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PREMESSA
L'interesse suscitato dall'acquacoltura in ambito nazionale e sovranazionale ed il continuo e progressivo aumento della produzione d'organismi acquatici mediante tecniche colturali ha risvegliato l'interesse sia di produttori agricoli sia d'imprenditori operanti nei settori commerciali ed industriali.
Ciò ha reso disponibili notevoli flussi di capitali che hanno favorito il passaggio dell'acquacoltura da una situazione di empirismo ad una fase avanzata caratterizzata da importanti innovazioni tecnologiche.
Tale trend si è manifestato sia nei paesi ad economie avanzate (Europa Occidentale, Paesi Scandinavi, Israele, Giappone ecc.) che emergenti (Filippine, Cina, Taiwan, Ecuador, ecc.) che hanno attivato programmi di ricerca per lo sviluppo di un'acquacoltura consolidata.
La possibilità di ottenere proteine ad alto valore biologico ha fatto si che l'allevamento di organismi acquatici mediante tecnologie a basso costo abbia trovato e trovi un 'ampia diffusione anche nei paesi in via di sviluppo contribuendo in tal modo a risolvere il loro cronico deficit proteico.
L'Italia, con i suoi 8.000 km di coste, 150.000 ha di lagune e stagni salmastri, 170.000 ha di bacini lacustri e l'abbondanza di acqua sorgiva ed artesiana, sia fredda sia calda, gode nell'ambito dell'Europa comunitaria condizioni naturali particolarmente favorevoli per lo sviluppo tanto della piscicoltura d'acqua dolce che di quella in acqua salmastra e marina, per le quali si può oggi contare anche una larga disponibilità di effluenti termici da impianti termoelettrici ed industriali.
Seguendo una linea di tendenza comune ad altri paesi industrializzati anche in Italia a partire dagli anni '60 si è assistito ad un progressivo affermarsi di sistemi di allevamento intensivo in grado di coprire l'intero ciclo biologico del pesce sino al raggiungimento della taglia commerciale, come nel caso della trota iridea, del pesce gatto, della carpa, e ultimamente, del branzino; oppure di assicurare unicamente la fase dell'accrescimento corporeo e dell'ingrasso, come per l'anguilla, ovvero solo la riproduzione e lo svezzamento larvale per soddisfare la domanda di novellame da semina destinato ad impianti a conduzione estensiva o semintensiva, come nel caso dell'orata, od a ripopolamento, come per la trota fario e marmorata, il luccio ed il persico.
Le necessità di incrementare le produzioni di organismi acquatici sia di acque dolci che salate è particolarmente sentita nel nostro Paese gravato da un forte deficit della bilancia commerciale relativamente al settore dei prodotti ittici.
Tutti i casi in cui esistono risorse ambientali idonee allo sviluppo di attività di acquacoltura vanno valutati positivamente, purché sussistano condizioni tali da giustificare vita autonoma in termini economici anche considerata nel contesto produttivo preesistente.
In queste condizioni l'attività di piscicoltura, ad esempio, può rappresentare una delle pratiche colturali concorrenti alla produzione del reddito agricolo aziendale, con riflessi non trascurabili anche a livello globale quando tali strategie trovino ampia diffusione.
Ciò anche con l'obiettivo di stimolare ed incentivare sul territorio nazionale modelli di produzione che, oltre a contribuire alla formazione di reddito, possano stimolare lo sviluppo di tecnologie e la formazione di figure idonee a fornire servizi ed assistenza tecnica.
In tale contesto, si inserisce il lavoro di ricerca effettuato in Puglia, il cui mercato agro-alimentare in generale e quello dei prodotti ittici in particolare è sottoposto ad una forte trasformazione con una conseguente rielaborazione dei ruoli del produttore e del consumatore dei prodotti agricoli.
Infatti, la crisi economica che ha attraversato i mercati europei nei primi anni '90, con conseguenze estese al nostro territorio, ha portato ad un cambiamento strutturale dei comportamenti del consumatore che, oltre a ricercare prodotti di elevata qualità, mira ad un contenimento del prezzo pagato.
Su queste basi si è sviluppato un iter analitico partendo dalle caratteristiche dell'acquacoltura in generale e in rapporto alla pesca, per poi esaminare il fenomeno a livello comunitario e nazionale.
Successivamente, si è focalizzata l'attenzione sulla realtà acquacolturale della Regione Puglia, circoscrivendo l'analisi alla provincia di Bari con l'intento di guardare a tale attività come settore parallelo alla pesca e non come attività concorrenziale, elaborando quindi, un'ipotesi di pianificazione di intervento, viste le favorevoli condizioni ambientali e la capacità recettiva del territorio.
ACQUACOLTURA
1.1 CENNI STORICI
L'arte di coltivare pesci, sia pure empiricamente, conservando esemplari adulti dentro bacini e seminando specchi d'acqua limitati con novellame raccolto nei luoghi di frega o alla foce dei fiumi, è remota.
Fin dal 2000 a.C. i Sumeri mantenevano vivai di pesci commestibili; nello stesso periodo, di una sorta di carpicoltura troviamo notizie in Cina, condensate in un trattato che risale al 475 a.C.. mentre sappiamo per certo, da testimonianze scritte e da ruderi più o meno imponenti (S- Felice Circeo, Ponza, Anzio, Orbetello), che gli Etruschi ed i Romani allevavano tinche e carpe, ma soprattutto specie marine e di acqua salmastra, in vasche collegate al mare mediante una complessa rete di canali artificiali.
Anche l'allevamento dell'ostrica tarantina (Ostrea edulis tarentina ) trovò particolare favore presso i Romani, che nelle città pugliese allestirono veri e propri parchi ostreicoli, citati da Plinio nella Naturalis Historia ( I sec d.C. ).
L'ostricoltura, in particolare, faceva uso di tecniche complesse, sostanzialmente simili a quelle praticate fino ad alcuni decenni or sono.
Esse consistevano nella raccolta del novellame naturale alle foci dei fiumi, attraverso la sommersione di fascine di lentisco (Pistacia lentiscus) e nel successivo ingrasso in specchi d'acqua protetti.
Già allora era nota la possibilità di migliorare il sapore delle carni di ostrica mediante la stabulazione in bacini di raccolta, che furono introdotti e sperimentati per la prima volta da Sergio Orata.
Allevamento ed addomesticamento dei pesci stavano anzi molto a cuore all'alta società romana e ne costituivano uno dei passatempi più costosi ed esclusivi. Le invasioni barbariche chiusero definitivamente il capitolo.
La carpicoltura vera e propria sembra avere avuto origine, in Europa, nei distretti del Basso Danubio, e doveva essere ben sviluppata nell'812, se Carlomagno emanò delle ordinanze che la riguardavano. Essa godette di un forte impulso nei secoli XV e XVI, parallelamente al fiorire dei conventi i cui monaci, come e più degli altri cittadini, dovevano procurarsi cibo adatto ai lunghi ed obbligati periodi di astinenza e di digiuno.
La carpicoltura decadde, insieme con il decadere delle comunità religiose e lo sviluppo dell'agricoltura, nel secolo XVIII ed è ricomparsa, come attività di un certo peso, solo alla metà del secolo XIX per opera di allevatori come DUBISCH e SUSTA, i cui metodi vengono ancor oggi parzialmente seguiti.
La troticoltura, assai più giovane, è praticamente nata con la scoperta della fecondazione artificiale.
Da un antico manoscritto ritrovato in una Abbazia francese, si deduce che già nel XIV secolo un monaco aveva sperimentato una cassetta di incubazione per uova di Salmonidi fecondate naturalmente, ma i tempi non erano maturi e l'esperimento, dapprima "contestato", cadde nel dimenticatoio.
Il primo ad ottenere la fecondazione artificiale di uova di Salmonidi, ed il loro sviluppo in cassette incubatrici, fu il prussiano IACOBI, forse ispirato dalle ricerche egli pubblicò un lavoro, del nostro SPALLANZANI sulle rane.
Nel 1763, egli pubblicò un lavoro, frutto di osservazioni decennali in ruscelli montani, tradotto in varie lingue, che non ebbe però la risonanza meritata e prevedibile.
Più tardi due pescatori francesi Remy e Gebin, portarono avanti gli esperimenti di Jacobi: per i risultati ottenuti, essi ebbero grandi riconoscimenti e le loro esperienze furono raccolte in un volume intitolato "L'Arte di Seminare i Pesci come si Seminano i Cereali».
Il governo francese finanziò la continuazione degli studi e, nel 1854, nacque in Alsazia il primo moderno stabilimento europeo di piscicoltura.
Ad Avigliana, nel 1860, grazie allo zoologo De Filippi, sorse il primo stabilimento ittiogenico italiano, pochi anni dopo in Inghilterra, fu creato il primo incubatoio.
Queste importanti iniziative aprirono la strada al fiorire di numerose piscicolture in tutta Europa.
Verso la fine del 1800 Wrasskij introdusse la fecondazione artificiale a secco, consistente nel mescolare i prodotti sessuali in assenza di acqua, tecnica che è alla base della moderna piscicoltura.
L'allevamento delle specie eurialine fa parte della storia più recente della piscicoltura. Anch'esso ha goduto di un forte impulso grazie alle tecniche di riproduzione artificiale che hanno consentito l'approvvigionamento degli avannotti senza dover ricorrere alla cattura di quelli selvatici.
1.2 GENERALITA'
La progressiva diminuzione del tasso di incremento annuale della produzione della pesca, manifestatasi nel corso degli anni '60-'70 e proseguita negli anni '80 da una parte, ed il progressivo aumento del fabbisogno proteico della popolazione mondiale dall'altra, sono alla base del grande sviluppo che sta vivendo la moderna acquacoltura.
Di conseguenza, vi è un rinnovato interesse per le potenzialità produttive della piscicoltura, e più in generale dell'acquacoltura, anche al fine di poter soddisfare la domanda di 110 milioni di tonnellate/anno di prodotti ittici prevista per la fine del secolo.
Nel 1991 le risorse alimentari prodotte mediante tecniche acquacolturali hanno superato i 16 milioni di tonnellate, di cui il 52,7% è riferibile all'allevamento di pesci, il 23,5% alla coltivazione delle alghe e piante acquatiche, il 18,7% a molluschi, mentre il rimanente 5,1% è attribuibile a crostacei.
Le produzioni derivanti da attività di acquacoltura hanno fatto registrare un aumento medio annuo del 13,6% con una più sensibile accelerazione nel quinquennio 1984-88 quando l'applicazione pratica delle conoscenze scientifiche in campo biologico (puntualizzazione di tecniche di riproduzione artificiale) ha reso possibile il rafforzamento dell'intero comparto e soprattutto della piscicoltura. Secondo una indagine recentemente pubblicata dalla FAO, che fa riferimento al 1991, il numero di organismi acquatici allevati nel mondo supererebbe le 160 specie.
Si prevede che, per l'anno 2000, questa espansione porti la produzione a circa 50 milioni di tonnellate/anno, interessando un'area molto più vasta dei 4 milioni di ettari attuali.
Ciò consentirà in futuro di controbilanciare in modo più adeguato tecnologie di tipo " duro", affidate a sistemi per la cattura del pesce a carattere invasivo e distruttivo, con tecnologie di tipo "morbido", affidate a sistemi circoscritti e ricostitutivi basati sulla domesticazione del pesce.
Si tratta, in definitiva, di applicare all'ambiente acquatico, di per sé meno familiare e controllabile, la stessa strategia che, sulla terraferma, ha già permesso di sostituire la raccolta di vegetali con l'agricoltura e la caccia con l'allevamento di animali.
E' da osservare tuttavia che, per la sproporzione esistente tra il volume acqueo colonizzato dai pesci e quello colonizzabile dall'uomo a scopo di allevamento, non sarà mai possibile rimpiazzare completamente l'industria della pesca con attività piscicole ed entrambe, quindi, continueranno ad interagire ed a competere sul mercato.
Le ragioni di tanto interesse per la produzione d'organismi acquatici, quali pesci, crostacei, molluschi e alghe, sono molteplici, fortemente diversificate e talvolta contraddittorie.
Tra queste primeggia la forte domanda di prodotti di un certo pregio, destinati al consumo diretto, l'interesse ad intraprendere nuove attività produttive e la possibilità di utilizzazione delle aree marginali ancora disponibili.
A ciò si deve aggiungere l'impossibilità di ulteriore incremento delle capacità produttive della pesca, non più in grado di soddisfare le richieste di una forte crescita demografica.
Allo stato attuale la produzione mondiale dell'acquacoltura si aggira intorno al 12% della produzione della pesca, e tutte le proiezioni fanno ritenere che la crescita del settore, grazie alla messa a punto di tecnologie di riproduzione artificiale e allevamento, sarà certamente rapida.
Il raffronto tra pesca ed acquacoltura deve essere comunque condotto con molta attenzione, proprio perché i due settori pur avendo in comune gli organismi acquatici, rappresentano due livelli differenti delle attività umane.
L'acquacoltura è certamente ascrivibile tra attività di tipo agro - zootecnico, per le quali pur esistendo approcci tecnologicamente avanzati, non si può ancora né si potrà mai operare con quei criteri e quelle leggi che caratterizzano le attività industriali.
Negli anni che hanno contraddistinto lo sviluppo dell'acquacoltura italiana, si è spesso erroneamente considerato questo settore come un comparto industriale senza tener presente la componente ambientale, i rischi biologici, la mancanza di una standardizzazione genetica degli animali in allevamento, fattori questi che rendono ancora incerte le previsioni produttive, per cui anche nel caso di comparti consolidati, non è possibile applicare un approccio di tipo industriale alla produzione da acquacoltura.
La cura richiesta durante i cicli produttivi, la sensibilità e la competenza richiesta all'operatore, sono tipiche della produzione animale e del mondo agricolo, dai quali l'acquacoltura apparentemente si discosta perché praticata in ambiente acquatico, sia dolce che salmastro, o marino.
Nonostante ciò, l'attenzione dedicata dal mondo agricolo all'acquacoltura è stata piuttosto modesta, ed operatori dei settori più svariati, oltre a quelli già impegnati nel comparto ittico o in forme tradizionali di piscicoltura, sono entrati nello scenario della moderna acquacoltura nazionale.
Le ragioni di tutto ciò sono molteplici, tra queste il fatto che la nuova acquacoltura si è sviluppata anche in direzione di specie marine ed in acque salate, oltre all'errata attribuzione iniziale di questo settore nell'ambito del comparto industriale.
Attualmente la matrice agricola risulta prevalente nell'acquacoltura nazionale, condotta nella maggior parte dei casi da imprenditori agricoli.
Alcune recenti disposizioni di legge hanno realisticamente equiparato l'acquacoltura alle altre attività agricole e la possibilità di accesso al credito agrario svolge l'importante funzione di supporto agli investimenti ed alla conduzione delle aziende.
Si tratta di incentivare e stimolare una maggiore informazione sul quadro generale dell'acquacoltura in Italia, per consentirne un razionale e coordinato sviluppo senza cadere nelle errate valutazioni del passato che hanno portato a considerare l'acquacoltura come un comparto caratterizzato da un relativamente facile accesso e da una elevata redditività.
La richiesta sempre crescente di prodotti della pesca, congiuntamente ai problemi connessi con l'inquinamento, sta provocando a livello mondiale un notevole depauperamento delle risorse naturali, con gravi rischi di sconvolgimento degli ecosistemi marini e d'acqua dolce.
Questa situazione, per molti paesi, Italia compresa, si traduce in un saldo negativo del settore dei prodotti ittici dovuto alle crescenti importazioni.
Una soluzione al problema può essere rappresentata dall'allevamento degli organismi acquatici richiesti.
L'acquacoltura può quindi essere intesa anche come strumento di programmazione ed uso delle risorse idriche : essa consente infatti di pianificare la produzione, ed inoltre può rappresentare una risposta a grandi problemi quali la tutela dell'ambiente e lo sviluppo di attività produttive alternative; infatti, l'elevata elasticità organizzativa, che permette di passare da forme di produzione estensive fino a sistemi fortemente intensivi, con tutta una serie di situazioni intermedie, fa sì che gli impianti di acquacoltura possano essere realizzati negli ambienti più disparati con ampie possibilità di integrazione con molti altri tipi di attività economiche, quali ad esempio quella agrituristica.
Lo sviluppo dell'acquacoltura segna il passaggio dei sistemi di approvvigionamento ittico dalla pura e semplice attività di raccolta delle risorse spontanee delle acque interne e costiere, caratteristica della pesca tradizionale, a pratiche produttive tecnologicamente sempre più controllate che mirano, per quanto possibile, ad una produzione che non sia aleatoria e che non risenta del depauperamento delle risorse naturali.
L'acquacoltura si caratterizza quindi come sistema produttivo a sé stante, diversificatosi dalla pesca, ma ad essa parallelo.
Ha tuttavia in comune con la pesca, nonostante la sostanziale differenza, alcuni elementi comuni (la natura dei prodotti, il mercato, il sistema commerciale, il settore della trasformazione) e, in alcuni casi, la matrice culturale, nonché importanti processi interattivi a livello biologico ed ecologico come nel caso della piscicoltura salmastra in cui l'allevamento nelle valli, negli stagni e nelle lagune, per tradizione si integra con la pesca costiera nello sfruttamento delle risorse ittiche.
Pesca ed acquacoltura, anche se apparentemente correlate, sono infatti attività diverse tra loro:
la prima ha origine nello sfruttamento, più o meno razionale, di risorse comunque presenti in natura;
la seconda, applicando metodi, tecnologie e conoscenze della moderna zootecnia, utilizza l'acqua come fattore di produzione.
L'acquacoltura non è una scienza univoca, ma un insieme di discipline che si occupano di un settore molto ricco di prospettive, ma estremamente complesso.
Si tratta, infatti, di un insieme di tecnologie volte all'utilizzazione in termini produttivi delle risorse biologiche e all'ottimizzazione dell'uso di risorse idriche e delle aree in concorrenza con altri utilizzi potenziali.
In generale la richiesta di territorio da parte del comparto agricolo tende progressivamente a diminuire.
Ciò avviene sia a causa dei tradizionali fattori di natura economica e sociale, sia per l'emergere di nuove esigenze legate al fattore ambiente.
L'acquacoltura in questo contesto, si trova a dover subire da un lato le conseguenze di una legislazione talora ispirata ad un demagogico senso di tutela ambientale, e d'altro lato a subire le conseguenze negative di una sempre maggiore difficoltà a reperire acque incontaminate idonee alla produzione delle specie ittiche.
1.3 RAPPORTO TRA ACQUACOLTURA E PESCA
Il Mediterraneo, e nella fattispecie quello che bagna le coste italiane, per le sue stesse condizioni fisico-chimiche e biologiche, ha una capacità ittica inferiore ad altri mari potenzialmente valutata sui 1.500 kg di pesce per km2 contro i 2.450 kg del Mare del Nord.
La reale produttività è oggi assai inferiore sia per l'eccessivo sfruttamento sia per il generalizzato inquinamento.
Il minore potenziale naturale è legato a diversi fattori.
Innanzi tutto il Mediterraneo è deficiente di sali nutritivi. I nitrati mancano addirittura dalla superficie alla profondità di 100 m e, negli strati sottostanti, non superano i 100 mg per metro cubo. La regolare circolazione della vita è quindi ostacolata.
E' relativamente povero di plancton, tranne che in alcune località, come lo Stretto di Messina e l'Alto Adriatico, dove sboccano il Po ed altri fiumi. Alla moltiplicazione del plancton sono sfavorevoli il basso tenore in sali nutritivi ed il tipo di illuminazione, di temperatura e di salinità. Il plancton che governa l'economia delle acque marine, è invece abbondantissimo nei mari freddi, poco salati, che fruiscono per molti dei mesi dell'anno di un'illuminazione più prolungata. Perciò i mari settentrionali sono tanto pescosi in generale e, in particolare, ricchi di pesci planctofagi, come sardine e aringhe.
I pesci hanno dimensioni minori rispetto a quelli dell'Atlantico. Basta fare un raffronto fra gli esemplari presentati sul mercato di Messina, uno dei migliori in Italia, e quello di Lisbona, per notare differenze di mole assai cospicue nelle sogliole, come nelle sardine, nelle aguglie ed in qualsiasi altra specie. La temperatura elevata delle acque, infatti, accelera lo sviluppo, sicché la maturità sessuale, dopo la quale l'accrescimento è modesto, è raggiunta più rapidamente. Un fenomeno fisiologicamente normale si traduce quindi in una diminuzione di reddito. Le temperature basse, rallentando il ritmo vitale, permettono poi ai singoli individui di vivere più a lungo e forse a più numerose generazioni di vivere contemporaneamente. In compenso, certi pesci, come le cernie, che prediligono le acque calde, si trovano in prevalenza nel Mediterraneo meridionale.
L'elevata salinità allontana molto i pesci, per cui l'assenza dei salmoni nel Mediterraneo e nei fiumi che vi si versano è da ascrivere a tale causa.
Nel Mediterraneo mancano altre specie ittiche d'elevato interesse mercantile, come aringa, merluzzo, halibut.
Le zone favorevoli alla vita dei pesci sono relativamente scarse per l'estensione relativamente modesta della platea continentale, nei cui bassi fondi vive una fauna assai appetita.
Ai limiti dinanzi descritti si aggiungono quelli derivanti da un'azione antropica negativa, che ha contribuito e contribuisce a depauperare ulteriormente le acque.
Gli interventi negativi dell'uomo si esplicano in primo luogo in un eccessivo sforzo di pesca, che la produzione limitata del Mediterraneo non può sopportare.
Alla luce delle moderne conoscenze, il concetto d'inesauribilità della vita del mare appare errato: di ciò occorre tener conto, proporzionando lo sfruttamento alle capacità produttive.
Assai dannosi sono inoltre l'impiego, inopportuno e largo, di mezzi di pesca distruttivi come la "pesca a strascico" e la cattura, a scopo alimentare, di migliaia d'avannotti, i cosiddetti "bianchetti", sottratti alla possibilità di crescere e riprodursi.
Dal che si può dedurre che una pesca razionale e controllata riesce utile! Ciò è tanto vero che, quando per una ragione qualsiasi l'opera dei pescatori viene meno e l'acqua può estrinsecare il proprio potenziale produttivo, le popolazioni animali aumentano.
Secondo, importantissimo ed attualissimo fattore, di depauperamento delle risorse del mare sono gli inquinamenti.
Anche se il mare, per la sua stessa vastità e la sua dinamica, è meno soggetto delle acque dolci a simile iattura, se ne lamentano ovunque casi evidenti e addirittura clamorosi.
In molte zone il plancton è quasi sparito e con esso i pesci di maggior pregio, lasciando il campo a quelle specie, come i mu 919g67j ggini, che amano un ambiente ricco di sostanza organica e scarsamente ossigenato.
Le polluzioni con idrocarburi, sia per perdite o addirittura affondamenti delle petroliere che per i trivellamenti subacquei in atto, vanno intensificandosi nelle zone litorali.
Si verificano, inoltre, sempre più spesso inquinamenti da antiparassitari, irrorati direttamente su paludi e baie per il controllo degli insetti.
Gli effetti dannosi su tali ecosistemi è duplice perché le acque salmastre e costiere costituiscono l'habitat permanente o temporaneo di apprezzate e sensibilissime specie di pesci, crostacei e molluschi oltre che la nutrizione dell'intero mare è condizionata da questa importante zona ecologica.
Con i fiumi scendono anche liquami cloacali e scarichi industriali diversi e perniciosi, che rendono il mare asfittico, sporco, malato e privo di vita fino a 2-3 km dalla riva.
Ne costituisce un esempio proprio il litorale dell'Alto Adriatico, quello potenzialmente più ricco di fauna ittica, ridotto in condizioni preoccupanti ed in cui ormai annualmente si ripete il fenomeno della "eutrofizzazione", causa di gravi morie.
In tale contesto lo sviluppo del settore acquacoltura nel nostro paese è da auspicare, in quanto nella prospettiva di un ulteriore aumento dei consumi di pesce, potrebbe diventare la principale fonte d'approvvigionamento di tali prodotti.
Se le produzioni risulteranno elevate è prevedibile che i prezzi delle specie più pregiate risultino maggiormente accessibili, la domanda dei prodotti ittici potrebbe essere ulteriormente incrementata apportando così particolare beneficio alla bilancia commerciale del nostro paese, la quale risulta in forte deficit sia relativamente all'acquisto di alimenti proteici sia riguardo al bilancio dell'import-export dei prodotti ittici.
1.4 IL SETTORE DELL'ACQUACOLTURA
La acquacoltura è la tecnica di allevamento di specie ittiche di acqua dolce o salmastra in ambienti naturali ed artificiali. Essa concerne specie pregiate, come trota, branzino, anguilla, orata, ed altre di valore economico inferiore, come carpa, tinca, pesce gatto e cefalo.
Sebbene le sue origini remote ed i successi ottenuti nel secolo scorso, l'acquacoltura non è stata però interessata dall'evoluzione tecnologica e dalla rapidissima meccanizzazione che hanno invece subito altri comparti produttivi del settore primario quali la zootecnia tradizionale, condotta da millenni sulla terraferma.
Le attività zootecniche, sviluppatesi nel corso delle diverse civiltà, fanno essenzialmente riferimento a specie dotate di particolari attitudini, che sono sempre risultate decisive al fine del loro adattamento alla vita domestica, quali:
gregarietà,
stanzialità,
socievolezza,
mansuetudine,
adattabilità a regimi alimentari diversificati.
In particolare per gli animali specializzati nella produzione di carne è indispensabile l'ottenimento di rapidi accrescimenti ponderali, fino al raggiungimento della taglia commerciale.
Molte specie ittiche, seppure in misura diversa, mostrano di possedere notevoli potenzialità produttive, o mostrano di acquisire tali attitudini quando sottoposte alle condizioni di allevamento.
Ciò ha permesso lo sviluppo delle prime forme di acquacoltura specializzata, basate sul semplice mantenimento ed accrescimento di individui prelevati dall'ambiente naturale allo stadio giovanile, ma sufficientemente sviluppati da resistere alle manipolazioni e sopravvivere in cattività con un'alimentazione appropriata.
Il principale ostacolo alla trasformazione di quest'attività in pratica allevatoria moderna, similmente a quanto accaduto nel settore della zootecnia per altre specie, va individuato proprio nelle difficoltà tecniche nella riproduzione, con produzione di semente in quantità e qualità soddisfacenti, nel mantenimento larvale e nel cosiddetto svezzamento, vale a dire il passaggio all'alimento artificiale.
In buona sostanza, si tratta di assicurare stabilmente il materiale da destinare alle fasi di allevamento riducendo la mortalità neonatale, senza dover dipendere dal reclutamento in natura, che comporta una serie di rischi ed inconvenienti, quali :
la possibilità di cali o carenze nelle catture;
la mancata selezione dei caratteri (razza, taglia, resistenza alle avversità, ecc.);
le difficoltà nel controllo sanitario;
la stretta dipendenza temporale dai cicli riproduttivi naturali.
Si può affermare che la citata valorizzazione dell'acquacoltura è dovuta soprattutto alla piscicoltura modernamente intesa che ha avuto grande sviluppo da qualche anno da quando in altre parole è possibile praticarla con metodi scientifici precisi che, da un lato, tengono conto delle esigenze fisiologiche ed igieniche, delle abitudini trofiche e delle caratteristiche riproduttive degli animali e, dall'altro, vi adeguano la quantità e la qualità delle acque ed i mangimi somministrati.
I progressi sono stati e sono davvero spettacolari: l'attività non ha oggi nulla da invidiare ad altre attività zootecniche ben più note e tradizionali ed incide in modo rilevante sull'economia dei paesi che la praticano.
In tutto il mondo si assiste ad un fervore di studi, d'iniziative e di realizzazioni che pongono il settore all'avanguardia: basti ricordare che con il suo 8% d'incremento produttivo annuo medio questo è l'unico settore zootecnico che sta al passo con l'incremento demografico della popolazione.
Del resto, quale altro allevamento animale è in grado di produrre annualmente, come certe forme di piscicoltura intensiva, 7-12 e più tonnellate di carne per ettaro, e, in casi limite, perfino 7 tonnellate in 50 metri quadrati?
Questa elevata capacità è legata a fattori diversi sinteticamente riferiti alla maggiore efficienza biologica.
I paesi leader, scientificamente e tecnologicamente, sono Giappone, Stati Uniti, Israele e Russia, ma molti altri europei ed extraeuropei, stanno rapidamente adeguandosi.
Un caso a parte è quello dei paesi dell'Estremo Oriente, Cina in testa, e dell'Africa, dove la stagnicoltura è praticata su larga scala da secoli, o sta sviluppandosi a buon ritmo come nella Repubblica di Corea, in quanto capace di fornire proteine d'origine animale a popolazioni che non potrebbero ottenerle altrimenti. È da rilevare che oggi circa l'80%, della produzione totale dell'acquacoltura proviene da appena 6 paesi asiatici.
1.5 FORME E TIPI DI PISCICOLTURA
Nella piscicoltura moderna, possiamo distinguere tre forme principali:
agricolo - industriale;
di ripopolamento;
ornamentale.
La piscicoltura agricola - industriale concerne l'allevamento delle specie ittiche di maggior pregio economico, e fisiologicamente più note, partendo dall'uovo o dagli avannotti, per arrivare alla immissione del pesce maturo sui mercati di vendita.
In questa categoria rientrano la troticoltura, la carpicoltura, l'allevamento del pesce gatto, l'anguillicoltura e la piscicoltura d'acque salmastre.
La piscicoltura di ripopolamento si occupa della fecondazione artificiale e dell'incubazione delle uova delle principali specie eulimnetiche, oggetto di pesca sportiva o professionale, per produrre esemplari che vengono seminati in acque pubbliche o private.
Ne fanno parte l'esocicoltura, o coltura dei lucci, sviluppata soprattutto in Europa e Nord America, la coregoniclotura, l'acipensericoltura o coltura degli storioni, tipica della Russia ma che si sta affermando anche in U.S.A. e Francia ed è ai primi passi in Italia, l'aterinicoltura, fiorente in America latina (pesci-re), la piscicoltura di cheppie, temoli, persico reale e persico trota.
Quando si dedica alla produzione di pesci di una certa taglia, e non si limita agli avannotti, la piscicoltura di ripopolamento rientra in parte in quella agricolo - industriale.
La piscicoltura ornamentale, infine, provvede al mantenimento, e talvolta alla riproduzione, di forme ornamentali, prevalentemente tropicali, di acqua salsa o dolce.
Il più comune esponente di questo mondo variopinto, il pesce rosso, viene fornito dalla piscicoltura agricolo - industriale.
In ogni caso occorre tenere presente, per una piscicoltura redditizia economicamente e tecnicamente razionale, che bisogna avvicinarsi alle temperature massime dell'acqua sopportate dalle rispettive specie, che favoriscono un migliore e più rapido accrescimento, senza tuttavia mai superarle, onde non incidere negativamente sulla sopravvivenza, legata, nel caso specifico, alla ricchezza in O2.
1.6 TIPOLOGIE DEGLI IMPIANTI
Le tipologie di allevamento ittico sono diverse e la scelta di una di esse, implica notevoli differenze circa le attività da svolgere in azienda, la produttività, la durata del ciclo, i consumi energetici e, non ultimo, sull'impatto ambientale.
Gli impianti di acquacoltura si possono genericamente suddividere in tre categorie:
Estensivi;
Intensivi;
Gabbie galleggianti.
In riferimento alla gestione degli impianti di acquacoltura operanti in Italia è possibile distinguere due tipi fondamentali d'impresa: azienda a conduzione con salariati e azienda a conduzione familiare.
Nella prima l'imprenditore si avvale dell'apporto esterno di manodopera agricola specializzata, nonché di personale direttivo qualificato e competente.
L'azienda condotta con salariati è ubicata generalmente sui terreni migliori dal punto di vista delle risorse idriche e dispone di mezzi tecnologici e capitali che le permettono di rispondere al meglio alle richieste del mercato.
Si avvale d'impianti coperti o all'aperto costruiti allo scopo, di fabbricati per il ricovero degli attrezzi, lo stoccaggio e la preparazione dei mangimi, di uffici commerciali e di tecnologie ed attrezzature razionali.
Tale tipo d'impresa si pone quale obiettivo una rapida produzione a minor costo dei pesci da consumo e, quindi, di massimizzare il profitto attraverso l'aumento della produzione, la riduzione dei costi e l'incremento del prezzo di vendita.
Alcune di queste aziende attuano l'intero ciclo d'allevamento, dai riproduttori ai soggetti di taglia commerciabile, mediante la produzione d'uova, avannotti e novellame; altre sono specializzate nella produzione di soggetti di un determinato stadio o di una certa taglia, altre ancora realizzano in proprio alcune fasi della trasformazione delle rispettive produzioni.
Questo tipo d'organizzazione aziendale presuppone un adeguato sostegno d'informazione, ricerca, assistenza e una strategia commerciale che qualifichi e modifichi il prodotto, assecondando richieste e gusti del consumatore.
L'impresa familiare nel caso di talune specie (pesce gatto, carpa, pesce rosso) è condotta come attività sussidiaria ad altra attività agricola di base e si limita in genere all'ingrasso di soggetti acquistati da altri piscicoltori o che si riproducono spontaneamente negli stagni, senza bisogno d'apparecchiature raffinate, né di personale particolarmente addestrato.
Nel caso dell'allevamento di specie quali la trota o l'anguilla, l'impianto d'acquacoltura può rappresentare, anche nel caso dell'azienda a conduzione familiare, la più importante fonte di reddito mentre l'attività agricola, qualora esista, svolge un ruolo del tutto secondario.
Questo tipo d'azienda è caratterizzata da modeste dimensioni territoriali (superficie media 2 ha) e da modeste possibilità economiche, spesso derivanti dalle limitate disponibilità di mezzi finanziari e tecnologici; in questo tipo d'impresa non è normalmente impiegata manodopera salariata.
Il principale obiettivo è la riduzione dei costi di produzione, derivante dalla bassa incidenza delle spese generali e di manodopera e dalla semplificazione della gestione.
Circa gli addetti a questo tipo d'allevamento si è riscontrata la presenza di figure professionali diverse quali il coltivatore diretto che ha costruito un allevamento e lo gestisce direttamente; allevatori che, singoli od associati, si dedicano alla piscicoltura come attività secondaria e svolgono una professione al di fuori dell'ambito agricolo.
1.6.1 GLI IMPIANTI ESTENSIVI
Dal punto di vista gestionale questa soluzione implica esclusivamente lo sfruttamento della potenzialità dei bacini naturali, in quanto le specie allevate acquisiscono nutrimento ed ossigeno direttamente dalle acque.
Solo in qualche caso si riscontrano modifiche di questa tecnica produttiva che evidenziano con somministrazioni di mangimi preconfezionati o con l'integrazione delle quantità d'ossigeno tramite ossigenatori.
Tale diversificazione è attuata per elevare la densità media d'allevamento che per questa tipologia è attorno a 1 -2 Kg/m3.
A caratterizzare questo tipo d'allevamento è certamente l'ubicazione degli stessi in siti naturali come laghi, insenature, valli e lagune, luoghi cioè che devono consentire il controllo del ciclo produttivo, agevolare le varie operazioni lavorazione, permettere di recuperare facilmente la produzione quando necessario.
Questo tipo d'impianti s'integrano positivamente col territorio in quanto presentano un ridotto impatto ambientale.
L'unico aspetto che può rivelarsi negativo riguarda il possibile inquinamento determinato dalla sostanza organica di rifiuto delle specie allevate ed i residui delle eventuali somministrazioni di mangime.
Se non si considerassero questi aspetti si potrebbe determinare uno sfruttamento eccessivo di determinate aree, sovradimensionando in numero o in superficie gli insediamenti produttivi.
Pertanto si rileva che è errato generalizzare affermando, che gli impianti di tipo estensivo non provocano effetti dannosi sugli ecosistemi.
Ciò è vero in linea generale, ma nella realtà si devono considerare i singoli casi.
Dal punto di vista economico questa tipologia ha il vantaggio di richiedere bassi costi, sia d'investimento iniziale, essendo evidentemente ridotta la dotazione tecnica necessaria, sia di gestione. Di contro il ciclo produttivo presenta durata notevole (anche 28 mesi) similmente a quanto accade in natura.
Spesso le produzioni risultano concentrate in determinati periodi dell'anno a causa della difficoltà di controllo e programmazione dell'accrescimento.
1.6.2 GLI IMPIANTI INTENSIVI
E' la tipologia adottata dalla quasi totalità delle aziende sorte negli ultimi anni; con essa si prevede il controllo integrale delle fasi del ciclo produttivo e delle condizioni in cui esso deve svilupparsi. Vengono attuati, infatti, un'alimentazione bilanciata con mangimi preconfezionati, il controllo delle quantità d'ossigeno in vasca e del numero di ricambi idrici.
Per realizzare ciò, è necessario che gli esemplari siano collocati in aree facilmente accessibili e ben definite.
Per questo si utilizzano bacini artificiali che possono essere costituiti da vasche in conglomerato cementizio armato, in terra o da invasi a struttura metallica.
Le differenze, oltre ad essere di natura prettamente tecnico - costruttiva, si possono riferire anche alla diversa integrazione che ciascuna di esse ha con il territorio.
Gli impianti intensivi sono classificati in base alle caratteristiche strutturali, nonché alle modalità ed ai tempi del processo produttivo, tanto da distinguere impianti a ciclo "chiuso" o "aperto" o a ciclo "integrato".
Sono definiti a ciclo chiuso quegli impianti dotati dell'avannotteria che provvede alla riproduzione delle specie allevate.
Spesso questo reparto costituisce un'attività parallela alla produzione di pesce da consumo, in quanto possono essere commercializzati gli avannotti che dovessero risultare eccedenti il fabbisogno aziendale.
Questa soluzione pur richiedendo, evidentemente, investimenti e costi di maggiore entità, comporta, in fase di gestione, un notevole risparmio sull'acquisto degli avannotti da ditte specializzate.
Inoltre l'avannotteria fornisce la certezza di immettere all'ingrasso avannotti selezionati, nonché la possibilità di programmare la produzione e in definitiva di assicurare una buona qualità del prodotto finale.
Gli allevamenti a ciclo aperto sono costituiti da strutture adatte esclusivamente all'ingrasso d'esemplari che sono acquistati da avannotterie.
Il ciclo integrato è caratteristico d'allevamenti intensivi nei quali, l'acqua che fuoriesce dalle vasche, prima di essere scaricata a mare, viene utilizzata per alimentare un secondo ciclo d'allevamento. Quest'ultimo si svolge in invasi che di solito presentano densità di peso allevato notevolmente inferiore rispetto al ciclo principale in quanto gli esemplari si accrescono sfruttando l'energia produttiva presente nelle acque già "utilizzate".
Il rendimento di tutti i processi illustrati migliora se a loro viene associata l'assistenza termica, in pratica se si dispone d'acque a temperatura di 24-26 oC.
In queste condizioni, i pesci si alimentano praticamente tutto l'anno in maniera costante, superando la fase di rallentamento dell'accrescimento ponderale che si verifica nei mesi invernali, quando le temperature dell'acqua tendono a scendere.
Tralasciando le considerazioni d'ordine biologico che sono alla base di questo comportamento, si vuole sottolineare come tale caratteristica consenta l'abbreviamento temporale del ciclo produttivo che può ridursi fino a metà per le specie eurialine.
Ciò, in termini economici, si traduce in un ammortamento più celere dei costi d'investimento e nella disponibilità costante di pesci a taglia commerciale.
Diversi sono gli elementi di un impianto intensivo che possono interagire negativamente con il territorio.
Le vasche in cemento variamente dimensionate presentano di solito altezza pari ad 1 -2 m e sono di forma rettangolare.
Sono tali manufatti che destano le maggiori problematiche dal punto di vista dell'impatto ambientale, in quanto si tratta d'opere stabili difficilmente eliminabili.
Esse costituiscono così un deturpamento definitivo del sito anche nel caso in cui l'impresa dovesse cessare l'attività.
Inoltre gli invasi di calcestruzzo cementizio si evidenziano come elementi paesaggisticamente negativi nell'ambito dell'ambiente costiero.
Ciò è stato rilevato, ad esempio, in alcuni impianti che sorgono in prossimità della scogliera; tali strutture sono state costruite in periodi antecedenti quello dell'entrata in vigore della legge del 8 settembre 1985 n.431, che ne avrebbe impedito la costruzione entro 300 metri dalla costa.
E' risultato altresì che i siti d'allocazione di tali aziende non sono suscettibili ad uso diverso da quello agricolo.
Un'altra tipologia costruttiva prevede la realizzazione degli invasi in terra.
Essi sono costituiti dai volumi che si creano scavando il terreno e riportando lateralmente il materiale.
Spesso le superfici interne sono impermeabilizzate tramite fogli di p.v.c.
Questi bacini attenuano sensibilmente l'impatto sul territorio e non sconvolgono lo stato dei luoghi, inoltre richiedono minori costi di costruzione; tali prerogative li propongono come possibile soluzione nell'ambito di progetti a basso impatto ambientale che sarà caratteristica sempre più discriminante in sede di selezione ed autorizzazione delle proposte.
1.6.3 LE GABBIE GALLEGGIANTI
Questo sistema d'allevamento si differenzia dagli altri in maniera sostanziale poiché è praticato in mare e non coinvolge direttamente la fascia costiera.
Si fratta di moduli che sono ancorati sul fondale, costituiti da una struttura galleggiante cui è collegata una rete che, separando una porzione di mare, costituisce la gabbia.
Concettualmente si possono paragonare agli allevamenti estensivi, visto che durata del processo produttivo e dotazione tecnica sono assimilabili; anche in questo caso, infatti, i pesci acquisiscono nutrimento ed ossigeno direttamente dal mare.
Impianti del genere sono in realtà, almeno nel nostro paese, solo sperimentali, in quanto alla semplicità di gestione si contrappongono difficoltà sulla scelta dei siti d'ubicazione.
Essi richiedono, infatti, un fondale regolare che consenta in pratica alle correnti di allontanare facilmente la sostanza organica che si produce, altrimenti si corre il rischio d'accumulo al disotto delle gabbie stesse con conseguenze sulla salute dei pesci, inoltre la sistemazione non deve avvenire in prossimità di luoghi balneari, e dovrebbero preferirsi tratti di mare riparati caratterizzati da una costa alta dalla quale poter controllare tutto l'impianto.
Non è semplice individuare un'area di mare con tutte queste caratteristiche, soprattutto in Italia, dove le coste raramente presentano tali caratteristiche; è giusto evidenziare inoltre le difficoltà di un controllo diretto dell'intero processo svolgendosi lo stesso praticamente in mare.
Ciò premesso, si può comunque affermare che questa tipologia è sicuramente quella che genera minori problemi d'inquinamento, richiede minori necessità energetiche ed inferiori investimenti iniziali.
1.7 IMPATTO AMBIENTALE
Anche in acquacoltura si sta verificando quanto precedentemente avvenuto nell'allevamento degli animali terrestri (ruminanti, suini, volatili):
una progressiva intensificazione dei sistemi d'allevamento, che comporta un aumento della densità degli animali per unità di superficie o volume (n° kg/m2 o m3 );
la standardizzazione di tutte le varie fasi del ciclo d'allevamento: riproduzione, allevamento delle fasi larvali e giovanili, ingrasso e pesca finale.
Le cause oggettive che spingono in tale direzione l'acquacoltura mondiale sono da ricercare da un lato nella continua necessità di remunerare meglio tutti i fattori produttivi (soprattutto il lavoro) e dall'altro nel minimizzare l'elevato rischio economico e le forti esposizioni finanziarie richieste per compiere i cicli produttivi, tuttora ben maggiori a quelle di qualsiasi altra forma d'allevamento.
A causa dell'alto numero di animali allevabili per unità di superficie, che comporta una quantità elevata e crescente di reflui prodotti, la "gestione" degli escreti animali è da tempo un problema scottante per la zootecnia in generale e, di riflesso, lo sta diventando anche per l'acquacoltura.
Infatti, l'opinione pubblica è sempre più attenta al problema generale dell'inquinamento, nelle sue varie forme, compreso quello causato dalle ittiocolture intensive.
Ciò a prescindere dalla modesta entità inquinante del comparto ittico rispetto il settore industriale, quello agricolo o gli scarichi urbani in genere.
Infatti, oggigiorno per considerare un insediamento produttivo tecnicamente valido ed economicamente supportabile dall'ente pubblico non si dovrebbe prescindere dall'impatto che esso causa nell'ambiente circostante, in termini di inquinamento sia chimico sia acustico, olfattivo o di ogni altro tipo.
In sostanza l'unità produttiva dovrebbe adottare tutte quelle misure o accorgimenti necessari per ridurre il suo impatto negativo nell'ambiente circostante.
Giova tuttavia rammentare che qualsiasi insediamento, come tutte le attività dell'uomo, genera "rifiuti" dei progetti di lavorazione, più o meno inquinanti, se lasciati tali e quali.
Non per questo si elimina l'insediamento produttivo, bensì si cerca di riciclare gli scarti di lavorazione, che presentano comunque un loro valore, o di ridurli in forme "neutre" per l'ambiente, se altrimenti non riutilizzabili.
Finora la gestione degli allevamenti, sia di organismi terrestri sia acquatici, ha avuto come fine la massimizzazione della quantità di prodotto utile ottenuto, con scarsa attenzione alle altre inevitabili e meno desiderabili produzioni: le deiezioni, che, da ultimo, sono riconducibili a forme diverse di azoto e di fosforo (urea, acido urico, ammoniaca, fosforo reattivo, fosforo sedimentabile) secondo le specie considerate.
Dall'altro lato una politica ambientalista di tipo estremista ha "criminalizzato" qualsiasi forma di zootecnia intensiva, senza saper proporre altro che la chiusura degli allevamenti stessi.
Fortunatamente negli ultimi anni, soprattutto nei Paesi anglosassoni, si è affermato un approccio pragmatico al problema, riassumibile nell'assunto:
Quali misure si possono intraprendere per minimizzare le quantità di reflui uscenti dall'allevamento?
Le risposte che la ricerca ha dato a questo problema sono riscontrabili a tre diversi livelli, tra loro indipendenti ma, si badi bene, additivi:
Livello nutrizionale: riguarda la formulazione di diete complete che massimizzino le ritenzioni dei principali nutrienti ( energia, proteina, fosforo ) da parte delle diverse specie allevate, nelle diverse condizioni termiche ed osmotiche di allevamento;
Livello gestionale: dell'allevamento : riguarda i piani alimentari, cioè i diversi livelli nutritivi adottati nelle varie fasi del ciclo produttivo, alimentate con diete diverse, nonché tutte quelle tecniche di allevamento che minimizzano lo stress dei pesci, con ovvi vantaggi in termini di accrescimento degli stock ittici allevati;
Livello impiantistico : costruzione di una serie di manufatti spesso di semplice realizzazione che consentono l'abbattimento o la trasformazione in forme non tossiche delle diverse forme di inquinanti prodotti dall'allevamento.
La contemporanea azione, a tutti i tre livelli sopracitati, consente di ridurre drasticamente le quantità assolute di sostanze "inquinanti" scaricate dalle ittiocolture.
Si sottolinea quantità assolute di reflui, perché la sola concentrazione dei nutrienti presenti nei campioni d'acqua, disgiunta dalla misura dei flussi idrici, non consente di trarre alcuna conclusione, scientificamente certa, circa i veri carichi inquinanti.
Infatti molti impianti, laddove l'acqua è fattore limitante, o con portate molto variabili nell'anno, possono trovare difficoltà, al momento del campionamento, a soddisfare standard chimici basati esclusivamente sulla concentrazione del refluo per unità di volume d'acqua.
Tuttavia queste ittiocolture potrebbero scaricare quantità assolute di reflui ( kg/mesi; kg/anno; kg/ton.; di pesce prodotto ) minori rispetto ad allevamenti che soddisfano gli standard di qualità delle acque reflue solamente perché dispongono di elevati flussi idrici di entrata, magari costanti nel tempo.
Le principali componenti del carico inquinante generato dalle ittiocolture intensive derivano da residui di mangime non consumato, da residui fecali e da cataboliti escreti. Sono composti contenenti azoto particolato e disciolto, cataboliti azotati disciolti, fosforo e sostanza organica ossidabile.
Possono essere inoltre presenti residui di trattamenti antibiotici, disinfettanti o antifouling (Fig.1).
Nella componente solida dei reflui si osserva una frazione più grossolana, che tende a sedimentare e una componente più piccola, tendente a rimanere in sospensione (Fig.2).
Esaminiamo in modo più dettagliato i tre diversi livelli nei quali si evidenziano le misure per minimizzare le quantità di reflui uscenti dall'allevamento.
Livello nutrizionale
Il metodo "nutrizionale" di quantificazione dei reflui di allevamento è stato l'ultimo , in ordine di tempo, ad essere proposto, tuttavia nella comunità scientifica internazionale si è rivelato vincente per la precisione nelle stime di N e di P rilasciati dagli stock ittici nell'ambiente.
Il metodo si basa su un postulato, fin ovvio da sembrare perfino banale:
"tutto quello che il pesce non trattiene viene da questo rilasciato nell'acqua, quindi nell'ambiente".
Vengono quindi determinati:
i coefficienti di digeribilità apparente delle diete (o ingredienti o nutriente);
le efficienze di ritenzione dei nutrienti (in particolare di N e di P);
Con la prima determinazione si ottengono, per differenza, le quantità di nutrienti indigerite dai pesci che permettano di stimare i "solidi totali" prodotti.
Con la seconda determinazione si ottengono le quantità percentuali di N e P trattenute dai pesci, espresse in percentuale sulle quantità somministrate, per differenza, N e P non trattenuti, quindi rilasciati nell'acqua.
Il formulista utilizzando questi dati "di campo" può stimare, di ogni dieta prodotta in mangimificio, le quote di N e P trattenute dai pesci e, per tentativi successivi, cercare di massimizzarle.
Così agendo, ovviamente, minimizzerà N, P e solidi totali (in sospensione + sedimentabili) rilasciati nell'acqua dai pesci, con ovvi risvolti positivi dal punto di vista ambientale.
Negli ultimi anni, la ricerca sull'alimentazione delle varie specie ittiche si è concentrata sullo studio di ingredienti alternativi alle farine e agli oli di pesce, nonché di nuove tecniche di produzione dei mangimi (estrusione, espansione, ecc.).
Ciò dovrebbe consentire, nel prossimo futuro, di sostituire quote percentuali non trascurabili di questi ingredienti base, con domanda troppo rigida, con una gamma più ampia di materie prime e ,contemporaneamente, di massimizzare le ritenzioni di N e P da parte degli stock ittici.
Livello gestionale dell'allevamento
Questo livello di intervento sarebbe di stretta pertinenza dell'allevatore, tuttavia molto resta da fare per migliorare l'interazione pesce - alimento nella realtà dell'impianto.
Infatti da un lato, le ditte mangimistiche tendono a fornire tabelle di razionamento sovrastimate rispetto le reali esigenze delle specie allevate e delle diverse taglie dei pesci, dall'altro troppo spesso gli allevatori si formano una "loro opinione" dei vari mangimi, non supportata da una raccolta sistematica di dati "di vasca".
Si nota spesso la tendenza a sottoalimentare, dato gli attuali costi dei mangimi, con conseguente allungamento dei cicli di ingrasso, mentre in certi casi alcuni ittiocoltori "forzano" l'alimentazione in alcune fasi del ciclo produttivo (ad esempio nel cosiddetto finissaggio), per conseguire prima la taglia di vendita.
Entrambe le scelte sono errate in termini di costo finale di produzione del pesce.
Inoltre, nel caso di forzatura alimentare, l'efficienza di ritenzione della proteina diminuisce, il pesce tende ad accumulare più sostanze grasse nel proprio organismo, seppur sotto forma di grasso mesenterico, privo di significato per il consumatore, ma non per il grossista che acquista lo stock ittico dall'allevatore.
Livello impiantistico
In generale i composti contenuti negli effluenti delle ittiocolture intensive sono presenti in concentrazioni relativamente basse, a fronte di flussi idrici elevati.
E' proprio l'elevata diluizione, che caratterizza questi composti, a determinare la maggior difficoltà di trattamento e la necessità di utilizzare tecniche diverse da quelle usate nella depurazione di acque di insediamenti civili o industriali.
Inoltre, la scelta della tipologia di trattamento più appropriato deve essere fatta considerando tutte le problematiche associate ad un determinato sistema di allevamento.
Nella pratica un impianto di depurazione adatto per una troticoltura è ben diverso da quello utilizzabile in una valle da pesca o per un allevamento intensivo di anguille.
Generalmente, in relazione allo stato fisico (solido o solubile) delle componenti presenti nelle acque reflue, vengono adottate tecniche diverse, talvolta complementari.
I trattamenti principali sono finalizzati alla rimozione dei residui solidi dal mezzo liquido, tramite l'impiego di sistemi di separazione gravitazionale o filtri meccanici (Fig. 3 e 4).
I residui solubili rimasti nell'acqua dopo filtrazione meccanica o sedimentazione, principalmente ammoniaca, nitriti e altri composti ossidabili, possono in seguito venire trasformati in forme non tossiche mediante la filtrazione biologica.
Questa tuttavia trova impiego negli allevamenti d'acqua calda a parziale o totale ricircolo delle acque, mentre i sistemi di allevamento a flusso continuo (per esempio le troticolture) non la possono adottare per oggettive difficoltà tecniche ed economiche.
Infatti il dimensionamento dei filtri biologici ha quale variabile caratterizzante il tempo di contatto dell'acqua con la superficie del filtro colonizzata dai batteri nitrificanti.
Tempo che deve essere sufficientemente lungo e che quindi obbligherebbe a costruire impianti di dimensioni enormi per trattare gli imponenti volumi idrici correnti.
Il costo di scarico dell'acqua dall'impianto (pari a zero) consente di fatto all'allevatore di dribblare il problema.
ACQUACOLTURA NELLA POLITICA COMUNITARIA E NAZIONALE
2.1 L'INTERVENTO DELLA PAC
Nella Comunità, l'acquacoltura è un'attività sempre più importante.
Crea infatti posti di lavoro nelle regioni meno sviluppate e con gravi problemi a livello occupazionale, offre al consumatore una gamma di prodotti ittici commestibili (pesci, molluschi ed altro) più vasta ed abbordabile ed infine contribuisce a ridurre il deficit commerciale della Comunità per quanto riguarda i prodotti della pesca.
L'importanza economica, sociale e commerciale di questo settore è innegabile.
La produzione comunitaria di pesci e molluschi tramite l'acquacoltura superano annualmente il milione di tonnellate, per un valore di quasi 1,5 miliardi di ECU.
In valore, essa corrisponde a circa il 7% della produzione acquaiola mondiale, in cui predomina l'Asia, e a poco più del 20% degli sbarchi comunitari.
Le opportunità di lavoro offerte dal settore sono ugualmente importanti.
Secondo calcoli approssimativi, l'acquacoltura occupa circa 35.000 addetti a tempo pieno e 50.000 a tempo parziale, principalmente nell'allevamento di molluschi.
Sotto molti aspetti, tuttavia , per lo sviluppo di molti impianti è più importante la loro ubicazione che non il numero dei posti di lavoro che saranno creati.
L'acquacoltura è praticata principalmente nelle regioni occidentali della Scozia, in Francia, Galizia, Andalusia, Irlanda, Portogallo, Italia e Grecia, dove sta avendo un rapido sviluppo.
I nuovi metodi di allevamento di specie pregiate (salmone, spigola, orata e rombo) in impianti a terra o in mare aperto comportano costi strutturali elevati.
Questi tipi di acquacoltura possono essere fonte di inquinamento, specialmente se le acque di scarico non sono opportunamente trattate prima di essere immesse nell'ambiente.
La Comunità finanzia l'acquacoltura fin dagli anni '70; nel dicembre del 1981 il Consiglio delle Comunità Europee, considerando che le disposizioni fondamentali relative all'organizzazione dei mercati nel settore della pesca dovevano essere rivedute per tener conto delle evoluzioni del mercato e che la pesca ha un'importanza particolare nell'economia agricola di alcune regioni costiere della Comunità visto che tale produzione costituisce una parte preponderante del reddito dei pescatori di tali regioni , si proponeva con il Reg. CEE n° 3796/81 di istituire un'organizzazione comune dei mercati che comprendesse un regime dei prezzi e degli scambi, nonché norme in materia di concorrenza.
Solo nel 1983 con il Reg. CEE n° 2908/83 si è dato avvio ad una politica più attiva per la promozione dell'allevamento commerciale di pesci, crostacei e molluschi destinati al consumo umano; in tale anno, 32 progetti hanno beneficiato di un contributo comunitario di 6,5 milioni di ECU.
Il successivo Reg. CEE n° 4028/86 relativo alle azioni comunitarie per il miglioramento e l'adeguamento delle strutture nel settore della pesca e dell'acquacoltura permetteva, per facilitare l'evoluzione strutturale del settore della pesca nel quadro degli orientamenti della politica comune della pesca, la concessione di un contributo finanziario comunitario alle azioni intraprese in vari campi fra i quali quello dello sviluppo dell'acquacoltura e sistemazione di zone marittime protette ai fini di una migliore gestione della fascia costiera di pesca .
Tale azione doveva rientrare nei programmi di orientamento pluriennali (P.O.P.), che dovevano essere segnatamente intesi ad assicurare, fra l'altro, lo sviluppo di allevamenti tecnicamente vitali ed economicamente redditizi di pesci, crostacei o molluschi.
La Commissione concedeva contributi finanziari comunitari a progetti pubblici, semi-pubblici o privati relativi a investimenti in materiali per la costruzione , l'attrezzatura, l'ammodernamento o l'estensione di impianti per l'allevamento di pesci, crostacei o molluschi.
Per beneficiare del contributo i progetti dovevano riguardare investimenti di importo superiore a 50.000 ECU e inoltre, avere fini esclusivamente commerciali, essere realizzati da persone fisiche o giuridiche che possiedono una sufficiente capacità professionale , offrire garanzie sufficienti quanto alla loro redditività a termine.
Il Reg. CEE n° 4028/86 ha consentito di finanziare nel periodo 1986/89 41 progetti per un ammontare di 15.956.113 ECU e nel periodo 1990/92 48 progetti per un totale di 28.356.000 ECU.
Nel dicembre del 1989 veniva adottato il Reg. CEE n° 4042/89 relativo al miglioramento delle condizioni di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura.
Nel quadro della riforma dei Fondi a finalità strutturale e per agevolare l'adattamento delle condizioni di commercializzazione e trasformazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura all'evoluzione della politica comune della pesca veniva istituita un'azione comune intesa a migliorare tali condizioni.
Nel quadro di tale azione, la comunità partecipava al finanziamento di investimenti che soddisfacessero uno o più dei seguenti obiettivi:
contribuire al miglioramento della situazione nei settori di produzione dei prodotti di base della pesca e dell'acquacoltura , garantendo in particolare una partecipazione adeguata e durevole dei produttori di tali prodotti ai vantaggi economici che ne derivano;
consentire di migliorare le strutture di commercializzazione e trasformazione di tali prodotti;
consentire di migliorare i circuiti di commercializzazione e di potenziare le reti di distribuzione di tali prodotti;
contribuire alla stabilità del mercato di tali prodotti e a garantire un approvvigionamento regolare ed adeguato di materie prime.
Per migliorare le condizioni di trasformazione e di commercializzazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura, ogni Stato membro elabora un programma settoriale che riguarda l'intero settore della pesca e dell'acquacoltura.
Tali programmi devono essere elaborati a livello nazionale e devono essere concepiti in modo da creare un'industria sana e attiva e che sia in armonia con le attività e le strutture della pesca e dell'acquacoltura esistenti oltre a potenziare e adattare il settore della trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura.
Nel 1993, le componenti strutturali della politica comune della pesca sono state oggetto di una revisione radicale.
In particolare, sono state introdotte tre importanti modifiche :
è stata garantita una maggiore coerenza tra i diversi aspetti di tale politica ;
è stata eliminata la netta separazione tra la PCP e le altre attività comunitarie ;
si è tenuto conto dei profondi mutamenti del settore dovuti al grave squilibrio tra il numero di imbarcazioni e le risorse disponibili.
Queste modifiche sono state possibili dotando la PCP di una nuova base giuridica , aumentando l'importanza delle misure socio-economiche e migliorando complessivamente l'efficacia , la flessibilità e l'accessibilità delle diverse misure di sostegno a favore dell'adeguamento strutturale.
Le misure strutturali della PCP sono state pertanto incluse nel sistema dei fondi strutturali comunitari ( il Fondo europeo di sviluppo regionale e il Fondo sociale europeo) in occasione della loro seconda riforma , nel 1993.
Tale integrazione ha offerto l'opportunità di raggruppare le diverse risorse finanziarie disponibili per questo settore in un unico "Fondo pesca", più noto sotto il nome di "Strumento finanziario di orientamento della pesca " (SFOP).
Come principio generale , è stata inoltre decisa la definizione di programmi pluriennali globali basati su un vero e proprio rapporto di collaborazione tra i diretti interessati.
Allo SFOP , istituito con il Reg. CEE n° 2080/93 che abroga i due regolamenti preesistenti relativi alle misure strutturali in favore della pesca: Reg. CEE n° 4028/86 e 4042/89, sono assegnate le seguenti missioni:
contribuire al conseguimento duraturo di un equilibrio tra le risorse e lo sfruttamento delle medesime;
incentivare la competitività delle strutture operative e lo sviluppo di aziende economicamente valide nel settore;
migliorare l'approvvigionamento e la valorizzazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura.
Il suo ruolo quindi, è quello di facilitare una ristrutturazione divenuta ormai indispensabile per il futuro della pesca.
Con il Reg. CEE n° 3699/93 si sono definiti i criteri e le condizioni che dovranno essere seguite per promuovere gli interventi comunitari strutturali nei settori acquacoltura, pesca e commercializzazione dei prodotti.
Una delle novità introdotte dal suddetto regolamento riguarda la semplificazione della procedura atta ad ottenere il finanziamento, infatti essa è limitata a due fasi:
Lo Stato membro dovrà presentare un "Programma settoriale". L'elaborazione di un programma integrale che proponga un'organica strategia di sviluppo costituisce la principale innovazione introdotta dal regolamento. Infatti ora si dovranno presentare le varie proposte in modo che esse risultino inserite in un ottica di ristrutturazione, adeguamento o sviluppo del comparto considerato. Non saranno più considerati singoli progetti per evitare la nascita di compagini aziendali prive del necessario inserimento nel tessuto socio-economico. Adottando gli stessi criteri dovranno inoltre essere individuate sia le misure finanziare necessarie a conseguire gli obiettivi, sia le forme dell'intervento finanziario stesso.
La Commissione Europea esamina, in collaborazione con lo Stato membro fautore delle proposte, il contenuto, gli obiettivi e le richieste di finanziamento contenute nel programma settoriale . Se ritenuto adeguato, viene "adottato" dalla Comunità come proprio. Il giudizio viene espresso attraverso una valutazione dei benefici che l'intero settore potrebbe trarre dall'attuazione degli interventi. Successivamente all'adozione del piano potranno essere deliberati gli impegni finanziari riguardanti lo SFOP. I fondi sono elargiti mediante quote annue che vengono pagate progressivamente al loro utilizzo.
Per l'Italia il documento è stato elaborato dalla Direzione generale per la pesca del Ministero per le risorse agricole ,alimentari e forestali, che lo ha sottoposto all'attenzione delle Regioni in occasione di un incontro svoltosi nel febbraio '94.
In quell'occasione il Ministero ha dichiarato la volontà di gestire a livello centrale lo SFOP, senza prevedere un riparto delle risorse fra le Regioni.
Per queste ultime si sarebbe tuttavia potuto prevedere un coinvolgimento, relativamente all'acquacoltura, nella fase di esame e approvazione dei progetti, mediante l'istituzione di un tavolo di decisione.
L'impostazione centralista è rilevabile anche dalla lettura della bozza di circolare esplicativa al regolamento , elaborata dal Ministero e concernete le modalità di presentazione dei progetti, nella quale non compare alcun coinvolgimento delle Regioni, né nella fase di stesura dei programmi operativi né in quella di istruttoria dei progetti.
Le competenze regionali in materia di pesca nelle acque interne e di acquacoltura in acque dolci e salmastre risultano peraltro inequivocabilmente dal D.P.R. 24 luglio 1977 n°616, che trasferisce nuove funzioni dallo Stato alle Regioni e dalla legge 5 febbraio 1992 n°102 , recante norme concernenti l'attività acquacoltura, nonché dalla legge 4 dicembre 1993 n°491 che riordina le competenze regionali e statali in materia agricola e forestale e istituisce il nuovo Ministero.
In seguito a recenti incontri, coordinati dalla Regione Toscana, le Regioni hanno elaborato un documento, poi trasmesso al Ministero, nel quale viene ricordata la competenza regionale nelle materie sopra citate e viene conseguentemente richiesto il riconoscimento della responsabilità, della definizione e della gestione di programmi operativi regionali per l'acquacoltura, pesca nelle acque interne, strutture portuali di competenza regionale, trasformazione, commercializzazione e promozione dei prodotti alieutici.
Il programma operativo nazionale dovrà pertanto essere composto dai programmi regionali e, per le materie interessate, dai piani elaborati dal Ministero e sottoposti all'approvazione del Comitato permanete delle politiche agroalimentari e forestali, istituito dalla legge 491/93.
La richiesta prevede quindi un riparto fra le Regioni delle quote comunitaria e nazionale di contributo per i citati campi di intervento; tali quote dovrebbero essere assegnate in misura fissa per il 25%, mentre il restante 75% dovrebbe essere diviso sulla base di criteri oggettivi.
La riaffermazione del ruolo delle Regioni nella programmazione e nella gestione degli interventi pubblici nel settore trova del resto riscontro nella stessa impostazione della normativa comunitaria riguardante i fondi di intervento strutturale, nella quale viene affermata la stretta concertazione , o partnership, tra Comunità, Stato e Regione, operante fin dalla fase di preparazione delle azioni.
Va a questo punto ricordato che diverse Regioni sono titolari di programmi di sviluppo interessati dagli obiettivi della sopra citata riforma dei fondi.
La complementarietà di strategie fra l'adeguamento delle strutture agrarie , al quale concorre anche lo SFOP, e l'adeguamento strutturale delle zone rurali nell'ambito dell'obiettivo di promozione dello sviluppo rurale , impone un efficace raccordo tra questi e le azioni ammissibili all'intervento dello SFOP.
Tale accordo è necessario per l'orientamento di queste ultime agli obiettivi di tali programmi e il conseguente sviluppo di sinergie.
E' opportuno al riguardo ricordare l'individuazione e l'incentivazione di iniziative acquacolturali che favoriscano la crescita economica nel rispetto delle vocazioni e delle specificità ambientali del territorio.
Un effettivo rispetto delle responsabilità programmatorie e gestionali ai diversi livelli di competenza istituzionale rappresenta un elemento fondamentale, particolarmente in un difficile contesto economico quale quello attuale, per la crescita e il consolidamento delle aree più deboli e la reale affermazione del principio di coesione, posto fra i fondamenti sui quali si basa l'Unione europea.
2.2 PROPOSTA ITALIANA RELATIVA AL DOCUMENTO UNICO DI PROGRAMMAZIONE 1994 - 1999
Il documento presentato dal Ministro delle risorse agricole, alimentari e forestali costituisce il documento unico di programmazione SFOP 1994-99 ai sensi del regolamento CEE n° 2080/93 del Consiglio e dell'art.3 del regolamento CEE n° 3699/93 del Consiglio.
Il programma fa riferimento all'intera estensione geografica dello stato italiano che si articola in 20 Regioni amministrative, 10 litorali marittimi che coprono gli 8 000 km di costa.
Nelle tabelle sono riportate rispettivamente le produzioni intensive ed estensive di specie ittiche eurialine nel 1992, suddivise per aree geografiche (Tab.1 e 2).
Analizzando sinteticamente le produzioni del 1992 si evince che:
Per la produzione ittica italiana da acquacoltura , la troticoltura è ancora la pratica più importante dal punto di vista quantitativo con 40.000 t;
La produzione di specie marine eurialine ha subito un processo di intensificazione ed attualmente il rapporto produzioni intensive/estensive si sta avvicinando a 2:1;
La produzione di spigola , che ammonta a 1.826 t totali di cui 1.378 da intensivo, indica una evidente vocazione di questa specie ad essere per lo più destinata all'intensivo; per l'orata la produzione estensiva è ancora la più importante;
La produzione totale di anguilla nel 1992 è stata di 3.340 t e l'intensivo contribuisce con ben 2.010 t .Si osserva un calo che potrebbe essere imputato a sovrastime degli anni precedenti, anche se è comunque evidente il limite rappresentato dalla disponibilità di seme, che per questa specie è di esclusiva origine naturale;
La produzione di storione, allevato intensivamente in Italia, ha raggiunto le 350 t;
La produzione di molluschi bivalvi nel 1992 è stata stimata in 26.400 t di vongole veraci e 122.300 t di mitili di cui 38.000 pescati su banchi naturali. La produzione di vongole veraci filippine rappresenta certamente "l'evento" vistoso dell'acquacoltura italiana degli ultimi anni, frutto dell'applicazione di tecniche innovative e della colonizzazione di substrati naturali dell'area costiera nord adriatica che si sono rilevati particolarmente adatti a questa specie .
Il Terzo Piano Triennale ha evidenziato un forte carattere ambientale, che ha condizionato le proposte italiane per il Programma di Orientamento Pluriennale Nazionale della Acquacoltura.
Ciò è stato motivato dal fatto che la programmazione nazionale in acquacoltura deve essere attuata con un quadro di riferimento certo, che tenga conto che questa attività è simultaneamente vittima ed imputato di impatti ambientali negativi.
Dunque ne consegue che il consolidamento e lo sviluppo dell'acquacoltura nazionale dipendono strettamente dal risanamento ambientale e dall'applicazione di tecniche produttive i cui reflui, in senso generale, non arrechino danni all'ambiente.
Va ribadito che l'acquacoltura non sia momento di dissipazione delle fonti idriche, ma che si integri positivamente nel ciclo della risorsa acqua, e che, nel caso di attività in ambienti salmastri e marini, sia strettamente integrata e compatibile con gli ecosistemi in cui insiste.
Da un punto di vista ambientale non è possibile trattare l'acquacoltura senza una precisa divisione tra quelle pratiche produttive che sono riconducibili alla gestione idraulica e trofica di ecosistemi naturali e gli allevamenti intensivi che utilizzano, con varie modalità, la risorsa acqua come supporto per un processo di trasformazione di alimenti bilanciati, apportati dall'esterno, in un prodotto alimentare economicamente più pregiato.
Naturalmente tale separazione può trovare un momento di sintesi nelle strategie integrate che possono risolvere anche in parte i problemi dello smaltimento delle acque reflue, consentendo per altro recuperi energetici.
Le strategie intensive dovranno affrontare il problema di un loro armonico inserimento nelle politiche ambientali, soprattutto per quanto concerne le acque reflue.
Nel caso di impianti alimentati con acque di falda, il problema della qualità delle acque superficiali si pone in misura minore rispetto ad impianti a rischio per la stessa qualità delle acque superficiali, da cui dipendono e verso cui scaricano.
Le sorgenti di impatto ambientale dell'acquacoltura intensiva sono imputabili essenzialmente a due cause:
Mangimi consumati e polveri di mangime, componenti della dieta non completamente digerite, prodotti del catabolismo;
Prodotti disinfettanti, biocidi e disincrostanti, antibiotici, antiparassitari, batteriostatici.
L'azione diretta ed indiretta dei prodotti rilasciati può essere riassunta in :
Azione tossica con meccanismi acuti;
Azione tossica con meccanismi cronici;
Domanda biologica di ossigeno;
Eutrofizzazione dei corpi d'acqua riceventi;
Intorbidimento e colorazione delle acque.
Sono anche da considerare gli impatti dovuti alla fuga di specie destinate all'allevamento intensivo, che possono comportare effetti sulla struttura genetica delle popolazioni autoctone che, nel caso di specie alloctone, possono portare modifiche drastiche della rete trofica originaria.
La minimizzazione degli impatti si può comunque ottenere attraverso:
Ottimizzazione del rapporto mangime consumato / rilascio di inquinanti;
Riduzione al minimo necessario di trattamenti profilattici e terapeutici, attraverso protocolli ottimali di trattamento e scelta di presidi velocemente degradabili;
Adozione di adeguate tecnologie e protocolli di ossigenazione delle acque;
Adeguato trattamento dei solidi sospesi nei reflui.
Bisogna tuttavia considerare che l'impatto ambientale imputabile all'uso di prodotti disinfettanti può essere sensibilmente ridotto mediante l'incentivazione di campagne di vaccinazioni.
Le produzioni intensive sono certamente le più vulnerabili considerate le condizioni degli ecosistemi in cui si praticano.
In modo analogo si pone il problema della vulnerabilità delle produzioni di molluschi bivalvi in laguna ed in mare , un'attività che spesso diviene vittima dello stato di degrado degli ambienti marini costieri.
Nella vallicoltura sono evidenti i problemi legati alla qualità delle acque continentali, lagunari e costiere.
Questi problemi devono far riflettere con molta obiettività sulle future strategie di sviluppo, senza dimenticare che l'acquacoltura estensiva e la produzione in valli salse da pesca hanno consentito la conservazione ed il mantenimento di molte aree umide di rilevante interesse naturalistico.
Per quanto concerne la trasformazione dei prodotti dell'acquacoltura , si può stimare che circa il 25-30% della produzione nazionale di trote sia destinato alla trasformazione .
Infatti ,il prodotto eviscerato, filettato o pronto a cuocere, rappresenta ormai un segmento di mercato in costante sviluppo, soprattutto in relazione all'affermarsi del c.d. "trasformato fresco".
Questo aspetto risulta particolarmente importante in quanto una forte integrazione tra produzione - trasformazione consente un'ottimizzazione delle produzioni e dei relativi cicli, il raggiungimento di elevati standards qualitativi , maggiore tutela igienico - sanitaria dei consumatori.
Pertanto il piano dovrà prevedere iniziative finalizzate a:
aggiornare tecnologicamente il settore della trasformazione dei prodotti dell'acquacoltura favorendo l'integrazione verticale " allevamento - trasformazione " , tenendo conto di quelli che sono e possono essere le produzioni più idonee, anche sotto il profilo economico, a subire processi di trasformazione;
migliorare ed ottimizzare la qualità dei prodotti da destinare alla trasformazione attraverso la determinazione di standard qualitativi;
potenziare il sistema distributivo e di commercializzazione dei prodotti dell'acquacoltura e dei loro derivati;
integrare la diffusione dei prodotti trasformati dell'acquacoltura nelle aree in cui questi sono ancora poco conosciuti;
sviluppare politiche di marketing dei prodotti dell'acquacoltura prevedendo idonee iniziative promozionali e pubblicitarie.
La normativa nazionale vigente riconosce l'importanza della promozione dei prodotti ittici e prevede in apposito capitolo di bilancio le risorse finanziarie necessarie per lo svolgimento di una specifica attività diretta a sostenere i consumi.
Quanto alle iniziative che potranno essere intraprese nel prossimo futuro, si rileva che in attuazione del IV Piano Triennale della Pesca e dell'Acquacoltura, sono stati aumentati gli importi complessivi destinati alla promozione (7,2% per un importo totale di 21.000 milioni di lire), mentre gli obiettivi dell'attività promozionale sono stati ampliati alla promozione dell'intero settore, oltre che ai consumi.
In questo ultimo contesto si ritiene dover procedere, da un lato alla realizzazione di iniziative dirette alla valorizzazione della produzione, dall'altro alla creazione di meccanismi in grado di favorire la concentrazione e la commercializzazione del prodotto da parte delle stesse Associazioni di Categoria.
Fra gli aspetti qualificanti che caratterizzano questo piano settoriale, mediante i quali si intende perseguire l'obiettivo di una generale modernizzazione del settore, è il caso di evidenziare l'importanza assegnata al potenziamento del ruolo e delle responsabilità delle Associazioni di Categoria ed alla scelta di utilizzare in misura non marginale gli strumenti di intervento orizzontali quali i programmi promozionali e la costituzione di un fondo creditizio.
GLI INTERVENTI PER LA PESCA E L'ACQUACOLTURA IN ITALIA
La politica comune della pesca si sta avviando a compiere trent'anni, un periodo durante il quale ha subìto diverse modificazioni, imposte dal confronto con una realtà problematica e soggetta ad un'evoluzione dai ritmi talora accelerati.
Nella sua forma attuale essa comprende tutte le attività di raccolta e allevamento degli organismi viventi negli ambienti acquatici, e si esplica nei temi della conservazione delle risorse, dell'organizzazione dei mercati, delle azioni strutturali e degli accordi internazionali.
Alla PCP sono stati destinati nell'anno appena trascorso 875 milioni di ECU, pari all'1,06% del bilancio comunitario: tale percentuale è certamente modesta se raffrontata a quella che compone le altre voci del bilancio, ma va rilevato come nell'ultimo decennio l'incremento delle risorse indirizzate al settore sia aumentato di circa quattro volte.
Questo incremento è stato assorbito in gran parte dallo sviluppo degli accordi di pesca e dalle azioni strutturali: queste ultime, in particolare, pur essendo passate a occupare il 52 % degli stanziamenti di settore contro il 65% del 1985, sono passate, in termini di valore assegnato, da 114 a 451 milioni di ECU.
Per il periodo 1994 - 1999 sono stati previsti oltre 2.836 milioni di ECU da indirizzare alla politica strutturale nei 15 Stati membri.
Tali risorse sono suddivise nelle misure dell'adeguamento dello sforzo di pesca, del rinnovo e ammodernamento della flotta peschereccia, dell'acquacoltura, delle zone marine protette, dell'attrezzatura dei porti di pesca, della trasformazione e commercializzazione dei prodotti, della promozione dei prodotti e in altre misure, fra le quali l'assistenza tecnica, l'arresto temporaneo, studi e progetti pilota.
In Italia il settore si è confrontato con una rarefazione delle risorse ittiche e con un inasprimento della concorrenza internazionale, che ha coinvolto in misura particolarmente sensibile i prodotti dell'acquacoltura. Conseguentemente le imprese hanno dovuto affrontare consistenti interventi di ristrutturazione, e questo aspetto dell'economia nazionale è tuttora in fase di adeguamento al nuovo contesto internazionale.
La produzione ittica in Italia è attualmente posizionata su 704.000 t; 497.000 provengono dalla pesca nel Mediterraneo, 50.000 da quella oceanica e 157.000 dall'acquacoltura. Tali valori sono alquanto stabili se confrontati con quelli rilevati al principio degli anni novanta. Al contrario, la flotta peschereccia, composta da circa 16.400 unità nel 1995, è diminuita nel periodo 1990-1993 di 1.074 unità, pari al 6% del totale e al 10,5% della stazza. La flotta è rappresentata per il 77% da imbarcazioni per la piccola pesca.
Anche l'acquacoltura non ha subìto incrementi significativi; gli impianti sono circa un migliaio, il 75% dei quali localizzati nel nord della penisola, impegnati soprattutto nell'allevamento di trote, anguille, branzini, orate e bivalvi.
Una recente analisi della Commissione europea indica fra le principali cause di fragilità strutturale della pesca italiana il sovradimensionamento della flotta, con conseguente sovrasfruttamento delle risorse ittiche, l'alto livello d'indebitamento delle imprese, l'incremento delle importazioni, che hanno portato il deficit di settore a 690 miliardi di lire nel 1994, e la forte competitività dei prezzi dei prodotti importati, con conseguente calo della redditività e dell'occupazione. Per il nostro paese l'Unione Europea ha stanziato, per il periodo 1994-1999, oltre 425 milioni di ECU, principalmente attraverso lo Strumento finanziario d'orientamento della pesca.
Quest'ultimo persegue l'obiettivo che riguarda l'adeguamento strutturale dei settori dell'agricoltura e della pesca della riforma dei Fondi, avviata nel 1988 e rivisitata nel 1993, e prevede interventi raggruppati in undici campi di azione:
1. Adattamento dello sforzo di pesca:
allo scopo di riequilibrare il rapporto tra disponibilità delle risorse e attività alieutica, sono previsti una riduzione del tonnellaggio fino al 20% e la costituzione di dieci società miste con paesi terzi.
2. Rinnovo e ammodernamento della flotta:
si prevede la costruzione di circa 70 nuove imbarcazioni in sostituzione di navigli obsoleti; quest'intervento non è peraltro in contraddizione con il precedente, poiché le nuove unità avranno una capacità inferiore a quella soppressa nell'ambito del campo n. 1.
Inoltre la flotta attuale sarà ammodernata, in termini per esempio di sicurezza a bordo e norme sanitarie, e si procederà a una riconversione della pesca meno selettiva in forme maggiormente rispettose del1'ambiente marino e del suo popolamento.
3. Acquacoltura:
allo scopo di conseguire una riduzione dei costi e un miglioramento della qualità dei prodotti e dell'impatto ambientale, sono previste la modernizzazione tecnologica degli impianti esistenti, la realizzazione di nuove unità per l'allevamento di nuove specie e la costituzione di centri servizi.
4. Protezione di zone marine:
è prevista la creazione di almeno tre zone protette tramite barriere artificiali per complessivi 12.000 m2.
5. Attrezzature dei porti di pesca:
con l'obiettivo di consolidare le infrastrutture e i servizi saranno realizzati almeno 20 interventi per la prima commercializzazione e il deposito delle catture, nonché opere d'adattamento dei moli d'attracco.
6. Trasformazione e commercializzazione:
il miglioramento della qualità delle materie prime, il consolidamento e l'informatizzazione dei circuiti commerciali e distributivi, la promozione e la pubblicità dei prodotti da pesca e acquacoltura saranno perseguiti anche attraverso la realizzazione di 52 centri di trasformazione e 14 di commercializzazione, nonché la modernizzazione d'unità esistenti.
7. Promozione dei prodotti:
il campo comprende il finanziamento d'indagini e ricerche di mercato, d'azioni pilota e d'interventi di consulenza e assistenza.
8. Accesso al mercato dei capitali:
un apposito fondo nazionale unico di garanzia dei prestiti per azioni strutturali cofinanziate dai Fondi sarà costituito a beneficio delle piccole e medie imprese.
9. Assistenza tecnica:
nell'ambito di questo campo saranno finanziate inchieste, studi di fattibilità e, fra il resto, un osservatorio economico per il settore, nonché servizi e assistenza tecnica per l'applicazione, il controllo e la valutazione degli interventi strutturali.
10. Formazione professionale:
alcune regioni del Mezzogiorno beneficeranno di corsi di formazione e specializzazione professionale.
11. Misure socioeconomiche:
è previsto il cofinanziamento del regime nazionale di prepensionamento e incentivi per l'abbandono della professione in seguito alla riduzione della flotta.
Le tabelle 3 e 4 riassumono gli stanziamenti previsti per i diversi campi d'azione nelle regioni rispettivamente del Mezzogiorno e del Centro - Nord.
Complementare agli interventi strutturali è l'iniziativa comunitaria PESCA.
Il suo significato risiede in particolare nell'opportunità di avviare azioni integrate, innovative e fortemente collegate alla realtà imprenditoriale e sociale locale.
Le regioni dell'Adriatico settentrionale partecipano con sottoprogrammi propri al programma presentato dal Ministero delle risorse agricole, alimentari e forestali e approvato dalla Commissione europea, la cui attuazione partirà non appena diverrà esecutiva la relativa deliberazione del Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica.
Essi prevedono, fra il resto, azioni integrate a livello interregionale nella promozione dei prodotti e nel rafforzamento delle organizzazioni di produttori.
2.4 PRIME INDICAZIONI DELLO SFOP 2000 - 2006
Il 5 e 6 giugno 1998 si è tenuta a Thessaloniki (Salonicco - Grecia), "Pesca Regio", conferenza tematica sulla pesca, promossa dalla Commissione U.E., allo scopo di fare il punto sul futuro della politica strutturale per la pesca e per l'acquacoltura della Comunità Europea.
Come noto, dal 1993 tutte le misure strutturali in favore della pesca e dell'acquacoltura sono state raggruppate in seno ad un unico strumento di programmazione lo SFOP .
La politica strutturale della U.E. per il settore della Pesca e dell'Acquacoltura è così divenuta, nel corso degli anni, un elemento fondamentale per contribuire alla realizzazione degli obiettivi comunitari, favorendo altresì la coesione socio - economica dei Paesi della Comunità.
Nel nostro Paese lo SFOP 1994-99 ha dato l'opportunità di realizzare tutta una serie di interventi volti allo scopo di ammodernare ed aggiornare sotto il profilo tecnologico, sia gli impianti di allevamento ittico che le strutture di lavorazione e trasformazione delle produzioni di acquacoltura.
Il 1999 sarà l'ultimo anno in cui verranno attuati gli aiuti strutturali europei con le modalità stabilite nei Regolamenti CEE 2O8O/93 e 3699/93, che verranno profondamente revisionate per dare vita alla prossima fase programmatica, prevista per il 2OOO - 2OO6.
La Commissione Europea ha infatti da poco presentato le sue prime indicazioni per quanto riguarda gli orientamenti generali e la revisione dei Fondi Strutturali per la Pesca e l'Acquacoltura nel periodo 2OOO - 2OO6, che presentano finalità immutate rispetto ai precedenti programmi, anche se è prevedibile una riduzione degli interventi comunitari per il nostro Paese, in relazione ai diversi criteri di ripartizione in ambito U.E. e allargamento dell'Unione Europea che comporterà una ripartizione dei fondi tra più Paesi.
La Commissione, volendo quindi conoscere ed interpretare le aspettative degli operatori del settore, ha organizzato una serie di conferenze tematiche il cui scopo è quello di illustrare le linee guida che presiederanno le misure strutturali nel prossimo periodo di programmazione.
In questo contesto si è inserita la conferenza tematica di Salonicco, i cui lavori hanno consentito di dare un quadro
complessivo degli interventi di politica strutturale.
Uno degli obiettivi essenziali della Politica Comune della Pesca per il 2OOO - 2OO6 è quello di favorire un razionale e responsabile sfruttamento delle risorse alieutiche, tutelando però la classe lavorativa impiegata nella pesca, anche attraverso la riconversione dei pescatori in altre attività lavorative quali, in primo luogo, l'acquacoltura.
Infatti, la Comunità ritiene che l'acquacoltura possa offrire buone possibilità di riconversione della pesca, pertanto in questo contesto per la Commissione appare opportuno privilegiare lo sviluppo dell'acquacoltura pur controllandone l'espansione.
Analogamente, proseguiranno le iniziative volte a potenziare il settore della trasformazione, lavorazione e commercializzazione dei prodotti ittici, attraverso anche la realizzazione di programmi per il miglioramento e la diversificazione dei prodotti commercializzati.
Per quanto riguarda le finalità e gli orientamenti dello SFOP 2OOO - 2OO6, la Commissione intende riorganizzare gli interventi strutturali per la pesca e l'acquacoltura anche nel senso di una semplificazione delle procedure, di un maggior decentramento e di una concertazione degli interventi nelle regioni che più ne abbisognano. Di seguito si riporta una sintesi delle finalità dei nuovi obiettivi.
Obiettivo 1, resteranno le regioni meno sviluppate, che beneficeranno non solo dei fondi dello SFOP ma anche del Fondo Regionale (FESR) e del Fondo Sociale (FSE), nei quali sono contemplati anche la riconversione professionale dei pescatori e la concessione di sovvenzioni per la creazione di nuovi posti di lavoro.
Obiettivo 2, comprenderà tutte le zone, dipendenti dalla pesca, in cui è in atto una riconversione economica e sociale.
Obiettivo 3, riguarderà l'adattamento, l'ammodernamento dell'istruzione, formazione ed occupazione al di fuori delle regioni che rientrano negli obbiettivi 1 e 2.
Inoltre, è previsto che il FEOGA Garanzia partecipi al finanziamento dell'insieme delle azioni strutturali per la pesca e l'acquacoltura, nelle regioni non comprese dagli obbiettivi 1 e 2 dei Fondi Strutturali.
Alla conferenza programmatica di Salonicco è intervenuto anche il Commissario U.E. Onorevole Emma Bonino che, ha ricordato come sia indispensabile evitare che gli aiuti divengano permanenti specie in un contesto commerciale caratterizzato da una globalizzazione degli scambi. Riferendosi poi alle specifiche problematiche dell'acquacoltura, il Commissario U.E. ha ribadito come i massimi organi comunitari valutino l'estrema importanza riconosciuta all'equilibrato rapporto tra acquacoltura ed ambiente.
La Bonino ha inoltre evidenziato l'attenzione della Commissione per la tutela del consumatore, perseguita attraverso interventi volti a promuovere la certificazione delle produzioni ed anche attraverso misure volte a gestire con la massima attenzione e razionalità lo stato sanitario degli allevamenti, in funzione del rispetto della loro eco - compatibilità.
ACQUACOLTURA ITALIANA
3.1 GENERALITA'
Per molto tempo il comparto dell'acquacoltura è stato identificato, giustamente, con l'attività della mitilicoltura e della troticoltura, in quanto erano questi i prodotti più commercializzati ed economicamente più rilevanti per la nazione.
Da circa un ventennio però altri ambiti produttivi del settore si sono sviluppati, ed oggi sono considerati forse più interessanti dei primi per quel che riguarda le prospettive economiche ed occupazionali future.
Ci si riferisce all'allevamento delle specie eurialine quali Branzino, Orata e Sarago ed alla gambericoltura.
Queste specie sono dette pregiate, in quanto alla bontà delle carni si unisce la limitata disponibilità sul mercato di esemplari catturati in mare.
Per questo motivo riescono a spuntare prezzi unitari notevoli, tali da giustificare gli investimenti finanziari necessari per il sistema d'allevamento intensivo.
Volendo analizzare la localizzazione delle unità produttive, si deve premettere che nelle regioni del Nord, per motivazioni storico-geografiche, sono ubicati una altissima percentuale di impianti (Tav. 1, in allegato).
Infatti, oltre il 70% degli impianti di allevamento intensivo sono concentrati nel Nord Italia e di essi 692 sono nel Nord-Est e 222 nel Nord-Ovest; leggermente inferiore è il numero di impianti nel Sud (sono 219) la maggioranza dei quali destinati alla crescita dei mitili.
Considerando invece le superfici adibite a vallicoltura estensiva, la metà degli oltre 63.000 ettari sono situati nel Nord-Est (15.800 in Veneto, 15.000 in Friuli), il 21% nel Sud (essenzialmente Puglia) e il 17% nelle Isole.
La dislocazione degli impianti influisce sulla ripartizione geografica delle produzioni: passando ad analizzare le quantità, è sempre il Nord-est a dominare il mercato con una quota del 58%, precedendo il Sud fermo al 26%. Decisamente differente è la graduatoria in base al valore della produzione perché il Sud dimezza il proprio peso al 13% (in quanto specializzata principalmente sui mitili) a scapito di Nord-ovest e Centro. A livello di regioni, il Veneto occupa il primo posto con un output di 43.500 tonnellate e 135 miliardi, seguita, per le quantità, da Puglia, Friuli ed Emilia Romagna e da Friuli (88 miliardi), Emilia Romagna e Puglia per i valori.
I dati riportati nella Fig.5 si riferiscono alla situazione rilevata nel biennio 93-94 da A.P.I. e ICRAM per cui è probabile che nell'ultimo triennio siano avvenute delle variazioni, anche considerevoli, nella distribuzione territoriale della produzione nazionale a causa dell'avvio a regime di grossi impianti nel Sud e nelle Isole.
La concentrazione dell'acquacoltura in poche e specifiche aree del nostro paese non è casuale ma è collegata alla presenza di determinati
caratteri ambientali che rendono tali siti utilizzabili a fini produttivi.
L'Italia dispone di un invidiabile patrimonio idrico, ricca di bacini d'acqua dolce (fiumi e laghi), circondata dal Mar Mediterraneo (circa 8.000 km) e dotata di una estesa catena di lagune e stagni d'acqua salmastra (circa 150.000 Ha) ideali per l'allevamento di specie eurialine.
La consistenza del patrimonio naturale è però affievolita da alcuni fattori che possono impedire o pregiudicare la riuscita delle iniziative d'acquacoltura, sia perché i parametri naturali condizionano la vita e la qualità degli organismi, sia perché la legislazione richiede requisiti minimi inderogabili (soprattutto per l'allevamento di molluschi) oppure impone vincoli alla realizzazione di strutture artificiali, per la salvaguardia dell'ambiente.
Il primo aspetto riguarda la presenza di acque incontaminate, ossia biologicamente, chimicamente e fisicamente idonee. Nel 1995, sui 7.122 chilometri di coste italiane esaminate per la balneabilità, ben 2.610 (36,7%) erano ritenuti non balneabili (ISTAT, 1997).
3.2 ACQUACOLTURA IN ACQUE DOLCI
La piscicoltura italiana ha prodotto lo scorso anno complessivamente oltre 65.000 tonnellate di derrate ittiche.
Le aree di produzione risultano ubicate per il 70% nelle regioni del Nord, per il 20% al Centro, e per il restante 10% al Sud, dove si riscontra una maggiore propensione al consumo del pesce fresco (oltre il 70% del consumo totale secondo un'indagine A.P.I./A.C. Nielsen, acquistato per il 70% nelle pescherie o presso venditori ambulanti).
La produzione di specie d'acqua dolce, supera le 57.000 tonnellate, pari ad una P.L.V di circa 300 miliardi, con oltre 800 siti produttivi e circa 10.000/11.000 addetti compreso l'indotto.
Per quanto riguarda i consumi, bisogna tener presente che il comparto alimentare nel suo complesso, anche nel nostro paese ha ormai raggiunto livelli di maturità, con un conseguente stabilizzarsi della domanda di prodotti alimentari.
I prodotti ittici, in questo contesto, confermano l'andamento complessivo del settore alimentare, con un trend caratterizzato da un generale contenimento dei consumi soprattutto nel segmento del pesce fresco, mentre sembra esservi maggior interesse verso il prodotto a più elevato contenuto di servizio, commercializzato soprattutto tramite il canale della Distribuzione Moderna.
Da rilevare infine come gli acquisti di pesce d'acqua dolce (la trota rappresenta la quasi totalità del pesce d'acqua dolce) diano segnali di maggiore debolezza nelle regioni tradizionalmente più forti consumatrici (che corrisponde al nord ovest), mentre le regioni del Centro sembrano evidenziare una tenuta dei consumi.
TROTA
In Italia viene comunemente allevata la trota iridea, altrimenti detta Salmo gairdinerii o Onchorhynchus mykiss
Gli allevamenti italiani sono sia a carattere estensivo che intensivo, ma in entrambi i casi il continuo ricircolo di abbondante acqua è essenziale: l'originaria dislocazione degli impianti in montagna, ritenuto l'habitat naturale della trota, è stata progressivamente sostituita dalla nascita di troticolture nella pianura padana, dove vengono usate acqua fluviali e sorgive.
Si è soliti (A.P.I., 1994) distinguere tra allevamenti a conduzione familiare, in cui il proprietario gestisce l'impianto da solo o con l'ausilio di suoi familiari, e a conduzione imprenditoriale in cui vengono impiegati lavoratori salariati, alcuni a tempo pieno, altri solo alcuni mesi dell'anno (Tab.5).
La differenza tra i due modelli è anche nell'intensità degli investimenti in terreni e attrezzature e nella disponibilità di conoscenze tecniche per integrare la riproduzione e la prima lavorazione all'interno dello stesso impianto di allevamento.
Seppur marginale, vista la preferenza accordata alla dieta artificiale, in alcune aziende a conduzione familiare avviene la preparazione dei mangimi utilizzando materiale riciclato dalle altre attività (agricole o zootecniche) generalmente associate alla piscicoltura.
La trota risulta la specie più allevata con una produzione complessiva di 51.000 tonnellate provenienti da oltre 600 impianti, pari a circa il 78% della produzione di pesce d'acquacoltura in Italia ponendosi ai vertici della produzione per questa specie a livello comunitario.
L'allevamento di trote è presente quasi esclusivamente nel Nord Italia, dove è concentrato l'86% degli impianti dai quali esce l' 89% del prodotto nazionale: le regioni maggiormente attrezzate sono il Friuli Venezia - Giulia (11.000 tonnellate annue con 87 impianti), Veneto (9.000 con 166) e Lombardia (3.800 con 122); nel centro - sud la troticoltura è diffusa lungo l'Appennino, laddove è più facile trovare abbondante acqua con le caratteristiche necessarie (Fig.6).
Il comparto, che nell'ultimo quinquennio ha visto un sensibile incremento dei volumi di produzione (+21%), manifesta da qualche anno uno stato di sofferenza determinata sia da problemi di mercato, causati dalle forti importazioni di salmone norvegese nei paesi dell'UE , sia dalla debolezza strutturale insita nel settore.
Infatti, anche se numerosi allevamenti hanno potuto accedere ai finanziamenti previsti dallo SFOP, in generale le aziende del comparto risultano ancora in larga misura caratterizzate da impianti a basso livello tecnologico ed obsoleti, in gran parte realizzati a cavallo tra gli anni '60/'70.
Dal canto loro i troticoltori in questi anni hanno cercato di reagire al pesante andamento del prezzo della trota, da un lato incrementando le quote di produzione per ridurre il costo unitario del prodotto, d'altro ricercando una maggiore integrazione con il mercato, collocando direttamente il prodotto o avviandolo al consumo trasformato.
Inoltre, a fronte di una generale diminuzione dei costi di produzione registrata nel comparto agro - alimentare, la troticoltura ha invece subito un sensibile aumento dei costi, poiché buona parte di questi dipende da fattori esterni e poco controllabili.
Pertanto la redditività degli allevamenti di trota è andata infatti progressivamente riducendosi, fino ad arrivare in taluni casi a gestioni passive.
Da evidenziare a questo proposito:
l'incremento dei costi del mangime determinato dall'aumento del costo delle farine di pesce (oltre il 35% nell'ultimo biennio);
la diminuzione dei prezzi di vendita specie per quanto riguarda le trote vive, causa la costante diminuzione della domanda delle pesche sportive;
i costi relativi all'installazione dei misuratori di portata; le condizioni ambientali mediamente peggiorate dal costante innalzamento delle temperature delle acque che comporta problemi di contaminazione, e dalla conseguente maggiore vulnerabilità alle ittiopatologie;
l'incremento dei costi di vaccinazione e profilassi;
gli elevati costi di ammodernamento strutturale e per l'introduzione di nuove tecnologie, che non hanno ancora trovato adeguata contropartita economica nella riduzione dei costi di produzione.
Non vanno poi sottaciute le negative ripercussioni determinate dal radicale mutamento del quadro normativo cui fanno riferimento le imprese agricole, quindi gli impianti di acquacoltura, intervenute negli ultimi anni.
E qui vale la pena di ricordare i più recenti significativi interventi legislativi:
incremento dei coefficienti del reddito agrario (+70% per il biennio 1997/98 rispetto al precedente periodo);
incremento degli oneri previdenziali determinati dal passaggio dello SCAU all'INPS;
introduzione di nuove normative (D.L. 626/94, applicazione Legge 46/90) che hanno comportato rilevanti investimenti per l'adeguamento alla sicurezza sui luoghi di lavoro e degli impianti elettrici.
Inoltre da non trascurare il sempre più elevato impatto subito dagli allevamenti causato dagli uccelli ittiofagi, ormai ubiquitari laddove vi siano impianti di piscicoltura.
Le previsioni per il corrente anno, basate sui dati ricavati dal "Sistema di monitoraggio del mercato dei prodotti ittici di acquacoltura in Italia", evidenziano come il consumo di mangime di trota nel primo semestre 1998 è risultato inferiore rispetto allo stesso periodo del 1997, per un quantitativo pari a 2 130 tonnellate.
Ciò comporterà a fine 1998 a registrare un sensibile calo produttivo.
Nonostante quindi una minor produzione, potranno permanere difficoltà di collocamento del prodotto determinate, come abbiamo visto, da una generale diminuzione di consumo di prodotti ittici.
3.3 ACQUACOLTURA IN ACQUE SALMASTRE E MARINE
Limitando la descrizione al settore di allevamento delle specie ittiche eurialine, va rilevato che l'acquacoltura in acque salmastre (tipicamente in lagune o in impianti a terra) o in acque marine, comprende essenzialmente:
anguillidi (Anguilla anguilla, A. rostrata, A. australis, A. japonica);
mugilidi (Cefalo, Mugil cephalus. Bosega, Chelon labrosus,. Lotregano, Caustello, Verzellata, Liza spp.);
serranidi (Spigola o Branzino, Dicentrarchus labrax);
sparidi (Orata, Sparus auratus).
BRANZINO E ORATA
La spigola o branzino (Dicentrarchus labrax) e l'orata (Sparus aurata) sono due specie di pesci marini che pur non appartenendo alla stessa famiglia hanno in comune alcune caratteristiche che ne permettono l'allevamento con le stesse tecniche e, in molti casi, nelle stesse strutture, anche se commercialmente vi sono apprezzabili differenze.
La riproduzione artificiale delle due specie è stata messa a punto solo da una decina di anni ma ormai ha raggiunto buoni livelli di standardizzazione, per quantità e qualità del prodotto e questa è una delle cause che hanno consentito un grandioso sviluppo dell'allevamento in tutto il bacino del Mediterraneo.
A causa della concorrenza internazionale la produzione di orate e branzini rischia di essere considerata il settore dell'acquacoltura più debole e con il minor potenziale di crescita in Italia, anche se è bene segnalare alcuni motivi di interesse:
si tratta di specie marine, le più gradite dai consumatori italiani;
le tecniche di riproduzione e le conoscenze sull'alimentazione e sulle patologie consentono investimenti con un basso grado di rischio biologico;
può essere esercitato con una pluralità di tecniche, in gabbie semi-sommerse in mare (attualmente vi si produce il 32% del totale), sia a largo che vicino la costa, nelle valli e nelle lagune in forma estensiva policolturale (22%) e in vasche mono e policolturali intensive;
può essere di stimolo per la ricerca e lo sviluppo della coltura di altre specie marine (es. dentici, saraghi, orate giapponesi), peraltro già in fase di sperimentazione in altri paesi del Mediterraneo.
Lo sviluppo di questo redditizio settore in Italia è stato spiazzato dal boom produttivo registrato in altri paesi, con un conseguente calo dei costi di produzione e dei prezzi e un massiccio ricorso alle importazioni per soddisfare la domanda interna. Ad ogni modo la maggior parte delle nuove iniziative in acquacoltura in Italia ha riguardato l'allevamento in mare di orate e branzini, con un notevole impiego di capitali. A titolo di esempio, delle 12 nuove imprese di acquacoltura che hanno usufruito delle agevolazioni previste dalla legge 44/86 (imprenditorialità giovanile), ben 11 hanno come finalità l'ingrasso di specie eurialine in forma intensiva, con un investimento medio di 4,4 miliardi e 17 addetti dichiarati. L'elevato valore unitario degli investimenti indica che:
è una attività ad elevato impiego di capitale in terreni, strutture e mezzi;
vengono privilegiati impianti dalla grande capacità produttiva per meglio ripartire i costi fissi relativi alle avannotterie e agli impianti di prima lavorazione annessi all'attività principale (che resta l'ingrasso dei pesci).
Le potenzialità per il meridione d'Italia sono quindi reali, considerato che il Sud dispone di acque e temperature ottimali, ed è area di consumo preferenziale per il pesce di mare.
In effetti la maggior parte degli allevamenti intensivi (a terra e in mare) si trova nelle Isole e al Sud, anche se gli impianti sono diffusi in tutta Italia, Nord-Ovest escluso. I principali poli produttivi sono in Veneto (in particolare con gli allevamenti estensivi), la Toscana nelle lagune di Orbetello, tutta la Puglia e la Sicilia sud-occidentale con le innovative gabbie in mare (Fig.7).
La ripartizione geografica delle quantità prodotte presenta una decisa diversità tra le due specie: l'orata è prevalentemente allevata nel Nord-Est e nel Sud mentre la spigola al Centro e nelle Isole; questa disparità è ancor più curiosa se si pensa che al Nord è maggiormente apprezzata la spigola (in tali regioni si consuma quasi il 70% del totale nazionale) (Fig.8).
In una prospettiva storica, l'allevamento di specie eurialine è in continua crescita: seppur con tassi inferiori a quelli di altri paesi mediterranei, la produzione da intensivo è cresciuta al ritmo del 23% annuo negli ultimi sette anni e la maricoltura addirittura del 49% annuo. In confronto l'aumento del raccolto da estensivo, con il 8% annuo sembrerebbe addirittura in crisi. Le catture della pesca invece si sono mantenute pressoché stabili e nel 1995 per la prima volta sono state inferiori all'output dell'allevamento (Tab.6).
Il valore delle produzioni, seppure in evidente crescita, è stato attenuato dal contemporaneo crollo dei prezzi, dovuto alla diminuzione dei costi di produzione e all'incremento degli scambi commerciali. In termini reali il prezzo di orate e spigole si è dimezzato tra il 1990 e il 1995.
In riferimento alla commercializzazione e al consumo il branzino e orata vengono di preferenza acquistati allo stato fresco e ormai sono facilmente reperibili in tutti i punti di vendita al dettaglio e nei ristoranti in cui viene preparato il pesce. Il branzino o spigola è più diffuso al Nord, dove se ne consuma il 72% del totale nazionale, acquistato presso la distribuzione moderna (46%) e le tradizionali pescherie (37%); questo prodotto conserva una immagine di élite rispetto alla orata. Viene stimato che quasi il 70% dei branzini sia destinato ai ristoranti, nei quali è più apprezzato il pesce d'allevamento intensivo (più morbido, meno saporito, più difficile da spinare) perché più economico rispetto a quello di valle o di mare: il consumatore medio, sapendo che c'è un prodotto di suo gradimento a prezzo più contenuto non è disposto a spendere di più per qualcosa che non riesce ad apprezzare (Schiavon, 1997). L'orata ha al Centro (30%) e al Sud (45%) maggiore seguito: il punto di vendita preferito è, in questo caso, la pescheria (74%) piuttosto che la distribuzione moderna (12%).
L'andamento stagionale dei consumi è contraddistinto da due picchi in corrispondenza del periodo natalizio e del bimestre luglio-agosto ma la domanda è consistente per tutto l'anno e trova soddisfacimento con l'offerta di allevamento nazionale ed estera e con la pesca nei mesi estivi.
CEFALO
Con il termine cefalo si è soliti indicare i pesci di cinque diverse specie, tra le quali la più diffusa è il Mugil cephalus o volpina; le altre specie sono note come bosega, lotregano, botolo e verzelletta (Ravagnan, 1995). L'allevamento del cefalo in Italia avviene esclusivamente in impianti estensivi o semi-intensivi policolturali in quanto maggiormente capaci di esaltarne le qualità di "spazzini" delle acque: i cefali infatti sono capaci di trasformare in energia gli alimenti e i detriti dispersi dalle altre specie presenti nel bacino. Per lo stesso motivo è possibile allevare in modo intensivo i cefali nei bacini di "decantazione" delle acque provenienti da allevamenti intensivi di altre specie quali orate e branzini, come è ben noto agli esperti di vallicoltura integrata (Ravagnan, 1995). Una impresa di ingrasso intensivo di cefali invece non appare redditizia sia per il modesto indice di conversione alimentare ottenuto con i mangimi industriali, sia per la quotazione commerciale che risulta piuttosto bassa.
ANGUILLA
In Italia gli allevamenti possono essere a carattere intensivo (con due diverse tecniche, a circuito chiuso o aperto) oppure estensivo.
L'Italia è il paese leader in Europa nel settore dell'anguillicoltura, pur rimanendo in una fase di stallo a causa degli ancora irrisolti problemi tecnici e della lunga durata del ciclo di ingrasso che rendono poco conveniente l'allevamento di questa specie. Pur essendo presente in tutta Italia, l'area di tradizionale produzione è a cavallo di Veneto e Lombardia, dove si concentra oltre il 60% dell'intera offerta nazionale. Solo in Veneto, Emilia Romagna e Sardegna è prevalente la produzione da estensivo su quella da intensivo potendo utilizzare idonei ambienti salmastri (Fig.9).
Come già detto la produzione italiana, rispetto al 1988 ha subito un calo generalizzato, sia negli allevamenti intensivi (-10%) ed estensivi (-59%) sia nella pesca (-43%): ciò ha avuto un riflesso sui prezzi, i quali nello stesso periodo sono saliti del 40%. La difficoltà di reperimento di novellame selvatico rischia di provocare una autentica crisi del settore, tanto più che l'inquinamento rende ormai problematico l'accrescimento nelle valli da pesca.
Solo nell'ultimo anno si è assistito ad una leggera ripresa degli intensivi e della pesca (Fig.10).
Riguardo la commercializzazione e il consumo, il mercato italiano, considerato il più importante in Europa, è caratterizzato da una prevalenza di consumi nel Sud (53% del totale nazionale) e nel Centro (44%) mentre al Nord la diffusione è irrisoria. Commercializzato in prevalenza attraverso un canale distributivo lungo, il mercato è orientato verso il prodotto vivo (60%) e trasformato affumicato (35%).
Inoltre il mercato soffre di una elevata stagionalità, con picchi di consumo nel periodo natalizio: tra dicembre e gennaio si concentrano oltre la metà dei consumi annuali.
Nello stesso periodo si registra un notevole aumento dei prezzi che va a remunerare produttori e allevatori del lungo ciclo biologico di questa specie. Le taglie commerciali più conosciute sono il buratello (5-7 pezzi equivalenti ad un chilo di anguilla) e il capitone (2-3 pezzi per chilo).
3.4 INQUADRAMENTO GIURIDICO - AMMINISTRATIVO
L'acquacoltura in Italia si presenta come attività economica estremamente articolata dal punto di vista dello sviluppo, e ciò non soltanto nei riguardi del numero degli impianti attivi, quanto soprattutto per i tipi e l'oggetto dell'allevamento, delle tecniche impiegate, nonché delle forme e dei canali di commercializzazione.
Tutto ciò conferisce al settore una fisionomia quanto mai variegata, dove le numerose variabili, oltre ad essere difficilmente dominabili, rendono estremamente difficoltosa una classificazione tipologica degli impianti in grado di raggrupparli sulla base di schemi precostituiti e valevoli in generale.
Occorre sottolineare che il settore dell'acquacoltura è stato oggetto, soprattutto in questi ultimi anni, di numerosi progetti legislativi di carattere comunitario, nazionale, e regionale che agevolano questa attività economica tramite la concessione di contributi in conto capitale e in conto interessi.
Nonostante questi presupposti, nel nostro Paese gli aspetti giuridico amministrativi legati al fenomeno non favoriscono un'espansione del comparto corrispondente alle sue potenzialità; per cui l'attività di acquacoltura in Italia, quale strumento nuovo di sfruttamento economico del mare, nonché della fascia costiera, nonostante la sua giovane età vive già un periodo di crisi e di ristagno.
Ciò è dovuto al fatto che è sempre mancata in Italia con riguardo all'acquacoltura, e più in generale con riguardo ai fenomeni economicamente rilevanti e nel momento di loro massima ascesa, una corrispondenza tra quello che è lo sviluppo di fatto degli stessi e quella che è la loro disciplina giuridica. Manca cioè in Italia nel contesto di questo discorso quella che in termine economico-giuridico si chiama "analisi economica del diritto".
"Il diritto ha una funzione di mimesi del mercato, non si devono dare norme in contrasto con il mercato, ma solo norme che ne traducono in comportamento coatto le esigenze obiettive".
E', quindi, in questa prospettiva che l'espressione "analisi economica del diritto" trova o dovrebbe trovare una sua precisa connotazione e una sua precisa accezione.
Tornando all'attività di acquacoltura si tratta in primo luogo di definire l'inquadramento giuridico degli allevamenti ittici.
E' questa una questione ancora non del tutto risolta , anche se la legge n°778 del 20 novembre 1986 modificando gli articoli n°206 e n°207 del testo unico sull'assicurazione contro gli infortuni, quelli relativi alla definizione dell'impresa di allevamento , considera agricola l'attività di ittiocoltura.
Adeguata soluzione al completo equiparamento degli allevamenti ittici alle altre attività e pratiche agricole si sarebbe dovuta avere con la legge n° 102 del 5 febbraio 1992, che avrebbe dovuto dissipare qualsiasi dubbio in quanto sancisce che l'attività dell'acquacoltura è da considerarsi agricola a tutti gli effetti, infatti l'articolo 2 decreta:
"Sono imprenditori agricoli, ai sensi dell'articolo 2135 del C.C. , i soggetti, persone fisiche o giuridiche che esercitano l'acquacoltura e le connesse attività.."
e il richiamato articolo n° 2135 de Codice Civile così recita:
"E' imprenditore agricolo chi esercita un'attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura ed all'allevamento del bestiame.."
Dalle norme sopra citate si deduce l'intenzione del legislatore di estendere alle specie ittiche la definizione di bestiame.
Ma a questa assimilazione si è contrapposta una corrente di pensiero che invece ha ritenuto di escludere le specie ittiche dall'inquadramento agricolo di "bestiame tipico" cioè destinato al lavoro del fondo o alla produzione di carne, lana o latte.
Queste osservazioni hanno trovato applicazione in una sentenza della Corte di Cassazione, la n° 19 del 1983.
La conseguenza della sentenza è stata un'incertezza giuridica che si manifesta in diversi ambiti.
Ad esempio risulta che i Catasti applicano classificazioni diverse al settore, infatti per alcuni Catasti gli impianti sono considerati agricoli, altri li classificano industrie, altri ancora come opifici ed alcuni altri li inquadrano in forme miste.
La mancanza di certezze, che non si può imputare alle norme, ha forti ripercussioni economiche; si consideri, ad esempio, la differente quotazione tra un terreno a destinazione agricola ed uno situato in zona industriale.
Nel caso in cui gli impianti dovessero essere considerati industrie, tale attività dovrebbe affrontare la maggior differenza tra le tariffe dell'acqua per uso agricolo e quelle per altra destinazione.
A tale riguardo ci si può riferire alla legge n° 36 del 5 gennaio 1994 recante disposizioni in materia di risorse idriche, la quale all'art.18 (canoni per utenze di acqua) prevede £ 70.400 per modulo d'acqua ad uso irriguo e £ 500.000 per lo stesso modulo destinato alla piscicoltura non contemplando quest'ultima tra le attività agricole.
E' notorio che l'E.N.E.L. prevede ordinariamente nel suo tariffario un trattamento molto meno oneroso per le utenze agricole, trattamento non sempre riconosciuto alle aziende acquicole le quali, qualora non possano usufruirne, sono costrette a sopportare un aggravio sul costo finale del prodotto, considerando che l'energia elettrica viene utilizzata ininterrottamente durante il ciclo produttivo per azionare ossigenatori, distributori di mangime, pompe idrovore e quant'altro necessario.
La difficoltà di un chiaro inquadramento giuridico amministrativo può comportare da sola conseguenze gravi dal punto di vista economico se è vero che una delle strategie proposte dal piano poliennale consiste nella ricerca della minimizzazione dei costi, si potrebbe dare un notevole contributo facendo chiarezza su questo fronte.
Riferendo sulle problematiche del settore, si è fatto riferimento alla complessità dell'iter burocratico da seguire per ottenere le autorizzazioni necessarie alla realizzazione di un impianto.
In questa parte si vogliono sinteticamente riportare tutti gli adempimenti richiesti, evidenziando i punti che spesso rendono lenta e farraginosa tale procedura.
Quest'ultima è stata delineata dalla circolare del Ministero delle Risorse Agricole, Alimentari e Forestali del 17 giugno 1994 n. 60477 denominata "Programma settoriale pesca - Reg. CEE n. 2080/93 - Modalità di presentazione dei progetti", che oltre ad elencare la documentazione necessaria per l'ammissione al finanziamento, prevede, appunto i provvedimenti amministrativi e concessori indispensabili alla realizzazione di un impianto.
I provvedimenti amministrativi autorizzati richiesti sono:
1) concessione demaniale;
2) concessione edilizia;
3) concessione di captazione e scarico delle acque.
Ciascuno di essi prevede un procedimento diverso ed articolato.
1) concessione demaniale
E' necessaria quando si richiede l'utilizzazione di un bene pubblico ad uso proprio; può riguardare sia la totalità dell'area su cui insiste l'impianto, sia le superfici necessarie per il passaggio delle tubazioni: in entrambi i casi, pur molto diversi, l'iter è identico e si articola in quattro fasi:
introduttiva
istruttoria
pubblicitaria
decisionale.
La prima consiste nella presentazione della domanda, contenente il progetto particolareggiato dell'impianto, al Comandante della Capitaneria di Porto, se la concessione è richiesta per la durata massima di quattro anni, altrimenti al Ministero dei Trasporti e della Navigazione se essa è richiesta per un periodo superiore ai 15 anni; c'è la possibilità in ogni modo che, la Capitaneria di Porto rilasci l'autorizzazione per un periodo superiore ai quattro anni ma, di fatto, è effettuata una concessione quadriennale rinnovabile; non appare superfluo ricordare inoltre che affinché un privato possa accedere ai finanziamenti comunitari deve dimostrare di poter godere del sito per almeno dieci anni (Circ. del 17 luglio 1994 n. 60477).
La fase istruttoria è la più importante in quanto con essa vengono valutate la compatibilità della richiesta con i diversi interessi pubblici, le spese relative alla registrazione delle licenze, ed ogni altra incombenza a carico del richiedente. Durante tale istruttoria sono richiesti i pareri dell'ufficio delle opere marittime del Genio Civile, dell'intendenza di finanza e dell'autorità doganale.
La fase pubblicitaria consiste nell'affissione nell'albo del comune ove è situato il bene e nel Foglio degli annunzi legali della provincia.
La fase decisionale, ultima del procedimento, assume la forma di un decreto nel quale sono indicati tutti i particolari della concessione.
Questa procedura riguarda, oltre che gli impianti a terra, le tipologie definite off-shore, cioè in altre parole quelle che non occupano aree di costa ma gabbie galleggianti.
2) concessione edilizia
Le imprese che intendano utilizzare per l'allevamento una qualsiasi delle tipologie afferenti gli impianti intensivi, dovendo realizzare degli invasi artificiali e diverse strutture edilizie aziendali, sono tenute a richiedere la concessione edilizia, come previsto dalla legge n. 10 del 28 gennaio 1977 (Legge Bucalossi) la quale obbliga a tale adempienza ogni attività che comporti trasformazione urbanistica e edilizia del territorio comunale.
Chi presenta domanda di concessione deve riferirsi al Regolamento Edilizio di ciascun comune, onde informarsi sui documenti che sono necessari produrre ed allegare alla stessa.
Questa deve essere indirizzata al Sindaco e dovrà contenere le generalità del richiedente, del progettista, una descrizione dell'intervento proposto e la sua ubicazione territoriale.
Ad essa va allegato il progetto architettonico, che è richiesto, contenente tutti gli elaborati grafici (planimetrie, piante, sezioni) che consentano di definire unicamente natura e dimensioni.
Inoltre è necessario produrre il foglio di mappa catastale, l'inserimento nella vigente strumentazione urbanistica, planimetrie che individuino la rete idrica, le fognature ed i rispettivi punti di allaccio nonché il titolo da cui deriva il diritto di edificare.
Tutta la documentazione dovrà essere registrata e presentata presso l'Assessorato all'Urbanistica che è l'organo dell'amministrazione comunale competente per l'approvazione.
L'esame prevede diverse fasi durante le quali usualmente sono richieste integrazioni alla documentazione.
Superate queste fasi il Sindaco rilascia o meno la concessione.
Il procedimento brevemente riportato non presenta all'apparenza grandi intoppi, ma in realtà si tratta di fasi complesse che interessano enti ed amministrazioni diverse da quella comunale.
Infatti, numerosi "nulla osta" esterni devono essere rilasciati durante l'istruttoria della concessione edilizia.
Di seguito sono riportati gli enti usualmente interpellati e l'argomento su cui sono chiamati ad esprimersi.
Ufficio del Genio Civile
E' l'ente competente al rilascio delle autorizzazioni riguardanti le opere in calcestruzzo armato o in acciaio, la trivellazione dei pozzi, le opere marittime.
L'intervento di quest'ufficio è quindi sempre necessario per manufatti di cui trattasi; si evidenzia che anche nella fase di concessione demaniale è richiesto il parere al Genio Civile, il quale quindi si pronuncia due volte, separate temporalmente, la prima esprimendo un parere sulle opere marittime, durante la fase della concessione demaniale, la seconda intervenendo nella concessione edilizia sull'autorizzazione alla costruzione d'opere in cemento.
Assessorato regionale alla Tutela dell'Ambiente
La legge n. 431 del 8 agosto 1985 recante disposizioni sulla protezione delle bellezze naturali, impone che l'amministrazione pubblica rilasci un nulla osta che attesti la compatibilità ambientale dei progetti che interessano luoghi suscettibili d'alterazioni morfologiche o che possano in qualsiasi modo arrecare pregiudizio ad aree particolarmente amene.
Questa certificazione è stata la causa principale di controversie giudiziarie tra gli imprenditori e le Regioni, infatti, a causa di un'interpretazione molta restrittiva della norma, di fatto s'impedisce a questi ultimi di situare gli impianti a meno di 300 m dal mare.
In realtà la succitata legge non esclude questa possibilità, anzi individua proprio nelle attività agricole le eccezioni applicabili, ma le autorità considerano di solito non realizzabile l'integrazione con il territorio delle strutture dell'acquacoltura.
Capitaneria di Porto
Se ne richiede l'intervento solo se le costruzioni previste distano meno di 30 metri dal demanio marittimo. Anche in questo caso, il parere potrebbe essere rilasciato in concomitanza della delibera sulla concessione demaniale.
Ufficio forestale
Attesta che le opere, e la loro edificazione, non siano tali da compromettere il regime idrogeologico delle aree o da causare denudazioni del terreno favorendone frane e lisciviazione. E' un'autorizzazione che deve sempre richiedersi (R.D. 30 dicembre 1923 n. 3265).
Sovrintendenza archeologica
Quando si effettuano interventi che riguardino scavi, o in ogni modo opere che interessino il sottosuolo, la sovrintendenza accerta che non vengano danneggiati eventuali siti archeologici.
Amministrazione militare
E' necessaria l'autorizzazione quando s'interviene su territori attigui ad opere di difesa dello Stato, o in ogni caso su aree oggetto di servitù militare.
Azienda Sanitaria Locale
L'A.S.L. è chiamata a valutare gli aspetti igienici sanitari del progetto, in base alla Legge Sanitaria n. 1265 del 27 luglio 1934.
A tutti questi pareri se ne possono aggiungere altri qualora l'Amministrazione Comunale dovesse ritenerlo opportuno.
3) concessione di captazione e scarico delle acque
I volumi idrici di cui abbisogna il ciclo produttivo devono essere prelevati da idonea fonte, che può consistere in un pozzo, oppure essere rappresentata dal mare stesso attraverso il prelievo diretto. Per le specie eurialine l'acqua dovrà comunque essere marina perciò un eventuale pozzo dovrebbe pescare in mare e non in falda.
Emungimento da pozzo
Ancora una volta è il Genio Civile l'autorità preposta al rilascio della autorizzazione al prelievo, inoltre tale autorità fornirà di contatore volumetrico la struttura in quanto, come già riferito, è previsto il pagamento di un canone proporzionale ai consumi.
Prelievo diretto da mare
L'autorizzazione è rilasciata per le strutture preposte alla suzione, dalla Capitaneria di Porto, previo parere favorevole dell'A.S.L. sugli aspetti igienici sanitari dell'acqua.
Scarico delle acque
E' rilasciata l'autorizzazione allo scarico diretto, soltanto se i risultati delle analisi delle acque reflue consentono alle stesse di rientrare nei limiti della tabella A della legge n.319 del 10 maggio 1976 (legge Merli) che regola la materia. Essa inoltre individua indirettamente nell'ufficio ambiente della Provincia e nella Capitaneria di Porto gli enti delegati al rilascio delle autorizzazioni.
Come si può intuire i tempi necessari per adempiere alle diverse fasi sono molto lunghi: si può andare dai due ai cinque anni, sempre che non si debba presentare ricorso alla giustizia per redimere sopraggiunte controversie.
L'imprenditore si trova ad affrontare quindi, ulteriori costi rappresentati dell'immobilizzazione dei capitali, cui si aggiunge spesso la perdita dei finanziamenti concessi poiché gli stessi non sono utilizzati in tempo utile.
3.5 LA COMPETIZIONE IN AMBITO MEDITERRANEO: IL CASO GRECIA
Nell'ultimo decennio, l'allevamento di specie eurialine in Grecia ha seguito un'espansione vertiginosa che ha portato il paese ellenico a raggiungere una posizione di leader nel mercato delle spigole e orate, rappresentandone, nel 1995, il 45%.
I fattori determinanti che hanno concorso all'intenso sviluppo della maricoltura greca sono molteplici:
primo fra tutti, l'adeguato sfruttamento delle condizioni climatiche e delle favorevoli caratteristiche geomorfologiche delle coste elleniche;
in secondo luogo, gli ottimi risultati ottenuti dal punto di vista tecnologico;
terzo, l'utilizzazione ottimale dei finanziamenti comunitari destinati all'acquacoltura;
ultimo, ma non meno importante, il fatto che gli impianti siano stati strutturati su gabbie flottanti piuttosto che su vasche a terra (proprio grazie alle particolari condizioni costiere), che ha reso possibile una produzione a costi più contenuti rispetto a quelli sostenuti dagli impianti su vasca.
Comunque, il forte impulso produttivo ha dato alla Grecia, oltre che il primato per la produzione, anche la leadership nelle esportazioni di spigole e orate in Europa.
Sulla base dei dati della Federazione dei Maricoltori greci, relativi al 1995, la maggior parte delle esportazioni di prodotti della maricoltura greca (compresi i mitili) è destinata al mercato italiano (Fig.11).
Nonostante in questo contesto si siano prese in considerazione esclusivamente le specie eurialine, vale la pena accennare al fatto che l'80% della produzione di mitili viene assorbita dal mercato italiano, soprattutto quello meridionale.
L'intensa attività esportativa greca di specie eurialine va posta in relazione alla crisi del comparto, determinata dall'eccesso di produzione verificatosi a cavallo tra il 1992 ed il 1993, che ha causato una netta flessione delle quotazioni dei prodotti allevati.
La vera valvola di sfogo per l'eccesso di offerta venutosi a creare sul mercato greco, è stata rappresentata dalla capacità di assorbimento del mercato italiano, che riceve oltre il 90% della produzione greca di specie eurialine.
Ciò che è stato rilevato in Grecia, relativamente agli effetti dell'eccesso di offerta e del conseguente abbattimento delle quotazioni, che ha determinato una forte riduzione del profitto degli acquacoltori maggiori e la fuoriuscita dal mercato dei produttori minori non più in grado di sostenere i costi di produzione, è avvenuto, seppure in misura più contenuta, anche in Italia.
Nel nostro paese, però, la maggiore gradualità dello sviluppo dell'acquacoltura ha determinato l'entrata a regime di impianti più solidi sia dal punto di vista produttivo che da quello gestionale e del marketing, riuscendo a sostenere meglio gli effetti negativi dell'eccesso di offerta.
Per quanto riguarda la rilevanza dell'offerta greca di specie eurialine sul mercato italiano e la loro forte concorrenzialità, la natura del fenomeno trova spiegazione in una serie di cause accennate in precedenza; soprattutto va rilevato il più basso livello dei costi di produzione consentito dagli impianti con gabbie galleggianti.
Ovviamente, un ruolo determinante hanno avuto le condizioni di mercato in Italia, che hanno permesso l'ingresso di ingenti quantità di prodotto greco; in tal senso tra i produttori mediterranei di spigole e orate, L'italia rappresenta il bacino di consumo più recettivo.
La competitività dei prezzi dei prodotti provenienti dal paese ellenico, è riscontrabile nell'andamento annuale dei prezzi all'ingrosso riscontrati negli ultimi anni sul mercato greco e su alcuni dei principali mercati ittici localizzati presso i maggiori porti di sbarco ellenici.
Al di là di alcune fluttuazioni sporadiche, dovute evidentemente a particolari fenomeni contingenti, l'andamento del prezzo medio delle orate appare piuttosto stazionario, su valori medi che si attestano tra le 8.200 e le 14.000 £/kg.
Considerando che i prezzi delle orate spuntati nei mercati greci si posizionano, per quel che riguarda il mercato italiano, pressoché sugli stessi livelli delle quotazioni rilevate sui mercati all'ingrosso, appare ancora più netta la loro competitività nei confronti dei valori franco produzione per l'orata registrati in Italia.
In generale, comunque, l'attuale processo di espansione del sistema distributivo in Grecia consentirà afflussi sempre maggiori di specie eurialine nei canali della Grande distribuzione organizzata.
Se, da un lato, ciò favorirà la diffusione del consumo di tali specie, dall'altro determinerà, presumibilmente, un'ulteriore appiattimento delle quotazioni; in questo senso, i produttori greci dovranno intervenire sui propri costi di produzione onde mantenere sufficienti margini di profitto.
Per l'acquacoltura italiana ciò non rappresenta sicuramente una prospettiva incoraggiante, infatti, la contrazione delle quotazioni in Grecia spingerà gli operatori ellenici a ricercare ulteriore spazio sul mercato italiano con un prodotto ad un prezzo ancora più competitivo.
ACQUACOLTURA IN PUGLIA
4.1 NOTIZIE GENERALI
Il tentativo d'approfondimento della realtà tecnica e socioeconomica dell'acquacoltura pugliese trova rispondenza nell'esigenza di fornire, il più dettagliatamente possibile, un quadro d'insieme che mostri i diversi aspetti del settore e ne descriva la ricaduta sul territorio.
Per quanto concerne i dati nazionali ed europei riportati, essi sono quelli ufficialmente accertati ed accettati ma, talvolta, i produttori, gli operatori del settore ed i ricercatori stessi li mettono in discussione.
Il motivo principale va ricercato nel fatto che non è sempre possibile ricavare dati certi in tempo reale, quando l'oggetto del rilevamento è rappresentato da un'attività' "in divenire" di grosse dimensioni, come il settore acquacolturale nazionale e/o europeo.
In questi casi, quindi, i dati accertati vanno considerati più come macroeconomici che particolareggiati.
Nel caso, dell'acquacoltura pugliese invece, grazie alla collaborazione dei diversi produttori, si sono potuti definire con maggiore dettaglio i valori oggetto di ricerca.
Naturalmente questa situazione ha determinato il confronto fra dati macroeconomici (europei e nazionali) e quelli più dettagliati riferiti alla regione.
Si ritiene in ogni modo che questa discrepanza non infici nella sostanza i risultati ottenuti.
Pur mantenendo la pesca il ruolo primario nella produzione di alimenti d'origine acquatica solo dalla crescita della pratica acquacolturale e comunque, da pesca su base colturale ci si può attendere una crescita produttiva; partendo da tale presupposto appare particolarmente importante nell'ambito di un'analisi della filiera pesca nel suo insieme, verificare le condizioni, di sviluppo, dell'acquacoltura intesa come attività vicaria della pesca e non come sua concorrente.
La regione Puglia in particolare ricopre anche nel campo dell'acquacoltura oltre che in quello della pesca, un ruolo estremamente importante in quanto si caratterizza per essere uno dei poli maggiormente produttivi a livello nazionale.
Nella seconda metà degli anni '70, e per tutto il decennio seguente, si è assistito in Italia (e nella seconda metà degli anni ottanta anche in Europa) ad un notevole sviluppo del comparto acquacoltura, caratterizzato purtroppo da un'assenza di adeguata pianificazione che ha determinato una crescita piuttosto caotica del settore, con iniziative sovente scollegate fra di loro.
Tale sviluppo ha avuto origine, comunemente, nelle zone in cui esistevano antiche tradizioni ed una marcata professionalità nella pesca e nella gestione di particolari zone umide: lagune e laghi costieri.
Il motivo è da ricercarsi nella coopresenza di due fattori essenziali allo sviluppo e cioè: potenzialità professionali e culturali e potenzialità ambientali.
È del tutto evidente che questi fattori, in assenza di altre condizioni essenziali quali quelle di mercato, tecnologiche, economiche (investimenti), ecc., non sarebbero stati sufficienti a garantire lo sviluppo che si è avuto.
In sintesi, dunque, a parità di altri fattori la "abitudine culturale" a questo tipo di attività, nonché la presenza di ambienti particolarmente vocati, sono stati gli elementi che nelle Valli Venete, nelle Lagune di Orbetello e in quelle di Lesina e Varano, hanno consentito la nascita delle prime iniziative di allevamento ittico, considerabili a tutti gli effetti come un primo banco di prova e che hanno determinato la nascita di quelli che tuttora risultano essere fra i principali nuclei portanti dell'acquacoltura nazionale
Nel panorama nazionale del settore acquacoltura, la regione Puglia s'inquadra, per le considerazioni sopra esposte, come uno dei poli produttivi principali, sia per quanto riguarda l'allevamento di specie ittiche in acque salmastre e marine, che per quanto riguarda la molluschicoltura, in particolare l'allevamento dei mitili.
Lo sviluppo delle attività di piscicoltura nella regione affonda le sue radici negli anni settanta, con la realizzazione di impianti sia nell'area della laguna di Lesina, indirizzati alla produzione di anguilla, che in provincia di Lecce.
Negli anni ottanta e fino ad oggi, si è assistito allo sviluppo di numerose attività di piscicoltura che, a diverso livello, coinvolgono tutte e cinque le provincie pugliesi.
Le favorevoli condizioni meteo - climatiche dell'area, le caratteristiche dei terreni costieri e degli ambienti lagunari presenti, ne fanno una regione particolarmente vocata ad attività acquacolturali.
Oltre a questi aspetti, almeno per le prime iniziative, un importante ruolo hanno giocato le capacità recettive del mercato regionale.
4.2 LE SPECIE ALLEVATE
Negli impianti operanti della regione Puglia vengono allevate tutte le specie eurialine tipiche della produzione italiana: spigola (Dicentrarchus labrax), orata (Sparus aurata), anguilla (Anguilla anguilla), cefalo (Mugil cephalus, ed altre specie) (Tav.2, in allegato), sarago pizzuto (Puntazzo puntazzo).
Vengono allevati inoltre la mazzancolla (Penaeus japonicus), il madai (orata giapponese) e la tilapia (Oreochromis niloticus) che, pur non essendo specie tipiche, iniziano ad essere allevate in quantitativi rilevanti.
Oltre a queste specie, vengono prodotte, a titolo ancora sperimentale , la mormora (Lithognathus mormyrus) e 1'ombrina (Umbrina cirrosa).
Per quanto riguarda la spigola, questa viene prodotta nella maggior parte degli impianti ittici presenti nella regione.
In particolare, viene allevata in 17 impianti di tipo intensivo, distribuiti in tutte le provincie ed in 3 impianti di tipo estensivo.
Date le caratteristiche comportamentali della specie, questa viene allevata generalmente in monocoltura.
Mediamente, per l'allevamento della spigola viene destinato circa il 40% delle strutture produttive, anche se questo dato, in relazione alle condizioni di mercato e, non ultimo, alle patologie verificatesi negli ultimi anni (vedi encefalite virale), risulta in continua evoluzione, dimostrando ampie oscillazioni a favore della monocoltura dell'orata (Tab.7).
Negli estensivi, l'incidenza della produzione della spigola scende a circa il 19%.
Anche per quanto riguarda l'orata, l'allevamento coinvolge la maggior parte degli impianti regionali, ed in particolare 15 strutture di tipo intensivo, distribuite in tutte le provincie e 3 aziende di tipo estensivo. Nel 1992 gli impianti destinavano, alla produzione di questa specie, il 38% delle strutture produttive per gli intensivi ed il 33% per gli estensivi.
In accordo con il differenziale di crescita registrato in questi ultimi anni a livello nazionale, tra la spigola e l'orata ed in base anche alla minore incidenza della produzione della spigola, queste percentuali, sono suscettibili di forte sviluppo, almeno per quanto riguarda l'intensivo.
In un solo impianto si pratica la monocoltura dell'orata.
Per quanto riguardo l'anguilla, questa viene allevata in 14 impianti, per la metà di tipo intensivo, essenzialmente dislocati nell'area di Lesina. e per la parte rimanente in aziende di tipo estensivo.
La produzione di questa specie ha interessato soprattutto i primi impianti sorti nelle vicinanze della laguna di Lesina, anche per la possibilità, per alcuni di essi, di attingere acqua di pozzo debolmente salmastro, con un alto gradiente geotermico.
La tipologia dei moduli produttivi di questi impianti, infatti, malgrado la produzione si sia in seguito spostata anche verso altre specie, quali la spigola, evidenzia le caratteristiche tipiche di moduli per svezzamento ed ingrasso di anguille.
Per quanto riguarda il cefalo, la sua presenza è stata evidenziata solo negli impianti la cui produzione risulta significativa, sebbene tale specie sia generalmente allevata in quasi tutti gli impianti intensivi, sia nei canali di deflusso delle acque di allevamento, che nei bacini di decantazione delle acque, dove svolgono un ruolo primario per l'abbattimento del carico organico delle acque di scarico, rappresentando un reddito aggiuntivo per la maggior parte delle imprese e contribuendo a diversificare la produzione dell'impianto.
Per quanto riguarda il sarago pizzuto, la produzione resta ancora marginale e non ancora ampiamente diffusa tra gli impianti regionali.
Diverse strutture praticano la policoltura di questa specie con l'orata, sfruttandone le buone performance in termini di accrescimento.
Relativamente agli impianti destinati all'allevamento di specie di acqua dolce, ne sono presenti solo due: uno di tipo estensivo nella Provincia di Foggia, con esigua produzione di pesce gatto ed uno di tipo intensivo, nella provincia di Bari, nel quale vengono ottenute produzioni, di limitata entità, di trota e di specie ornamentali.
4.2.1 GLI IMPIANTI
L'acquacoltura pugliese, riferita alle attività di piscicoltura, si caratterizza per la diversificazione delle tipologie di impianto presenti e per la dinamicità che, in particolare negli ultimi anni, sta dimostrando.
Fino ai primi anni novanta risultavano attivi 25 impianti di piscicoltura di anguilla e specie eurialine, con un'incidenza in ambito nazionale di quasi il 10% (Tab.8).
L'incidenza regionale, in ambito nazionale, è supportata anche dai volumi dei moduli di allevamento intensivo di spigola, orata e anguilla, vede la Puglia, con oltre 130.000 mc, al 4° posto dopo Toscana, Lombardia e Veneto.
Secondo dati relativi al 1995, risultano presenti in Puglia 33 aziende di allevamento ittico, delle quali 4 risultano inattive, mentre 1 impianto è ancora in fase realizzativa (Tab.9).
Delle 28 aziende di allevamento ittico in attività, 18 impianti sono ascrivibili ad una tipologia di allevamento di tipo intensivo, contro 10 di tipo estensivo (Fig.12).
Insieme al considerevole numero di impianti presenti nella regione, occorre tenere conto della rappresentatività degli stessi, sia in termini di tipologia di allevamento che di produzione.
Nella Tab.10 sono riportati gli impianti presenti nella regione Puglia, al 1995, suddivisi per provincia di appartenenza, con indicata la categoria produttiva stimata.
Dalla Tab.10 si rileva come su 28 impianti in attività, solamente 2 hanno una produzione superiore ai 2.000 quintali di prodotto annuo e soltanto 5 presentano una potenzialità produttiva, superiore ai 1.000 quintali annui. Degli altri 21 impianti, 5 hanno una capacità produttiva compresa tra i 500 ed i 1.000 quintali e per ben 16 aziende la produzione risulta di poche centinaia di quintali (Fig.13).
Le limitate produzioni di molti impianti sono riferibili anche a diversi allevamenti che adottano tecnologie produttive di tipo intensivo, ascrivendo, all'interno di questo tipo di classificazione, gli allevamenti dotati di impianto di sollevamento delle acque (per garantire i necessari ricambi idrici giornalieri dei moduli di allevamento) e di apparecchi elettromeccanici o di più avanzata tecnologia (ossigeno liquido) per il mantenimento di un adeguato tenore di ossigeno disciolto.
Questo fenomeno, particolarmente rilevabile tra le aziende regionali, trova una difficile giustificazione, in quanto l'utilizzo di tecniche di tipo intensivo, oltre che dettate dalla limitata disponibilità di adeguate superfici, comporta elevati costi gestionali e di investimento che difficilmente possono essere ammortizzati con produzioni così esigue.
Il panorama, quindi, delle tipologie di impianti intensivi presenti, in particolar modo dei livelli tecnologici impiegati, è estremamente variegato, con una presenza ancora marcata di tecnologie produttive obsolete che ridimensionano, in un certo senso, il dato numerico.
Un aspetto evidente di questo ritardo tecnologico è rappresentato dagli indici di conversione medi dell'alimento che vengono riportati per gli interi cicli di allevamento per la spigola e per l'orata, rispettivamente di 3,3 e 3,5, che si collocano al livello più alto indicato nel IV Piano triennale per queste specie (1,2 - 3,5).
Quest'ultimo dato, peraltro, potrebbe essere inficiato anche dalle capacità gestionali dell'allevatore e dalla potenzialità offerta dai vari siti in particolare.
Non mancano, in ogni caso, esempi di impianti che utilizzano anche tecnologie all'avanguardia o, in linea con le nuove tipologie di allevamento, impianti di maricoltura con l'utilizzo di gabbie galleggianti.
La distribuzione regionale degli impianti di acquacoltura evidenzia come la maggiore concentrazione di aziende in attività si trovi nella provincia di Foggia, con 10 impianti intensivi e 4 estensivi (Tav.3, in allegato).
In particolare, nella zona che gravita intorno alle lagune di Lesina e Varano, sono presenti ben 9 impianti intensivi, a cui se ne deve aggiungere 1 che attualmente risulta inattivo.
Lo sviluppo registrato in queste aree, testimonia la loro particolare vocazione per questo tipo di attività.
Oltre alle attività produttive, sono operanti nella regione 4 centri di ricerca distribuiti a Lesina, Bari, Mola di Bari e Lecce.
Le aziende sono principalmente indirizzate all'ottimizzazione dei propri impianti con l'intento di migliorare il livello di efficienza e di mantenere standard qualitativi competitivi.
Negli ultimi 5 anni almeno l'80%, delle aziende, ha effettuato innovazioni significative.
In particolar modo gli investimenti effettuati sono stati indirizzati come evidenziato nella Fig.14.
E' evidente come il 74% delle innovazioni sono state di natura strutturale o di processo; in particolar modo nel comparto della miticoltura sono state rivolte, principalmente, alla realizzazione di sistemi long lines, mentre nella generalità gli investimenti sono stati rivolti all'ampliamento della capacità produttiva, e quindi aventi la finalità di raggiungere maggiori economie di scala, o per l'ottimizzazione del sistema di ossigenazione (ad es. all'adozione dell'ossigeno liquido); solo nel 13% dei casi ci si è trovati di fronte ad innovazioni di prodotto, in particolar modo rivolte all'introduzione nel ciclo produttivo di nuove specie, come il sarago, o per la ricerca di una maggiore qualità del prodotto.
La fase di start-up degli impianti viene finanziata attraverso interventi comunitari ed in misura minore attraverso contributi nazionali, infatti il 40% delle aziende ha richiesto ed ottenuto finanziamenti pubblici; di esse l'83% si riferisce a finanziamenti comunitari, mentre il restante ha ottenuto il 40% delle unità produttive predilige l'autofinanziamento e di esse il 63% circa indica l'autofinanziamento come unica fonte con cui alimentare i propri impieghi (Fig.15).
Le altre aziende si equidistribuiscono con percentuali oscillanti tra il 10% ed il 15% in relazione all'utilizzo di fonti più tradizionali con una struttura patrimoniale che propende per il credito di fornitura il cui peso, sul totale delle fonti, oscilla tra il 20% ed il 70% in alcuni casi.
Per quanto riguarda l'approccio al mercato e la distribuzione del prodotto non si seguono canali molto sofisticati; nessuna azienda commercializza il prodotto utilizzando un proprio marchio.
Tale caratteristica è naturalmente insita soprattutto in una filosofia radicata nel settore, in cui, benché se ne parli non è ancora stata definita una politica di marchio.
In particolar modo il 48% delle aziende distribuisce il prodotto interamente a grossisti, mentre il 36% vende direttamente il prodotto, di frequente franco impianto, il 12% si rivolge a dettaglianti ed il restante 4% continua a curare una propria nicchia di mercato collocando il prodotto al settore della ristorazione (Fig.16).
Non si rinvengono interscambi tra le aziende e la struttura della distribuzione è solitamente caratterizzata dalla concentrazione in un solo canale o al massimo in due canali distributivi (ad esempio all'affiancamento della vendita diretta a quella all'ingrosso, oppure al dettaglio).
I mercati di riferimento e che quindi consentono di individuare la dislocazione territoriale del prodotto sono distribuiti come evidenziato in Fig.17.
Solo nel 29% dei casi le aziende collocano il prodotto direttamente sui mercati nazionali e si tratta di aziende produttrici di spigole od orate e di mitili.
4.2.2 LE PRODUZIONI
Nella Tab.11 vengono riportati i dati produttivi, riferiti al 1993, per la spigola, l'orata, l'anguilla ed i cefali, derivati sia dall'intensivo che dall'estensivo.
Per le specie sopraindicate, la Puglia rappresentava nel 1993, il secondo polo produttivo nazionale, con un'incidenza pari al 14,5% della produzione nazionale, dietro al Veneto.
La produzione complessiva regionale, calcolata sulla base delle indicazioni fornite da recenti indagini, è valutabile intorno alle 1.400 t annue di specie eurialine, con una potenzialità maggiore di oltre il 50%.
Anche considerando leggermente sovrastimati certi valori, difficilmente certificabili, l'incremento registrato negli ultimi tre anni è stato maggiore di quello osservato complessivamente a livello nazionale, rispettivamente 50 - 70% contro il 40%, a dimostrazione della dinamica del settore in Puglia.
Comparando i dati relativi al 1995 (Fig.18) con quelli del 1993 non si riscontra una variazione dei quantitativi prodotti, tranne che per l'orata (da 340 t nel 1993 a 460 t nel 1995) e per la spigola (da 425 t nel 1993 a 400 t nel 1995), mantenendo invariata la produzione di cefali e subendo un leggero calo per l'anguilla.
Il mantenimento delle produzione di cefalo sui livelli del 1993 è giustificato dal fatto che questa specie, al di là di una piccola quota allevata nei canali di deflusso idrico degli impianti intensivi, è normalmente presente in impianti intensivi cioè nelle lagune e negli stagni salmastri.
Per tali tipologie di impianto, non si sono verificate variazioni significative delle superfici di allevamento.
Per quanto concerne l'anguilla, la sua produzione a livello regionale segue l'andamento del trend nazionale.
In base a dati A.P.I. - ICRAM, risulta che dal 1993 al 1995 si è registrata una flessione delle produzioni nazionali, pari a circa il 10%, e tale flessione si riscontra anche a livello regionale.
In riferimento all'allevamento di orata, invece, si riscontra un complessivo aumento produttivo, dovuto all'ottimizzazione generalizzata delle produzioni nell'insieme degli impianti già esistenti, al potenziamento di alcuni di essi (ad esempio quello dell'azienda ittica Ugento), alla nascita di nuovi allevamenti (Panittica), nonché all'avviamento di nuove strutture produttive in mare (piattaforme sommergibili della CO.PRO.MAR. di Bisceglie).
Lo sviluppo sostenuto degli allevamenti di specie eurialine, in Puglia, ha determinato il consolidamento dell'incidenza della produzione regionale di tali prodotti su quella nazionale (Fig.19).
Tale aumento produttivo risulta leggermente spostato a favore dell'orata, in quanto i problemi dell'allevamento della spigola riscontrati storicamente, ma soprattutto in questi ultimi anni, hanno convinto gli allevatori ad orientarsi maggiormente verso la produzione di orata.
Peraltro, tale differente tasso di crescita stimato per la regione Puglia si manifesta, in maniera ancora più eclatante, anche a livello nazionale dove, per gli stessi anni, l'aumento produttivo per la spigola è raddoppiato (+ 97%), mentre quello per l'orata è triplicato (+ 199%).
Avendo riferimento la produzione del 1995 ed il comparto delle specie eurialine può osservarsi che in Italia sono state prodotte 12.800 tonnellate per un valore complessivo di 157 miliardi di lire circa; la molluschicoltura ha contribuito con 192.800 tonnellate di prodotto.
La comparazione, per lo stesso anno della produzione proveniente dalla regione Puglia evidenzia 1.655 tonnellate di prodotto per un valore complessivo di 19.900 milioni di lire (Tab.12).
In termini percentuali ciò rappresenta il 12,92% della quantità di prodotto nazionale e, prescindendo dalla tecnologia impiegata, tale percentuale non si discosta se la misurazione viene fatta in valore.
Avendo riguardo alla tecnologia impiegata, la produzione della Puglia rappresenta il 9,62% della produzione nazionale in estensivo ed il 15,23% della produzione in intensivo (Tab.13).
Il maggior peso contributivo è dato dalla produzione di orata (19,15%) e da quella di spigola (15,52%), mentre con tecnologia estensiva la produzione di cefali guida la classifica.
Il dato è da modularsi anche in funzione delle caratteristiche della specie che ben si presta a produzioni a costi congiunti e quindi a tipologie di impianti dove convivono entrambe le tecnologie.
Nel 1995 risultavano censiti, a livello nazionale, 203 impianti; comparando i dati del '92 con quelli del '95, si registra un buon incremento per l'allevamento intensivo, mentre la stessa tendenza non si riscontra per le avannotterie.
L'incremento per il comparto della spigola e dell'orata è di 8 unità nel '95, mentre se si prendono in considerazione i dati '96 gli impianti della stessa tipologia passano addirittura a 75 e di essi 10 unità sono interessate allo sviluppo di impianti per l'allevamento intensivo in gabbie.
La superficie destinata all'allevamento estensivo rimane sostanzialmente invariata, come evidenziato nella Tab.14.
Circa il 23% degli impianti di allevamento di spigola ed orata risultano dislocati in Puglia, Basilicata e Calabria con un preponderanza nella prima regione, mentre per il comparto dell'anguilla tale percentuale discende al 10% per gli allevamenti intensivi ed al 20% per quelli estensivi (Tab.15).
I grafici che seguono evidenziano la produzione di specie eurialine nel periodo 1990-1995 (Fig. 20 e 21).
Il maggior incremento, come sarà evidenziato più puntualmente in seguito, lo si è registrato per la produzione di spigola ed orata e questo sia a livello nazionale che regionale.
La percentuale media di incremento della produzione di spigola, nel quinquennio, è stata del 28,42% per l'Italia, mentre essa è ascesa addirittura al 46,32% se il territorio di riferimento è la Puglia.
In termini assoluti si è passati, per l'Italia, dalle 1.538 tonnellate del '91 alle 3.600 tonnellate del '95, mentre per la Puglia la produzione di spigola, nel '91, risultava di 110 tonnellate e di 515 tonnellate nel '95.
Per la produzione di anguille, sia a livello aggregato che regionale, si è osservata una tendenza alla diminuzione dei volumi prodotti.
Stabili infine i volumi di produzione per il cefalo.
E' interessante notare, se si ha riguardo alle quote di mercato (rapporto, in termini percentuali, tra produzione regionale e produzione nazionale) che la maggior volatilità delle percentuali rilevate per la regione Puglia, riferite agli anni 1993-1995, deve attribuirsi al ritardo con cui vengono assorbite le tendenze in atto nel settore a livello aggregato: c'è quindi, un leggero ritardo, nell'adeguarsi alle politiche produttive, da parte della Regione (Tab. 16 e 17).
L'esame dei tassi di variazione annua, così come riportati in tabella, consente di attribuire alla produzione di spigola ed orata una tendenza temporale alla crescita sia a livello nazionale che regionale; l'anguilla ed il cefalo sono specie il cui trend è discendente sia a livello nazionale che regionale se le specie vengono prese insieme.
Tuttavia deve osservarsi che il maggior peso di tale declino deve attribuirsi, in misura più marcata, alla produzione di anguilla, mostrandosi quella di cefali, sostanzialmente indifferente.
4.3 MOLLUSCHICOLTURA
La molluschicoltura in Puglia è rappresentata esclusivamente dall'allevamento dei mitili; altri molluschi bivalvi, quali la vongola e la tellina sono oggetto di pesca lungo gran parte del litorale, ma non di specifiche attività acquacolturali, se si escludono alcuni tentativi a carattere "sperimentale', effettuati nella Laguna di Lesina.
Per quanto riguarda la mitilicoltura, la Puglia si rivela non solo come forte produttrice ma soprattutto come una delle regioni italiane con le più antiche tradizioni di allevamento risalenti, nell'area tarantina, addirittura al 1500-1600.
In quell'epoca infatti, nel Mar Piccolo di Taranto si assisteva ad una evoluzione delle tecniche di produzione, mirate ad incrementare l'efficienza delle operazioni di raccolta, sia del seme che del prodotto finito, inizialmente realizzato su pali posti a delimitare le aree di pesca date in concessione (pescherie), fino ad arrivare alla fine del '700 alla organizzazione di un apposito modulo (chiamato " quadro" o, " camera' per la forma che lo caratterizza), composto da pali in castagno con ventie (funi per il sostegno delle reste) disposte orizzontalmente e tese fra i pali e con l'uso di reste (sacco contenente il prodotto allevato), sempre in fibra vegetale, disposte sia sulle ventie che intorno ai pali, al fine di aumentare la superficie produttiva.
Agli inizi del secolo scorso si è iniziata ad attuare la tipologia di allevamento "in sospensione" tipica della mitilicoltura tarantina, con le reste sospese alle ventie orizzontali, tese tra treppiedi formati da pali di castagno infissi nel fondale.
Tale tipo di organizzazione produttiva persiste, tuttora, in larga parte, parallelamente agli impianti flottanti, aggiornata con l'utilizzo di pali in acciaio zincato e con l'utilizzo di fibre sintetiche al posto del cordame naturale.
Fino agli anni '60, le uniche aree di produzione si trovavano all'interno del Mar Piccolo ed, in particolare, a ridosso del versante nord, in prossimità delle fonti di acqua dolce e del principale collegamento con il Mar Grande.
Questa posizione garantiva ai mitili rapidi accrescimenti ed elevate caratteristiche organolettiche, tali da conferire specifiche qualità che tuttora vengono riconosciute alla "cozza tarantina".
La produzione in quel periodo si attestava intorno ai 30.000 q.li annui.
Successivamente, nel 1961, con la data di costituzione del "Centro Ittico Tarantino Campano S.p.A.", e con il conferimento a questa società dei diritti di sfruttamento del bacino, si è assistito, ad un declino della produzione nel Mar Piccolo, con completo azzeramento, a seguito dell'epidemia di colera, scoppiata nel 1973.
Negli anni settanta ed ottanta, le attività di allevamento si sono spostate nel Mar Grande, con un notevole incremento della produzione, fino a 130.000 - 150.000 q.li annui, con esportazione di seme anche in altre regioni italiane.
Il passaggio in queste nuove acque, catalogate in base alla legge 192/77 come "condizionate", ha permesso il rilascio di regolari concessioni demaniali marittime a scadenza annuale ed una regolare distribuzione spaziale dei vivai, con vantaggi in termini di produzione.
A partire dalla fine degli anni ottanta si è assistito ad un reimpianto di vivai all'interno del Mar Piccolo che vede attualmente una gran parte del bacino occupata da allevamenti privi di apposita concessione.
La mancanza di un'adeguata pianificazione della distribuzione e dell'estensione degli impianti ha portato in molti casi ad un affollamento di alcune aree, con conseguente scadimento della qualità del prodotto allevato.
In ogni caso, agli inizi degli anni novanta, la produzione complessiva del Mar Piccolo e del Mar Grande era prossima ai 300.000 q.li annui, attestandosi come la maggiore area di produzione italiana.
Tale situazione anomala permane tuttora e si continua ad assistere ad una occupazione selvaggia degli specchi acquei, malgrado tali bacini siano dichiarati "preclusi" con conseguente impossibilità di rilascio delle concessioni demaniali finalizzate all'ingrasso dei mitili.
Oltre all'area tarantina. le attività di mitilicoltura sono sviluppate sulla costa adriatica, nella laguna di Varano e a Manfredonia, dove opera un ristretto numero di imprese con una produzione che, almeno per quanto riguarda l'area di Varano, risulta estremamente significativa.
4.3.1 GLI IMPIANTI
Nella regione Puglia sono presenti 25 impianti di mitilicoltura, dislocati essenzialmente nella provincia di Taranto (20 unità), nella provincia di Foggia (4 aziende), mentre un solo allevamento è presente nella provincia di Lecce.
La maggior parte delle imprese interessate sono cooperative di produzione (64%), mentre il resto è rappresentato da ditte individuali o da altro tipo di società di persone.
In tutta la Puglia sono presenti 15 impianti di depurazione e centri di spedizione (essenzialmente dislocati nella zona di Bari); in tali strutture, viene trattato sia il prodotto di importazione che quello proveniente dalle aree di Varano, Manfredonia e Taranto.
In quest'ultima zona, sono presenti due centri di depurazione e spedizione attivi, mentre un altro è in attesa della necessaria autorizzazione ad operare.
La presenza, oltre al gran numero di cooperative, di numerose piccole aziende in cui è diffusa la figura dell'imprenditore proprietario dell'impianto, che impiega miticoltori salariati (molte volte al limite della legalità, con l'utilizzo di manodopera non specializzata e utilizzata saltuariamente) rende particolarmente difficile la quantificazione del numero di addetti impiegati nel settore.
A fronte, infatti, di stime ufficiali che quantificano il numero di addetti, direttamente occupati nelle attività di mitilicoltura, in circa 300 unità, il reale livello di occupazione non dovrebbe essere inferiore ai 1.000 addetti, di cui 800 soltanto nell'area di Taranto.
4.3.2 LE PRODUZIONI
I dati esistenti sulle produzioni derivanti dalle mitilicolture non presentano analisi disaggregate per le varie regioni italiane.
Tale tipo d'analisi viene riportata solamente fino all'anno 1992, durante il quale nella regione Puglia, risultavano prodotti - secondo l'ICRAM - circa 310.000 q.li di mitili.
In linea con il trend di sviluppo osservato nell'ultimo decennio, la produzione ha continuato ad aumentare fino agli anni '93-'94 raggiungendo valori intorno a 400 - 450.000 q.li.
Nell'ultimo anno, si è registrata un'inversione di tendenza, per cui il livello produttivo è sceso intorno ai 350.000 q.li.
Tale fenomeno è riconducibile non solo alla riconversione di diversi impianti dalla tipologia del modulo fisso a quello flottante che, sebbene garantisca, costi gestionali ridotti, permette produzioni unitarie inferiori, ma anche alla concorrenza del prodotto d'importazione, prevalentemente dalla Grecia.
Inoltre, vanno considerati anche alcuni problemi ambientali che hanno influenzato in questi ultimi anni la produzione, non ultimo l'allarme colera, che ha frenato l'estensione delle superfici produttive.
4.4 LE LAGUNE
Ancora oggi, una notevole importanza rivestono, dal punto di vista della pesca e dell'acquacoltura, le lagune presenti nel promontorio del Gargano: la laguna di Lesina e la laguna di Varano.
La laguna di Lesina, la cui estensione è di circa 5 mila ettari, rappresenta un importante bacino dove, negli anni passati, si svolgeva un'intensa attività di pesca che, grazie alle importanti produzioni ittiche che si realizzavano, garantiva il reddito di un nutrito numero di pescatori.
Nell'ultimo decennio, la produzione ha registrato un notevole declino, sia in termini quantitativi sia qualitativi: attualmente le catture sono costituite principalmente da lattarini ed anguille.
La pesca viene tuttora realizzata con l'impiego di tipiche imbarcazioni lagunari, a fondo piatto, denominate "sandalini" e con sistemi di cattura fissi, rappresentati da bertovelli e dal tradizionale sistema di cattura (paranza), costituito da reti leggere con maglia fitta.
Prima che tale sistema di cattura venisse disciplinato, nell'ottica della riduzione dello sforzo di pesca, le paranze venivano installate trasversalmente alla laguna e. mediante sbarramenti successivi, si arrivava a coprire l'intera lunghezza della laguna.
Numerose sono le cause che hanno determinato la progressiva diminuzione dell'importanza della pesca nella laguna, ma essenzialmente sono riconducibili allo sfruttamento irrazionale della risorsa ittica avvenuta nel recente passato, al notevole sviluppo delle pratiche agricole intorno al corpo lagunare, con ingente prelievo delle acque dalla falda sottostante e conseguente rilascio di concimi e fitofarmaci; quest'ultimo fenomeno, in particolare, ha portato ad una grave alterazione quantitativa e qualitativa delle acque lagunari, ad una ridotta funzionalità dei canali di marea e ad una scarsa gestione delle opere di regimazione idraulica.
Nella Laguna di Lesina operavano, nel 1993, 119 pescatori associati in 4 cooperative di Lesina e Sannicandro Garganico, di cui, la maggior parte esercita l'attività di pesca anche in mare.
Le attività di acquacoltura direttamente in laguna risalgono agli anni '70 ed hanno rivestito, sin dall'inizio, carattere sperimentale.
Negli ultimi anni, ha trovato sempre più avvio l'attività di gambericoltura in recinti appositamente eretti per delimitare aree di laguna.
Questo modello di allevamento ha dimostrato una buona economicità, in rapporto anche ai ridotti costi gestionali, di investimento e dei risultati apprezzabili in termini produttivi.
Nel 1994 la produzione totale della mazzancolla giapponese ( Penaeus japonicus ) è stata di 20-25 tonnellate, per un controvalore di oltre 500 milioni che ha rappresentato un buon avvio per questo tipo di allevamento.
Oltre alle attività acquacolturali, messe in opera direttamente in laguna, sono presenti nell'area cinque impianti di acquacoltura a terra, a dimostrazione della vocazione del sito a questo tipo di destinazione produttiva.
Due di questi impianti, per il proprio fabbisogno idrico, prelevano direttamente le acque della laguna.
La laguna di Varano, dell'estensione di circa 6 mila ettari, si trova ubicata a levante della laguna di Lesina.
Da decenni, ormai, la vocazione produttiva di questo bacino è caratterizzata, grazie anche alle profondità esistenti (in media 3,7 metri), da impianti di mitilicoltura che contraddistinguono l'area come un importante e storico polo produttivo.
In questa attività sono impegnate due cooperative di Cagnano Varano, la cui attività di allevamento si estende, oltre che in laguna, nelle acque di mare antistanti.
In totale, sono occupati in questo tipo di attività oltre 150 addetti.
4.5 IL MERCATO
Per quanto concerne i mitili, negli anni '70 e fino alla metà degli anni '80 la vendita del prodotto proveniente dalla regione tarantina, grazie alle elevate caratteristiche organolettiche ed estetiche, non presentava problemi di carattere commerciale, costringendo gli altri poli produttivi nazionali (Chioggia, Varano e Trieste) a modulare le vendite in funzione dell'immissione sul mercato delle cozze nere tarantine (dalla seconda metà di marzo fino a giugno).
Tale situazione privilegiata ha cessato di esistere con l'incremento delle produzioni verificatisi specialmente nel nord e medio Adriatico e con l'aumento dei volumi di merce estera.
In questo contesto, la domanda di mitili, che ha registrato negli ultimi 10 anni un costante trend di crescita, è stata rapidamente saturata, provocando una diminuzione generalizzata dei prezzi che ha fatto passare in secondo piano il fattore qualità.
Ed è in particolar modo la vicinanza della Grecia che condiziona pesantemente la vendita del prodotto locale, in considerazione sia della contemporaneità del raggiungimento della maturità del prodotto, che della competitività dei prezzi.
Escludendo i principali impianti (Varano, Manfredonia ed alcuni di Taranto), che commercializzano la produzione sul mercato nazionale, la maggior parte delle piccole imprese limita il proprio raggio d'azione in ambito regionale; il canale distributivo privilegiato è rappresentato dai grossisti sia locali che di altre Regioni.
Per quanto concerne il pesce, le diverse specie vengono commercializzate a livello nazionale, regionale e locale.
Il mercato nazionale di specie pregiate, quali la spigola e l'orata, viene "rifornito" dagli impianti pugliesi a condizioni economiche pressoché uguali a quelle degli impianti intensivi delle altre regioni italiane; tale livellamento dei prezzi di vendita è determinato dalla forte competizione delle produzioni estere.
Se questo è vero a livello nazionale, tanto più il fenomeno è avvertito sul mercato locale e regionale.
La vicinanza infatti, delle coste pugliesi con quelle greche, albanesi e turche, determina la presenza a livello regionale di grossi quantitativi di prodotto estero, a prezzi maggiormente competitivi rispetto a quelli nazionali.
Il motivo essenziale è da ricercarsi nel minor ricarico sul prezzo dovuto al trasporto dalla Puglia alle altre regioni italiane.
Altro elemento che caratterizza la Puglia è il contesto economico in cui è inserita, dove i prezzi al consumo sono generalmente inferiori a quelli di altre regioni del Centro - Nord, pur rimanendo invariati molti dei costi produttivi (energia, mangimi, avannotti, ecc.).
Come riportato nella Fig.13 (Composizione degli impianti ittici per quantità di produzione, pag.114), il 57% degli impianti pugliesi ha produzioni inferiori a 500 q.li annui (il 75% inferiori ai 1.000 q.li anno).
Per allevamenti di questa dimensione, molto più che per quelli con produzioni superiori, il mercato locale e regionale rappresenta indubbiamente un importante riferimento commerciale, stante quanto precedentemente asserito, quindi, per gli impianti di piccole dimensioni, il problema della competizione del prodotto estero appare estremamente serio.
Facendo riferimento alla Fig.18 (Composizione per specie della produzione pugliese d'allevamento) ed ai prezzi riportati nella Tab.18, calcolati sulla base delle medie delle pezzature maggiormente commercializzate dagli impianti pugliesi, si ottiene un valore commerciale complessivo di poco inferiore a 20 miliardi annui.
In base a questo dato, la Fig.18 si modifica nella Fig.22, che rappresenta le percentuali dei valori delle produzioni di pesce.
Considerando i quantitativi di mitili (350.000 t) e di pesci (15.000 t) complessivamente prodotti nella regione, si ottiene la composizione della produzione complessiva in quantità, riportata nella Fig.23.
Le percentuali riportate nella Fig.23 variano, però, se si rapportano i valori dei quantitativi prodotti, nel qual caso, si ottengono i valori riportati nella Tab.19 e la ripartizione percentuale della Fig.24.
4.6 L'OCCUPAZIONE
In base alla "Relazione generale sulla situazione economica del Paese, 1995" (Ministero del Bilancio e Programmazione Economica e Ministero del Tesoro, 1995), su una popolazione della Puglia di 4.090.068 (Tav.4, in allegato), 1.147.000 risultano occupati, 161.000 operano nel settore dell'agricoltura e, di questi ultimi, 1.220 nel comparto dell'acquacoltura.
Secondo il IV Piano Triennale della Pesca ed Acquacoltura del Ministero Marina Mercantile, 1992 - '95, il comparto acquacolturale occupava, nel 1991, un totale di circa 6.000 addetti, a fronte di una produzione complessiva di 157.000 tonnellate di prodotti ittici, mentre, secondo l'ICRAM, gli addetti del comparto, nel 1995, erano 8.080 con una produzione complessiva di circa 257.700 tonnellate di prodotti ittici (Fig. 25 e 26).
Secondo stime attendibili, si riscontra che, in Puglia, il segmento della piscicoltura occupa circa 160 addetti, mentre quello della mitilicoltura, i cui dati sono più difficilmente certificabili ne impiega circa 1.000.
Facendo una stima realistica, si può ritenere che, quindi, il comparto acquacolturale della regione Puglia, nel complesso, dia lavoro direttamente a circa 1.200 addetti, pari cioè al 15% del totale nazionale (facendo riferimento ai dati del 1995 dell'ICRAM, Fig.27).
Risulta difficile, però, valutare appieno la ricaduta occupazionale complessiva di un settore quale quello acquacolturale, in quanto, oltre agli addetti direttamente inseriti nel processo produttivo, vi è un ampio spettro di altre attività che in parte o totalmente dipendono dalla produzione primaria.
Le attività indotte dal settore dell'acquacoltura sono numerose e possono essere più o meno direttamente collegate alla fase produttiva; si riporta una tabella riassuntiva (Tab.20) che, pur non contemplando del tutto le varie attività, ne rappresenta un elenco sufficientemente esaustivo.
Risulta evidente che gran parte delle attività indicate non sono indotte solo dall'acquacoltura ma anche spesso in larga misura dalla pesca.
E' dunque esclusivamente correlato con l'attività produttiva acquacolturale, estrapolare le percentuali di occupati derivanti da un settore piuttosto che da un altro.
Il dato sull'occupazione complessiva sopra riportato, fornisce una dimensione del fenomeno nazionale ed in questo senso risulta interessante verificare l'attuale situazione occupazionale, per il medesimo comparto, nella regione Puglia.
Il primo fra i settori indotti dall'acquacoltura, che appare interessante valutare, è quello della commercializzazione.
Gli allevamenti di specie eurialine commercializzano il proprio prodotto a livello locale, regionale e nazionale.
E' del tutto evidente che tali canali commerciali sono di volta in volta privilegiati a seconda delle quantità di prodotto, delle specie ittiche vendute e del periodo di vendita.
Sono infatti gli impianti di maggiori dimensioni produttive che possono, per scelta e disponibilità di prodotto, optare per uno o l'altro canale commerciale, piuttosto che utilizzarli contemporaneamente.
In pratica cioè, la dimensione produttiva più sviluppata e diversificata consente agli allevatori una duttilità maggiore nella scelta del segmento commerciale da privilegiare.
Per quanto concerne l'occupazione indotta, nel caso di commercializzazione attraverso grossisti non locali, questa risulta maggiore, in quanto questi operatori devono mantenere sul luogo dell'impianto almeno un proprio "corrispondente" fisso che mantenga i rapporti con l'allevatore.
Le lunghe distanze dal sito della produzione ai mercati di vendita determinano, inoltre, un aumento occupazionale nel settore degli autotrasportatori.
Appare maggiormente complicato, sempre in riferimento al settore commerciale, valutare il peso occupazionale determinato dalle itticolture pugliesi sui centri di vendita al dettaglio nazionali.
In sintesi quindi, sulla base dei quantitativi di produzione regionali, delle quantità di mangimi utilizzati e della concentrazione degli operatori della commercializzazione si è stimato che l'occupazione direttamente indotta è di circa 110 unità lavorative.
Se a questo numero si somma l'insieme degli occupati indotti nel complesso dei comparti riportati in Tab.20, il numero complessivo cresce sostanzialmente.
In conclusione, si è stimato che il numero dei lavoratori occupati nei settori più o meno direttamente indotti dall'acquacoltura, è all'incirca pari al numero di quelli del comparto direttamente produttivo.
ACQUACOLTURA IN PROVINCIA DI BARI
5.1 INTRODUZIONE
L'analisi già effettuata nell'ambito della Regione, che ha dato la possibilità di evidenziare, in uno sguardo d'insieme, le motivazioni, le situazioni e le finalità dell'acquacoltura in Puglia, ha in seguito, quasi naturalmente, indotto ad un esame più specifico delle problematiche riguardanti l'acquacoltura.
Di fronte alla necessità, per rendere più specifico il discorso, di analizzare e pianificare un intervento di acquacoltura in una delle provincie pugliesi, lo studio si è indirizzato a quella di Bari.
La motivazione è da ricercare nella carenza di impianti nella già citata provincia che, di conseguenza, si traduce in una produzione esigua non rispondente alle esigenze richieste dal mercato.
Il problema da risolvere per aumentare la produzione, non è tanto canalizzare l'attenzione sull'incremento del pescato, in quanto il mare sta pian piano, per evoluzione naturale, depauperandosi, ma sviluppare il prodotto allevato.
Il consumo annuale di pesce, che in pochi anni, è aumentato da 7 a 23 kg pro-capite, ha reso più urgente la necessità di intervenire per un incremento delle produzioni.
Un ulteriore indagine globale sul territorio pugliese ha indotto a scegliere la provincia di Bari come area di intervento in quanto risulta essere quella a maggiore capacità recettiva.
5.2 GLI IMPIANTI
L'analisi territoriale della zona prescelta è partita dalla ricerca, effettuata presso la Camera di Commercio, delle imprese che svolgono una attività concernente l'acquacoltura.
Sono state individuate 7 imprese, principalmente dislocate a nord del capoluogo ( Tav. 5, in allegato) e qui di seguito elencate:
ITTICA ARISCIANNE S.A.S.;
ITTICA TORELLI S.R.L.;
MITIL ITTICA S.R.L.;
PRODOTTI ITTICI DE SIMONE S.A.S.;
CO.PRO.MAR. S.R.L.;
ALLEVAMENTI DEL SUD S.C.R.L.;
ITTICOLTURA MOLESE.
L'ITTICOLTURA MOLESE risulta inattiva.
Le attività degli altri impianti sono equamente divise tra la piscicoltura e l'acquisto e vendita all'ingrosso di frutti di mare e mitili depurati.
L'ITTICA ARISCIANNE (Tav.6, in allegato), con sede legale a Trani, si colloca nel comune di Barletta.
L'impianto è di tipo intensivo, funziona 24 ore al giorno e si sviluppa su una superficie di circa 2 Ha compresa la zona territoriale concessa dal demanio.
Risulta costituito da 46 vasche da ingrasso e 21 vasche da pre-ingrasso, per una superficie di 8.000 mq e per un volume totale di 10.000 mc; il controllo dell'ossigeno e della temperatura risulta essere computerizzato.
Viene utilizzata acqua presa da una falda sotterranea a 300 m di profondità con una temperatura che varia tra i 19°C e i 24°C, che garantisce un'acqua batteriologicamente sterile.
Le acque di falda vengono distribuite, attraverso apposite condutture, ai diversi settori esterni di pre-ingrasso ed ingrasso; i reflui prima del loro rilascio vengono fatti passare per un bacino di lagunaggio dove le acque vengono fatte decantare.
Le specie prodotte dall'impianto sono :
Spigole,
Anguille,
Orate,
Cefali,
Sarago in fase di sperimentazione avanzata.
I quantitativi di produzione si aggirano sui 1.200 q.li annui così ripartiti tra le varie specie come rappresentato dalla Fig.28.
Il costo di vendita del prodotto, franco allevamento, si aggira sulle 14.000 - 18.000 £/kg con un decremento del 10% per quanto riguarda l'orata rispetto alla spigola.
Il collocamento della produzione, anche se non esiste un vero elenco compratori, avviene principalmente in Puglia nei vari capoluoghi di provincia, raramente in Abruzzo e Campania; solo il capitone viene esportato in Germania.
In Puglia il prodotto viene venduto a commercianti, dettaglianti, ristoranti e pescherie.
Nell'impianto lavorano 5 addetti oltre ai dirigenti.
L'ITTICA TORELLI (Tav.6, in allegato) situata sul lungomare di Trani, si occupa di acquisto e vendita all'ingrosso di molluschi bivalvi e mitili vivi quali:
COZZA (Mytilus galloprovincialis),
COZZA PELOSA (Modiolus barbatus),
OSTRICA PIATTA (Ostrea edulis),
TARTUFO DI MARE (NOCE) (Venus verrucosa),
VONGOLA (Venus gallina),
CANESTRELLO (Chlamys opercularis),
SPUGNA (TARATUFFO) (Microcosmus sulcatus),
ed altri ancora.
L'impianto risulta essere costituito da 9 vasche con una capacità depurativa che varia tra i 150 e q 200 q.li giornalieri.
L'acqua viene prelevata dal mare, filtrata per la rimozione di eventuali corpi estranei, sottoposta a stabulazione per eliminare pericoli di infezioni e distribuita alle vasche.
La vendita dei mitili e dei molluschi bivalvi viene effettuata presso i mercati ittici di Chioggia, Roma, Napoli, Milano e in fasi alterne a Torino; l'impianto si avvale anche di un punto di vendita al dettaglio.
In Puglia il prodotto viene fornito a ristoranti e pescherie.
Nell'impianto lavorano 10 operai e 3 impiegati di cui un biologo.
La ditta PRODOTTI ITTICI DE SIMONE (Tav.6, in allegato) si occupa anch'essa come la ITTICA TORELLI, di acquisto e vendita di mitili e frutti di mare in genere all'ingrosso.
Vengono trattati giornalmente tra i 70 e i 120 q.li di frutti di mare; tali valori sono variabili in base alla richiesta del mercato e del periodo stagionale in cui ci si trova.
Il prodotto viene comunque venduto a livello provinciale presso i ristoranti, pescherie di Andria, Barletta, Trani e Bisceglie.
La MITIL ITTICA (Tav.6, in allegato) è situata sul confine dei Comuni di Molfetta e di Bisceglie.
L'impianto situato in adiacenza al mare consta di 6 vasche utilizzate per la depurazione soprattutto dei mitili oltre a scarsi quantitativi di frutti di mare.
L'impianto preleva l'acqua dal mare tramite un canale che aspira l'acqua salina, situato al di sotto del livello marino.
L'acqua suggiata dal mare viene immessa in una vasca di decantazione per permettere il deposito di eventuali corpi solidi; dopo di che va in una cisterna e tramite una condotta viene trasportata nell'impianto di depurazione che opera come SISTEMA BIOLOGICO presentando 2 filtri più 1 sterilizzatore U.V.A. che permette di ottenere acqua pura al 99,99%.
L'acqua poi viene trasferita nelle vasche per la depurazione dei mitili e dei frutti di mare per una durata del ciclo, variabile dalle 8 alle 24 ore, dipendente dalle caratteristiche di ingresso dei MEL ( Molluschi eduli lamellibranchi).
L'acqua di scarico delle vasche termina in una cisterna di decantazione per poi essere trasferita tramite pompa in un silos dove viene miscelata con cloro per la purificazione e infine scaricata in una falda sotterranea.
La capacità di depurazione dell'impianto è di 200 q.li giornalieri e i mitili permangono in azienda per 2-3 giorni dopo di che vengono venduti all'ingrosso a dettaglianti e commercianti a 800 - 1.200 £/kg.
L'azienda agricola ALLEVAMENTI DEL SUD (Tav.6, in allegato), situata nel comune di Casamassima in Contrada Contefino al confine con il comune di Triggiano, si sviluppa su una superficie di circa 4 Ha e si occupa principalmente di pesci tropicali come la Tilapia (sarago africano), pesci ornamentali, trote e storioni come pesci d'acqua dolce.
L'impianto di tipo intensivo consta di 2.000 mq di vasche in serra per i pesci tropicali, 4 vasche per la Tilapia e 3 invasi nei quali si stanno costruendo vasche di 3 - 6 m di larghezza per tutta la lunghezza dell'invaso, anch'essi per i pesci tropicali, per un totale quindi di circa 15.000 mq di vasche.
L'impianto lavora 24 ore al giorno e il rifornimento dell'acqua avviene tramite falda ipogea con temperatura dell'acqua di 16°C.
I pesci tropicali importati da Singapore vengono allevati nell'impianto per poi essere venduti in tutta Italia ed esportati , se le trattative verranno concluse, in Spagna e Grecia.
La produzione di trote e storioni, che si aggirava intorno ai 120 - 150 q.li annui e prevedeva solo fasi di ingrasso e non cicli completi per le difficoltà create dalla temperatura dell'acqua, è momentaneamente bloccata con buone probabilità di una sua ripresa in estate.
Un discorso a parte merita l'allevamento della Tilapia (Oreochromis niloticus) le cui origini tropicali non ne consentono la sopravvivenza all'esterno durante l'inverno, ma ne permettono ugualmente l'allevamento se le vasche sono poste in serre e nei mesi estivi, raggiungendo taglie di 300 - 400 gr, che le rende idonee al consumo.
La scelta di allevare la tilapia viene dettata sia dalla bontà delle sue carni, sia per la notevole robustezza e adattabilità della specie riuscendo infatti a prosperare in acque nelle quali la maggior parte delle specie ittiche a noi note si troverebbe in seria difficoltà.
Predilige acque piuttosto calde, la cui temperatura sia compresa tra i 20 °C ed i 30°C in quanto a temperature inferiori ai 13 - 14°C cessa di alimentarsi e a 10°C sopraggiunge la morte.
La produzione dell'impianto è modesta e si aggira sui 5 - 10 q.li annui con vendita del prodotto all'ingrosso di 12.000 £/kg e al dettaglio di 18.000 £/kg.
In azienda ci lavorano 10 persone con punte di 14 - 15 nei mesi estivi.
La CO.PRO.MAR. (Tav.6, in allegato) situata a Bisceglie è l'unica azienda che si sviluppa con piattaforme sommergibili situate ad 1 miglio dalla punta estrema del molo del porto di Bisceglie.
La loro attività consiste nell'acquisto di novellame di spigole e orate da avanotterie, il loro pre - ingrasso in 16 gabbie di 100 mc l'una, seguito dal loro trasferimento per l'ingrasso in 3 piattaforme sommergibili che sostengono ciascuna 4 gabbie di 1000 mc l'una, per un totale di 12 gabbie che permettono di ottenere una produzione di spigole e orate, con prevalenza delle prime, di 300 t annui.
Il costo del prodotto di uscita è soggetto a variazioni che si aggirano intorno alle 7.000 - 13.000 £/kg e viene smerciato esclusivamente a grossisti della provincia di Bari e Brindisi.
5.3 PROPOSTE DI INTERVENTO
Dall'analisi territoriale effettuata nell'ambito della provincia di Bari, ma sempre correlata al contesto regionale, nazionale ed internazionale, è emersa la necessità di aumentare le produzioni di specie ittiche in generale, eurialine in particolare, a cui fa riscontro la difficoltà di operare in tal senso soprattutto per le lentezze burocratiche contro cui ci si scontra quando si vuole avviare un impianto di acquacoltura.
Nonostante l'acquacoltura sia un fenomeno sorto nel nostro Paese da circa vent'anni, le vicissitudini, che hanno affrontato e superato i pionieri del settore, non hanno nulla di diverso da quelle che affrontano e molto spesso non superano gli imprenditori di oggi.
Eppure l'Italia potrebbe avere un'elevata produzione lorda vendibile riducendo l'incidenza dei costi, dovuta anche alla farraginosità burocratica in maniera da rendere più competitivo il prodotto sia sul mercato nazionale che su quello estero.
Infatti paesi come la Grecia e la Francia riescono ad esportare sui nostri mercati prodotti ittici a prezzi competitivi non solo per il minor costo delle materie prime ma soprattutto per i minori costi di realizzazione e gestione degli impianti.
Quanto già esposto, attraverso un esame globale, può essere rapportato a livello della provincia di Bari, per cui sorge, in maniera ancora più urgente, la necessità di incrementare le produzioni di specie eurialine.
A tal fine si intende pianificare non tanto la costruzione di nuovi impianti, ma l'ampliamento di quelli esistenti, poiché, nelle condizioni in cui si sviluppa il territorio analizzato con la zona costiera adibita principalmente al turismo, la possibilità di pianificare un intervento di acquacoltura con l'individuazione di nuovi siti idonei all'introduzione di questa pratica di allevamento, risulta di difficile attuazione.
Dall'indagine conoscitiva svolta presso le imprese dislocate in provincia di Bari, è emersa la presenza di impianti on-shore e off-shore: si è ravvisata l'opportunità di intervenire con nuove proposte di ampliamento di strutture off-shore in quanto si ritiene che il futuro dell'acquacoltura sia principalmente nello sfruttamento del mare (mare territoriale), habitat naturale per la crescita di specie ittiche che in tale contesto sono di rilevanza economica.
A sostegno di tale opinione sta il fatto oggettivo che negli ultimi anni la rapida espansione delle tecniche di acquacoltura in mare ha prodotto un urgente bisogno di estendere l'attività da zone di mare riparate verso aree più esposte se non addirittura in mare aperto.
La forte competizione con il turismo per i pochi siti riparati esistenti e l'inquinamento costiero, hanno fatto del bisogno un esigenza.
Altri vantaggi sono da ravvisare nella procedura giuridico-amministrativa, più celere rispetto a quella preordinata agli impianti on-shore, nella grossa riduzione dei costi per minore necessità di manodopera, nell'assenza assoluta delle problematiche giuridico - tecniche legate al carico scarico d'acqua.
La gabbia, infatti, viene a trovarsi in un ambiente che naturalmente mantiene le condizioni chimico - fisiche delle acque, costanti o comunque prevedibili, necessarie alla vita dei pesci con conseguente risparmio di energia elettrica, assenza di inquinamento, ampie superfici disponibili e riduzioni dei tempi necessari all'avvio dell'attività, essendo la gabbia struttura di facile installazione.
Tutto ciò viene poi a riflettersi sul mercato con riduzioni dei costi di produzione del prodotto.
I vantaggi sopra elencati dovrebbero accelerare l'attività di progettazione originale da parte delle ditte italiane, visto che la capacità tecnologica del nostro Paese dovrebbe consentire la produzione della gamma completa degli equipaggiamenti e delle strutture degli impianti in mare aperto.
Finora, in Italia, la piscicoltura in mare si è caratterizzata, più che altro, per l'introduzione di tecnologie estere; infatti i principali impianti usano gabbie di produzione svedese, norvegese, scozzese e russa.
Per rendere organico il discorso relativo alla pianificazione dell'intervento, avendo addotto le motivazioni della scelta dell'ampliamento degli impianti esistenti e fra questi delle strutture off-shore, di cui si sono evidenziati i vantaggi, è consequenziale motivare la scelta di operare sull'impianto presente a Bisceglie.
Si è studiato tutto il territorio costiero della provincia di Bari che ha nella zona a nord di Trani problematiche legate all'eccessiva salinità dovuta alla presenza, nelle immediate vicinanze, delle saline di Margherita di Savoia; ciò comporterebbe l'installazione di impianti di filtrazione e depurazione dell'acqua con inevitabile aumento dei costi di investimento.
Nella zona di Molfetta non si è ritenuto di dover effettuare alcuna pianificazione di intervento, visto che la produzione di pescato è fra le maggiori di tutto l'Adriatico; anche la fascia costiera relativa al comune di Giovinazzo va esclusa per motivi turistici, data la presenza di insediamenti per residenza estiva e di strutture di ristorazione a ridosso del mare.
Viene esonerata la zona a sud di Bari, nelle immediate vicinanze sino a Torre a Mare, per problemi di impatto ambientale data la presenza di impianti di depurazione della città.
La fascia costiera da Mola a Monopoli presenta le stesse motivazioni turistiche riscontrate per la zona di Giovinazzo.
Dall'analisi effettuata, pertanto, si è ravvisata l'opportunità di ampliare l'impianto presente nel porto di Bisceglie per varie motivazioni:
la prima è quella economica, che riguarda i benefici finanziari e le possibilità occupazionali derivanti dall'attività produttiva con riconversione professionale degli addetti alla pesca;
la seconda è quella ambientale;
la terza è individuabile nel sito che, grazie alle limitate escursioni termiche e al buon ricambio idrico, consente una produzione di plancton prolungata tutto l'anno determinando un ambiente eutrofico ad alte capacità biogenetiche.
La convenienza di tale operazione trova riscontro anche nel raffronto tra i quantitativi di produzione delle uniche due aziende che allevano specie eurialine:
ITTICA ARISCIANNE
CO.PRO.MAR.
Infatti a fronte dei dati forniti dalle suddette aziende, risulta che la ITTICA ARISCIANNE produce 120 t/annue disponendo di 10.000 mc di vasche a terra, contro la produzione ottenuta dalla CO.PRO.MAR. pari a 300 t/annue usufruendo di 12.000 mc di gabbie galleggianti.
Questo comporta anche una differenza di prezzo di vendita all'ingrosso delle spigole ed orate dovuta dalla possibilità per la CO.PRO.MAR. di produrre a costi più contenuti rispetto a quelli sostenuti dagli impianti su vasca della ITTICA ARISCIANNE, prezzi che risultano essere competitivi ai valori medi dei prezzi dei mercati esteri .
L'ipotesi di progetto (Tav.7, in allegato) prevede l'introduzione di una gabbia sommergibile, tipo PELAGOS della FLOATEX, da affiancare a quelle già esistenti della CO.PRO.MAR., la cui particolarità è la posizione completamente subacquea che la protegge da una serie di fattori ambientali sfavorevoli, come: tempeste, variazioni di temperatura improvvisa, versamenti accidentali di prodotti petroliferi, lo stress del pesce provocato dal movimento continuo delle onde, l'impatto visivo delle strutture.
L'immersione la rende quindi una struttura perfettamente idonea alle attività di maricoltura off - shore.
Il controllo dei parametri ambientali viene realizzato grazie alla capacità della gabbia sommergibile di spostarsi nella colonna d'acqua ricercando la batimetrica più opportuna e vantaggiosa per l'allevamento (variare la temperatura, l'ossigeno disciolto, la salinità, l'illuminazione, può avere importanti ripercussioni sulla fisiologia del pesce).
La gabbia, di forma tronco - conica, è costituita da 3 anelli in acciaio zincato sostenuti da cime che li collegano alla struttura galleggiante formata da tubi in polietilene ad alta densità (HDPE) riempiti con polistirolo espanso a garanzia di inaffondabilità. L'anello superiore presenta un diametro di 10 m, quello intermedio di 20 m e quello inferiore di 16 m; il primo e secondo anello distano tra loro di 4 m, mentre tra il secondo e l'ultimo vi è una distanza di 8 m. La struttura così composta presenta un volume utile di 2.500 mc (Tav.8, in allegato).
La gabbia ha la possibilità di emergere per le operazioni gestionali e possiede un'intelaiatura sommersa che mantiene tesa la rete di allevamento e garantisce un punto di ancoraggio alle linee di ormeggio.
La capacità della gabbia di immergersi e di emergere è garantita dall'erogazione o lo svuotamento dell'aria che sostituisce l'acqua nella cisterna inferiore zavorrata.
La lunga catena sottostante la cisterna d'aria, permette un bilanciato movimento verticale ed inoltre, abbassando notevolmente il baricentro della struttura, ne garantisce una buona stabilità superficiale.
Per un corretto funzionamento della struttura d'allevamento il sito di installazione deve prevedere una profondità non inferiore ai 25 m.
La gabbia costituendo un rivelatore delle condizioni delle acque, potrebbe essere fornita di sistemi anti-inquinamento che limiterebbero l'accumulo di sostanza organica, permettendo la sopravvivenza delle specie che è in correlazione diretta alle peculiarità idrobiologiche del sistema che le ospita.
CONCLUSIONI
Dall'indagine è emerso come l'acquacoltura italiana nelle sue più importanti realtà produttive, sia d'acqua dolce che salmastra, rispetto ai partners comunitari, si sia sviluppata nel nostro Paese con un carente supporto da parte dell'organo pubblico.
Ciò ha comportato la mancanza di una visione organica delle problematiche che interessano l'acquacoltura italiana e che sono state di volta in volta affrontate dagli operatori con spirito pratico ma non sempre con una visione unitaria.
Tutto ciò ha provocato una relativa fragilità del " sistema acquacoltura nazionale" nei confronti della concorrenza straniera, con fenomeni distorsivi che si sono manifestati soprattutto sulle produzioni nazionali troticole ed eurialine (branzino o spigola ed orata) del settore con conseguente rischio di marginalizzazione per talune aziende.
Da ciò scaturisce l'esigenza di potenziare e coordinare gli interventi a sostegno del settore sviluppando ulteriormente quegli interventi finalizzati al potenziamento e alla razionalizzazione della produzione nonché alla qualificazione del prodotto "acquacoltura".
Dallo studio dell'acquacoltura in Italia, e analizzando i risultati scaturiti dall'indagine conoscitiva della realtà acquacolturale della provincia di Bari è possibile trarre alcune considerazioni.
L'allevamento costituisce una fonte irrinunciabile per il soddisfacimento della domanda di prodotti ittici, sia in Italia che nel mondo, ma devono essere messi in atto alcuni accorgimenti affinché tale pratica sia sostenibile nel lungo periodo. In particolare l'acquacoltura deve preservare e non degradare le risorse naturali, deve soddisfare i bisogni alimentari e ricreativi delle persone e deve essere economicamente vantaggiosa sia per gli allevatori sia per i pescatori. A tal proposito, l'impianto che utilizza il sistema delle piattaforme sommergibili è quello che riesce più efficacemente a coniugare economicità di gestione e limitato impatto ambientale; dallo studio sono emerse alcune forme di possibile collaborazione tra pesca e acquacoltura (riconversione dei pescatori in esubero verso forme di allevamento) e situazioni di contrasto, per il calo dei prezzi di alcune specie che vengono sia allevate che pescate.
L'acquacoltura italiana ha acquisito un ruolo di rilievo in ambito mondiale ed europeo, per quanto riguarda i livelli produttivi che collocano il nostro Paese al secondo posto nell'Unione Europea con un tasso di sviluppo tra i più elevati. Tale incremento però è ottenuto attraverso un assai ristretto numero di specie (appena una decina), alcune delle quali trovano una forte e qualificata concorrenza in ambito europeo (mitili, orate, branzini), altre attraversano una fase di perdurante crisi (anguilla), altre ancora necessitano di nuove forme di commercializzazione (trota).
L'Italia quindi continua ad avere buone possibilità di sviluppare la pratica dell'allevamento ittico, essendo dotata di risorse naturali, di conoscenze tecnico-scientifiche, di risorse finanziarie e di tradizione e considerando che oltre la metà della domanda di pesce, cresciuta negli ultimi anni, è stata soddisfatta facendo ampio ricorso alle importazioni. Sarebbe necessario dare nuovo impulso all'acquacoltura nazionale, a cominciare da uno snellimento degli iter burocratici per l'avvio e l'ammodernamento degli impianti, per proseguire poi nella individuazione di forme di cooperazione tra enti pubblici e imprese private per incrementare la ricerca e lo sviluppo, per creare servizi alle imprese e per migliorare la commercializzazione del prodotto finale. Occorre quindi rimuovere gli ostacoli che hanno impedito all'acquacoltura italiana di potersi sviluppare in modo appropriato e di competere con gli operatori degli altri paesi del bacino mediterraneo, i quali hanno saputo conquistare importanti quote del mercato nazionale. La concorrenza straniera si è avvalsa non solo di costi di produzione (e di conseguenza di prezzi) inferiori rispetto a quelli nazionali, ma anche della capacità di proporre offerte innovative, quali i prodotti trasformati e surgelati: dallo studio degli scambi con l'estero è emerso ad esempio che l'Italia (maggiore produttrice di trote in Europa) è importatrice netta di trote in filetti e affumicate.
Per quanto riguarda gli operatori del settore risulta sempre più indispensabile che questi acquisiscano una più spiccata imprenditorialità che li porti ad avere una più ampia e precisa visione del sistema in cui operano, sistema sempre più integrato in un moderno settore agroalimentare capace di interpretare e perfino prevedere le dinamiche di mercato, quindi pianificare e programmare le rispettive produzioni adeguandosi alle richieste della domanda cioè del consumatore.
La fase della commercializzazione necessita di interventi volti a promuovere una maggiore concentrazione dell'offerta così che la produzione sia in grado di assecondare le esigenze della distribuzione ed in particolare della Grande Distribuzione Organizzata che si è ormai affermata anche nel contesto italiano. Esigenze che consistono essenzialmente nella richiesta di grosse partite di merce omogenea sotto il profilo qualitativo, ampia gamma di prodotti e di servizi.
Occorre, inoltre, conferire una precisa identità alle produzioni ottenute attraverso l'attivazione di iniziative che ne garantiscano l'origine e le caratteristiche qualitative e quindi diano luogo alla creazione di un marchio d'origine.
E' evidente perciò come istituzioni pubbliche e private debbano congiuntamente affrontare con serietà tutte le possibilità che si offrono alla moderna acquacoltura quali la introduzione di nuove specie di interesse commerciale, il miglioramento delle tecniche produttive, organizzative e commerciali, una maggiore attenzione alle dinamiche dei bisogni dei consumatori e delle minacce portate dai concorrenti stranieri.
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