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La nascita del Giappone moderno
La società giapponese si reggeva su una rigida struttura feudale a capo della quale dal XII secolo si trovava
un governatore militare (Shogun) al quale l'imperatore aveva dovuto cedere il comando. Dal 1603 al 1868 lo
shogunato fu reso ereditario dalla potente famiglia Tokugawa, alla quale apparteneva un quarto del Paese,
mentre il resto era diviso in Daimyo (signori feudali), Samurai (militari), commercianti, artigiani e agricoltori.
Il sistema sociale era molto rigido e immobile, infatti i contatti con l'estero erano proibiti fin dal 1637
(sistema del sakoku o Paese chiuso). Non era possibile immigrare o emigrare e i contatti commerciali con
l'Europa erano limitati a pochi mercanti cinesi o olandesi a Nagasaki. In questo modo la società diventava
sempre più immobile e le professioni erano tramandate rigorosamente da padre in figli 454j92e o.
I Daimyo e i Samurai si erano abituati ad un notevole tenore di vita, ma l'immobilità economica alla quale
avevano costretto il Paese aveva fatto in modo che le loro entrate non si incrementassero e quindi si
dovettero indebitare con i commercianti di riso e gli usurai delle grandi città. Contemporaneamente, nelle
campagne, alcuni contadini erano riusciti ad arricchirsi aggirando la legge, mentre in città artigiani e
commercianti si erano associati e accordati per fondare banche con cui accordare prestiti a Daimyo e
Samurai. In questo modo la basi della società feudale furono lentamente erose, fenomeno al quale
contribuirono anche nuove correnti di pensiero come quella che affermava la necessità dell'imperatore di
riacquistare il potere politico e quella che propugnava una maggiore apertura ai mercati e alla cultura
europee.
Lo Shogun cercò di resistere con repressioni e condanne poliziesche alla diffusione di queste nuove idee, ed
effettivamente ci riuscì fino a quando poté controllare i feudatari e i rapporti con le potenze estere, ma
intorno al 1850 il clima di insoddisfazione che regnava in ogni classe sociale (dai Daimyo ai contadini) e la
pressione che esercitavano le potenze occidentali (gli Stati Uniti vedevano il Giappone come un importante
punto di transito nella traversata pacifica) costrinsero il Giappone ad aprirsi ai commerci esteri. In realtà lo
Shogun e i Daimyo erano contrari ad accogliere la richiesta che avevano formulato gli Stati Uniti, in quanto
ritenevano che l'importazione di derrate alimentari e materie prime a basso costo avrebbe avuto pesanti
conseguenze sull'economia giapponese, ma non erano in grado di opporsi e furono costretti ad accettare.
Ben presto oltre agli Stati Uniti anche le potenze europee stipularono trattati ineguali con il Giappone, che
dovette uscire a forza dal suo secolare isolamento.
Il governo giapponese, consapevole della propria inferiorità, non si oppose agli stranieri, ma tentò di
imprimere una svolta alla sua politica, ispirandosi alle tecniche occidentali. Ma i Daimyo e i Samurai erano
avversi agli occidentali in quanto si ritenevano umiliati, e anche i contadini risentivano della crisi causata
dall'aumento dei prezzi e della svalutazione e fuoriuscita dell'oro (che avendo un rapporto con l'argento di 8
a 1 era oggetto di grandissime speculazioni da parte degli occidentali). La maggior parte della popolazione
quindi odiava gli stranieri e voleva espellerli. L'imperatore stesso ordinò allo Shogun di cacciarli, ma egli era
consapevole di non poterlo fare e fu accusato di codardia e tradimento. Le potenze occidentali allora
intervennero con la forza perché sapevano che lo Shogun non poteva più garantire il rispetto dei trattati.
L'imperatore si rese conto di non poter resistere e revocò il decreto di espulsione, ed essendo stato
riconosciuto come capo legittimo del Paese dalle potenze occidentali il partito ad esso favorevole riuscì ad
abbattere lo Shogun e a riportare al comando l'imperatore della dinastia Meiji.
La nuova dinastia era consapevole del fatto che era necessario salvare il Giappone dal disfacimento interno
abbattendo le vecchie strutture feudali e ridurre il rischio delle minacce straniere apprendendo il segreto del
loro successo; per far questo divenne ferventi sostenitori di una politica di apertura verso l'occidente.
L'abolizione delle strutture feudali permise di affrontare i problemi economico-finanziari: i tributi in natura
furono sostituiti da tributi in denaro, mentre il governo aveva concesso ai grandi proprietari terrieri la
proprietà delle terre. Tuttavia la maggior parte dei fittavoli non ebbe diritti di proprietà e continuò a versare
pesanti canoni ai nuovi proprietari, subendo uno sfruttamento ancora maggiore perché l'imposta era fissa
indipendentemente dall'andamento annuale dei raccolti. In questo modo scoppiarono numerose rivolte nelle
campagne. Ma l'imposta agraria era fondamentale nell'economia giapponese (costituiva il 78% delle entrate)
e fu mantenuta.
Il Giappone cerò di ottenere la revisione dei trattati con le potenze europee, ma per far questo era
necessario procedere ad una occidentalizzazione ancora più radicale di quella precendente. Fu introdotto il
servizio militare obbligatorio e l'istruzione obbligatoria, primaria e secondaria. Inoltre fu creata una moderna
rete di vie di comunicazione (poste, telegrafi, telefoni, ferrovie), sotto il controllo statale. Lo Stato mantenne
il controllo anche di altre industrie di importanza strategica per l'indipendenza come i cantieri navali e le
fabbriche di armi.
L'intervento statale nell'economia fu favorito anche dal fatto che in questo modo si sarebbero creati posti di
lavoro per i contadini eccedenti, che avrebbero prodotto manufatti in grado di rivaleggiare per costo con
quelli occidentali che ormai avevano invaso il mercato e che stavano rovinando le industrie di tipo artigianale
dalle quali dipendevano le entrate in denaro dei contadini che erano pesantemente tassati.
Ma il motivo principale per cui il governo ebbe un ruolo diretto nell'economia fu il fatto che non c'era
abbastanza capitale giapponese privato da investire. Allora il governo favorì l'afflusso di tecnici stranieri e i
viaggi di studio all'estero, furono aperti istituti professionali, acquistati prodotti e macchinari stranieri che
servissero da modello e il governo si impegnò direttamente nel commercio estero per finanziare le sue
importazioni; aprì infine fabbriche tessili, meccaniche, edili e militari.
L'unico modo che il governo aveva per finanziarsi (escludendo i prestiti stranieri) era quello di emettere
cartamoneta, ma questo provvedimento condusse inevitabilmente ad una crescita dell'inflazione. Allora nel
1881 si diede il via ad una politica deflazionistica che comportò imposte sui generi di largo consumo,
economie nella spesa pubblica e la vendita di un gran numero delle industrie statali a imprenditori di fiducia
in modo da riequilibrare le perdite di gestione. Si creò in questo modo uno stretto nesso tra il governo e i
grandi cartelli finanziari e industriali (zaibatsu).
Se da una parte il bilancio fu riequilibrato, dall'altra non si verificò lo sviluppo industriale tanto sperato, in
quanto l'attività prevalente era ancora agricola che non garantiva redditi sufficienti per la creazione di un
mercato interno. L'industria giapponese quindi si rivolse verso il mercato estero, con gravi conseguenze
politiche in termini di imperialismo.
La facile vittoria nella guerra con la Cina del 1894-95 ebbe conseguenze molto favorevoli per il Giappone,
che conquistò Formosa, eliminò l'influenza cinese in Corea, ottenne una forte indennità di guerra, la
possibilità di commerciare e impiantare fabbriche in Cina e di navigare sul Fiume Giallo.
Contemporaneamente il Giappone ottenne anche l'abolizione dei trattati ineguali.
Tuttavia l'industria giapponese non era ancora in grado di sostenere il peso di un conflitto di vaste
proporzioni. Furono allora istituite due banche specializzate (la Banca Ipotecaria e la Banca Industriale) per
incanalare gli investimenti nella direzione voluta. Lo sviluppo industriale fu infatti notevole, tanto che nel
1902 il Giappone fu nelle condizioni di allearsi con l'Inghilterra, aumentando la propria influenza negli affari
internazionali. La vittoria contro la Russia nel 1904-05 consacrò il Giappone come la grande potenza
dell'Estremo Oriente.
La situazione economico-industriale del Paese non era priva di disuguaglianze, ma nonostante questo la
fisionomia del suo commercio estero divenne simile a quella di un Paese industrializzato: ora esportava
manufatti e importava materie prime, al contrario di quanto accadeva in precedenza. Il punto debole del
Giappone era la mancanza di mercati, cosa che lo portò ad una politica espansionistica verso i mercati
asiatici. La grande occasione fu la Prima Guerra Mondiale quando il ritiro delle nazioni impiegate nel conflitto
permise alle sue industrie di sostituirsi ad esse e di impossessarsi di vasti mercati.
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