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ECONOMIE DI COSTO E DIMENSIONE D'IMPRESA - Economie di scala

economia



ECONOMIE DI COSTO E DIMENSIONE D'IMPRESA


Perché imprese appartenenti allo stesso settore di attività, impegnate nelle stesse produzioni, operano a livelli di efficienza economica, cioè a livelli di costi unitari, anche notevolmente diversi?

La risposta non è semplice, poiché le variabili in grado di spiegare questo fenomeno sono molteplici. Qui si tenterà di ricondurre la spiegazione a due importanti paradigmi teorici:

  1. le economie di scala;
  2. le economie di scopo.

Economie di 434c25e scala



Le economie di scala rappresentano la spiegazione tradizionale dei divari di efficienza economica tra le imprese e delle motivazioni che stanno alla base della loro crescita dimensionale. Esse operano a tre livelli:

il livello delle economie di volume produttivo;

il livello delle economie di scala (in senso stretto);

il livello delle economie di apprendimento.


Economie di 434c25e volume

Data una certa capacità produttiva, divari di efficienza derivano dal 'riparto' dei costi fissi. E' noto infatti che:

CF

Q


costo medio unitario=costo variabile unitario +



Al crescere dei volumi produttivi il costo unitario tenderà a diminuire per effetto della saturazione del fattore produttivo fisso. Ciò vale per qualsiasi tipo di costo fisso, dal costo del personale indiretto, alle spese di pubblicità, agli oneri finanziari, alle spese generali, ecc.

Il fenomeno del riparto dei costi fissi è alla base dell'analisi costi-volumi-risultati.

Le economie di volume sono rappresentate dal grafico che segue:
















Economie di 434c25e scala in senso stretto.

Ad un secondo livello, divari di efficienza sono originati dai rendimenti più che proporzionali che alcuni fattori produttivi hanno al crescere della loro dimensione unitaria.

La riduzione dei costi medi unitari può operare a livello di 'impianto' o al livello 'organizzativo'.


I fattori determinanti le economie di scala a livello di impianto


  1. le variazioni area-volume (cd. principio del container); rendimenti crescenti di scala si hanno quando i costi di costruzione di impianti di maggiori dimensioni crescono meno che proporzionalmente alla capacità produttiva (ad esempio, un locale adibito a magazzino); è anche il caso delle capacità di trasporto, che crescono più che proporzionalmente ai costi dei mezzi impiegati.
  2. la legge dei grandi numeri; al crescere delle dimensioni d'impresa, alcuni fenomeni aleatori - che concorrono a determinare le complessive condizioni di rischio operativo ed economico aziendale - per effetto della ripetizione delle attività da cui traggono origine, oppure per gli effetti di compensazione che si producono quando sono aggregati ad altri fenomeni aleatori ad essi correlati negativamente, vengono a perdere parte della variabilità intrinseca per assumere modalità più stabili e prevedibili. E' il caso dei rischi di blocco del sistema produttivo, o di improvvise punte di domanda, o di blocchi o ritardi negli approvvigionamenti: le scorte necessarie a far fronte a questi rischi (le scorte di sicurezza) crescono in misura meno che proporzionale al crescere della dimensione dei cicli produttivi, il che si traduce in minori costi di immobilizzo finanziario; inoltre, quando la variabilità si manifesta produce effetti meno dirompenti. Ciò vale non solo per le scorte di input correnti o di output, ma, in generale, per tutte le cd. "slack" (riserve) organizzative, da quelle di macchine a quelle di personale.
  3. l'imperfetta divisibilità di alcuni fattori della produzione, quali il lavoro e le macchine; in tal caso, le economie di scala traggono origine da due diverse circostanze:

il problema del bilanciamento della produzione; si tenga infatti presente che nel caso di un sistema produttivo costituito da diversi tipi di macchine (o di lavoratori) aventi diverse capacità produttive, il pieno sfruttamento di tutte le macchine installate, che è la condizione per produrre al costo medio minimo, si realizza con una scala produttiva pari al minimo comune multiplo delle capacità delle singole macchine. Negli impianti di dimensione minore, a causa dei "colli di bottiglia" (bottle-neck), qualche macchina rimarrà necessariamente sotto-utilizzata.

Il fenomeno delle discontinuità tecnologiche; l'aumento di dimensione permette anche di specializzare singole macchine per particolari produzioni, di spingere a gradi più elevati il processo di meccanizzazione delle lavorazioni, di impiegare macchine a più elevata produttività, che non potrebbero, in imprese di minore dimensione, essere adeguatamente sfruttate.

  1. La necessità di raggiungere la massa critica degli investimenti; il fenomeno delle indivisibilità non consente alle piccole imprese di ottimizzare la 'taglia' dei propri investimenti, sia di quelli in immobilizzazioni materiali che immateriali, non potendo esse contare su fabbisogni sufficienti per saturare economicamente i fattori produttivi di scala ottimale.
  2. La divisione del lavoro e il learning-by-doing; le imprese più grandi realizzano una più ampia divisione del lavoro e quindi una maggiore specializzazione di funzioni aziendali e di mansioni individuali. L'aumento del rendimento del lavoro è inoltre esaltato dagli effetti di 'apprendimento' che traggono origine dal cd. learning by doing. (cfr. il paragrafo successivo).
  3. Il recupero economico di sotto-prodotti; unità tecniche di maggiore dimensione consentono una più economica utilizzazione di sottoprodotti, scarti, sfridi, cascami, così come forme più efficienti di recupero di energia.

I fattori determinanti le economie di scala a livello organizzativo


  1. Le imprese maggiori possono adottare strutture organizzative più efficienti, realizzando estesamente il principio della specializzazione del lavoro, in tutte le attività e funzioni aziendali.
  2. Grazie alle più elevate remunerazioni offerte, esse dispongono di manager professionalmente più qualificati (first-rate manager), che permettono all'impresa di adottare le tecniche di gestione più sofisticate.
  3. Le imprese maggiori possono raggiungere più facilmente la massa critica richiesta dagli investimenti in R&S, in pubblicità, in marketing.
  4. Analogamente, esse possono dotarsi di propri sistemi di distribuzione (punti di vendita in proprietà) e di trasporto, ottenendo sensibili benefici in termini di contenimento dei costi e di controllo della supply chain.
  5. La grande impresa può inoltre esercitare un superiore potere contrattuale nei confronti di clienti e fornitori, beneficiando di migliori condizioni di acquisto e di vendita.
  6. Economie di approvvigionamento del tutto simili sono conseguibili sui mercati dei capitali. 

Sotto il profilo grafico le economie di scala sono rappresentate come segue:















La DOM (dimensione ottima minima) è quella dimensione d'impresa a cui corrispondono i minori costi di produzione unitari.

Essa è una condizione strutturale di un settore industriale, e incide fortemente sulla dimensione media delle imprese. E' infatti verificato che una DOM molto elevata (relativamente alle dimensioni della domanda) è correlata con elevati indici di concentrazione settoriale. Alcune posizioni di mercato apparentemente monopolistiche (es. Microsoft, Intel, Boeing, AT&T,..) potrebbero dunque essere spiegate in termini di DOM: sarebbero cioè il portato di estese economie di scala.


La tesi degli increasing returns

La tesi degli increasing returns è stata formulata con riferimento alla dinamica competitiva di settori con elevata DOM, forte presenza di costi fissi, sunk cost ed indivisibilità.

I settori con queste caratteristiche tendono ad assumere una struttura monopolistica. Se una DOM molto elevata rende efficiente la permanenza sul mercato di una sola impresa, come valutare la desiderabilità sociale di questo regime di 'monopolio naturale'? In altri termini, è accettabile un regime di assenza di concorrenza in nome di una superiore efficienza dell'impresa monopolista? E questa particolare forma di mercato, che effetti produrrà sui tassi di innovazione di prodotto (e in definitiva sui livelli di efficienza di lungo periodo)?

Fino ad oggi, la teoria degli increasing returns si è concentrata essenzialmente sull'identificazione dei meccanismi che portano alla selezione di un'impresa leader piuttosto che di un'altra. A tale proposito, possiamo ricordare le seguenti proprietà di un sistema competitivo a rendimenti crescenti.

  • Multiple equilibria: il mercato può selezionare diversi possibili equilibri, anche se a priori ugualmente probabili.
  • Nonpredictability: l'esito della selezione competitiva iniziale non è prevedibile, essendo il frutto di una selezione casuale.
  • Path-dependence: l'esito finale del confronto competitivo è il frutto delle condizioni iniziali e di una complessa sequenza di piccoli eventi casuali.
  • Potential inefficiency: l'equilibrio selezionato dal mercato può non essere quello 'migliore' ma semplicemente quello che 'casualmente' ha superato la fase iniziale in vantaggio sugli altri.
  • Lock-in effects: una volta che sul mercato un'impresa ha acquisito un vantaggio sui concorrenti, questo vantaggio tende a rinforzarsi, per effetto dei tipici vantaggi da prima mossa (accesso esclusivo alle fonti di approvvigionamento, effetti di apprendimento, controllo dei canali di distribuzione, accordi a livello di supply chain, costi di cambiamento per i clienti, comportamenti imitativi da parte dei late adopters, ecc.)

Sembrano essere queste le ragioni della leadership di mercato di imprese come Microsoft.


Economie di 434c25e apprendimento.

Le cd. economie di apprendimento (anche dette economie di esperienza) rendono conto delle variazioni che il livello dei costi unitari di produzione (o meglio, dei costi marginali di produzione) subisce nel corso del tempo, per effetto dell'accumulazione di un progresso non-incorporato, cioè di un progresso non conseguente ad una decisione di investimento tecnologico, ma ad un semplice miglioramento della produttività di un fattore (il lavoro) già operante nel processo.

Il principio di base è semplice: al fare di più corrisponde un fare meglio; la ripetizione dei compiti conduce ad un miglioramento della produttività del fattore lavoro, sia singolarmente preso che applicato alle macchine. La ripetizione dei processi accresce l'abilità dei gesti, favorisce una migliore percezione dell'ambiente operativo e conduce ad un miglioramento progressivo della produttività. La condotta ripetitiva tende inoltre a trasformarsi in condotta intelligente, capace di numerose micro-innovazioni nello svolgimento del lavoro.

Questi effetti sono stati studiati empiricamente in settori diversi e su tipi diversi di lavoro. Si sono così individuate delle forti regolarità nel ritmo di riduzione dei costi di produzione al crescere della produzione cumulata, fino a giungere a formulare delle vere e proprie "curve di apprendimento".















 





L'espressione analitica di queste curve è la seguente:


dove:

C0 e Ct rappresentano il costo unitario deflazionato nel tempo o e nel tempo t;

Q0 e Qt rappresentano la produzione cumulata ai tempi o e t;

a è una costante diversa da settore a settore.


Per calcolare la costante della formula occorre conoscere la percentuale di declino del costo al raddoppio della produzione cumulata, ossia la "legge percentuale della curva", che a sua volta si ricava empiricamente confrontando il costo C0 della produzione Q0 con il costo Ct della produzione Qt, corrispondente al raddoppio di Q0 (Qt = 2 Q0).


Esempio. se Ct/ C0 = 0,85 mentre Qt = 2 Q0, allora:


da cui a = 0,234.



Economie di 434c25e scopo

Una spiegazione esauriente dei livelli di efficienza d'impresa necessita anche del concetto di economie di scopo.[1] Queste trovano fondamento nella sub-additività delle funzioni di costo di diverse attività economiche: la produzione congiunta, cioè lo svolgimento coordinato ed integrato di una molteplicità di attività, sarebbe meno costosa della produzione disgiunta, cioè separata. Il fenomeno della sub-additività rientra in quello più generale degli effetti sinergici: si ha sinergia quando il valore creato svolgendo assieme le attività A e B è superiore a quello ottenuto svolgendole separatamente.

Fonte primaria delle economie di scopo è la presenza di input comuni a diversi processi produttivi aziendali e non sfruttati pienamente. L'esempio più evidente è rappresentato dal know-how manageriale, che l'impresa avrà la convenienza economica a sfruttare anche al di fuori dell'attuale "scope" dell'azienda. Ma è anche il caso di un'impresa che controlla un canale distributivo idoneo a collocare sul mercato nuovi prodotti, in aggiunta a quelli attuali.

Stesse considerazioni possono essere fatte relativamente alle conoscenze tecnologiche che l'impresa ha generato al suo interno e che presentano caratteristiche non adeguatamente valorizzabili nelle attività correnti (è la cd. serendipità, tipica del settore farmaceutico). Quando la strada di una cessione sul mercato non è percorribile, a causa delle tipiche difficoltà transazionali delle tecnologie (e dell'informazione in generale), l'unica via per metterle a frutto può essere quella dell'allargamento dello scope aziendale.

L'effetto sinergico deriva qui dalla particolare natura delle risorse di conoscenza. Esse godono infatti della proprietà della molteplicità d'uso, potendo essere usate più volte in contesti diversi e contemporaneamente senza che questo ne riduca l'utilità e il valore.

Considerazioni simili possono essere fatte con riferimento all'uso del marchio nell'ambito di strategie di diversificazione. La particolare risorsa di fiducia incorporata nel marchio aziendale può essere utilizzata a costi marginali irrilevanti.

Le decisioni di estensione dei confini orizzontali o verticali dell'impresa, realizzate con strategie di diversificazione e di integrazione verticale, possono dunque essere lette come processi di ricerca di economie di scopo.

Nel caso della diversificazione, le economie di scopo traggono origine anche dalla possibilità di riduzione della variabilità dei risultati economici aziendali attraverso l'entrata in business ad andamento anticiclico. La diversificazione consente inoltre all'impresa di sfruttare possibili complementarità tra business (specie se correlati), di natura commerciale (stessi canali distributivi), finanziaria, competitiva.

I processi di integrazione (su basi proprietarie o contrattuali), a monte e a valle, trovano invece una ragione strategica anche nella ricerca di stabilità e di sicurezza, nella volontà di attenuazione dei rischi dell'approvvigionamento degli input (costi, tempi, qualità) e del collocamento degli output sul mercato (prezzi, variabilità/instabilità della domanda), nella possibilità di realizzare un più esteso coordinamento al livello della supply chain (clienti e fornitori).

Le modalità strategiche attraverso le quali le imprese possono ricercare sinergie (economie di scopo) sono le seguenti:

  • sviluppo interno;
  • acquisizioni;
  • fusioni;
  • joint-ventures;
  • accordi di collaborazione.

Il dualismo piccola-grande dimensione

Il tema delle economie di costo solleva una questione da sempre dibattuta tra gli studiosi d'impresa: quella che oppone la superiore efficienza della grande dimensione alla flessibilità della piccola impresa.

Dobbiamo innanzitutto definire l'unità di misura della dimensione d'impresa. E' qui prevalente l'uso di due parametri: il numero di addetti e il fatturato.

Essi forniscono profili complementari di analisi della dimensione d'impresa: vi sono infatti imprese con fatturati relativamente bassi ma con alto numero di addetti (si pensi ad un'impresa che effettua lavorazioni del legno in conto terzi) e imprese che realizzano fatturati estremamente elevati con un piccolo organico (come ad esempio una trading company). La misura 'ponte' tra fatturato e addetti è il fatturato per addetto. Quest'ultimo parametro risente del settore di appartenenza dell'impresa, del grado di integrazione verticale, del livello degli investimenti in capitale fisso.

Una misura più efficace  - anche se meno utilizzata - della dimensione dell'impresa può considerarsi il valore aggiunto, cioè la differenza tra il valore globale della produzione e gli acquisti dall'esterno.

Un parametro decisamente più comune, che misura la dimensione relativa dell'impresa rispetto al mercato di appartenenza è la quota di mercato.

Una quota di mercato elevata consente di raggiungere la DOM e di sfruttare pienamente le economie di apprendimento. Inoltre, la quota di mercato esprime anche la misura del potere che l'impresa leader può esercitare nei confronti dei concorrenti, dei fornitori, dei clienti.

Anche sotto il profilo delle economie di scopo la grande impresa presenta elementi di superiorità relativamente alla piccola dimensione. Le scelte di diversificazione e di integrazione verticale richiedono infatti risorse finanziarie e manageriali non accessibili alle imprese minori.

La stessa innovazione tecnologica - sulla quale si fonda la competizione nei settori più evoluti ed importanti dell'economia - appare riservata, data l'ingente massa critica degli investimenti richiesti, alle imprese maggiori.

Che spazi rimangono dunque alle piccole e medie imprese (PMI)? Su quale base trovano allora fondamento le ottime performance realizzate da queste entità economiche?

La questione è complessa e non ancora pienamente sviluppata. Svolgeremo al riguardo soltanto alcune considerazioni:

Alla grande dimensione è corretto contrapporre non la singola impresa ma il sistema delle piccole imprese. E' l'aggregazione in forme distrettuali o reticolari (network) ad esaltare le performance dell'impresa minore. Fenomeni come le economie di agglomerazione e di interazione (cd. network externalities) a livello della supply chain sostituiscono dunque le economie di scala e di scopo della grande impresa. Si pensi, ad esempio, alle complesse catene di subfornitura che si sono sviluppate entro i distretti industriali in opposizione alle forme di integrazione verticale delle imprese maggiori.

Le economie di apprendimento non si possono considerare di esclusiva competenza di una forma d'impresa. Anche le PMI beneficiano delle curve di esperienza, tanto più se operano in settori tradizionali a basso tasso di innovazione di processo.

Alla capacità innovativa della grande impresa la piccola oppone una superiore flessibilità operativa e strategica. I limitati investimenti garantiscono una superiore capacità adattiva rispetto alle variazioni qualitative e quantitative della domanda. Forme organizzative più semplici consentono inoltre di rispondere più prontamente alle richieste del mercato (prestazioni logistiche).  





Traduzione impropria dall'inglese "scope", da intendersi piuttosto come ampiezza, raggio di azione.




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