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LA SUCCESSIONE NECESSARIA (DETTA ANCHE SUCCESSIONE DEI LEGITTIMARI) - SUCCESSIONE NECESSARIA

giurisprudenza



LA SUCCESSIONE NECESSARIA (DETTA ANCHE SUCCESSIONE DEI LEGITTIMARI)

SUCCESSIONE NECESSARIA
La successione necessaria è la successione che ha titolo nella legge, e cioè in un diritto successorio legalmente attribuito al suscettibile, che si attua anche contro gli atti di disposizione del defunto.
La successione necessaria ha fondamento nella inderogabile solidarietà tra gli stretti congiunti.
Nel sistema del codice la successione necessaria è distinta rispetto alla successione legittima intesa restrittivamente come la successione intestata e cioè come la successione che si apre sull'eredità di cui il defunto non abbia disposto mediante testamento.

Se l'ereditando ha un coniuge o ha discendenti o ascendenti, una quota dell'eredità è riservata a costoro, anche contro la sua espressa volontà. Questa quota, che corrisponde ad una frazione aritmetica del patrimonio ereditario, è detta riserva (o quota di) legittima; mentre al resto del patrimonio ereditario, del quale il de cuius poteva liberamente disporre per atto di liberalità, si dà il nome di disponibile.

La riserva, come vedremo fra un istante, può arrivare a coprire fino a tre quarti del patrimonio ereditario, come nel caso di chi muoia lasciando coniuge e più figli; e ciò rivela quanto siano limitati i poteri di disposizione del proprio patrimonio per atto di ultima volontà. Per chi muoia senza lasciare né coniuge né figli, la disponibilità si estende, invece, fino a due terzi dell'eredità, se gli sopravvivono ascendenti; altrimenti egli potrà disporre liberamente dell'intero patrimonio.



Le norme sulla successione necessaria non operano solo come limite alla libertà testamentaria: esse limitano altresì la libertà di donare, e possono trovare applicazione anche quando si dia luogo alla successione legittima, potendo i diritti degli stretti congiunti essere stati lesi da donazioni che l'ereditando abbia, in vita, elargito a favore di altri (art. 553).

Quota disponibile. La quota disponibile e, quindi, la riserva si calcolano detraendo dal valore del patrimonio relitto i debiti, ma aggiungendovi le donazioni elargite dal testatore in vita (relictum più donatum), secondo le regole sulla collazione (art. 556). E' un'operazione puramente contabile, cui si dà il nome di riunione fittizia: essa ha la funzione di accertare se l'ereditando, donando in vita i propri beni, abbia pregiudicato i diritti dei legittimari.

Legittimari i parenti che hanno diritto di succedere nella quota di riserva sono, per l'art. 536, il coniuge, i figli legittimi, naturali e adottivi, gli ascendenti legittimi (con esclusione degli ascendenti naturali) e quelli adottivi (con esclusione di coloro che abbiano adottato persone di maggiore età. Essi succedono nella misura e nell'ordine seguenti (artt. 537 ss.):

a) al coniuge è riservata la metà del patrimonio, che si riduce ad un terzo o ad un quarto se il coniuge concorre con un figlio o più di un figlio, oltre al diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare;

b) ai figli o, se costoro non possono, ai loro discendenti, secondo i principi sulla rappresentazione (art. 536 comma 3°), vanno un mezzo o due terzi del patrimonio, da dividersi in parti uguali fra legittimi, adottivi e naturali, a seconda che essi siano uno o più. Nel concorso fra figli e coniuge, occorre distinguere: se c'è un solo figlio, un terzo del patrimonio va a lui ed un altro al coniuge; se i figli sono più d'uno, ad essi va complessivamente la metà del patrimonio ed un quarto va al coniuge. Nel concorso fra figli legittimi e figli naturali opera, a favore dei primi, la possibilità di commutazione;

c) in mancanza di figli, agli ascendenti del morto, cioè ai suoi genitori o, se non ci sono genitori, ai nonni ecc., è riservato un terzo del patrimonio, che si riduce ad un quarto se gli ascendenti concorrono con il coniuge.

Ad una posizione formalmente e sostanzialmente deteriore sono ancora condannati i figli non riconoscibili (251 cc.). A seguito della riforma, tuttavia, questa posizione è stata migliorata rispetto alla previsione normativa anteriore (580 cc. vecchio testo). Attualmente la legge attribuisce al figlio il diritto ad un assegno esattamente commisurato alla rendita della quota successoria spettantegli se la filiazione fosse riconoscibile (580' cc.). In luogo dell'assegno il figlio non riconoscibile ha il potere di scegliere la capitalizzazione di esso (con immediato pagamento del capitale). Il pagamento del capitale può essere eseguito alternativamente con denaro ovvero con beni ereditari. Se vi sono eredi legittimi, spetta ad essi la scelta tra pagamento in denaro o beni ereditari. Altrimenti la scelta spetta al figlio naturale.

Gli ascendenti del defunto hanno un diritto di legittima quando il defunto muore senza lasciare figli né loro discendenti. La legittima degli ascendenti è pari ad un quarto oppure ad un terzo della massa secondo che concorrono o non concorrono con il coniuge del defunto (538' cc.). Gli ascendenti succedono secondo la regola della successione legittima. L'ascendente di grado più vicino prevale sull'ascendente di grado più lontano. Se vi sono più ascendenti di pari grado appartenenti alla stessa linea paterna o materna, la quota si divide in parti eguali. Se gli ascendenti appartengono a linee diverse metà della quota spetta alla linea paterna e l'altra metà alla linea materna. Nell'ambito di ciascuna linea la quota assegnata si divide in parti eguali.

Se il matrimonio è stato annullato o dichiarato nullo, quando uno dei due coniugi era in buona fede o ha contratto il matrimonio vittima di violenza o timore, il matrimonio si dice "putativo", perché produce alcuni effetti tipici del matrimonio valido a favore del coniuge in buona fede o "coactus". Se il coniuge superstite è quello in buona fede o coactus, questi ha i normali diritti successori del coniuge a tutti gli effetti, se il matrimonio è stato annullato dopo la morte del de cuius.Egli è però escluso dalla successione,1. se il de cuius al momento della morte è legato da valido matrimonio (è necessario che il successivo matrimonio sia valido, non basta un matrimonio invalido). Tale esclusione non opera se il coniuge legittimo non viene alla successione (indegnità, rinunzia, ecc.)2. se il matrimonio è stato annullato prima della morte del de cuius con sentenza passata in giudicatoQuando il matrimonio è stato annullato dopo la morte di uno dei coniugi, al coniuge superstite di buona fede (la disposizione è stata estesa anche al coactus del matrimonio annullato a seguito di violenza nonostante manchi la buona fede, conoscendo il coactus la causa di annullamento) spetta- la quota attribuita normalmente al coniuge,- il diritto di abitazione nella casa di residenza familiare e il diritto d'uso dei mobili che la corredano

Coniuge divorziato = A partire dal momento in cui inizia ad avere efficacia la sentenza di divorzio (annotazione nei registri anagrafici), il coniuge ha diritto solo ad un assegno periodico.

Coniuge al quale e' stata addebitata la separazione = ha diritto solo ad un assegno. 

Diritto di abitazione e uso della casa adibita a residenza familiare Un diritto del tutto particolare è previsto per il coniuge superstite, al quale, oltre alla quota di legittima, è attribuito anche il diritto di abitazione e uso della casa adibita a residenza familiare Presupposto per l'applicazione dell'art.540 2° è il fatto che la casa adibita a residenza familiare sia anche la residenza del coniuge superstite e costui non debba, a causa della morte dell'altro coniuge, trasferirsi altrove.

La residenza familiare è il luogo in cui i coniugi fissano la propria comune abitazione, in ottemperanza all'obbligo reciproco di coabitazione fissato dalla legge a carico dei coniugi (143 2° cc.), i quali non possono quindi fissare unilateralmente la propria residenza. La fissazione della residenza familiare deve essere decisa di comune accordo tenendo conto delle esigenze di entrambi e di quelle preminenti della famiglia ( 144 cc.).

Perdita della residenza familiare - Si ha tale perdita nelle seguenti ipotesi

1. nel caso di separazione o divorzio (c'è lo scioglimento della residenza familiare). Ramazzoni esclude che si possa parlare di casa adibita a residenza familiare in caso di separazione. La lettera della legge consente all'interprete di puntualizzare con precisione il dato temporale (la casa "adibita a residenza familiare al tempo della morte di uno dei coniugi" e non quella che vi sia stata adibita in passato); soccorrono peraltro delle considerazioni logiche: una volta venuta meno la comunione di vita familiare, cade la rilevanza della destinazione della casa a strumento per attuare la stessa. Ramazzoni ritiene che la casa familiare è anche (secondo uno sforzo interpretativo basato sull'art.155 4° "l'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli") la vecchia residenza familiare assegnata al coniuge separato cui sono stati affidati i figli (perché con i figli c'è un residuo di famiglia). Su ciò, nota Capozzi, si possono avanzare dubbi perché il problema dell'eredità del coniuge ex art.540 sembra prevedere solamente il rapporto tra coniugi.

2. uno dei due coniugi si allontana senza giusta causa.

3. uno dei due coniugi si allontana per giusta causa e risulta la sua l'intenzione di fissare altrove il luogo della sua abituale abitazione (se non risulta tale l'intenzione l'allontanamento per giusta causa non significa trasferimento della residenza: il coniuge che ad es. dimori altrove per ragioni di lavoro conserva, così, la sua originaria residenza se il suo comportamento non deponga per un definitivo abbandono di tale sede).

Caratteristiche dei diritti d'abitazione e uso dei mobili. Il diritto di abitazione e uso è uno di quei diritti reali di abitazione e di uso previsti e disciplinati dagli art.1021 ss. cod.civ. (anche se sono riconosciute al nostro diritto alcune caratteristiche proprie come, ad es., la irrilevanza della circostanza che l'alloggio sia esuberante rispetto all'eventuale minore necessità del coniuge superstite).L'applicazione della normativa sul diritto di abitazione porta come conseguenza la sua inalienabilità ex 1024 "i diritti di uso e abitazione non si possono cedere o dare in locazione".Questo divieto di cessione è però derogabile nei confronti del nudo proprietario (come ha affermato la Cassazione), che nel caso delle successioni sarà l'erede o il legatario cui è andata la proprietà della casa adibita a residenza familiare. Perciò il coniuge superstite può vendere il suo diritto di abitazione sulla casa al nudo proprietario della medesima oppure vendere ad estranei in una vendita consensuale con il nudo proprietario.

Prelegato ex lege il diritto di abitazione è un prelegato ex lege (il prelegato è un diritto che viene attribuito all'erede ancor prima dell'eredità).

Operativita' di tale diritto Una questione dibattuta in dottrina è quella relativa alla operatività del diritto di abitazione: il titolare mortis causa, qualora sia stato leso da una disposizione testamentaria, deve agire in riduzione o tale diritto gli viene attribuito ipso iure, automaticamente come ogni prelegato? Ferri è per la seconda soluzione.Dicono invece tutti gli altri autori che è necessaria l'azione di riduzione (Mengoni, Mascheroni, Perego, Gabrielli, Massimo Calapso). Capozzi è d'accordo, perché c'è un testamento e poco interessa se il coniuge superstite agisca come legittimario o non, poco importa se ciò il diritto gli spetti come legatario legittimario o in altro modo. Quando c'è un testamento, esso può cadere solo con un'azione di riduzione. Facciamo questa ipotesi: madre affettuosa che adora i figli e adorava il marito, dopo la di lui morte legge nel testamento: un appartamento dei tre che possedeva l'ha dato al primo figlio che si è sposato, il secondo all'altra figlia e il terzo, casa di abitazione, all'altra figlia ancora che si deve sposare. Sarebbe assurdo pensare, come fa Ferri, che la moglie, coniuge superstite, che vuole rispettare la volontà del marito, debba donare l'uso dell'appartamento alla figlia perché ci vada a vivere.

Coniuge superstite che si risposa Se il coniuge superstite si risposa, non perde il suo diritto di abitazione e d'uso dei mobili. Infatti dove la legge ha voluto che si perdesse un diritto a seguito di nuovo matrimonio (assegno al coniuge divorziato che si risposa) lo ha detto espressamente.Mengoni ha cercato di dimostrare la tesi che noi contestiamo sulla base della ratio della norma e più precisamente sull'interesse da essa protetto (interesse a conservare i rapporti affettivi e le consuetudini di vita): un nuovo matrimonio indica la rottura degli interessi tutelati e allora perde giustificazione la deroga che, a tutela di tali interessi, la legge infligge al principio di uguaglianza degli eredi.La dottrina prevalente contesta questa impostazione, basata sulla ratio, e sottolinea che, per togliere tale diritto al coniuge che si sposa, sarebbe necessario un dato normativo che invece non c'è; tale dottrina contesta poi che la ratio del 540 2° sia quella individuata da Mengoni e afferma che tale disposizione tutela prevalentemente l'interesse del coniuge superstite a non essere esposto a un coattivo mutamento del proprio ambiente di vita (dunque non c'entrano le esigenze etiche e sentimentali).

Effetti della lesione La lesione dei diritti dei legittimari non influisce sulla validità del testamento: questo è, in sé, perfettamente valido, e troverà piena attuazione se i legittimari rinunciano al loro diritto o non lo faranno valere nel termine della ordinaria prescrizione decennale, decorrente dalla apertura della successione.

Al legittimario che, per testamento o per successione legittima, non abbia ricevuto nulla o abbia ricevuto meno di quanto per legge gli spetta, compete una specifica azione, l'azione di riduzione: egli ha diritto di conseguire dagli eredi testamentari o legittimi la quota che gli è dovuta, e la consegue chiedendo la riduzione delle quote degli eredi legittimi (art. 553) o delle disposizioni testamentarie (art. 554) o delle donazioni (art. 555). Le quote degli eredi legittimi, le disposizioni testamentarie (senza distinguere fra eredi e legatari) ed, eventualmente, le donazioni si riducono proporzionalmente nei limiti in cui è necessario per integrare la quota riservata ai legittimari (artt. 553, 558).

Prima, tuttavia, di ridurre le quote degli eredi legittimi o le disposizioni testamentarie o le donazioni, bisogna tenere conto delle eventuali donazioni che, a sua volta, il legittimario avesse ricevuto dal defunto: egli deve imputarle alla quota di riserva, salvo che l'ereditando non lo abbia da ciò espressamente dispensato (art. 564 comma 2°). In altre parole, la quota di riserva deve essere diminuita delle donazioni di cui il legittimario avesse già beneficiato, fino al punto di fargli perdere il diritto alla successione se egli aveva già ricevuto, per donazione, beni di valore pari alla legittima. Da non confondere (!) la dispensa ex art. 546 2° da un'eventuale dispensa secondo la quale la donazione fatta in vita non deve essere presa in considerazione per calcolare la quota disponibile: siffatta dispensa non è prevista e anzi è nulla ai sensi dell'art. 549 c.c.

L'esercizio dell'azione di riduzione dà luogo ad una pronuncia di inefficacia totale o parziale, della disposizione impugnata sia essa una disposizione testamentaria o una donazione; e si tratta di inefficacia relativa, operante nei confronti del legittimario che ha agito. L'azione spetta al legittimario o ai suoi eredi o ai suoi aventi causa, ossia a coloro cui il legittimario abbia alienato il suo diritto (art. 557 comma 1°) La rinuncia preventiva all'azione di riduzione è nulla; ma, una volta che la successione si sia aperta, il legittimario può rinunciare al proprio diritto (art. 557 comma 2°).

Il legittimario deve agire, in primo luogo, per la riduzione delle quote spettanti agli eredi e dei legati; solo se ciò non basta egli potrà agire per la riduzione delle donazioni (art. 555). Le donazioni si riducono cominciando dall'ultima e risalendo via via alle precedenti (art. 559): le più antiche, infatti, ricadevano entro la disponibile, e solo le successive, dopo l'esaurimento di queste, hanno intaccato la legittima.

Alla inefficacia della disposizione impugnata con l'azione di riduzione consegue l'obbligazione del beneficiario della disposizione dichiarata inefficace di restituire l'immobile che aveva formato oggetto dell'atto di disposizione; ed al riguardo appare nettamente favorita la restituzione in natura (art. 560). Qui non c'è, come nella collazione, libertà di scelta fra restituzione in natura o per equivalente in danaro; le soluzioni possibili sono:

a) la separazione del bene in natura se questo è comodamente divisibile (art. 560 comma 1°)

b) la totale acquisizione del bene all'eredità, se il bene non è comodamente divisibile ed il donatario o il legatario ha in esso una eccedenza maggiore del quarto della porzione disponibile (art. 560 comma 2°);

c) solo se l'eccedenza non supera il quarto il donatario o il legatario può ritenere l'immobile, compensando in danaro i legittimari (art. 560 comma 2°)

I diritti acquistati dai terzi (acquirenti dal donatario) sono travolti. Se l'immobile donato era stato dal donatario ipotecato o gravato da diritti altrui, il legittimario lo consegue libero da pesi (art. 561); se il donatario lo aveva alienato, quantunque a titolo oneroso, il legittimario può, dopo avere vanamente escusso i beni del donatario, ottenere la restituzione dal terzo acquirente, cui è solo concesso di sottrarsi alla restituzione in natura pagando il valore in danaro (art. 563).

L'azione di riduzione è munita di efficacia retroattiva nei confronti dei legittimati passivi e dei terzi aventi causa.Vi sono però dei limiti:1. Non cadono i diritti acquistati da terzi a titolo oneroso in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda se la domanda di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima è stata trascritta dopo dieci anni dall'apertura della successione.2. I frutti percepiti da chi poteva godere del bene oggetto della domanda di riduzione devono essere consegnati al legittimario solo a decorrere dal giorno della domanda giudiziale.3. Il terzo acquirente può liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l'equivalente in danaro.Gli immobili restituiti in conseguenza della riduzione sono liberi da ogni peso o ipoteca di cui il legatario o il donatario può averli gravati, salvo il disposto del n. 8 dell'articolo 2652. La stessa disposizione si applica per i mobili iscritti in pubblici registri.I frutti sono dovuti a decorrere dal giorno della domanda giudiziale.Si devono trascrivere le domande di riduzione delle donazioni e delle disposizioni testamentarie per lesione di legittima se hanno ad oggetto diritti reali. Se la trascrizione è eseguita dopo dieci anni dall'apertura della successione, la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi che hanno acquistato a titolo oneroso diritti in base a un atto trascritto o iscritto anteriormente alla trascrizione della domanda.Se i donatari contro i quali è stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati, il legittimario, premessa l'escussione dei beni del donatario, può chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell'ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili.L'azione per ottenere la restituzione deve proporsi secondo l'ordine di data delle alienazioni, cominciando dall'ultima. Contro i terzi acquirenti può anche essere richiesta la restituzione dei beni mobili, oggetto della donazione, salvi gli effetti del possesso di buona fede.Il terzo acquirente può liberarsi dall'obbligo di restituire in natura le cose donate pagando l'equivalente in danaro.Il diritto del legittimario riceve così una protezione quanto mai energica: l'ipoteca e gli altri diritti costituiti sulla cosa non gli sono opponibili; né gli è opponibile il diritto del terzo acquirente consapevole di avere acquistato beni trasmessi al suo (o ad un precedente) dante causa per atto di liberalità. Il che val quanto dire che chi compera un bene sapendo che il suo dante causa (o il dante causa di questo) lo aveva ricevuto in donazione o chi, con questa consapevolezza, consegue un diritto reale su un bene non sarà sicuro del proprio acquisto o del proprio diritto fino a quando non siano trascorsi dieci anni dalla morte del donante e non si sia, perciò, prescritta l'azione di riduzione dei legittimari (e infatti, dal punto di vista pratico, le banche vedono come fumo negli occhi l'offerta di un bene immobile come garanzia ipotecaria acquistato per donazione). Per i beni immobili e per i mobili registrati opera la conoscenza legale, data dalla trascrizione della donazione; e ciò basta a rendere opponibile al terzo, da parte del legittimario, il diritto alla riduzione della donazione e, quindi, alla restituzione del bene o del suo valore in danaro. Solo se il legittimario trascrive la domanda di riduzione dopo che sono decorsi dieci anni dall'apertura della successione (tre anni se si tratta di mobili registrati: art. 2690 n. 5) la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i terzi che abbiano acquistato a titolo oneroso diritti in base ad un atto trascritto prima della domanda (art. 2652 n. 8). Per gli altri beni mobili, invece, sono fatti "salvi gli effetti del possesso di buona fede" (art. 563 comma 20): il legittimario dovrà, perciò, provare la mala fede del terzo, ossia la sua conoscenza del fatto che il suo dante causa disponeva di cosa ricevuta per donazione




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