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Diritto Commerciale - "La liquidazione della quota nella s.r.l."

economia



Diritto Commerciale


"La liquidazione della quota nella s.r.l.".

Lo scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio di una società di capitali può verificarsi oltre che con l'alienazione della quota, in caso di recesso nelle ipotesi consentite dalla legge o quando una clausola statutaria, della cui validità si è fortemente dubbiosi come esaminato nella precedente lezione, preveda il divieto assoluto di trasferimento della quota. In queste due ultime ipotesi occorre procedere alla liquidazione della quota e, quindi, occorre individuare i criteri in base 333g61d ai quali ciò debba avvenire. Per la s.p.a. questi criteri sono specificati a proposito delle ipotesi di recesso (norma applicabile anche alla s.r.l.) e però, bisogna interrogarsi sulla congruità di questi criteri che fanno riferimento al prezzo medio dell'ultimo semestre se trattasi di azioni quotate in borsa o, in casi contrario, al patrimonio sociale risultante dal bilancio dell'ultimo esercizio.



In realtà i criteri previsti per la liquidazione delle azioni (o della quota) ex-art. 2437 non possono trovare applicazione al di fuori delle ipotesi dell'esercizio del diritto di recesso. In particolare non possono trovare applicazione nel caso della clausola statutaria che ponga delle limitazioni o escluda del tutto la trasferibilità della partecipazione sociale stante la non equiparabilità delle due situazioni dal momento che mentre il recesso è un atto volontario e presenta, quale alternativa, la possibilità comunque per il  socio di rimanere in società: caratteristiche queste non presenti nel caso della clausola statutaria.

E allora bisogna concludere sul punto osservando che nel nostro ordinamento societario vi è un'altra norma che si occupa della liquidazione della quota in ogni caso di scioglimento del rapporto sociale limitatamente ad un socio di una società di persone dettando criteri diversi da quelli previsti dall'art. 2437 e che consentono di stabilire un valore di liquidazione assai più vicino a quello reale.

La suddetta norma, specificamente prevista per le società di persone, è senz'altro suscettibile di essere applicata all'ipotesi della liquidazione della quota in una s.r.l. per la sua stessa formulazione letterale in quanto i principi in tema di interpretazione delle leggi sanciscono che, quando non esista una norma che si occupi specificamente di una data fattispecie, occorre ampliare l'ambito dell'indagine e fare riferimento a disposizioni che regolano un caso analogo. Ed è quanto fa proprio l'art. 2289.

Nel caso prospettato è la stessa clausola statutaria a prevedere che la liquidazione della quota debba essere effettuata sulla base del patrimonio sociale risultante dal bilancio dell'ultimo esercizio. Una clausola di tal genere costituisce sostanzialmente una liberalità (ossia una donazione) a favore degli altri soci e quindi per la sua validità occorre che sussistano tutti i requisiti essenziali della stessa e, in particolare la volontarietà dell'atto e quindi la volontà esplicita dei soci di disporre in maniera particolare della loro quota, oltre che l'"animus donandi": in mancanza si tratterebbe di una attribuzione patrimoniale senza causa e perciò nulla.

Nel caso della liquidazione a favore degli eredi del socio defunto una tale pattuizione dovrebbe considerarsi a tutti gli effetti nulla stante il divieto di patti successori ai sensi dell'art. 458.


"Scorporo di azienda e scissione di società".

Nelle società cooperative il tipo di attività esercitata costituisce la ragione essenziale della partecipazione del socio alla stessa (proprio perché è in relazione ad una data attività che il socio può conseguire il c.d. "vantaggio mutualistico"). E' evidente, allora, che un cambiamento dell'oggetto sociale non può essere equiparato ad una qualsiasi modificazione statutaria nel senso che nelle cooperative esiste un vero e proprio diritto soggettivo del socio alla non modificabilità, senza il suo consenso, dell'oggetto sociale con conseguente necessità che l'eventuale delibera deve essere adottata all'unanimità.

La possibilità che con unico atto venga decisa la costituzione di una nuova società e il conferimento alla stessa dell'intero patrimonio (o di una parte rilevante di esso) di un'azienda preesistente, possibilità prima esclusa, è oggi prevista dal nuovo istituto della scissione disciplinato dal D. Lgs. Gennaio 1991 n. 22. A questo proposito la prima constatazione da fare è che il perfezionamento della fattispecie scissoria comporta non soltanto la deliberazione assembleare che disponga in tal senso ma anche la stipulazione dell'atto di scissione.

A differenza dell'atto di fusione che ha sempre natura di contratto intervenendo fra almeno due se non più società, l'atto di scissione può avere sia natura contrattuale quando alla scissione partecipano oltre alla società che intende scindersi anche una o più società preesistenti, sia natura di atto unilaterale quando la scissione debba avvenire mediante la costituzione (quindi ex-novo) di una o più società fra le quali ripartire l'intero o parte del patrimonio della società scindenda.

Si avrebbe quindi una situazione eccezionale in cui è nel nostro ordinamento ammessa la costituzione di una società per atto unilaterale.

Dall'istituto della scissione deve distinguersi quello dello scorporo. Nel primo caso le azioni (o in generale le partecipazioni sociali) ottenute come corrispettivo del trasferimento dell'intero patrimonio (o di parte dello stesso) della società scindenda vengono attribuite direttamente ai soci della medesima società scindenda; nel caso dello scorporo, invece, dette azioni rimangono nel patrimonio della società scorporanda che quindi, in caso di trasferimento di tutto il suo patrimonio, cambia il suo oggetto sociale diventando la sua attività limitata alla mera amministrazione di un pacchetto di azioni.

Lo scorporo non è espressamente regolato nel nostro ordinamento e peraltro la disciplina della scissione (che presenta indubbie analogie con lo scorporo) non è applicabile a fattispecie diverse da quelle espressamente disciplinate. Pertanto la tutela dei soci della società scorporanda rimarrebbe legata alla sola regolamentazione sulle modificazioni dell'oggetto sociale (con conseguente riconoscimento ai soci dissenzienti del diritto di recesso ex-art. 2437), mentre i creditori della medesima società scorporanda potrebbero invocare la disciplina sul trasferimento d'azienda ma non potrebbero opporsi al compimento dell'operazione.

Se una tale operazione (ossia lo scorporo) fosse considerata pienamente legittima e valida sarebbe assai facile eludere la complessa disciplina prevista per la scissione (basterebbe appunto convenire che le azioni della o delle società beneficiarie del trasferimento patrimoniale non siano attribuite direttamente e personalmente ai soci della società scorporanda). Ma in tal modo si violerebbero norme che, essendo poste a tutela anche di terzi, sono imperative e perciò inderogabili).

Si deve conseguentemente concludere nel senso che lo scorporo deve considerarsi un'operazione in frode alla legge e perciò nulla.




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