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I personaggi di To the lighthouse di Virginia Woolf
In to the lighthouse la situazione dei personaggi risulta quasi completamente dal testo stesso.
La signora Ramsay è la bellissima ma non più giovane moglie di un apprezzato professore di filosofia di Londra; si trova con il figlio minore James, di 6 anni, alla finestra di un'ampia casa al mare, che da anni professore prende in affitto d'estate in un isola delle Ebridi. All'infuori dei coniugi Ramsay, i loro otto figli e il personale di servizio, la casa è abitata e frequentata da numerosi amici, fra i quali un noto botanico, William Bankes, anziano e vedovo, e la pittrice Lily Briscoe, i quali in quel momento passano davanti alla finestra. James, seduto sul pavimento, è occupato a ritagliare figure da un catalogo illustrato. Sua madre poco prima gli ha promesso che domani faranno una gita in barca a vela fino al faro, se il tempo sarà bello. Da molto tempo James desidera fare questa gita. Per gli abitanti del faro sono stati preparati diversi regali; fra questi un paio di calze per il figlio del guardiano del faro. L'intensa gioia provata da James all'annuncio della gita, è stata però subito distrutta dalla brusca osservazione del padre che domani il tempo non sarà bello; uno degli ospiti la conferma con una certa cattiveria in base a osservazioni meteorologiche. Quando tutte le altre persone sono uscite, la signora Ramsay si rivolge al figlio con parole di conforto. Essa misura la calza che sta preparando per il figlio del guardiano del faro sulla gamba di James. La signora Ramsay rassicura il figlio e lo conforta, subito dopo gli prova ancora la calza. Poco dopo, gli dice, distratta, di stare fermo, poiché il bambino si muove, un po' geloso, un po' anche sotto l'impressione della delusione ora partita. Alcune righe dopo, l'ammonizione di star fermo viene ripetuta in tono più forte; allora James ubbidisce; la madre prende la misura ma la calza risulta ancora troppo corta. Dopo un altro lungo intervallo, la scena si chiude con il bacio sulla fronte, col quale la signora Ramsay è in media all'asprezza della sua seconda ingiunzione di star fermo, e con l'esaltazione a cercare insieme un'altra figura da ritagliare. In questa azione di poca importanza si intrecciano continuamente altri elementi, si tratta prevalentemente di moti interiori non soltanto dei personaggi che partecipano all'azione esteriore, ma anche quelli che non vi prendono parte o non sono presenti. Contemporaneamente vengono inserite delle azioni esteriori, secondarie, luoghi e tempi completamente diversi. Già le prime parole della signora Ramsay vengono introdotte due volte: dalla vista di Bankes e Lily che passano davanti alla finestra e poi, dopo alcune parole riferitesi all'azione esteriore, dall'impressione che quelle due persone le hanno fatto: il fascino degli occhi cinesi di lei che sfugge a molti uomini. Le balena il pensiero, preparato dalla considerazione degli occhi cinesi di Lily, che i due dovrebbero sposarsi. Questa è una ottima idea; ella combina volentieri matrimoni.
Dalle sedie logore, che secondo il suo figlio maggiore, spargono le loro viscere sul pavimento, i suoi pensieri continuano a vagare sfiorando gli oggetti e le persone che la circondano. I mobili modesti, buoni per questa casa; i vantaggi del soggiorno estivo, economico, salutare per i bambini, per suo marito; a la casa regia abile con alcuni mobili vecchi e poi quadri e i libri. Libri: da tanti anni non trovava tempo per leggerli; neanche quelli dedicati a lei, a questo punto le balena il pensiero che al guardiano del faro non si può mandare nessuno dei libri scientifici di cui è piena la casa. Poi di nuovo la casa: se i suoi abitanti volessero averne un pò più di cura; ma Andrew parta a casa i granchi per sezionali, gli altri bambini raccolgono le alghe marine, conchiglie, ciottoli; ella deve per metterlo; i bambini sono tutti intelligenti; ogni a modo suo, ma si capisce, in questo modo la casa si riduce sempre peggio tutto va in rovina. La finestra del pianerottolo è aperta; lei stessa l'ha aperta. Le finestre devono essere aperte, le porte chiuse. Se la notte si va nelle stanze delle domestiche, tutte le finestre sono ben chiuse. Sono la cameriera svizzera che nella finestra sempre aperta. La signora Ramsay sapeva che a casa il padre della cameriera svizzera era gravemente ammalato. Egli ha un cancro alla gola. Non c'è più nessuna speranza, e sorge in lei una grave amarezza, amarezza contro la crudele assurdità della vita, alla cui continuazione tuttavia contribuisce con tutte le sue forze.
Questa è la grande prima parentesi, la seconda comincia poco dopo quando la calza è stata misurata, ma risulta troppo corta; comincia col capoverso incrociato dal motivo "never did anybody look so sad". Chi parla in questo capoverso? Chi guarda la signora Ramsay? Davanti alla finestra c'è soltanto lei con il figlio. È forse l'autore stesso? Ma se è così, egli non si esprime come persona bene informata sui suoi personaggi e che in base alla sua conoscenza è in grado di descrivere oggettivamente loro carattere, la loro situazione intima. L'autore scrivendo questo capoverso, non lo contraddistingue secondo caratteristiche grammaticali o tipografiche quale discorso o pensiero di una terza persona. Bisogna quindi ammettere che esso sia espressione diretta dell'autrice, la quale però non sembra ricordarsi di esserlo, e quindi dimentica anche che dovrebbe essere ben informata sui suoi personaggi. Colui che parla qui, pare abbia avuto soltanto un'impressione fugace della signora Ramsay. Nel tratto che segue sembra che non parlo più esseri umani, ben si spiriti fra cielo e terra. Nessuno sa qualcosa di preciso; si tratta soltanto di supposizioni, di sguardi che qualcuno getta su un altro di cui non riesce a svelare il mistero. La gente si chiede se dietro quella raggiante bellezza della signora si nasconda un qualche ricordo di un avvenimento infelice della sua vita di prima.
Vediamo il signor Bankes mentre parla al telefono con la signora Ramsay che lo ha chiamato, per comunicargli una corsa del treno, evidentemente per combinare un viaggio insieme. Siamo lontani dalla stanza dove la signora Ramsay e James stanno seduti alla finestra; ci ha condotti in luogo indeterminato, surreale. Ora ci troviamo in un luogo ben preciso, ma lontani dalla casa di campagna, a Londra, nell'abitazione del signor Bankes, il tempo non è precisato ma evidentemente la telefonata aveva avuto luogo molto tempo prima del soggiorno nella casa dell'isola. Ma ciò che signor Bankes dice al telefono si collega con quello che era successo prima, dalla scena con la ragazza Svizzera, dalla tristezza nascosta dal bel viso della signora Ramsay, dall'opinione della gente su di lei e dall'affetto che produce; la natura possiede soltanto poca regina come quella con cui l'ha modellata. Mentre mette giù il ricevitore, e attraversando la stanza, va alla finestra per osservare progressi di una nuova costruzione di fronte.
Se ritorna la scena di prima come se non fosse stata abbandonata mai; come se la lunga interruzione fosse stata soltanto un'occhiata che da questa stanza qualcuno avesse gettato nell'abisso del tempo.
L'autore quale narratore di fatti obiettivi, passa quasi completamente in secondo piano; quasi tutto ciò che ha detto, è riflesso della coscienza dei personaggi. Non ci viene comunicata la conoscenza obiettiva, che l'autrice ha di questi oggetti della sua fantasia creatrice, ma ciò che la signora Ramsay pensa o sente di essi in un determinato momento. Non veniamo neanche a conoscere quello che l'autrice sa del carattere della signora Ramsay, ma il riflesso di questo sui diversi personaggi. Cosicché non sembra esistere fuori dal romanzo stesso nessun punto dal quale vengono osservati gli uomini e gli avvenimenti e neanche una realtà obiettiva diversa da quella soggettiva della coscienza dei personaggi. I mezzi con i quali si procede qui per esprimere il mondo interiore dei personaggi, furono chiamati con nomi diversi, discorso vissuto o monologo interiore. Però queste forme stilistiche, specialmente il discorso vissuto, erano state usate già prima nella letteratura, ma non con gli stessi intenti artistici, e accanto ad essi esistono altre possibilità sintatticamente appena afferrabili, per sfumare o per far scomparire l'impressione di una realtà obiettiva, di cui l'autore è sicuro padrone: possibilità insite non negli elementi formali, ma nel tono e nel nesso del contenuto, come per esempio qui dove l'autore talvolta ottiene l'effetto desiderato ponendo se stessa come persona che dubita, domanda cerca, quasi che la verità sui suoi personaggi non fosse più nota a lui che a loro stessi o al lettore. Tutto questo insieme riguarda, dunque, la presa di posizione dell'autore di fronte alla realtà che ritrae, la quale appunto, è completamente diversa dall'atteggiamento di quegli scrittori che interpretano le azioni, le situazioni e i caratteri dei loro personaggi con sicurezza obiettiva. Essi non ignoravano nulla del carattere. È pur vero che anche per il passato ci venivano comunicati spesso i pensieri dei personaggi di un romanzo o di una novella, qualche volta perfino con un discorso vissuto, più spesso con monologhi. Ma in questi casi non si tentava quasi mai di rendere quel vagare e ondeggiare della coscienza che è mosso dal variare delle impressioni ma ci si limitava razionalmente a quanto si riferiva all'azione o alla situazione del momento.
Caratteristica fondamentale della maniera di Virginia Woolf è che ella non tratta soltanto di un solo soggetto e delle impressioni del mondo esterno sulla coscienza di questo, ma di molti soggetti, che cambiano spesso. Da una molteplicità dei soggetti si deduce che si tratta dell'esplorazione di una realtà obiettiva.
Il misurare la calza e le parole pronunciate in proposito richiedono molto meno tempo di quello che è necessario per la lettura del passo a un lettore attento che non voglia lasciarsi sfuggire nulla. Ma il tempo della narrazione non viene impiegato per l'azione stessa, che è concisa, bensì per interruzioni; vi sono inserite due lunghe digressioni. Benché tutto ciò che avviene nella nostra coscienza ha un ritmo più rapido di quello che la lingua possa rendere, ammesso che lo si voglia comunicare un terzo: e questa è l'intenzione dell'autore. Ciò che avviene nella coscienza della signora Ramsay non ha in sé nulla di misterioso, sono considerazioni normali sulla sua vita quotidiana. Il rapporto cronologico della seconda divagazione con l'azione del romanzo è di carattere diverso: il suo contenuto non fa parte dell'azione del romanzo, né dal punto di vista del tempo, né da quello del luogo; si tratta di altri tempi e di altri luoghi, c'è una divulgazione come la storia della cicatrice d'Ulisse. In Omero la divagazione si riallaccia alla cicatrice che Euriclea tocca con le sue mani, subito si inserisce un'altra realtà chiara come il giorno, che sembra voler escludere la tensione drammatica e far dimenticare per un poco tutta la scena della lavanda dei piedi. La divagazione si riallaccia all'espressione del viso della signora Ramsay: "never did anybody look so sad". I senza nome, a cui è data la parola, possono essere entrati nella stanza rivolgendo i loro sguardi sul viso della signora Ramsay; la gente le cui chiacchiere vengono riprodotte, continua a guardare il viso della signora Ramsay, non veramente qui e ora, alla finestra della casa al mare, però sempre lo stesso viso con la stessa espressione. Ancora nella terza parte, dove il viso non si vede più, esso è tuttavia presente agli occhi della sua mente: cossichè il lettore neanche per un attimo dimentica il tema, cioè interpretazione della signora Ramsay. Tutte e due le digressioni sono tentativi di cogliere una realtà più vera, più reale e poco importa se il loro contenuto sia costituito unicamente dalla coscienza, vale a dire dal tempo interiore, oppure anche da un cambiamento di tempo più esteriore. La tecnica particolare di Virginia Woolf consiste in ciò, che la realtà esteriore obiettiva, rappresentata direttamente dall'autore, e che appare come un fatto sicuro, il misurare della calza, non è che un movente, anche se non del tutto occasionale; l'importante è solo quanto da esso è provocato, che non è visto direttamente, ma di riflesso, e che non è legato al filo dell'azione esteriore. Proust fu il primo a seguire con coerenza un procedimento simile, il quale consiste nel ritrovare nel ricordo la realtà perduta, il quale ricordo è provocato da un fatto insignificante e apparentemente casuale. Proust conserva senza interruzione la prima persona che racconta; non un osservatore dal di fuori, ma un personaggio, che fa da soggetto, coinvolto nell'azione a cui trasmette l'impronta particolare del suo essere. Così la concezione moderna del tempo interiore si collega alla concezione neoplatonica, che l'immagine primigenia dell'oggetto si trovi nell'anima dell'artista; il quale, compreso egli stesso nell'oggetto, in veste di osservatore si è staccato da questo e affronta il proprio passato.
Nell'Ulysses di James Joyce la tecnica del molteplice riflettersi della coscienza della stratificazione dei tempi viene applicata nel modo forse più radicale. Il libro mira chiaramente a una sintesi simbolica dell'oggetto ognuno; tutti i grandi motivi della storia interiore europea vi sono contenuti, sebbene esso prenda le mosse da individui molto singolari e da un presente rigorosamente fissato.
Thomas Mann dalla montagna incantata in poi, fa concessioni sempre maggiori alla prospettiva dei tempi e alla simbolica omnitemporalità degli avvenimenti; oppure ancora diversamente Gide e che nei Faux-Monnayeurs cambia di continuo il punto di osservazione dal quale vengono scorti i fatti già da se complessi, anzi arriva intrecciare romanzo e la sua genesi modo romantico e ironico.
Knut Hamsun nel romanzo I frutti della terra svaniscono per mezzo del piano tonale i limiti fra i discorsi diretti o indiretti dei personaggi e quello che dice l'autore, cosicché non si è mai del tutto sicuri di sentire proprio l'autore che si trova posto fuori del romanzo. Spesso nei romanzi moderni non si tratta d'uno o di alcuni pochi personaggi i cui destini vengono seguiti con coerenza, anzi spesso non c'è assolutamente traccia d'un rapporto fra i vari fatti; moltissimi personaggi o moltissimi frammenti di avvenimenti vengono qualche volta collegati con molta scioltezza, così che al lettore sfugge il filo dell'azione. Ci sono romanzi che cercano di costruire un ambiente soltanto con frammenti di fatti, con personaggi che cambiano continuamente e qualche volta riappaiono. In quest'ultimo caso si può supporre che lo scrittore abbia avuto l'intenzione di servirsi nel romanzo delle possibilità strutturali offerte dal film. Una tale concentrazione di spazio e di tempo, come possibile film, come per esempio nel rappresentare in pochi quadri in pochi minuti la situazione di un gruppo di persone disseminate in varie parti, non può mai essere raggiunta dalla parola letta o detta. L'epica, a dire il vero, dispone di molta libertà nell'uso dello spazio del tempo.
Virginia Woolf si attiene a fatti piccoli, insignificanti, casuali. Non si verificano cambiamenti grandi, svolte della vita esteriore o addirittura catastrofi, e anche nel testo di To the Lighthouse a tali cose si accenna solo frettolosamente. La stessa tendenza si trova in altri autori molto diversi fra loro per esempio in Proust.
Ai tempi nostri si è avuto uno spostamento di accento, molti scrittori rappresentano i piccoli fatti insignificanti per amore dei fatti stessi, o piuttosto quale fonte di motivi, di penetrazione prospettica in un ambiente, in una coscienza o nello sfondo del tempo; essi hanno rinunciato a rappresentare la storia dei loro personaggi con la pretesa di una completezza esteriore, conservando la successione cronologica e concentrando tutta l'attenzione sulle importanti svolte esteriori del destino. Il romanzo di Joyce, opera enciclopedica, specchio di Dublino, dell'Irlanda, delle Europa e dei suoi millenni, ha per cornice la giornata esteriormente insignificante di un professore di ginnasio e di un agente di avvisi pubblicitari. To the lighthouse rappresenta parti di due giorni molto a distanti nel tempo. si attribuisce meno importanza le grandi svolte esteriori e colpi del destino, come se essi non possa scaturire nulla di decisivo per l'oggetto; si ha fiducia invece che qualunque fatto della vita scelto casualmente contenga in ogni momento e possa rappresentare la somma dei destini; sia fiducia maggiore nelle sintesi, ottenuto con l'esaurire di un fatto quotidiano, piuttosto che nella trattazione completa in ordine cronologico. Chi rappresenta dal principio alla fine lo svolgimento completo della vita umana o di un fatto di lunga durata, arbitrariamente taglia e isola; ad ogni momento la vita è già incominciata da un pezzo e ad ogni momento continua il corso; e ai personaggi capitano molte più cose di quante egli potrà mai raccontare. Ma quando succede a poche persone nel giro di pochi minuti, ore o tutt'al più giorni, può essere forse descritto con una certa completezza. L'allargarsi dell'orizzonte e l'arricchissi di esperienze, pensieri e possibilità, incominciati nel secolo XVI, procedono nel XIX con un ritmo sempre più celere, per assumere nel XX una tale velocità da produrre superare nello stesso momento i tentativi di interpretazione sintetico oggettiva. I cambiamenti veloce produssero una confusione tanto maggiore, in quanto non era possibile abbracciarli nel loro insieme; essi si manifestarono contemporaneamente molte singole sfere della scienza, della tecnica e dell'economia, così che nessuno, neanche coloro che erano a capo, poterono prevedere e giudicare le situazioni nuove che ne risultarono. La tentazione di affidarsi a una setta, che con un'unica ricetta risolvesse tutti problemi, che desse incremento alla comunità con una forza di suggestione interna ed escludesse tutto ciò che non vi si adattava e non vi si inseriva, fu tentazione così forte, che per molta gente il fascismo non aveva quasi più bisogno di una forza esteriore, quando si diffuse nei paesi civili d'Europa e assorbì le piccolette 7. Negli anni che precedettero seguirono alla prima guerra mondiale, in un Europa priva di equilibrio, alcuni scrittori dotati di intuito trovarono una tecnica per dissolvere la realtà che passando per il prisma della coscienza si frange in aspetti e significati molteplici. Ma essa non è soltanto un sintomo della confusione e dello sbandamento, lo specchio del tramonto del nostro mondo. In tutte quelle opere c'è, sì, un'atmosfera di fine del mondo soprattutto nell'Ulysses con il suo beffardo scombussolamento della tradizione europea ispirato da odio amore, con il suo stridente e doloroso cinismo, il suo simbolismo che sfugge ad ogni interpretazione, perché anche l'analisi più esatta non riuscirà che a cogliere il molteplice intreccio dei motivi, ma non l'intento e il significato dell'opera. Anche la maggior parte degli altri romanzi che seguono la tecnica del frangersi della coscienza, danno al lettore la sensazione che non vi sia altra via d'uscita; essi contengono spesso qualche cosa di sconcertante, di velato, di ostile; non di rado mancanza di volontà pratica di vivere, oppure gioia nelle ritrarre le forme più crude della vita; un senso di avversione contro la civiltà, espresso con i mezzi stilistici più raffinati che essa aveva creato; qualche volta un ostinato e radicale impeto di distruzione.
il romanzo è pieno di una tristezza velata senza scampo; non veniamo a sapere nulla della situazione intima della signora Ramsay; di quel mistero possiamo cogliere soltanto la tristezza e l'inutilità della sua bellezza e forza vitale. A lettura ultimata nel romanzo, resta inespresso, misterioso e accessibile soltanto all'intuizione, che cosa significhi rapporto fra la gita al faro progettato tanto tempo prima che e quella attuata soltanto molti anni più tardi, e quale sia il contenuto della visione finale di Lily, che ella mette in grado di terminare il suo ritratto con unica pennellata.
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