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SCELTE FINANZIARIE, MISURE CONTABILI E VALORE DEL CAPITALE

economia



SCELTE FINANZIARIE, MISURE CONTABILI E VALORE DEL CAPITALE:

Poiché  siamo arrivati a un punto delicato, vediamo di puntualizzare gli aspetti essenziali della questione:

il primo punto riguarda la centralità della nozione di valore per apprezzare la bontà delle decisioni inerenti al governo del capitale, siano esse decisioni di investimento, di finanziamento o di distribuzione dei dividendi. Queste decisioni saranno favorevolmente giudicate se contribuiranno ad aumentare il valore del capitale(o perlomeno non lo distruggeranno);

l'ottica assunta, nel giudicare la fondatezza di tali scelte, è sempre quella dei conferenti di capitale proprio(schakeholders);



il valore economico del capitale proprio(ROE) viene quindi a rappresentare il parametro più significativo per la misurazione della bontà della gestione e la sua variazione, cioè l'espressione dell'incremento o decremento di ricchezza prodotto dalle varie decisioni di investimento o finanziamento.

4,5) La variazione fatta segnare dal valore economico del capitale proprio in un arco temporale dato rappresenta, in assenza di distribuzione di dividendi, il reddito economico del periodo:


REDDITO ECONOMICO DEL PERIODO(NO DIVIDENDI)= Ren=Wn-Wn-1


REDDITO NETTO DEL PERIODO(NO DIVIDENDI)= RNn= CNn-CNn-1


REDDITO ECONOMICO DEL PERIODO CON DISTRIBUZIONE DI DIVIDENDI=


REn Wn-Wn-1)+DIVn

 









6)il valore di qualunque capitale coincide con i frutti che tale capitale è atteso dare nel futuro: tali frutti, collocandosi in epoche più o meno remote rispetto al momento della valutazione, dovranno venire opportunamente trasformate nel loro valore attuale, non potendosi infatti attribuire ugual valore a un reddito di 10 atteso fra un anno, rispetto a un reddito di pari ammontare generato fra cinque anni: salvo casi particolari, il valore economico e il valore contabile del capitale proprio non coincidono e, di conseguenza,  quest'ultimo non può costituire il termine generale di riferimento per misurare il valore reale connesso alle decisioni di gestione del capitale.


Riassumendo le considerazioni sin qui esposte, possiamo dunque affermare quanto segue:

il modo più corretto per apprezzare le decisioni connesse alla gestione del capitale è di verificare se esse contribuiscono a far diventare più ricchi i detentori del capitale di rischio , incrementando il valore economico dei mezzi finanziari da essi investiti ;

ciò implica, da un lato, la presa in esame dei principi e delle tecniche di misurazione di tale valore; dall'altro, la descrizione dei principali ambiti applicativi. Al primo aspetto verrà dedicato il presente capitolo. Quanto alle problematiche finanziarie in cui le logiche del valore trovano ampia e documentata applicazione, si rinvia ai capitolo dedicati:

alla valutazione degl 636j94g i investimenti;

alla valutazione d'azienda e delle strategie;

alle politiche di struttura finanziaria;

alle politiche dei dividendi.


6.2.: ELEMENTI PER LE MISURAZIONI FINANZIARIE:

E' arrivato il momento di chiarire i fondamenti per la misurazione del capitale economico e della sua variazione nel tempo.

A tal fine è necessario richiamare brevemente la nozione di valore temporale del denaro attraverso i concetti - base di interesse composto e valore attuale.


6.2.1.: INTERESSE COMPOSTO E CAPITALIZZAZIONE:

Il concetto di interesse composto , come è noto, sta ad indicare che l'interesse generato da un impiego di capitale si aggiunge periodicamente al capitale stesso, divenendo a sua volta fruttifero.

Un semplice esempio aiuterà a chiarire il meccanismo.

Si supponga di disporre di un capitale di 100 milioni depositato ad un tasso annuo di interesse(r ) del 10%.

Dopo un anno, il valore del capitale iniziale( C°) si sarà incrementato di un ammontare pari all'interesse generato, ottenuto come prodotto tra r(tasso annuo d'interesse) e C° (capitale impiegato): avremo cioè:


C'=100+0,10*100=110 milioni


Dove C' è , ovviamente, il valore del capitale al termine del periodo 1.

In simboli, ciò può essere scritto nel seguente modo:

° C°*(1+r)


 






(1+r) rappresenta il fattore di capitalizzazione, cioè la grandezza per la quale si deve moltiplicare il capitale iniziale per conoscerne il valore a fine anno.

Volendo conoscere il valore del deposito al termine del secondo anno, si dovrà procedere in modo analogo, incrementando il valore dell'investimento all'inizio dell'anno 2(C') dell'interesse maturato durante l'anno, cioè r*C'.

Si avrà pertanto:


C''= 110+0,10*110=121 milioni


, che in termini generali diventa:


C''=C'+r*C' C'*(1+r)


Sostituendo a C' , l'espressione 1°) , l'equazione diventa:


C''=C°(1+r)*(1+r) C°*(1+r)^2


Procedendo in modo analogo, si può pervenire al valore del nostro deposito iniziale di 100 milioni al termine dell'ennesimo anno.

Esso risulterà dall'applicazione della seguente relazione:



Cn=C°*(1+r)^n

 







, che rappresenta l'espressione generale del processo di capitalizzazione composta.

Dato il capitale iniziale(C°) , il tasso annuo di interesse( r)  e il numero di anni di durata dell'investimento ( n), essa permette di calcolare il valore che il capitale inizialmente disponibile avrà alla fine del periodo, valore indicato con il termine di montante.

Cn è il montante di C° investito per n anni al tasso r.


6.2.2.: FATTORI DI CAPITALIZZAZIONE E TAVOLE FINANZIARIE:

A titolo di esempio:


anni 1 2 3 4 5


fattori di capitalizzazione

per r=10%(1+0,10)^n  1,100 1,120 1,331 1,464 1,611


L'uso delle tavole finanziarie permette di accelerare notevolmente i calcoli una volta impostato correttamente il problema.


6.2.3.: VALORE ATTUALE:

Calcolare il valore attuale significa compiere l'operazione inversa della capitalizzazione, cioè determinare il valore odierno di un capitale disponibile fra n anni, dato un certo valore finanziario del tempo.


Se


Cn=C°*(1+r)^n


E questa volta supponiamo, di voler determinare il capitale che è necessario depositare oggi per disporre fra 5 anni di 100 milioni.

Per risolvere il problema è sufficiente risolvere la seguente:


C°= Cn*(1 / (1+r)^n)


Che nel nostro esempio diventa:


C° = 100 (1/ (1+0,10)^5)= 1000,621 = 62,1 milioni.


Per disporre fra 5 anni di un capitale di 100 milioni , dato un tasso di interesse del 10%, è necessario depositare oggi 62,1 milioni di lire.


È possibile verificare la correttezza in quanto asserito effettuando il procedimento inverso, a noi già noto, della capitalizzazione .

Depositando 62,1 milioni oggi ad un tasso del 10% dovremmo disporre fra 5 anni di 100 milioni ed è proprio quanto si ottiene applicando la regola sul valore attuale.


Il procedimento di calcolo del valore attuale prende il nome di attualizzazione o sconto e trova la sua formalizzazione matematica nella seguente formula:



C° = Cn*(1/ (1+r)^n)

 



La frazione 1/(1+r)^n rappresenta il fattore di attualizzazione(o fattore di sconto) e misura il valore odierno di 1 lira disponibile fra n anni al tasso di interesse r.


6.2.4.: FATTORI DI SCONTO E TAVOLE FINANZIARIE:

Come per i fattori di capitalizzazione, anche per i coefficienti di attualizzazione i calcoli possono essere agevolati dal ricorso alle tavole finanziarie.


Esempio:



Anno

2 3 4 5


Fattori di sconto

Per r=10%(1+r)^-n   0,909 0,826 0,751 0,683 0,621



6.2.5.: VALORE FINANZIARIO DEL TEMPO E RISCHIO:

La regola del valore attuale ci dice che una lira disponibile domani vale meno di una lira disponibile oggi, almeno finché questa può essere immediatamente investita , generare interessi ed avere quindi in futuro un valore maggiore dell'attuale.

Una lira oggi vale più di una lira domani; una lira sicura vale più più di una lira soggetta a rischio.


6.2.6.: VALORE ATTUALE NETTO E TASSO INTERNO DI RENDIMENTO:

Nel paragrafo 6.2.3. è stato introdotto il concetto di valore attuale di un capitale disponibile nel futuro e sono state descritte le modalità di calcolo.

Se si prevede di disporre tra un anno di un capitale di 100 milioni e se il costo opportunità del capitale(come definito nel paragrafo precedente) è del 10%, abbiamo un capitale il cui valore attuale è di 90,9 milioni.

Non dimentichiamo , tuttavia, che, salvo, i casi fortunati di eredità e vincite alla lotteria, i capitali non piovono dal cielo: i 100 milioni attesi tra un anno sono di norma il frutto di un precedente investimento.

Si supponga che per ottenere tra un anno 100 milioni sia necessario investirne oggi 85.

Di quanto aumenta la nostra ricchezza a seguito di questa iniziativa? La risposta è: di 5,9 milioni, dati dalla differenza tra il valore attuale dell'entrata futura(pari a 90,9 milioni) e l'investimento iniziale di 85 milioni.

Questa differenza prende il nome di valore attuale netto(VAN) ed esprime la variazione di ricchezza derivante dall'impiego di un certo capitale valutata come se fosse immediatamente disponibile.

In termini generali, il VAN di un investimento di durata annuale si ottiene nel modo seguente:





V.A.N. = (C'/ 1+r) - C°


 






Nel nostro esempio avremo:


VAN = (100/ 1+0,10) - 85 = 90,9 - 85 = 5,9 milioni.


Alla regola del VAN, in base alla quale un investimento è profittevole se crea ricchezza, cioè se ha un valore attuale netto positivo, si affianca un altro criterio di valutazione, detto tasso interno di rendimento(T.I.R.).

Con tale espressione si indica quel tasso ( r *) che rende il valore attuale delle entrate future pari all'esborso iniziale.

Con riferimento a un impiego di durato annuale, il TIR si otterrà ponendo:



TIR = C° = C'/(1+ r*)


Da cui:


TIR = r* = (C'-C°)/C°





 









Nel nostro esempio sarà:


r* = 100 - 85/ 85 = 17,6%


L'impiego odierno di 85 milioni per ottenerne 100 tra un anno ha una redditività interna del 17,6%; poiché il valore trovato supera il costo opportunità del capitale, cioè il tasso del 10% utilizzato in precedenza per calcolare il VAN dell'iniziativa, se ne conclude che il progetto è conveniente.

In definitiva, dunque, un impiego di capitale va giudicato positivamente se:

a)   presenta un VAN positivo;

b)   ha un TIR superiore al costo opportunità del capitale.


Nel capitolo dedicato alla valutazione degl 636j94g i investimenti verranno meglio circostanziate le condizioni di validità di questa conclusione.


6.2.7.: FLUSSI DI CASSA DISTRIBUITI SU PIU' PERIODI:

Se l'ottenimento dei flussi in entrata f' richiede di impiegare oggi un capitale pari a C°, il VAN dell'iniziativa sarà:

(f ' *(1+r)^-t) - C°




 







Esempio: l'impiego al tempo 0 di un capitale pari a 100 milioni promette di generare i seguenti flussi in entrata per i prossimi 5 anni:


anni    1 2 3 4 5

entrate previste  15 30 30 40 50

il costo opportunità del capitale è stato stimato pari al 10%.

Il VAN dell'iniziativa risulterà dal calcolo seguente:


VAN = 15/1,10 + 30/(1,10^2)+ 30/(1,10^3)+40/(1,10^4)+50/(1,10^5) - 100 = 25,4 milioni.


Oltre al VAN è anche possibile calcolare il TIR di una iniziativa che comporta una successione di flussi di capitale su più anni.

Il TIR lo ricordiamo è quel tasso r* (incognito) che rende il valore attuale dei flussi generati dall'iniziativa pari all'esborso iniziale.


6.2.8.: CAPITALIZZAZIONE PERIODALE E VALORE ATTUALE:

Si è finora supposto che la capitalizzazione( e il collegato processo di attualizzazione) avvenga su base annua , cioè che gli interessi generati da un capitale inizino a loro volta a produrre interessi dopo un anno.

Questa assunzione è accettabile per la maggior parte delle considerazioni che verranno sviluppate in seguito; è tuttavia utile esaminare come si modificano le relazioni oggetto della capitalizzazione composta e del valore attuale o sconto in un regime di capitalizzazione infrannuale.

Iniziamo supponendo una capitalizzazione semestrale , partendo da un capitale( C°) di 100 milioni e un tasso annuo di interesse ( r) del 10%.

Dopo sei mesi il nostro capitale varrà:


C1/2 = 100*(1+ 0,10/2)= 105 milioni


Dopo un anno:


C' = 105*(1+0,10/2)= 110,25 milioni


Si noti che il montante così ottenuto(110,25) supera di 0,25 milioni quelo calcolato nell'ipotesi di capitalizzazione annuale(110).

La differenza sta nel fatto che nel secondo semestre maturano interessi anche sugli interessi di 5 milioni capitalizzati al termine del primo semestre, il cui ammontare risulta appunto pari a 5 milioni.


In caso di capitalizzazioni infranuale la formula diviene la seguente:



Cn = C°*(1 + r/m)^m/n


 






Dove m rappresenta il numero di volte in un anno in cui gli interessi vengono capitalizzati ed n, come sempre, il numero di anni di durata dell'iniziativa.


Se ad es. il nostro impiego iniziale di 100 milioni è previsto generare interessi all'8% per 5 anni capitalizzati trimestralmente (cioè quattro volte all'anno), il montante al termine del quinto anno sarà:


C 5= 100*( 1+ 0,08/4)^4*5= 100* 1,02^20 = 100* 1,486 = 148,6 milioni.


Nel caso di capitalizzazione annua invece avremmo avuto:


C 5= 100*(1+0,08=^5= 146,9 milioni.


6.2.9.: RENDITE TEMPORANEE E RENDITE PERPETUE:

Quando i flussi della serie sono costanti si parla allora di rendita a rata costante: un mutuo da rimborsare a rate costanti ne è un tipico esempio.

Se ad esempio si ipotizza di ricevere 1 lira al termine di ogni anno per un periodo di 5 anni e se il costo opportunità del capitale è del 10%, il valore attuale(VA) di questa serie costante di entrate sarà quello indicato dalla seguente tabella ricavabili grazie all'uso delle tavole finanziarie:



Va di 1 lira disponibile fra 1 anno: 0,909

" " " " 2 anni: 0,826

" " " " 3 anni: 0,751

" " " " 4 anni: 0,683

" " " " 5 anni: 0,621


VA della serie:  3,790


Il valore attuale della serie, 3,790, rappresenta il fattore di rendita di 1 lira ricevuta per 5 anni nell'ipotesi che il tasso di sconto sia del 10%.

Esempio:

il valore attuale di una rendita annua di 6 milioni risulterebbe pari a:


6 milioni * 3,790 = 22,74 milioni


In generale:








Che si legge a figurato t al tasso r.


Un caso particolare della situazione descritta si ha quando la rendita annua è destinata a perpetuarsi all'infinito: si parla allora di rendita perpetua.


Il valore attuale di una rendita perpetua si ottiene semplicemente dividendo l'ammontare della rata costante( f) per il costo opportunità del capitale ( r), cioè:





V.A.= f/r




 



6.3.: ELEMENTI PER LA VALUTAZIONE DEL CAPITALE ECONOMICO:

Richiamando la precedente affermazione secondo cui il valore di un bene coincide con i frutti che ci si attende esso generi in futuro, è necessario stabilire quale, o quali, siano le entità idonee ad esprimere tali frutti e come siano traducibili in un valore di sintesi espressione del capitale economico.

Nei paragrafi che seguono verranno delineati i fondamenti logici che sottostanno a questo processo di valutazione.


6.3.1.: CAPITALE ECONOMICO E DIVIDENDI ATTESI:

Se si affronta il problema della stima del capitale economico dal punto di vista della totalità dei possessori di capitale di rischio(sia gli attuali, sia colore che lo diverranno in futuro), la grandezza che meglio ne esprime i frutti attesi è rappresentata dai dividendi futuri.

Questi, infatti, misurano in termini di disponibilità monetaria futura quanto i conferenti del capitale proprio si devono attendere come ritorno sull'investimento effettuato.

Su un orizzonte temporale illimitato l'attualizzazione del flusso dei dividendi attesi si calcola secondo la seguente espressione:




W= (DIV t/ (1+r)^t)

Dove il contatore va fino a più infinito e non si ferma a n anni.


Questa formula può essere divisa in due parti e diviene pertanto la seguente:


W= ( DIVt/(1+r)^t ) + (Wn/(1+r)^n)


Dove il contatore si ferma ad n anni.


 











Dove,

W: valore economico del capitale proprio;

DIV t: ammontare dei dividendi attesi per l'anno t;

r: costo opportunità del capitale proprio;


Se l'orizzonte temporale è limitato allora la formula da utilizzare è la seguente:




W = DIV t/ (1+r)^t


Dove il contatore si ferma a n anni.

 









La formula dei flussi infiniti dei dividenti(spezzata in due parti) è spezzata in due parti: il flusso attualizzato dei dividendi attesi fino a un orizzonte finito, più il valore che il capitale è atteso avere al tempo n, cioè all'anno fino a cui si proietta la successione analitica dei dividendi futuri.

Anche tale valore , indicato con W n, deve ovviamente essere riportato al tempo zero.

Se si considera che questo secondo addendo(noto come valore residuo) altro non è che l'espressione dei dividendi attesi dal periodo n+1 all'infinito , si comprende la divisione in due parti della formula sui flussi di dividendi attesi in un arco temporale illimitato.


6.3.2.: IL TASSO DI ATTUALIZZAZIONE: CENNI E RINVIO:

Non meno complessa è la questione inerente alla definizione del tasso r con il quale procedere all'attualizzazione.

Il tasso in oggetto rappresenta un costo opportunità del capitale, cioè il rendimento atteso da investimenti confrontabili sul piano del rischio.

Dovendo, inoltre, servire per scontare un flusso di dividendi, cioè la remunerazione dei mezzi finanziari a pieno rischio, se ne deduce che dovrà trattarsi di un costo del capitale proprio( Ke) sulle cui modalità di calcolo si rinvia al prossimo capitolo.


6.3.3.: PERCORSI ALTERNATIVI ALLA STIMA DEL CAPITALE ECONOMICO:

a)   attualizzazione dei redditi futuri:

La valutazione del capitale economico basata sull'attualizzazione di flussi di reddito può configurarsi in più modi in relazione alla caratterizzazione temporale del flusso di reddito da attualizzare.

Il caso più frequente fa riferimento a una serie illimitata di flussi di reddito, ma esprime tali redditi futuri non già come successione di singoli dati di reddito attesi  per i vari anni a venire, bensì come reddito medio annuo normalizzato ( R ) secondo la nota formula:






b)   attualizzazione dei flussi di cassa disponibili:

Il flusso di cassa disponibile(o free cash flow) , per un'azienda che si finanzia interamente con capitale proprio, è dato da:



REDDITO NETTO  +/- COSTI(RICAVI) SENZA ESBORSO - INVESTIMENTI NETTI IN CAPITALE FISSO E CIRCOLANTE.


 







Esso rappresenta, se positivo, quanto può essere prelevato sotto forma di dividendo senza intaccare le esigenze di tutela della redditività futura; se negativo, rappresenta invece di quanto l'investitore a titolo di rischio si deve privare per far fronte alle richieste della gestione.


Il flusso di cassa disponibile sembra meglio cogliere le alterne dinamiche del capitale nei singoli periodi futuri.

Il free cash flow appare come un riferimento più generalizzabile rispetto alla stima diretta dei dividendi futuri e sarà pertanto ad esso che, di preferenza, si farà riferimento.


6.4.: REDDITIVITA' CONTABILE E VALORE:





CAPITOLO 7: IL COSTO DEL CAPITALE:


7.1.: GENERALITA':

Nel precedente capitolo, introducendo i fondamenti metodologici per la stima del valore economico di un bene, abbiamo sottolineato come questo dipenda sostanzialmente da tre fattori:

i benefici che è atteso generare nel futuro;

il valore finanziario del tempo;

il rischio;


I benefici sono misurati dai futuri flussi di cassa la cui natura varia a seconda del tipo di bene di cui si intende stimare il valore.

In prima approssimazione si può dire che, se oggetto di calcolo è il prezzo di un titolo azionario o il valore complessivo del capitale proprio, il flusso in questione dovrà essere un flusso di dividendi; se invece la valutazione ha per oggetto il capitale complessivamente investito in una data iniziativa , allora di dovrà fare riferimento ai flussi di cassa operativi che l'iniziativa in questione è attesa generare.

I prossimi capitoli chiariranno meglio per quali problematiche sia opportuno ricorrere all'una o all'altra configurazione di flusso monetario.

Si considerino ora gli altri due fattori sopra menzionati. Cioè il valore finanziario del tempo ed il rischio.

Essi, nel processo di calcolo che porta a stimare il valore di un bebe, trovano espressione nel tasso di attualizzazione , parametro tanto importante, quanto refrattario a una quantificazione oggettiva, nonostante i tentativi in tal senso delle moderne teorie finanziarie.


7.2.: RENDIMENTI E COSTI: UNO SGUARDO D'INSIEME:

Si osservi la figura 7.1.

Essa rappresenta visivamente la relazione che sussiste tra i diversi tassi di sconto sin qui menzionati.

Si noti, in particolare, come il tasso di attualizzazione mediante il quale determinare il valore del capitale investito in una data attività possa derivare sia da un ragionamento condotto sul lato dell'attivo, come il rendimento di impieghi alternativi che presentano lo stesso rischio operativo, sia ragionando sul lato del passivo, come costo delle fonti di finanziamento utilizzate.

In questa seconda prospettiva il costo del capitale deve intendersi come media ponderata, del costo delle singole fonti di finanziamento(capitale proprio e debiti finanziari) e viene, in quanto tale, indicato come costo medio ponderato del capitale.


7.3.: IL COSTO MEDIO PONDERATO DEL CAPITALE:

Come l'espressione lascia intendere, il costo medio ponderato del capitale(d'ora in poi indicato con K) non è altro che una media dei costi delle varie fonti di finanziamento, pesati in base all'incidenza di ciascuna fonte sul totale.

Sarà cioè:




K= Ke*(W/V)+in*(D/V)



 


Dove

K: costo medio del capitale( o costo del capitale investito);

Ke: costo del capitale proprio;

in: costo dei debiti finanziari al netto del risparmio d'imposta;

W: valore economico del capitale proprio;

D: valore economico dei debiti finanziamento;

V: valore economico del capitale investito(V=W+D);

W/V e D/V : incidenza del capitale proprio e dei debiti finanziari sul totale delle fonti.


Esempio:

si supponga:

i = 12%

t= 0,5%

Ke=14%

D/V=0,4

W/V=0,6


Ricordando che in = i*(1-t) e applicando la formula si ottiene:


K=14%*0,6 + 12%*(1-0,5)*0,4 = 10,8%


Alla luce delle considerazioni svolte nel primo paragrafo, il saggio cui si è pervenuti(K=10,8%) identifica il tasso mediante il quale attualizzare dei flussi di cassa operativi, comprensivi, cioè, sia della parte destinata a remunerare il capitale di rischi, sia della parte destinata a remunerare il capitale di debito.

Vedremo come un saggio di attualizzazione così configurato trovi applicazione nelle decisioni d'investimento e nelle valutazioni d'azienda condotte secondo la metodologia dell' unlevered cash flow.

Non sarebbe, invece, corretto impiegarlo per attualizzare un flusso di dividendi perché, trattandosi di un flusso monetario destinato a remunerare il capitale a pieno rischio, deve, per coerenza, venire scontato con il costo del solo capitale proprio(Ke).


7.4.: IL COSTO DEL CAPITALE PROPRIO SECONDO LE MODERNE TEORIE FINANZIARIE:

Poiché il costo del capitale proprio si identifica nella redditività minima soddisfacente che l'azienda deve garantire a chi investe in essa con il vincolo del pieno rischio, diventa nodale istituire una qualche relazione fra il rischio di un investimento e il rendimento atteso.

L'argomento, sia pure nei limiti consentiti dalle finalità di questo libro, verrà affrontato seguendo gli sviluppi della moderna teoria finanziaria che trova nel Capital Asset Pricing Model(CAPM) lo schema metodologico più consolidato.


7.4.1.: IL PREMIO PER IL RISCHIO:

In un precedente paragrafo, dedicato a individuare dei parametri di confronto per gli indici contabili di redditività, si era definito il rendimento atteso da un impiego rischioso ( r) come formato da due componenti: il rendimento di investimenti privi di rischio( r°) e una maggiorazione ( P) da apportare a tale rendimento base per tenere conto del rischio.

Si avrebbe pertanto:



r = r° + P


 






Questa semplice relazione costituisce il punto di partenza di tutte le moderne teorie per la misura del rendimento atteso da impieghi rischiosi, intendendo come tali tipicamente gli investimenti in titoli azionari.

Il problema maggiore è ovviamente rappresentato dalla quantificazione di P.

Se , infatti, il rendimento di impieghi a rischio nullo ( r° ) può essere stimato con relativa facilità con riferimento, ad esempio, agli impieghi in titoli di stato a breve termine, assai più complessa si presenta la stima del premio per il rischio : rischio che, trattandosi di valutare il costo del capitale proprio, risente sia degli aspetti operativi della gestione(rischio operativo) sia delle politiche finanziarie(rischio finanziario).

L'analisi della relazione rischio - rendimento è stata sviluppata, sulla base di alcuni assunti fondamentali, nell'ambito della determinazione del prezzo dei titoli azionari.

Gli assunti in questione, qui brevemente richiamati, riguardano:

a)   l'ipotesi di un mercato finanziario efficiente, cioè di un mercato nel quale tutti gli operatori dispongono delle medesime informazioni e tutte le informazioni rilevanti si riflettono sulle quotazioni dei titoli;

b)   un atteggiamento di avversione al rischio da parte degli investitori


Alla luce di questa premessa, vediamo dunque come la teoria finanziaria abbia affrontato il problema della misura del rischio di un investimento azionario.


7.4.2.: IL RISCHIO DI UN TITOLO AZIONARIO:



Si consideri dapprima un singolo investimento.

Il rischio ad esso associato viene definito come la possibilità che il rendimento effettivo diverga dal rendimento previsto, sia in senso positivo che negativo.

L'entità di tale rischio dipenderà pertanto dallo scarto fra rendimento previsto e rendimento effettivo e dalla probabilità  che l'evento si verifichi.

Conoscendo la distribuzione di probabilità dei rendimenti previsti di un titolo è possibile misurarne il rischio.

Le tipiche misure che la statistica mette a disposizione al riguardo sono la varianza( ò^2)e lo scarto quadratico medio( ò) che esprimono la dispersione dei risultati attesi dall'investimento rispetto al valore medio atteso.


Per varianza (ò^2) di una distribuzione si intende la media ponderata del quadrato degli scostamenti dalla media: sarà , cioè:







Dove,:

xi: è il valore iesimo della variabile considerata(nel nostro caso il rendimento previsto di un titolo);

pi: è la probabilità che xi ha di manifestarsi;

x: è il valore medio atteso ed è così ottenuto:   x=somme con i da 1 a n di xi*pi


Lo scarto quadratico medio(ò) è la radice quadrata della varianza, cioè:




Quest'ultimo è di solito preferito come misura di variabilità essendo espresso nella stessa unità di misura della variabile oggetto di misurazione.



7.4.3.:RENDIMENTO E RISCHIO DI UN PORTAFOGLIO TITOLI:

La diversificazione agisce sul rendimento e sul rischio di un portafoglio di investimenti.


a)   rendimento di un portafoglio:

il rendimento del portafoglio è semplicemente la media ponderata dei rendimenti attesi dai titoli che lo compongono, essendo i pesi rappresentati dalle quote con cui ciascun titolo è presente nel portafoglio stesso.


b)   rischio di un portafoglio:

analogamente a quanto visto per il singolo titolo, il rischio di un portafoglio viene misurato in termini di scarto quadratico medio8 e di varianza).



La diversificazione riduce il rischio migliorando per l'investitore il rapporto fra rischio e rendimento.


7.4.4.: COME LA DIVERSIFICAZIONE RIDUCE IL RISCHIO DI UN PORTAFOGLIO:


7.4.5.: RISCHIO DIVERSIFICABILE E NON DIVERSIFICABILE:

Si osservi la figura 7.3. .

Essa illustra graficamente come si riduce il rischio di un portafoglio al crescere del numero di titoli che ne fanno parte.


Rischio del

Portafoglio  rischio diversificabile o specifico.

( òp)



rischio non diversificabile o sistematico



20 n°. di titoli in portafoglio


La riduzione, dapprima molto accentuata, si attenua fortemente al crescere del numero di titoli in portafoglio fino ad annullarsi quando il portafoglio raggiunge certe dimensioni superate le quali lo scarto quadratico medio si attesta su livelli non ulteriormente comprimibili.

Ciò significa che la diversificazione riduce, ma non annulla il rischio di un portafoglio.

Questo perché i casi di titoli con andamenti simili a quelli delle due aziende viste sopra(omissin) caratterizzati cioè da una perfetta correlazione negativa, rappresentano delle situazioni limite.

Questo componente di rischio non eliminabile prende il nome di rischio sistematico(o rischio di mercato, o rischio non diversificabile).

Esso si contrappone al rischio specifico(o rischio non sistematico, o rischio diversificabile) che rappresenta, invece, quella componente del rischio  globale di un titolo( e, più in generale, di un investimento) che può essere eliminata mediante una accorta diversificazione.

Mentre il rischio sistematico riflette la sensibilità di un titolo alla situazione economica generale, il rischio specifico riflette invece le peculiarità dell'azienda considerata e del sistema competitivo  in cui opera.

Partendo dal presupposto che gli investitori sono avversi al rischio e che la componente di rischio specifico può essere eliminata mediante un accorta diversificazione dei propri investimenti, la moderna teoria finanziaria giunge alla conclusione che ciò che interessa, nel valutare il rendimento di un titolo è il solo rischio sistematico ad esso associato, perché solo questo contribuisce al rischio del portafoglio detenuto dall'investitore.

Se quanto sopra è condivisibile, il problema della stima del rischio si traduce nella necessità di misurare il solo rischio sistematico, cioè il contributo che il singolo titolo dà al rischio sistematico di un portafoglio ben diversificato.


7.4.6.: COME MISURARE IL RISCHIO SISTEMATICO DI UN TITOLO:

Il rischio sistematico di un titolo azionario riflette la sensibilità che i rendimenti del titolo hanno rispetto alla situazione economica generale.

Quello che genericamente è stato indicato come portafoglio ben diversificato si identifica, secondo il CAPM, nel cosiddetto portafoglio di mercato.

In teoria, questo dovrebbe rappresentare l'insieme di tutti gli investimenti in attività rischiose; nella pratica corrisponde a un paniere di titoli rispetto al quale vengono misurate le performance del mercato azionario.

Il rischio sistematico di un titolo viene pertanto quantificato ponendo in relazione le variazioni nel rendimento del titolo con le variazioni nel rendimento del portafoglio di mercato espresse attraverso un indice che ne misura il rendimento medio ponderato.

La misura di questa relazione si chiama Beta(B).

Il B di un titolo altro non è che il coefficiente angolare della retta (detta retta caratteristica del titolo) che pone in relazione le variazioni nel rendimento del portafoglio di mercato con le corrispondenti variazioni nel rendimento del titolo.



7.4.7.: RELAZIONE FRA RISCHIO E RENDIMENTO SECONDO IL CAPM:

Le argomentazioni sin qui sviluppate ci hanno portato ad affermare che:

il rischio di un investimento in capitale azionario è formato da due componenti denominate rischio specifico e rischio sistematico;

il rischio specifico può venire eliminato da una accorta politica di diversificazione del portafoglio investimenti;

il rischio sistematico non è invece eliminabile tramite diversificazioni perché riflette la tendenza di tutti i titoli a muoversi con la situazione economica generale;

un investitore con un portafoglio titoli ben diversificato avrà quindi interesse solo alla remunerazione del rischio sistematico;

il portafoglio più efficiente, cioè quello con il più alto rapporto rendimento - rischio, è il portafoglio di mercato;

il rischio sistematico di un titolo viene misurato dal suo coefficiente B che segnala come si muovono i rendimenti del titolo rispetto ai movimenti del portafoglio di mercato.


Secondo il CAPM, gli investitori hanno dunque a disposizione due portafogli - base:

il portafoglio di mercato, con rendimento rm e B pari a 1;

il portafoglio degli investimenti a rischio nullo, con rendimento r° e B pari a zero.


La relazione tra rendimento atteso e rischio sistematico per una qualunque combinazione di investimenti nei due portafogli suddetti, è la seguente:




 





Essa mette in evidenza come il rendimento atteso da uno specifico investimento sia in funzione di due parametri, il rendimento atteso dagli impieghi a rischio nullo( r°) e il premio per il rischio( rm - r°) e vari in proporzione diretta con il rischio sistematico dell'investimento stesso, cioè con il sue B.


7.4.8.: STRATEGIE D'INVESTIMENTO:

Partendo dall'assunto che ogni investitore ha la possibilità di investire e di indebitarsi al tasso r°, le alternative a sua disposizione saranno le seguenti:

a)   impiegare tutti i fondi a sua disposizione nel portafoglio senza rischio, conseguendo il rendimento r°;

b)   impiegare tutti i fondi nel portafoglio di mercato, con l'attesa di un rendimento pari a rm, cioè di un premio per il rischio pari al premio medio rm - r°;

c)    impiegare i fondi disponibili in parte nel portafoglio di mercato e in parte nel portafoglio a rischio nullo;

d)   indebitarsi al tasso r° e investire nel portafoglio di mercato un ammontare superiore alle proprie disponibilità iniziali;


Veniamo ora al punto nodale della nostra trattazione.

Poiché l'investitore, attraverso un opportuno mix dei propri investimenti nei due portafogli base, può raggiungere una qualunque combinazione redditività - rischio sulla linea del mercato dei capitali, questa viene a rappresentare uno standard di riferimento per definire il rendimento atteso da qualunque altro investimento o portafoglio di investimenti.

In base a questa conclusione, che è l'essenza del CAPM,la formula ultima scritta, può essere usata per stimare il rendimento atteso da un qualsivoglia impiego in attività rischiose, sia di tipo finanziario, sia di tipo reale.


7.4.9.: LA STIMA DEI RENDIMENTI ATTESI:


7.4.10.: LA STIMA DEI RENDIMENTI ATTESI: ULTERIORI CONSIDERAZIONI:

Per quanto concerne il primo punto ci limitiamo a segnalare alcuni dei principali problemi legati all'uso del CAPM .

Essi riguardano:

l'attitudine di parametri quantificati elaborando dati storici pr approssimare i rendimenti futuri;

la concreta utilità che i coefficienti B, ricavati dal mercato borsistico ed espressione, quindi, del rischio dell'azienda nel suo complesso, possono avere per calcolare il rendimento atteso di parti di azienda, quali un progetto di investimento o un alternativa strategica, la cui rischiosità può essere significativamente diversa da quella media aziendale espressione del B;

l'esigenza di tener conto, quando si utilizzano dei coefficienti B di derivazione statistica, di come sugli stessi si riflettono le politiche d'indebitamento e il collegato rischio finanziario.


In conclusione del capitolo, desideriamo ancora sottolineare come la stima del costo del capitale non debba comunque mai ridursi a un fatto meccanicistico, rappresentando uno dei compiti più qualificanti del manager finanziario.







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