto delle differenti preferenze. È ovvio che in tale contesto non si modifica l'obiettivo originario, ossia il profitto, ma aumentano le alternative sociali attraverso cui tale obiettivo può essere raggiunto; l'impresa è dunque dotata di equifinalità. Il profitto dovrà esser perseguito attraverso quelle politiche di gestione che risultino conformi alle responsabilità umane, sociali ed ambientali che all'impresa competono; a tal fine il processo di programmazione e controllo della gestione dovrà essere ridefinito in modo tale da consentire all'impresa lo sviluppo di una reattività sociale volta innanzitutto a porre in essere strategie di legittimazione del suo comportamento.

L'obiettivo ultimo dell'impresa, in base all'approccio globale della realtà gestionale, è il raggiungimento di un equilibrio globale, condizione di sopravvivenza e di sviluppo nell'ambiente, risultante dalla contestuale soddisfazione dell'equilibrio economico (patrimoniale e finanziario) e dell'equilibrio sociale; dunque si sviluppa una analisi aziendale che trascende il carattere meramente e tradizionalmente economico, per affrontare quello sociale.


Etica ed impresa

Con riferimento alla nozione etica[12] di economicità dell'azienda, è possibile individuare diversi approcci teorici, tra cui occorre innanzitutto annoverare la "teoria deontologica" e quella "utilitaristica". Secondo l'orientamento deontologico, l'impresa dovrebbe subordinare il suo comportamento alle norme etiche, anche a scapito del profitto. La prospettiva utilitaristica, invece, sostiene che la massimizzazione del profitto contribuisce a realizzare meglio il benessere collettivo (visione neoclassica).

La dottrina deontologica mette in sott'ordine le esigenze di competitività e redditività rispetto ai ben più nobili fini di natura sociale. Ma in tal modo questo approccio trascura la grande rilevanza sociale che ha il ruolo economico dell'impresa: la competitività e redditività delle imprese non è un fatto privato che interessa soltanto l'imprenditore o gli azionisti, ma interessa in modo rilevante anche i lavoratori e le loro famiglie, nonché la collettività tutta, il cui tenore di vita è fortemente condizionato dall'efficienza del sistema produttivo. Inoltre se le imprese seguissero proprio un simile approccio, verrebbe meno ogni tensione all'economicità e all'efficienza: si pensi a cosa è accaduto durante gli anni 60-70, quando molte imprese pubbliche di fatto fallirono; questo perché si riteneva che l'impresa avesse come missione fondamentale quella di salvaguardare l'occupazione, creare nuovi posti di lavoro, incentivare lo sviluppo economico di regioni depresse e così via. Ma simili missioni sono indubbiamente aberranti, perché nessuna impresa può rispondere positivamente a domande sociali se non nella misura in cui é capace di porsi al servizio economico di dati bisogni di certi clienti o utenti.

Su un piano diametralmente opposto, si colloca la teoria utilitaristica che si rifà alle ferree leggi dell'economia di mercato. Secondo questa impostazione, sono i fini sociali a dover essere questa volta subordinati ai fini economici. Il perseguimento del profitto è sempre e comunque doveroso e meritevole di approvazione, a prescindere dai riflessi sociali che esso determina. E' vero che l'impresa svolge essenzialmente un ruolo economico, consistente nel produrre ricchezza, ossia beni e servizi aventi un "valore" (c.d. valore aggiunto) maggiore di quello dei fattori utilizzati nel processo produttivo; però affinché tale valore sia positivo l'impresa deve servire i bisogni dei clienti valorizzando e sviluppando le risorse di cui dispone, altrimenti il valore suddetto potrà anche risultare negativo, configurando così una distruzione di ricchezza. Entrambe le teorie enunciate trascurano l'elemento focale della missione di qualsiasi impresa: "l'economico soddisfacimento dei bisogni collegati alla funzione d'uso dei beni o servizi offerti. Cioè le più svariate istanze sociali entrano nel finalismo d'impresa non già come contenuto esclusivo o prevalente della missione aziendale, ma soltanto se e nella misura in cui esse sono coniugabili con l'economico soddisfacimento delle finalità perseguite dall'impresa". Sarebbe possibile individuare in terza battuta una logica di contemperamento che si basi su un compromesso tra istanze economiche e sociali. Però anche questo approccio non ci sembra idoneo per individuare correttamente il finalismo d'impresa, perché finisce per non soddisfare appieno né l'uno né l'altro tipo di istanze. Ci si dimentica che c'è un profitto basato sul rispetto e la valorizzazione delle risorse tutte (umane, finanziarie, ambientali); e c'è un profitto che viene invece prodotto sfruttando il cliente, non rispettando l'ambiente, non garantendo ai prestatori di lavoro adeguati livelli di sicurezza, ecc. Esiste cioè un "profitto miope, basato su logiche di corto respiro e un profitto lungimirante basato su una forte competitività e coesione sociale". Come afferma Vittorio Coda, "mai come oggi i

valori etici hanno assunto un'importanza critica,. soprattutto perché l'intensità delle pressioni concorrenziali richiede alle imprese livelli di consenso e capacità di mobilitazione delle energie e delle risorse difficilmente realizzabili in assenza di un orientamento strategico saldamente fondato su tali valori". In definitiva riteniamo che occorra operare lungo un "sentiero di sviluppo" in cui prosperità dell'impresa, benessere dei lavoratori e soddisfacimento delle altre istanze etico-sociali siano una medesima cosa. Questo sentiero deve servire da guida per il management d'impresa: questi deve possedere accurate conoscenze di carattere economico, finanziario, di mercato, ecc.; ma anche la capacità di individuazione dei valori che stanno alla base dell'ambiente in cui opera l'impresa, "coraggio morale", e così via. Dato che le conoscenze di cui al primo punto fanno ormai parte del bagaglio culturale del management, sono le ultime a poter costituire un vero e proprio vantaggio competitivo per l'impresa moderna. Abilità che se sviluppate in modo coerente e sistematico potranno determinare, a parità di altre condizioni, la differenza fra un successo e un insuccesso imprenditoriale. Tuttavia se la condivisione di valori etici è propria solo del vertice aziendale, ciò non costituisce garanzia della realizzazione di una vera e propria gestione etica dell'impresa. È infatti necessario che il top management favorisca la propagazione di tali valori all'interno dell'organigramma aziendale; ossia tutti i dipendenti devono essere messi nelle condizioni di poter comprendere, condividere ed interiorizzare il senso etico degli atti gestionali da compiere, se non si vuole che tutto ciò rimanga a livello di semplici enunciati di facciata privi di una loro reale sostanza. In ogni caso gli esponenti della direzione aziendale devono proteggere l'impresa dalle istanze antiaziendali, da qualunque parte esse provengano - proprietari, sindacalisti, uomini politici, ecc. - intendendo per richieste antiaziendali quelle lesive della vitalità aziendale e tale quindi da nuocere allo sviluppo duraturo dell'impresa e alla sua sopravvivenza.

In conclusione, a noi sembra che la strada da intraprendere sia quella di "un idea di sviluppo dell'impresa da perseguire con continuità su lunghi archi temporali, perché solo nel lungo periodo diventa possibile coniugare sinergicamente esigenze che nel breve appaiono contrastanti".[24]


1.3. La responsabilità sociale: i presupposti

In passato si riteneva che funzioni economiche e sociali coincidessero e che queste ultime fossero immancabilmente legate alle prime: ossia tanto migliore era il risultato reddituale, tanto più si assolveva anche alla funzione sociale. Ciò era dovuto al fatto che ci trovavamo in un periodo in cui la domanda di beni superava l'offerta e la più alta aspirazione degli individui era la sicurezza del posto di lavoro. Col passar del tempo e con il miglioramento del tenore di vita, le persone hanno sempre più avvertito l'esigenza di dover soddisfare bisogni di livello più elevato, bisogni che l'attività economica d'impresa non era più in grado di soddisfare e che anzi in molti casi tendeva a reprimere; ciò ha fatto progressivamente emergere la convinzione che risultato economico e sociale non andavano di pari passo, ma che il primo poteva essere realizzato anche a discapito del secondo, ossia contro interessi di singoli, gruppi o addirittura dell'intera società. E' dunque possibile condividere l'opinione di chi sostiene che "l'impresa non è soltanto un organismo a dimensione economica, ma anche sociale e politica; è cioè un organismo tridimensionale. Studiarne soltanto l'aspetto economico è un'analisi parziale che non coglie esattamente la realtà oggettiva".

A scanso di qualsiasi fraintendimento, va però sottolineato che scopo primario dell'impresa rimane quello di creare ricchezza:[28] se infatti essa non è in grado di assolvere a tale fondamentale compito, allora l'impresa stessa non avrà ragione di esistere. Si capisce dunque che la produzione di ricchezza, funzione tipica dell'impresa, rappresenta la condizione imprescindibile per il raggiungimento di qualsiasi finalità; "non c'è fine, per quanto giusto, buono e bello, che l'impresa possa perseguire se non riesce a coniugarlo con la creazione di nuova ricchezza".

Fatta questa debita premessa, va anche chiarito che la produzione non può comportare il costante sacrificio di interessi, condizioni di vita e diritti di chi opera all'interno o all'esterno dell'impresa e intrattiene con questa rapporti di vario tipo. Così affinché la produzione si riveli utile da un punto di vista sia economico che sociale, essa deve soddisfare due condizioni:

Realizzazione di un sovrappiù, che si ottiene allorquando il valore dei beni e servizi prodotti è maggiore rispetto a quello delle risorse utilizzate. Però affinché questo sovrappiù abbia una reale, e non solo potenziale, utilità è necessario che ci sia una domanda effettiva che tradurrà il valore d'uso dei beni e servizi in valore di scambio.[30]

Soddisfacimento degli interessi e aspettative di coloro che entrano a contatto con l'impresa, instaurando con questa rapporti di diversa natura.[31]

Attraverso il soddisfacimento della prima condizione, l'impresa assolve alla sua funzione economica; con il soddisfacimento della seconda assolve invece alla funzione sociale. In ogni caso le due funzioni non sono dissociabili: da entrambe dipende la sopravvivenza e la continuità dell'impresa. In definitiva "la funzione economica è il presupposto della funzione sociale, mentre quest'ultima è la garanzia della continuità della prima".

Possiamo concludere sposando appieno il pensiero del Vermiglio, secondo cui "per produrre in modo duraturo un sovrappiù è necessario che l'impresa riesca a soddisfare le aspettative di quanti sono interessati alla sua attività. Altrimenti si crea attorno ad essa un clima di indifferenza o addirittura di ostilità, che ne intralcia il normale funzionamento e ne compromette la possibilità di perdurare in condizioni di autosufficienza economica. Le due funzioni, dunque, sono complementari e strettamente interdipendenti; tuttavia non si identificano".[33]


Cosa si intende per responsabilità sociale ?


L'azienda, sulla base di quanto finora visto, non può essere considerata unicamente un insieme di fattori finalizzati all'ottenimento di risultati di natura economica, ma va anche vista alla luce del ruolo e del compito che svolge nella società. Ogni combinazione pertanto, oltre a una funzione economica, deve assolvere anche ad una funzione sociale che le deriva, appunto, dall'essere presente nel più ampio sistema sociale e che, logicamente, va posta in corretto equilibrio con la precedente. E' quindi dal tentativo di rispondere alle istanze e sollecitazioni provenienti dall'ambiente esterno, in compatibilità con le esigenze interne, che trae origine il carattere sociale dell'azienda o, per meglio dire, la sua responsabilità sociale nei vari modi in cui si manifesta.

Per capire meglio il concetto di responsabilità sociale è opportuno partire dal significato dei termini "responsabilità" e "sociale".

Il termine responsabilità indica la "congruenza a un impegno assunto o ad un comportamento, in quanto importa e sottintende l'accettazione di ogni conseguenza, specialmente dal punto di vista della sanzione morale e giuridica".[34] La responsabilità si presenta dunque, prima ancora che come categoria del diritto, come categoria etica e morale saldamente legata alla persona umana.

Ovviamente bisogna sempre tener presente che la violazione di una norma scritta comporta delle responsabilità facilmente individuabili, mentre altrettanto non può dirsi nel caso della responsabilità sociale dove mancano norme probatorie.[35]

Per quanto attiene al termine sociale è possibile distinguere fra due differenti accezioni: una più ristretta (ed allora si adopera il termine "sociale") che viene adottata allorquando ci si riferisce alle classi sociali operanti internamente all'impresa, cioè prestatori di lavoro e conferenti di capitale; ed una più ampia (ed allora si utilizza il termine "societale") che viene adottata con riferimento all'intera società.[36] Volendo quindi definire cos'è la responsabilità sociale, potremmo dire che si tratta del dovere dell'impresa di rispondere del proprio operato nei confronti della società.

Tuttavia al termine responsabilità sociale è attribuita una pluralità di significati, dato che la sua definizione muta a seconda del momento storico e del contesto ambientale in cui l'impresa opera;[37] quindi nel corso del tempo si sono susseguite diverse configurazioni della socialità:

a)  Anni '70: vincolo imposto all'impresa dallo Stato per realizzare le politiche macroeconomiche di quest'ultimo;

b)  Anni '80: vincolo assunto contemporaneamente dallo Stato e dall'impresa, vista la coscienza del legame tra sistema economico e sistema sociale;

c)  Anni '90: obiettivo perseguito dall'impresa per ottenere la legittimazione dei portatori di interesse.

Da condizione di vincolo all'operare, la responsabilità sociale diviene modo di essere dell'azione imprenditoriale, azione da condursi secondo condizioni di efficacia e di efficienza di lungo.

Comunque, è opportuno sottolineare che il problema della responsabilità sociale d'impresa non consiste nel riparare i danni in qualche modo cagionati alla società, o nel riparare quei danni che giovano ai propri interessi o ancora nell'implementare azioni filantropiche, e così via; quanto, piuttosto, nel porsi il problema delle interrelazioni esistenti tra i propri scopi, le proprie strutture e la propria organizzazione e gli scopi, le strutture e l'organizzazione degli altri soggetti del sistema sociale considerato nella sua globalità.

Occorre inoltre distinguere il contenuto della responsabilità sociale dagli strumenti che garantiscono la moralità del comportamento, come la regolazione giuridica esterna, l'autoregolamentazione o la creazione di una cultura etica d'impresa.[38] Detti strumenti costituiscono il sistema etico di riferimento ed in base a quest'ultimo si giudica il contenuto della responsabilità sociale.

In merito all'efficacia degli strumenti citati, il migliore è la cultura d'impresa; tuttavia essa richiede un notevole dispendio di tempo, perciò è preferibile impiegare strumenti di immediato effetto (leggi, accordi privatistici a livello di associazioni di categoria, ecc.), che sono meno efficaci, ma stimolano l'interiorizzazione di valori umanistico-ambientali.   

Le responsabilità di ordine sociale possono essere viste sotto un duplice aspetto, soggettivo ed oggettivo.

Dal punto di vista soggettivo è possibile individuare due aree fondamentali:

L'area di responsabilità interna, "che riflette prevalentemente le responsabilità della gestione rispetto all'occupazione ed al welfare dei dipendenti";

L'area di responsabilità esterna che accentra le responsabilità verso gruppi esterni. Tali soggetti possono essere ulteriormente suddivisi in soggetti che hanno rapporti diretti con l'impresa in questione ed altri che, pur subendo gli effetti del suo operato, non entrano con essa in rapporto diretto.

Dal punto di vista oggettivo andrà opportunamente distinto tra:[40]

aree di responsabilità inderogabili, in quanto legate a precisi disposti legislativi;

aree derogabili, di libera attribuzione aziendale.

In ogni caso, dato che l'attività dell'impresa è unica ed unitaria, anche la sua responsabilità deve esserla; così si introduce il concetto di responsabilità globale dell'impresa: l'impresa ottiene il consenso e la legittimazione nei confronti del suo operato da parte dei suoi interlocutori in funzione dei risultati sia economici sia sociali.

Le relazioni esistenti tra consenso sociale e qualità dell'economicità inducono a ricercare soluzioni "culturali" innovative, che coniughino il lato competitivo con quello sociale. Lo sviluppo di una cultura etica influenza l'amministrazione, la valutazione delle performance, la comunicazione ai portatori di interessi. Matacena osserva giustamente che "se le imprese non si assumono responsabilità sociali coerenti con l'intensità e l'estensione dei rapporti di interscambio esistenti con l'ambiente, le imprese stesse potrebbero essere costrette in spazi tanto angusti da risultare non vitali. Ne consegue che al crescere del potere economico dell'impresa deve crescere il livello degli obiettivi sociali che essa persegue".

Data l'assunzione di responsabilità sociale da parte dell'impresa, questa dovrà informare i terzi oltre che del raggiungimento dell'obiettivo economico, salvaguardando così la propria immagine di efficace trasformatore economico, anche del perseguimento del suo equilibrio sociale, così "da utilizzare l'informazione come strumento di tutela e mantenimento di un corretto clima sociale e societale, cioè di uno stato di conflittualità controllata che non metta a repentaglio la sua legittimazione e quindi la sua sopravvivenza".[41]

L'analisi del sistema informativo aziendale orientato alla socialità, sarà proprio oggetto di approfondimento nei successivi capitoli.


I soggetti verso cui si manifesta la responsabilità sociale


Finora il nostro excursus sulla dimensione sociale dell'impresa è stato condotto facendo genericamente riferimento al complesso dei soggetti in qualunque veste interessati o coinvolti nell'attività dell'impresa. Tuttavia affinché l'impresa possa rispondere in modo coerente ed unitario alle istanze avanzate dai diversi pubblici, è necessaria un'esatta individuazione di tali soggetti. In particolare una accurata mappatura e definizione dei cosiddetti stakeholder, rappresenta già un notevole contributo per il management di una qualsiasi organizzazione.

Il termine stakeholder (è evidente l'analogia con i termini "stockholder" e "shareholder", che indicano l'azionista) proviene da un documento datato 1963 dello Stanford Research Institute (USA) e definisce quei gruppi senza il cui supporto un'organizzazione cessa di esistere. Etimologicamente la parola stakeholder è composta da "stake" [42], che significa "interesse in un'impresa", e da "holder", che significa "possessore, detentore"; di conseguenza, "stakeholder" indica i portatori di interessi nell'impresa, ossia quei soggetti, singoli individui o gruppi, che possiedono un interesse legittimo, sia esso cooperativo o competitivo, nei confronti dell'attività dell'azienda, e che non dev'essere necessariamente di tipo economico.

In sostanza, gli stakeholder sono i destinatari diretti ed indiretti dell'agire complessivo dell'impresa, che risentono degli effetti del suo comportamento nel soddisfacimento dei loro bisogni e nel raggiungimento dei loro obiettivi.[44]

Ogni organizzazione, a seconda della propria natura, presenta dunque una pluralità di portatori di interessi, divisibili in:

politici (legislatori nazionali ed internazionali);

pubblico interno (management, dipendenti, azionisti);

mercato (concorrenti, clienti, fornitori, organizzazioni dei consumatori);

soggetti pubblici e privati (popolazione locale, pubblica amministrazione, organizzazioni ambientalistiche, associazioni dei lavoratori, ANP, mass-media, istituzioni scientifiche);

soggetti finanziari (investitori, obbligazionisti, assicurazioni, banche).

È possibile, inoltre, distinguere gli stakeholder in funzione della loro importanza in:[45]

a)  stakeholder primari, ossia quelli senza la cui partecipazione continuativa alla gestione l'impresa non può sopravvivere: clienti, portatori di capitale, prestatori di lavoro, investitori e fornitori;

b)  stakeholder secondari, ossia quelli che influenzano l'impresa o da essa sono influenzati, ma non sono coinvolti in transazioni con l'organizzazione e non ne pregiudicano la sopravvivenza.

E' possibile rappresentare le relazioni fra impresa e stakeholder nel modo seguente:[46]














L'individuazione degli stakeholder risulta il più delle volte abbastanza facile, in quanto si tratta di attori chiave dell'attività imprenditoriale (dipendenti, azionisti, clienti), e pertanto già individuati da funzioni specifiche interne all'azienda (per esempio, i clienti dal marketing, i dipendenti dalla gestione delle risorse umane, ecc.), mentre altre volte l'identificazione e la definizione degli stakeholder richiede un'indagine approfondita che tenga conto della realtà di riferimento. Questo è spesso il caso di alcuni attori sociali, come i competitor, le autorità o le associazioni consumeriste.

L'impresa assumendosi una responsabilità sociale deve quindi procedere preliminarmente all'identificazione dettagliata dei suoi stakeholder, al fine di poter attuare un contemperamento dei loro diversi interessi legittimi, così da risolvere o quanto meno attenuare il carattere conflittuale che contraddistingue le differenti istanze avanzate dagli interlocutori sociali.[48]

A tal fine, di fronte a interessi conflittuali fra loro, è opportuno adottare una logica relazionale e un metodo di tipo negoziale e contrattualistico, che assegnando dei "pesi relativi" alle istanze avanzate dai vari stakeholder, consente un loro bilanciamento nella conduzione dell'impresa.

Mitchell, Agle e Wood hanno evidenziato 3 fattori determinanti per stabilire il peso relativo delle richieste avanzate dagli stakeholder verso l'impresa:

La legittimità delle richieste;

Il potere, ovvero la capacità degli stakeholder, di influenzare le scelte dell'impresa;

L'urgenza delle richieste.


Dalla qualità totale alla qualità sociale ( Stakeholder value ) [50]


Gli anni 80 e gli inizi degli anni 90 sono stati caratterizzati a livello imprenditoriale dalla cosiddetta qualità totale, che ha dato un forte impulso alla competitività delle aziende. In questo contesto i clienti hanno potuto fruire di prodotti a prezzi sempre inferiori e a una maggiore qualità;

Le imprese per poter valutare correttamente la loro redditività, hanno fatto uso di diversi indici, fra cui il ROI (Return On Investment) , il ROE (Return On Equity), l'EPS (Earning Per Share), l'EVA (Economic Value Added) e il CVA (Cash Value Added). Tutti questi indicatori consentono però di apprezzare solo un livello, benché importante, di creazione del valore, cioè la ricchezza prodotta a favore degli azionisti, trascurando tre ulteriori livelli di valore creato e cioé: la ricchezza generata a vantaggio di tutti gli stakeholder d'impresa; il valore sociale, ambientale e tecnologico generato per gli stakeholder; lo sviluppo delle competenze, del capitale intellettuale, dell'immagine e della reputazione dell'impresa. "Il valore complessivo dell'impresa si può dunque immaginare

come corrispondente alla somma di tutti e quattro i suddetti livelli ( la piramide della figura 1.6 ) e pertanto non è altro che il saldo netto di tutti gli scambi che l'impresa intrattiene con tutti i suoi stakeholder".[52]







Risorse immateriali

 



Figura 1.6 [53]


IV LIVELLO

Sviluppo delle competenze e del capitale intellettuale, dell'immagine e della reputazione

 
III LIVELLO

Valore sociale, ambientale e   tecnologico generato per gli stakeholder

  II LIVELLO

Ricchezza generata a vantaggio di tutti gli stakeholder d'impresa

 

Risorse economiche e materiali

  I LIVELLO

Profitto e capital gain: remunerazione degli azionisti

 
















Il compito del management nella definizione della strategia d'impresa è dunque quello di dare risposta a due fondamentali questioni:

In che misura investire su questi quattro livelli;

Come ripartire tra i vari interlocutori i benefici derivanti dalla creazione di valore.

Mentre dunque il ROI, ROE, ecc. consentono di apprezzare solo il primo livello di creazione del valore, per esaminare quantitativamente e qualitativamente lo scambio che intercorre tra stakeholder e impresa, e poter dunque meglio valutare i successivi livelli, è opportuno implementare un sistema di contabilità sociale che verrà quindi usato per finalità gestionali ancor prima che per comunicare con i vari stakeholder. Un sistema che risulterà incentrato in particolar modo su uno strumento dalle enormi potenzialità, purtroppo ancora largamente inespresse: il bilancio sociale.





Egli definisce la teoria generale dei sistemi come ". un sistema ipotetico-deduttivo di quei principi che derivano dal concetto di sistema e dall'introduzione di determinate condizioni dinamiche".

In particolare è possibile distinguere, in base al numero delle relazioni che costituiscono il sistema, tre gradi di complessità degli stessi:

a)sistemi semplici, composti da pochi elementi legati da poche relazioni;

b)sistemi complessi, molto elaborati e interconnessi, ma comunque facilmente descrivibili in modo completo;

c)sistemi ultracomplessi, talmente complicati da non poter essere descritti in modo dettagliato e preciso.

Vermiglio, Il bilancio sociale nel quadro evolutivo del sistema d'impresa, pp.54-55

Secondo Johnson, Kast e Rosenzweig,, il concetto base della teoria dei sistemi è che "ogni organismo vivente non è un conglomerato di elementi separati , ma un sistema definito, organizzato, intero ed aperto; nel senso cioè che mantiene la sua struttura mentre la materia e l'energia che lo compongono variano continuamente. Esso è influenzato dal proprio ambiente che a sua volta influenza, raggiungendo così uno stato di equilibrio dinamico permanente".

Il controllo omeostatico rappresenta una sorta di autocontrollo verso un equilibrio dinamico.

Vermiglio, Il bilancio sociale nel quadro evolutivo del sistema d'impresa, p.56

Bertini, Il sistema d'azienda, p.33

Secondo Vermiglio, "L'entropia indica il processo di disgregazione che conduce a una progressiva perdita di ordine e di differenziazione interna.Essa caratterizza i sistemi chiusi"

Matacena, Impresa ed ambiente, p.23

Vermiglio, Il bilancio sociale nel quadro evolutivo del sistema d'impresa, p.61

Matacena, Impresa ed ambiente, p.24

Giustamente McCoy sostiene che bisogna distinguere il concetto di etica con quello di moralità; etica significa credere in un determinato sistema di valori, la moralità indica invece la scala di priorità secondo cui tali valori vengono perseguiti. Cioè la moralità di un gruppo di individui definisce il quantum, ossia il peso attribuito ai singoli valori rispetto agli altri complementari che compongono nel loro insieme l'etica del gruppo medesimo.

Per esempio delle retribuzioni percepite dai lavoratori dell'impresa fruiscono indirettamente anche quelle famiglie che con l'impresa non hanno alcun legame, poiché parte di tali retribuzioni verranno spese internamente alla comunità locale generando così una domanda di beni e servizi che sosterrà lo sviluppo di altre famiglie e imprese e quindi dell'intera comunità.

Coda, Etica ed impresa: il valore dello sviluppo, in Rivista dei Dottori Commercialisti, 1989, p.790

Il premio Nobel Milton Friedman ha con durezza affermato che: ".quando si declama che l'attività economica non riguarda meramente l'ottenimento di un profitto, bensì anche la promozione di fini sociali, e quando si afferma che l'impresa ha una sua coscienza sociale e deve dunque assumersi la responsabilità di fornire occupazione, evitare l'inquinamento ambientale,.in realtà si sta predicando del puro ed autentico socialismo. Coloro che si esprimono in tal senso non sono altro che marionette inconsapevoli nelle mani delle forze intellettuali che minano le basi di una libera società. Le discussioni sul tema della responsabilità sociale sono infatti degne di nota solo per la loro superficialità analitica e la loro mancanza di rigore." (Di Toro, L'etica nella gestione d'impresa, p.188).

Coda, Etica ed impresa: il valore dello sviluppo, p.792

Ivi, p.794

Ivi, p.791

Di Toro, L'etica nella gestione d'impresa, p.95

Coda, Etica ed impresa: il valore dello sviluppo, p.795

Di Toro, L'etica nella gestione d'impresa, p.145

Di tutt'altro avviso è Friedman , secondo cui bisogna impedire al manager di sostituirsi al processo politico.Egli infatti afferma che: "L'amministratore è un dipendente dei proprietari dell'impresa e nei loro confronti ha quindi una diretta responsabilità, . conseguire quanti più proventi possibili. Naturalmente un amministratore è anche una persona, che in quanto tale può avere altre responsabilità verso la sua famiglia, la sua coscienza, il suo paese. A motivo di tali ulteriori responsabilità egli potrà sentirsi spinto a spendere parte delle sue entrate per cause ritenute meritevoli, od a lavorare per certe organizzazioni,.Ma in tali casi egli sta usando i suoi soldi, il suo tempo, le sue energie.". (Ivi, p.200)

Estremamente interessante è il pensiero di Peters e Waterman che così si esprimono: "Fornendo ai suoi dipendenti una motivazione morale oltre a quella più strettamente economica, le imprese di successo affidano loro una missione, li fanno sentire grandi. Ogni individuo è un potenziale pioniere, uno sperimentatore, un leader. L'istituzione gli dà qualcosa in cui credere, lo coinvolge, lo fa sentire parte di un'élite,.Così facendo, essa trae il meglio da ognuno".

Coda, Etica ed impresa: il valore dello sviluppo, p.799

Secondo Maslow il bisogno è la sensazione di mancanza di una condizione rilevante per la vita delle persone, le quali dunque saranno portate ad adottare comportamenti in grado di soddisfare determinati bisogni.

Vermiglio, Il cantiere aperto del bilancio sociale, www.bilanciosociale.it

Catturi, Lezioni di economia aziendale, p.565

La ricchezza può essere misurata non solo monetariamente, come differenza tra costi e ricavi, ma anche in senso più ampio come capacità di realizzare beni e servizi che siano in grado di rimuovere cause di disagio, migliorare la qualità della vita, ecc.(Vermiglio, il cantiere aperto del bilancio sociale, www.bilanciosociale.it)

Vermiglio, Il cantiere aperto del bilancio sociale, www.bilanciosociale.it

Bisogna infatti considerare che se un prodotto-bene non trova riscontro in una domanda effettiva, non si proporrà per lo scambio e verrà quindi accantonato; onde per cui il flusso di ricchezza che il bene incorpora è potenziale e non effettivo, cioè manca una reale concretizzazione monetaria (si è fatto riferimento al prodotto-bene e non al prodotto-servizio, perché quest'ultimo essendo intangibile non può essere immagazzinato).

Vermiglio, Il bilancio sociale nel quadro evolutivo del sistema d'impresa, p.68

Ivi, p.69

Ivi

Devoto - Oli, Dizionario della lingua italiana, Volume II M.-Z.

Vermiglio, Il bilancio sociale nel quadro evolutivo del sistema d'impresa, p.101

Ivi

Il ciclo di vita del problema sociale (Matacena, 1984) esprime il graduale riconoscimento delle implicazioni sociali e quindi della responsabilità sociale. Tale ciclo vitale assume graficamente la tipica forma della "curva ad S" e rappresenta le fasi del processo di assunzione del problema sociale (dall'accettazione limitata delle imprese con maggiore sensibilità sociale all'accettazione generalizzata dell'intera comunità imprenditoriale), in funzione di due dimensioni:

grado di percezione del problema sociale da parte della collettività;

assunzione della responsabilità sociale da parte delle imprese con le conseguenti risposte comportamentali.

La cultura etica d'impresa può "esser vista come quell'insieme di particolari modalità di dedicarsi a certi valori, quindi come quel precipuo modo di vivere ed interpretare la dimensione etica dell'unità economica" (Di Toro, p.284)

Gabrovec Mei, Le relazioni extra-contabili per le decisioni, p.76

Ivi, p.77

Matacena, Impresa ed ambiente, p.48

Letteralmente "posta", "scommessa".

In verità anche i "gruppi ostili" devono essere considerati come aventi uno stake nell'impresa, dal momento che sono in grado di influire sul conseguimento dei suoi obiettivi.

E' opportuno in questo contesto richiamare la cosiddetta teoria degli stakeholder, di cui si conoscono due versioni che concordano nell'attribuire all'impresa il potere di aumentare la divulgazione di informazioni in modo da rafforzare la legittimazione e il consenso sociale nell'opinione pubblica:

L'interrelazione esistente tra impresa e stakeholder induce l'impresa stessa ad assumersi la responsabilità e il dovere di diffondere informazioni sullo svolgimento delle sue attività. La contabilità sociale serve per colmare il differenziale tra l'assunzione di una maggiore responsabilità dell'impresa e le informazioni diffuse.

L'impresa identifica gli stakeholder a seconda dell'importanza attribuita alle interrelazioni con determinati attori esterni. L'informativa esterna serve in questo caso per gestire le relazioni con gli stakeholder in modo da ottenere il loro supporto e la loro approvazione.

Chiesi, Martinelli, Pellegatta, Il bilancio sociale. Stakeholder e responsabilità sociale d'impresa, p.21

Ivi

Ivi, pp.133-134

Per esempio, a fronte di un elevato potere contrattuale del sindacato faranno seguito intense pressioni dei lavoratori nei confronti del management d'impresa al fine di ottenere miglioramenti retributivi e nelle condizioni di lavoro; stante queste condizioni, i lavoratori avranno buone probabilità di veder accolte una parte cospicua delle loro istanze. Se però la forza del sindacato dovesse successivamente scemare (ad esempio a causa di una crisi occupazionale) e contemporaneamente dovessero farsi più pressanti le richieste degli altri gruppi sociali, le istanze dei lavoratori avrebbero meno probabilità di essere accolte e verrebbero più o meno sacrificate a vantaggio di altri interessi.

Chiesi, Martinelli, Pellegatta, Il bilancio sociale. Stakeholder e responsabilità sociale d'impresa, p.22

Ivi, pp.135-137

L'EVA e il CVA consentono di valutare oltre alla redditività anche la sostenibilità dello sviluppo, che si basa sui flussi di cassa equilibrati e sulla solidità patrimoniale.

E' importante notare (in figura) come partendo dagli scambi di risorse materiali, che sono più facilmente misurabili, si arriva agli scambi di risorse immateriali che invece risultano di più difficile quantificazione.

Chiesi, Martinelli, Pellegatta, Il bilancio sociale: stakeholder e responsabilità sociale d'impresa, p. 137




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