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La linguistica è una disciplina descrittiva (non normativa), più esattamente lo studio scientifico del linguaggio.
Tutti i linguaggio hanno un elemento in comune: sono tutti sistemi di comunicazione, servono cioè a trasmettere informazioni da un individuo, emittente ad un altro, il ricevente (o destinatario).
Tuttavia, una volta chiarito che tutti i vari tipi di linguaggio realizzano una qualche forma di comunicazione, questo non è sufficiente per considerarli manifestazioni di un unico sistema. In altre parole, anche se avessimo dimostrato che i vari linguaggi sono identici nella loro funzione (ossia permettere la comunicazione), non abbiamo detto nulla che dimostri che essi sono identici anche nella loro struttura. Ebbene, la riflessione sul linguaggio naturale o umano condotta nell'ultimo mezzo secolo propende largamente per considerare la sua struttura come largamente specifica: solo la specie umana ha la capacità di acquisire il linguaggio umano. La linguistica diventa dunque lo studio scientifico del linguaggio umano.
Le caratteristiche proprie di questo "studio scientifico" sono: 1) la formulazione di ipotesi generali che rendano ragione di una molteplicità di fatti particolari; 2) la formulazione di tali ipotesi in modo chiaro e controllabile (esperimenti ripetibili).
Questo modo di procedere chiarisce anche perché la linguistica non sia disciplina normativa ma descrittiva: il suo scopo non è infatti quello di indicare "ciò che si deve dire o non si deve dire" (come fanno le grammatiche), ma spiegare (ricondurre a leggi generali) ciò che effettivamente si dice. La linguistica come disciplina scientifica ha come tutte le altre scienze un fine conoscitivo.
Una caratteristica che distingua tipicamente il linguaggio umano dal linguaggio di molte specie animali è che il primo è un tipo di linguaggio discreto (i suoi elementi si distinguono gli uni dagli altri per l'esistenza di limiti ben definiti), mentre gli altri sono continui.
Non esistono cioè nella mente del parlante e dell'ascoltatore entità intermedie, per es.:, tra p e b. Nei sistemi continui è sempre possibile invece "specializzare" sempre di più il segnale.
In generale inoltre i sistemi di comunicazione animale sono caratterizzati da un numero finito di segni; le parole di ogni lingua umana, invece, non costituiscono un insieme finito, perché si creano in continuazione parole nuove. A questa possibilità di creazione continua di nuove frasi contribuisce in modo decisivo il meccanismo della ricorsività: esso permette di costruire frasi sempre nuove inserendo, in una frase data, un'altra frase, poi in quest'ultima un'altra ancora, e così via. Il numero della frasi possibili di qualunque lingua naturale è infinito. Questa capacità è assente nei sistemi di comunicazione delle altre specie animali.
Il linguaggio umano è un sistema altamente specializzato, dotato di proprietà specifiche, nel doppio senso di specifiche del sistema, cioè possedute da esso solo, e specifiche della specie, cioè possedute dalla sola specie umana.
Ricapitolando, caratteristiche del linguaggio umano sono:
la discretezza
la ricorsività
Un'altra caratteristica è la "dipendenza dalla struttura".
Le nozioni di grammaticalità e agrammaticalità ("suona non ben formata") sono particolarmente importanti. Questo senso intuitivo di buona o cattiva formazione non è un effetto della grammatica normativa, ma è una caratteristica essenziale della competenza del parlante nativo di una determinata lingua.
Nelle lingue naturali le frasi non sono organizzate come una semplice successione di parole, ma sono, dipendenti dalla struttura.
E' molto importante mantenere distinta la nozione di linguaggio da quella di lingua. Con linguaggio intendiamo la capacità comune a tutti gli esseri umani di sviluppare un sistema di comunicazione dotato delle caratteristiche di cui al par. precedente. Con lingua intendiamo la forma specifica che questo sistema di comunicazione assume nella varie comunità.
Esistono degli elementi comuni a tutte le lingue, che vengono definiti universali linguistici. Per esempio, la ricorsività e la dipendenza alla struttura. Una caratteristica invece che distingue le varie lingue è l' ordine delle parole o meglio l'ordine degli elementi principali della frase.
Una lingua è un oggetto tanto naturale quanto difficile a definirsi. E' naturale perché parliamo senza sforzi particolari, senza riflettere su ciò che stiamo facendo e come, e soprattutto siamo in grado di costruire frasi e capirle senza sforzo apparente e senza avere la totale conoscenza di cosa sia una frase o di come funzioni il linguaggio umano.
Siamo circondati dalla nascita da atti linguistici e continuiamo a vivere circondati 818i85i da questi.
Una lingua è un sistema articolato su più livelli e dunque un sistema di sistemi. I livelli linguistici sono quello dei suoni (fonologia), quello delle parole (morfologia), quello delle frasi (sintassi) e quello dei significati (semantica).
Ognuno di questi livelli ha un carattere sistematico nel senso che le unità di ogni livello sono interdipendenti.
Una lingua è solitamente sia scritta che parlata. La linguistica privilegia la lingua come espressione orale e ciò per diversi motivi.
Esistono lingue che sono solo parlate e non scritte. Non ci sono lingue naturali che sono state soltanto scritte ma mai parlate.
Il bambino, quando impara una lingua, impara prima a parlare che a scrivere, e in modo del tutto naturale, senza insegnamento specifico.
Le lingue cambiano nel corso del tempo. Ma ciò che cambia è la lingua parlata e solo in ritardo la scrittura registra questi cambiamenti. Se una lingua è molto usata, è soggetta a cambiamenti; se è solo scritta o prevalentemente scritta non cambia, tende a mantenersi.
Ogni atto linguistico è un fatto a sé ed irripetibile: ripetendo la stessa vocale n volte risulterà prodotta fisicamente in n modi diversi. In realtà ciò che in una lingua è fondamentale è la capacità distintiva dei suoni. Diremo che esiste una vocale [a] che "si oppone" da una vocale [e] e questa opposizione basta da sola a distinguere moltissime parole. Resta vero che in pratica tutte le n [a]sono fisicamente diverse l'una dall'altra, ma tale diversità non produce diversità di significato,
Vi è un livello astratto dove vi è una /a/ e poi questa si può realizzare in n modi diversi. E lo stesso si può dire per la /e/, ecc.. Vi è poi un livello concreto, fisico, dove c'è molta varietà (dipendente dalla posizione degli organi di fonazione)
In effetti tutti i linguisti che hanno avuto un ruolo decisivo nello sviluppo della linguistica contemporanea hanno fatto una distinzione tra un livello astratto ed un livello concreto. Illustreremo qui di seguito tre distinzioni, quella fra langue e parole di Ferdinand de Saussure, quella tra codice e messaggio di Roman Jakobson e quella tra competenza ed esecuzione di Noam Chomsky
Ferdinand de Saussure pose alla base del suo Corso di linguistica generale [pubblicato nel 1916 da due suoi allievi] una serie di distinzioni che formano una base concettuale irrinunciabile per la definizione di lingua e cioè le distinzioni fra sincronia e diacronia, tra i rapporti associativi e i rapporti sintagmatici, tra significante e significato e quello tra langue e parole.
La parole è un'esecuzione linguistica realizzata da un individuo, è un atto individuale.
Ma un individuo non possiede tutta la "lingua", per es. tutta la lingua italiana. L'italiano sta al di fuori degli individui, preesiste agli individui e sopravviverà ad essi. Vi è una lingua che è della collettività, è sociale ed astratta, questa è la langue.
L'individuo può realizzare atti di parole diversi ma non può da solo modificare la langue.
La lingua esiste nella collettività ed è necessaria perché gli atti di parole siano intelligibili, ma anche gli atti di parole sono necessari perché la lingua si stabilisca e funzioni.
Gli esseri umani comunicano tramite atti di parole, ma il fondamento è nella langue perché è essa il riferimento collettivo. [parole - concreto, individuale; langue - sociale, astratta]
Un'altra importante distinzione, dovuta a Jakobson si basa sulla distinzione tra un livello astratto ed uno concreto.
Il codice è un insieme di potenzialità, ed è astratto.
Un messaggio viene costruito sulla base delle unità fornite dal codice, ed è un atto concreto.
Combinando le proposte di Saussure e Jakobson, avremo il seguente quadro:
Saussure Jakobson
Livello astratto langue codice
Livello concreto parole messaggio
Una terza distinzione tra un livello astratto ed uno concreto è stata fatta da Noam Chomsky tra competenza ed esecuzione.
La competenza è tutto ciò che l'individuo "sa" della propria lingua per poter parlare come parla e capire come capisce, mentre l'esecuzione è tutto ciò che l'individuo "fa". L'esecuzione è un atto di realizzazione e dunque concreto; corrisponde abbastanza alla nozione di parole, mentre la competenza è profondamente diversa dalla langue. Mentre questa infatti è sociale e trascende l'individuo, la competenza è individuale ed ha sede nella mente dell'individuo.
Parole, messaggio ed esecuzione grosso modo si equivalgono.
Competenza non significa "bravura": competenza è semplicemente l'insieme delle conoscenze linguistiche che un parlante ha. Si possono distinguere in :
competenza fonologica: il parlante sa quali sono i suoni della sua lingua, come si fanno i plurali, ecc
competenza morfologica: un parlante conosce le parole della propria lingua e le sa distinguere da forme che non sono della propria lingua e, tra quest'ultime, sa poi distinguere tra forme possibili ma non esistenti e parole non possibili. Sa formare parole complesse da parole semplici, ma sa anche che non è sempre possibile farlo.
Competenza sintattica: i parlanti conoscono le regole della sintassi, "sanno" che possono formare vari tipi di frase; non hanno alcuna difficoltà a costruire e a capire un numero enorme di frasi nuove, possono costruire frasi molto lunghe, ed hanno nozioni sulla grammaticalità o non grammaticalità delle stesse.
Competenza semantica: i parlanti di una lingua sanno riconoscere il significato delle parole e delle frasi, e sanno istituire molti tipi di relazioni semantiche tre le parole (es:, la sinonimia)
Tutte queste conoscenze fanno parte della grammatica dei parlanti, intesa come insieme di conoscenze immagazzinate nella mente. Il bambino costruisce una grammatica a partire dai dati, che sono chiamati dati linguistici primari.
Una lingua è un codice ed un codice è costituito fondamentalmente da 2 livelli: le unità di base e le regole che combinano le unità.
Le lingue del mondo non sfruttano mai tutte le possibilità né a livello di unità né a livello di regole (es:, l'italiano ha parole diverse per affluente e fiume, mentre l'inglese ha solo river)
Che tutte le possibilità non vengono realizzate è vero non solo per il lessico e per i suoni ma anche per la morfologia e la sintassi.
In un atto linguistico, i suoni vengono disposti in una sequenza lineare: uno dopo l'altro. In questo modo i suoni perdono la loro individualità e diventano una "catena parlata". In questa operazione succede che i suoni si influenzano l'un l'altro; questi rapporti vengono definiti rapporti sintagmatici e si hanno tra elementi che sono in praesentia, cioè co-presenti. [Es.: amico/amici: è la vocale seguente che influenza la realizzazione del suono che corrisponde alla lettera dell'alfabeto c: pure questo è un rapporto di tipo sintagmatico]
Tutti i suoni che possono comparire in un certo contesto intrattengono tra loro invece rapporti di tipo paradigmatico o associativo, ma sono rapporti in absentia come diceva Saussure: se realizzo [t] non posso realizzare gli altri; tutti i suoni che possono comparire in un medesimo contesto hanno qualcosa in comune. [Es.: StO, SpO, ScO, SgO, il contesto è S_O].
Rapporti sintagmatici e paradigmatici non riguardano solo i suoni. Nei verbi ad esempio le desinenze intrattengono tra loro rapporti paradigmatici: se ne realizziamo una escludiamo tutte le altre. Tutte queste desinenze formano un paradigma: forme che si possono aggiungere (una ad esclusione dell'altra) ad una stessa base.
Una unità della lingua, qualsiasi unità, intrattiene rapporti sintagmatici con le forme vicine (a livello di parole) ma intrattiene rapporti paradigmatici con le unità assenti che avrebbero potuto essere realizzate in quel dato punto (a livello di langue).
Le lingue possono cambiare nel corso del tempo. Lo studio del cambiamento linguistico è detto diacronico, è quindi lo studio di un fenomeno attraverso il tempo (la sostituzione di un elemento con un altro nel corso del tempo).
Una lingua può anche essere studiata escludendo il fattore "tempo"; in questo caso facciamo uno studio sincronico, ovvero un fenomeno che è il rapporto tra elementi simultanei. [v. grafico]
Una parola è un segno. Un segno è una unione di un significato e di un significante.
Il significante è la forma sonora che noi realizziamo (Es.: [libro] ), mentre il significato è la rappresentazione mentale che abbiamo di "libro".Il significato non è l'oggetto, ma il "concetto di".
Significante e significato sono inscindibilmente uniti. [v.grafico2]
Il segno ha varie proprietà, tra cui:
a) la distintività. (il segno notte si distingue dai segni botte, lotte, ecc.)
b) la linearità. Il segno si estende nel tempo (se è orale) o nello spazio (se scritto) ( rami ha un significato diverso da mira, Silvia ama Giuseppe è diverso da Giuseppe ama Silvia)
c) l' arbitrarietà. Il segno è arbitrario nel senso che non esiste alcuna legge "di natura" che imponga di associare al significante libro] il significato "libro". Tant'è che allo stesso significato corrispondono diversi significanti in altre lingue (book, Buch, bog..)
Ci sono delle eccezioni all'arbitrarietà e sono costituite soprattutto dalle forme onomatopeiche. Nel corso del tempo però l'evoluzione può eliminare la motivazione del segno (es. : nel latino, pipio = piccione era onomatopeico, in italiano no).
I segni possono essere sia linguistici che non linguistici (es.: un cartello stradale, il vestito nero come simbolo di lutto, ecc)
La disciplina che studia i segni linguistici è la linguistica, quella che studia i segni in generale è la semiologia.
Secondo Jakobson, le componenti necessarie per un atto di comunicazione linguistica sono 6:
il parlante, 2) ciò di cui si parla, 3) il messaggio, 4) il canale attraverso cui passa la comunicazione, 5) il codice e 6) l'ascoltatore.
2) referente
1) parlante 3) messaggio 6) ascoltatore
4) canale
5) codice
Il referente è ciò cui l'atto linguistico rimanda (la realtà extralinguistica), mentre il canale è di norma l'aria, ma può essere anche una linea telefonica, o l'acqua. A ciascuna di queste componenti Jakobson fa corrispondere una funzione linguistica diversa, secondo lo schema:
2) referenziale
1) emotiva 3) poetica 6) conativa
4) fàtica
5) metalinguistica
La funzione emotiva (o espressiva) si realizza quando il parlante esprime stati d'animo, quando il parlare o lo scrivere sono intesi più ad esprimere che a comunicare qualcosa. Il genere letterario è la lirica.
La funzione referenziale è una funzione informativa, neutra (es: un orario ferroviario)
La funzione fàtica è quella che si realizza quando vogliamo controllare se il canale è aperto e funziona regolarmente (Es: mi senti? ci sei?)
La funzione metalinguistica si realizza quando il codice viene usato per parlare del codice stesso: per esempio una grammatica:; si usa la lingua X per parlare della lingua X.
La funzione poetica è forse la più complessa. Secondo Jakobson, si realizza quando il messaggio che il parlante invia all'ascoltatore è costruito in modo tale da costringere l'ascoltatore a ritornare sul messaggio per capire come è fatto.
La funzione conativa (o direttiva) si realizza invece sotto forma di comando o esortazione rivolti all'ascoltatore perché modifichi il suo comportamento (Es: i galatei)
Jakobson aveva in mente, quando proponeva questo modello, soprattutto un modo per caratterizzare i vari testi letterari; un tipo di testo comunque non realizza solo una funzione jakobsiana, ma prevalentemente una delle funzioni.
Ogni parlante "si porta dietro" una certa patina che ne denuncia la provenienza. Per cogliere questo fatto, si dice che esistono quelli che vengono chiamati italiani regionali. L'italiano regionale è dunque una varietà di italiano parlata in un'ara corrispondente approssimativamente ad una delle tre principali aree geografiche dell'Italia (nord, centro, sud).
Questa nozione è importante perché costituisce un livello intermedio fra dialetto e italiano standard.
Italiano standard
Italiano regionale
Dialetto locale
In realtà il quadro è ancora più complesso perché ogni lingua è stratificata, sia socialmente che geograficamente. La stratificazione si può quindi così ampliare:
italiano scritto
italiano parlato formale
italiano parlato informale
italiano regionale
dialetto di koinè
dialetto del capoluogo di provincia
dialetto locale
Il dialetto di koinè identifica grosso modo una regione dialettale (per es.:, il veneto, il lombardo).
In uno stesso luogo possono coesistere quindi diversi registri linguistici ed i parlanti possono anche passare da uno all'altro (il cosiddetto code switching).
E' importante sapere che la lingua è articolata in modi simili perché è una sua caratteristica specifica quella di non essere un blocco monolitico: una lingua è articolata in codici e sottocodici, che a loro volta servono a definire e a identificare dei gruppi sociali.
E' importante sottolineare inoltre che un dialetto è un sistema linguistico a tutti gli effetti.
La differenza di importanza tra una lingua e un dialetto non è di tipo linguistico: è semmai una differenza socioculturale.
Tutte le lingue nel mondo condividono certe caratteristiche, gli universali linguistici.
Ma le relazioni tra le lingue non si limitano alla condivisione degli universali: infatti alcune lingue sono più "vicine" tra loro che non altre. Da un punto di vista linguistico, esistono tre modalità di classificazione, denominate, rispettivamente, genealogica, tipologica, e areale.
Si dice che le lingue fanno parte dello stesso raggruppamento genealogico se derivano da una stessa lingua originaria (o lingua madre). Un esempio le lingue romanze o neolatine.
L'unità genealogica massima è la famiglia linguistica (es: la famiglia indoeuropea): se due lingue non appartengono alla stessa famiglia non sono genealogicamente imparentate. Le unità di livello inferiore alla famiglia sono chiamate gruppi (o classi), a loro volta articolati in sottogruppi (o rami). Si dice che due lingue sono tipologicamente correlate se esse manifestano una o più caratteristiche comuni.
Il punto di vista areale coglie quelle affinità che si creano tra lingue genealogicamente irrelate, ma che hanno sviluppato alcune caratteristiche strutturali comuni in quanto sono parlate in una stessa area geografica; in questo caso, si dice che le lingue in questione formano una lega linguistica.
Nella storia delle ricerche di tipologia linguistica, le caratteristiche comuni sono state cercate prima nella struttura delle parole, successivamente in quella dei gruppi di parole e delle frasi.
Si parla quindi di una tipologia morfologica e di una tipologia sintattica
I tipi morfologici tradizionalmente riconosciuti sono i seguenti: isolante, agglutinante, flessivo (diviso in analitico e sintetico) e polisintetico o incorporante.
Il tipo isolante è caratterizzato da una mancanza quasi totale di morfologia: i nomi non si distinguono né per caso, né per numero; i verbi non presentano differenze di persona, numero, tempo e modo, ecc. Per indicare le varie relazioni tra le parole, una lingua isolante fa uso in modo cruciale 1) dell'ordine delle parole stesse e 2) di alcune particelle (per indicare ad es. se un verbo indica un evento passato, o se un nome è plurale, ecc.)
Liu Xiuying mai le yi ben shu
Liu Xiuying - comprare - [passato] - uno - [classificatore] - libro
Liu Xiuying ha comprato un libro.
Nel tipo agglutinante ogni parola contiene tanti affissi quante sono le relazioni grammaticali che devono essere indicate. Ad esempio il turco: data una parola, come kuş (uccello), ad essa si possono aggiungere il suffisso indicante il plurale ( - lar ) e, dopo di esso, un suffisso che indica i casi diversi dal nominativo.
Nel tipo linguistico flessivo le diverse relazioni grammaticali sono normalmente espresse da un unico suffisso. (ad es: il latino, il greco, l'italiano, la maggior parte delle lingue indoeuropee).
Un'altra caratteristica delle lingue flessive è quella di poter indicare le diverse funzioni grammaticali mediante la variazione della vocale radicale della parola: es. fAccio rispetto a fEci, Esco rispetto a Uscii.. Questo fenomeno è noto come flessione interna ed è molto diffuso nelle lingue indoeuropee e in quelle semitiche. Però nelle lingue semitiche la flessione interna non si applica soltanto ad un numero limitato di verbi, ma è un procedimento regolare e produttivo; per questo motivo l'arabo e le altre lingue semitiche sono definite di tipo introflessivo. (es: in arabo, la parola può avere una radice consonantica ( k-t-b, "scrivere") e le diverse parole sono formate cambiando le vocali: kataba "egli scrisse", kutiba "fu scritto", kâtib "scrittore", ecc.)
Il sottotipo analitico può realizzare le relazioni grammaticali (come l'espressione del tempo passato, ho fatto) anche mediante più parole, mentre il sottotipo sintetico concentra tale espressione in una sola parola (es. il latino feci).
Nel tipo linguistico polisintetico o incorporante una sola parola può esprimere tutte le relazioni che in italiano sono espresse da un'intera frase. Es.: (dall'eschimese)
angya-ghlla-ng-yug-tuq
barca - [accrescitivo] - acquistare - [desiderativo] - [iii singolare]
Vuole acquistare una grande barca
Si è sviluppata notevolmente a partire dagli anni Sessanta del Novecento, grazie al linguista americano Joseph Greenberg. Si basa sull'osservazione che esistono correlazioni sistematiche, in tutte le lingue, tra l'ordine delle parole nella frase e in altre combinazioni sintattiche, e per questo è chiamata anche tipologia dell' ordine delle parole. Le combinazioni sintattiche analizzate sono:
1) la presenza, in una data lingua, di preposizioni (Pr) oppure di posposizioni (Po)(es.il giapponese)
2) La posizione del verbo (V) rispetto al soggetto (S) e all'oggetto (O) nella frase dichiarativa. (delle sei forme possibili, solo le prime tre sono dominanti, ossia SVO, SOV, VSO).
3) L'ordine dell'aggettivo (A) rispetto al nome (N) che esso modifica. In certe è AN, in it. NA.
4) L'ordine del complemento di specificazione, il genitivo (G), rispetto al nome (N) che modifica. (in giapp. è GN, in italiano NG).
In generale, queste correlazioni sistematiche possono essere riassunte come segue:
a. VSO/Pr/NG/NA
b. SVO/Pr/NG/NA
c. SOV/Po/GN/AN
d. SOV/Po/GN/NA
Queste formule hanno la forma "se.allora", sono cioè quelle che i logici chiamano un' implicazione: per questo sono state chiamate universali implicazioni.
Ogni lingua ha un suo inventario di suoni che funzionano linguisticamente (fonemi), che formano cioè delle parole, e ogni lingua ha le regole proprie per combinare questi suoni in sillabe e parole (regole fonologiche). Fanno parte del dominio della fonologia anche l'accento, l'intonazione e i toni.
La disciplina che studia la produzione dei suoni è detta fonetica articolatoria. Accanto a questa vi è la fonetica acustica che studia sostanzialmente la natura fisica del suono e la sua propagazione.
Vi è infine una fonetica uditiva o percettiva che studia l'aspetto della ricezione del suono da parte dell'ascoltatore.
Classificazione dei suoni
Per classificare un suono sono necessari tre parametri: modo di articolazione, punto di articolazione e sonorità.
I vari assetti che gli organi assumono nella produzione di un suono sono detti modi di articolazione. Il flusso d'aria per produrre un suono può essere modificato in diversi punti dell'apparato vocale (labbra, denti, palato, ecc.); ognuno di questo punti è chiamato punto di articolazione. La sonorità infine è data dalla vibrazione delle corde vocali: se vibrano il suono è sonoro, altrimenti è sordo.
Classi di suoni
I suoni possono essere classificati in tre classi maggiori: consonanti, vocali e semiconsonanti.
La distinzione più importante è quella tra consonanti e vocali e si fonda su un semplice fatto articolatorio: nella produzione di una vocale l'aria non incontra ostacoli, fuoriesce liberamente, mentre per produrre una consonante l'aria viene o momentaneamente bloccata (come per la b), o deve attraversare una fessura molto stretta. Le consonanti possono essere sia sorde che sonore, le vocali normalmente sono sempre sonore.
Le semiconsonanti (sempre sonore di norma) sono articolate come vocali ma, come le consonanti, non possono formare il nucleo di una sillaba.
Vocali, semiconsonanti, liquide e nasali formano la classe delle sonoranti. Tutti gli altri suoni sono chiamati ostruenti.
Consonanti in italiano [vai a "modi di articolazione"]
I diversi modi di articolazione concorrono alla produzione di consonanti:
occlusive : il suono è prodotto tramite una momentanea occlusione dell'aria a cui fa seguito una specie di "esplosione". Dette anche "esplosive".
fricative : L'aria deve passare attraverso una stretta fessura producendo una "frizione". SI possono prolungare nel tempo e sono dette anche "continue".
affricate: iniziano con un'articolazione di tipo occlusivo e terminano con una di tipo fricativo.
nasali: per la produzione dei suoni nasali, il velo palatino si posiziona in modo da far passare l'aria anche attraverso le cavità nasali.
laterali la lingua si posiziona contro i denti e l'aria fuoriesce dai due lati della lingua stessa.
vibranti la produz. del suono avviene mediante una vibrazione dell'apice della lingua o dell'ugola.
approssimanti: sono suoni in cui gli organi articolatori vengono avvicinati ma senza contatto. Le approssimanti dell'italiano sono le semiconsonanti [j] e [w].
[vai a "luoghi di articolazione"]
L'italiano usa sette punti di articolazione,quindi non ci sono interdentali, uvulari, faringali, glottidali.
bilabiali il suono è prodotto tramite l'occlusione, cioè la chiusura di entrambe le labbra [p, b, m]
labiodentali: il suono deve attraversare una fessura che si forma appoggiando gli incisivi superiori al labbro inferiore [f, v]
dentali: la parte anteriore della lingua (lamina) tocca la parte interna degli incisivi. [t, d]
alveolari: la lamina tocca o si avvicina agli alveoli [s, z, ts, dz, n, l, r]
palato-alveolari: la lamina si avvicina agli alveoli ed ha il corpo arcuato [
palatali (o anteriori): suoni prodotti con la lingua che si avvicina al palato [ j ]
velari (o posteriori): suoni prodotti con la lingua che tocca il velo palatino [k, g, w]
[Tabella consonanti italiane] [Tabella consonanti]
Vocali in italiano
I parametri per classificare le vocali sono l'altezza della lingua (quanto si alza o abbassa verso il palato rispetto alla posizione "di riposo"), l'avanzamento o l'arretramento della lingua, l'arrotondamento o meno delle labbra, la realizzazione di questi movimenti in modo teso o rilassato.
Combinazioni di suoni
Le consonanti possono combinarsi insieme e formare dei nessi consonantici. La combinazione delle consonanti non è libera ma è soggetta a restrizioni. Vi è inoltre differenza tra combinazioni possibili in posizione iniziale di parola ed in posizione interna di parola.
le combinazioni di vocali e approssimanti in una medesima sillaba dà luogo ai dittonghi che possono essere ascendenti (approssimante seguita da vocale accentata) o discendenti (vocale accentata seguita da approssimante). Esistono anche i trittonghi ad es. miei [mj i].
Le combinazioni di due vocali appartenenti a due sillabe diverse danno luogo ad uno iato.
I suoni possono essere semplici o geminati (per es: tt, dd, kk dzdz] (si noti che la lunghezza delle affricate può essere resa anche raddoppiando solo il primo simbolo [ddz])
La lunghezza si indica con due punti [:] e gli stessi suoni possono dunque essere trascritti come [t:, d:, k:, d:z]. Per le vocali lunghe [o:, a:, ecc..]
Il simbolo IPA per l'accento è ['] e si colloca prima della sillaba accentata. Es. casa ['kaza], lampione [lam'pjone], intimità [intimi'ta]. Sui monosillabi l'accento può non essere segnato, e in IPA non esistono le maiuscole.
Confini
Nelle trascrizione può essere utile indicare i vari tipi di confine. Quello di sillaba è indicato con un punto (.). Es. ot.to.bre, ve.lo.ce.men.te.
Quello di morfema è rappresentato con il simbolo (+), Es. veloce+mente, bar+ista, ecc.
Il confine di parola, infine, con il simbolo (#): #ottobre#, #barista#, #velocemente#, ecc.
Mentre la fonetica si occupa dell'aspetto fisico dei suoni (foni), la fonologia si occupa della funzione linguistica dei suoni. L'unità di studio della fonetica è dunque il fono, l'unità di studio della fonologia è il fonema. In particolare, la fonologia cerca di capire:
1) quali sono i fonemi di una data lingua: se cioè a una differenza di suono corrisponde una differenza di significato. 2) come i suoni si combinano insieme; 3) come i suoni si modificano in combinazione. Il problema al punto 1) si affronta ricorrendo alla nozione di distribuzione e alla nozione di coppie minime. Prima è però necessario illustrare la nozione di contesto.
Un suon ha una sua distribuzione. In altre parole, alcuni tipi di contesti o di posizioni in cui può comparire (e non). Classi di suono simili hanno distribuzioni simili.
I foni hanno valore linguistico quando sono distintivi, quando cioè contribuiscono a differenziare i significati. Così [p] e [t] non sono solo suoni dell'italiano, ma contribuiscono anche a formare delle coppie minime, cioè copie di parole che si differenziano solo per un suono nella stessa posizione.( Es: pare/ tare, tappo/tatto)
Due foni che abbiano valore distintivo sono detti fonemi. Un fonema è un segmento fonico che
ha una funzione distintiva
non può essere scomposto in una successione di segmenti di cui ciascuno abbia una tale funzione,
è definito solo dai caratteri che abbiano valori distintivo (detti "pertinenti")
Un fonema (che si rappresenta fra barre oblique, per es: /t/ ) è una unità che si colloca ad un livello astratto, e dunque a livello di langue (o di competenza); i foni si collocano ad un livello concreto e dunque di parole (o di esecuzione).
Per stabilire se due foni abbiano un valore distintivo e siano quindi fonemi di una lingua, Trubeckoj [1939] ha proposto una serie di regole.
Prima regola
<< Quando due suoni ricorrono nelle medesime posizioni e non possono essere scambiati fra di loro senza con ciò mutare il significato delle parole, allora questi due suoni sono realizzazioni fonetiche di due diversi fonemi>> [es: varo - faro; /v/ e /f/ sono due fonemi dell'italiano]
Seconda regola
<<Quando due suoni della stessa lingua compaiono nelle medesime posizioni e si possono scambiare fra loro senza causare variazioni di significato della parole, questi due suoni sono soltanto varianti fonetiche facoltative di un unico fonema>>
Terza regola
<<Quando due suoni di una lingua, simili dal punto di vista articolatorio, non ricorrono mai nelle stesse posizioni, essi sono due varianti combinatorie dello stesso fonema>>
Es: naso - ancora ([nazo] - [a cora])
Le due N non possono ricorrere nelle medesime posizioni e dunque non sono due fonemi ma due variante (combinatorie) dello stesso fonema.
La linguistica statunitense ha utilizzato invece le nozioni di distribuzione contrastiva e distribuzione complementare.
Quando due foni possono comparire nello stesso contesto e si ottengono due parole di senso diverso, allora i 2 foni sono in distribuzione contrastiva e sono realizzazioni di due fonemi diversi.
Quando due foni non possono mai ricorrere nello stesso contesto ( distribuzione complementare) allora, se questi due suoni sono foneticamente simili, si tratta di due allofoni dello stesso fonema.
Gli allofoni sono dunque prevedibili perché sono legati ad un determinato contesto.
Varianti libere
Se due suoni foneticamente simili si possono trovare nello stesso contesto, ci sono 2 possibilità: o danno luogo a due parole con significato diverso (i due foni sono realizzazioni di due fonemi diversi), o il significato non cambia (in questo caso sono varianti libere).
La sillaba minima è costituita, in italiano, da una vocali, il nucleo sillabico. Il nucleo può essere preceduto da un attacco e seguito da una coda. Nucleo più coda costituiscono la rima. La sillaba (indicata con σ ) costituita da un attacco sillabico e da un nucleo vocalico (CV) sembra essere il tipo più diffuso e comune a tute le lingue.
Una sillaba è aperta o libera se è priva di coda e finisce dunque in vocale ( a, ma), altrimenti è detta chiusa o implicata ( con, an).
Il componente obbligatoriamente presente in una sillaba è il nucleo.
Fenomeni fonologici che non possono essere attribuiti ad un segmento o che lo oltrepassano e che sono detti per l'appunto soprasegmentali. (ad es, la parola [kane] è formata da 4 segmenti (ovvero 4 fonemi): /k/ /a/ /n/ /e/ ). Un esempio sono la lunghezza, l' accento, l' intonazione, il tono.
Lunghezza
La lunghezza è relativa alla durata temporale con cui vengono realizzati i suoni. In certe lingue la lunghezza vocalica assume valore distintivo, mentre in italiano sono le consonanti ad averlo.
Rispetto alle lunghezze, le lingue del mondo possono avere diverse opzioni.
E' una proprietà delle sillabe e non di singoli segmenti. Una sillaba tonica è più prominente di una atona perché è caratterizzata con maggiore forza o intensità. L'accento può essere contrastivo, come in italiano ['ankora / an'kora]
In altre parole, si può considerare l'accento come un fonema anche se di tipo un po' speciale. I fonemi si possono considerare come dei segmenti, mentre l'accento è 1 fenomeno soprasegmentale.
Vi sono lingue che hanno accento fisso e lingue che hanno accento non fisso. Solo nelle lingue con accento non fisso l'accento può avere funzione distintiva.
L'altezza dei suoni non è uniforme: ci sono dei picchi e degli avvallamenti che producono un effetto percettivo di tipo melodico che è quello che si chiama intonazione. L'intonazione è chiamata appunto "melodia" o curva melodica o contorno intonativo; ha grande rilevanza sintattica, permette di distinguere fra la dichiarativa e la corrispondente interrogativa per esempio.
Tono
Una sillaba può essere pronunciata con altezze di tono diverse; in italiano però a queste differenti pronunce non corrisponde un cambiamento di significato, al contrario ad esempio del cinese mandarino, che è detto (come le lingue simili), lingua tonale o a toni. [pagg 91-100 saltate]
Lo studio delle parole e delle varie forme che la parola può assumere è la morfologia. Le parole [che si rappresentano tra parentesi quadre] possono essere semplici o complesse. Le parole complesse sono le parole derivate (che possono essere prefissate o suffissate) e le parole composte. Sia le parole semplici che le parole composte possono essere poi flesse.
Una parola esterna non ha struttura interna, mentre le parole complesse hanno struttura interna [[capo]+[stazione]].
La morfologia è tradizionalmente concepita come lo studio della struttura interna delle parole. Oggi alla morfologia è affidato anche il compito di dar conto di tutte le conoscenze che un parlante ha delle parole della propria lingua.
Le parole sono unità del linguaggio umano istintivamente presenti alla consapevolezza dei parlanti. C'è però un primo problema nel definirle: ciò che conta come "parola" in una lingua non è detto che valga anche per altre lingue. Anche la diversità fra le lingue può rendere difficoltoso definire la nozione di "parola" una volta per tutte. Un'altra possibilità + definire parole quelle unità della lingua che possono essere usate da sole, ma questo criterio escluderebbe le parole grammaticali come di, e, ecc. Nonostante le difficoltà, non si può abbandonare la nozione di parola dato che le si è sempre riconosciuta un'importante realtà psicologica.
Si possono distinguere varie accezioni di "parola", a seconda del punto di vista a partire dal quale le si considera; così la nozione di parola fonologica (tutto ciò che si raggruppa intorno ad un accento primario) non coincide con quella di parola morfologica o di parola sintattica.
Un criterio operativo abbastanza efficace è di considerare "parola" quelle unità che non possono essere "interrotte", o meglio al cui interno non si può inserire dell'altro "materiale linguistico".
Date le difficoltà nel definire la nozione di "parola" assumeremo che nella maggior parte dei casi un parlante nativo abbia intuizioni corrette su cosa siano le parole e che sappia identificarle in un discorso.
Tema, radice e forma di citazione
La forma che troviamo sui vocabolari è chiamata anche lemma. Le entrate dei vocabolari, cioè i lemmi, non sono forme flesse, sono sempre le forme di citazione. La forma di citazione del verbo è l'infinito, del nome è il maschile/femminile singolare, degli aggettivi è il maschile singolare o la forma unica m/f per gli aggettivi a due uscite.
L'operazione che porta dalle forme flesse ai lemmi è detta lematizzazione. Per quel che riguarda il verbo bisogna anche distinguere fra tema e radice. Il tema (la forma senza la desinenza flessiva) si può analizzare a sua volta anche come una radice + una vocale tematica.
le parole di una lingua sono state tradizionalmente raggruppate in classi o parti del discorso, dette anche categorie lessicali, Le parti del discorso sono il nome, il verbo, il pronome, l'aggettivo, l'articolo, la preposizione, l' avverbio, la congiunzione e l' interiezione.
Le parti del discorso che assumono desinenze diverse a seconda delle altre parole con cui si combinano sono delle parti del discorso variabili, le altre invariabili.
Un'altra distinzione è tra classi di parole aperte e chiuse: le prime sono quelle a cui si possono sempre aggiungere nuovi membri (es. nomi, aggettivi, verbi.), mentre le seconde sono quelle formate da un numero finito di membri (articoli, pronomi, preposizioni, congiunzioni).
I criteri tradizionali per definire perché una data parola è un nome, o un verbo, ecc, sono di tipo semantico, cioè basati sul significato: i nomi ad esempio designano "entità" o "oggetti", mentre i verbi designano "azioni" o "processi". Tuttavia questi criteri hanno dei limiti; si può quindi supporre che le parole siano immagazzinate nella memoria dei parlanti: è del tutto plausibile che siano memorizzate insieme alla loro categoria lessicale; il fatto che ad una parola sia associata una categoria lessicale limita in modo drastico le combinazioni di parole.
Le parti del discorso possono essere perciò riconosciute con criteri puramente distribuzionali: nomi, verbi, ecc saranno definiti in base alle classi di parole assieme alle quali possono ricorrere.
I tratti che suddividono la categoria "nome" in sue sottocategorie sono: [± umano], [± comune], [± numerabile], [± animato], [± astratto], (es, - astratto = concreto, - umano =nome non di persona (ma di animale, cosa, ecc..) ) mentre i verbi possono essere sottocategorizzati in transitivi e intransitivi, regolari e irregolari, verbi che possono avere la costruzione progressiva e verbi detti "stativi", che non possono averla. Tutte queste informazioni categoriali e subcategoriali sono fondamentali per il funzionamento delle parole sia in sintassi che in morfologia, non si possono ad esempio usare certi suffissi x tutte le subcategorie, ma solo per alcune,e fra queste, non a tutti i nomi che vi appartengono.Con i verbi si può dire che ad es, solo con quelli transitivi si possono formare aggettivi (ma i sono eccezioni)..Si può concludere quindi dicendo che tutte le informazioni associate ad una determinata parola nella sua rappresentazione lessicale "servono" per il funzionamento dei processi morfologici che possono riguardare quella parola.
La nozione di morfema, al contrario dei quella di "parola", è intuitivamente meno evidente ma di più semplice definizione. Un morfema è la più piccola parte di una lingua dotata di significato.
Un morfema è un "segno linguistico" ed è quindi costituito da un significante e da un significato.
Per poter assegnare ad una unità lo status di morfema bisogna che tale unità abbia significato. Es: libri: libr- = "Insieme di fogli stampati", -i = "maschile plurale".
I morfemi di una lingua i possono distinguere in morfemi lessicali e morfemi grammaticali. Con questi termini si vogliono identificare le parole che hanno un significato "lessicale", che non dipende cioè dal contesto (nomi, verbi, aggettivi..es: "libr-") e parole che esprimono soprattutto delle funzioni grammaticali e ricevono (in parte) significato dal contesto in cui compaiono ("-i").
Un'altra osservazione relativa a queste due classi di morfemi è che la loro frequenza nei testi si avvicina al 50 %.
Un morfema può essere così piccolo da essere costituito da un solo fonema: per esempio il morfema -s del plurale inglese è costituito da un solo fonema, /s /. In italiano un morfema costituito da un solo fonema è la congiunzione e, o la proposizione a.
Sono morfemi liberi quelli che possono ricorrere da soli in una frase, es bar, virtù, ieri.Sono morfemi legati quelli che per poter ricorrere in un frase si devono "aggiungere" a qualche altra unità Es. -s dell'inglese, - i dell'italiano, ecc.
I morfemi liberi dell'italiano sono parole, quelli legati sono quelli flessivi, tutti i suffissi e i prefissi.
In italiano in genere nomi e aggettivi sono bimorfemici, i verbi trimorfemici (si possono analizzare radice, vocale tematica e desinenza flessiva). Le parole complesse possono essere trimorfemiche ed oltre (ferro+vi(a)+ario, industri(a)+al(e)+izz+a+zion+e).
Nonostante l'apparente semplicità operativa della nozione di morfema esistono dei problemi. Ad esempio, mentre nell'inglese boys= boy+s. il morfema boy è libero, con pieno significato lessicale, nell'italiano, ragazzo=ragazz+i, ragazz appare una forma incompleta di ragazzo. Per l'inglese, dunque, vale una definizione che in italiano non può valere: una parola è tutto ciò che resta se vi si tolgono i morfemi flessivi.
Il termine morfema designa propriamente una unità astratta che è rappresentata a livello concreto da un allomorfo (o morfo). La distinzione è parallela a quella vista in fonologia.
Generalmente un morfema è rappresentato da un solo allomorfo.
Un caso di allomorfia in italiano è quello dell'articolo maschile: i e gli sono due allomorfi, la cui distribuzione è determinata foneticamente: gli compare prima di s+Cons, di [ʃ] e ], di vocale e di semiconsonante [w] o [j], i compare negli altri contesti e dunque prima di consonante.
Un esempio in inglese è la -s del plurale, che mentre graficamente è rappresentato allo stesso modo, foneticamente ha tre realizzazioni diverse [s], [z], [Iz]. Quando gli allomorfi compaiono in contesti definiti e nei quali gli altri non posson comparire si dice distribuzione complementare.
Le parole semplici possono subire diversi tipi di modificazione. I processi morfologici più comuni sono la derivazione, la composizione e la flessione.
La derivazione raggruppa tre diversi processi e consta dell'aggiunta di una forma legata (affisso) ad una forma libera
Prefissazione (prefissi) [a sinistra della parola]
Derivazione Infissazione (infissi) [nel mezzo della parola]
Suffissazione (suffissi) [a destra della parola]
La composizione forma invece parole nuove a partire da due parole esistenti. [capo+stazione]
La flessione "aggiunge" alla parola di base informazione relative al genere, numero, caso, tempo, modo, diatesi [es. latino: amo amor (attivo passivo) "amo - sono amato"], persona.
La flessione delle parole derivate e composte è simile a quella della parole semplici.
Una categoria lessicale, ad esempio il verbo, può nascere come tale ( rompere) oppure diventarlo attraverso una serie di processi ( centro centrale centralizzare ). Questo aspetto della formazione si può chiamare "dinamico".
Anche per quel che riguarda la composizione, ci si può concentrare sul solo "risultato" (capostazione è un nome, dolceamaro un aggettivo) oppure sul processo (è formato da due nomi, capo + _stazione* che intrattengono un certo tipo di relazione semantica e grammaticale, ecc.)
Si può affrontare la questione dell'ordine degli elementi costitutivi dei composti, detti costituenti (es: perché capostazione e non stazionecapo, ecc). Composizione e derivazione si differenziano innanzi tutto perché la prima combina due forme libere mentre la seconda una libera ed una legata.
Prefissazione e suffissazione si differenziano perché la prima aggiunge un morfema legato a sinistra della parola, mentre la seconda lo aggiunge a destra. La prefissazione inoltre non cambia la categoria lessicale della parola cui si aggiunge, mentre la suffissazione di norma si.
Inoltre, la suffissazione di norma cambia la posizione dell'accento della parola di base, al contrario della prefissazione. L'infissazione è un processo poco diffuso in italiano.
Altri processi
Vi sono altri processi che non consistono nell'aggiunta di un morfema ad una base, tra questi vi è la conversione (detta a volte "suffissazione zero"), la reduplicazione e la parasintesi.
La conversione consiste in un cambiamento di categoria senza che sia stato aggiunto alla base un affisso manifesto. (es: vecchio A vecchio N, cantante V cantante N, ecc.)
La reduplicazione o raddoppiamento consiste nel raddoppiamento di un segmento e può essere parziale(gr.an.ly-o "sciolgo" le-ly-k-a "ho sciolto")o totale (turco:kursi "sedia kursikursi "sedie")
La parasintesi può essere sia verbale che aggettivale.Una forma è parasintetica quando è formata da una base più un prefisso o un suffisso, ma dove la sequenza "prefisso+base" non è una parola dell'italiano e dove nemmeno la sequenza "base+suffisso".lo è. Es: ingiallire (in+base giallo + suff ire, ma né ingiallo, né *giallire sono sequenze grammaticali)
Si ha suppletivismo quando, in una serie morfologicamente omogenea, si trovano radicali diversi che intrattengono evidenti rapporti semantici senza evidenti rapporti formali. Un esempio, il verbo andare in cui a seconda delle forme, si alternano le radici and- e va(d). Oppure acqua-idrico. fuoco-pirico, ecc. Idrico ha con Acqua un evidente rapporto semantico, ma nessuna somiglianza formale.
Il suppletivismo può essere sia forte, ovvero quando si ha alternanza dell'intera radice (Chieti / teatino), che debole, quando tra i membri della coppia vi è una base comune riconoscibile e la differenza è di singoli segmenti fonologici ( Arezzo / aretino).
Le parole semplici sono "date", costituiscono il "lessico" o "dizionario" dei parlanti, mentre quelle complesse sono "formate" tramite regole morfologiche. Diremo che le parole semplici sono quelle non derivate e non composte.
I suffissi in italiano possono essere raggruppati in grandi categorie, che possono anche incrociarsi.
Ad esempio vi è la classe dei suffissi deverbiali, che comprende suffissi che formano nomi dai verbi. Tali suffissi formano nomi d'azione o deverbali astratti, che in certi casi possono "concretizzarsi" e diventare nomi risultato. Es. giuramento (dev. astr), arredamento (n. ris.).
Uno stesso nome può fungere come nome d'azione e come nome risultato. (es. costruzione)
Vi sono poi suffissi che formano aggettivi [+umano], come -aio, -ista, -tore, -ino. Vi è poi la classe dei suffissi valutativi (diminutivi, accrescitivi, vezzeggiativi, ecc.).
la formazione delle parole consta di una parte formale e di una parte semantica.
Es. "giornale+aio" = "persona che vende i giornali". Il significato della parola in -aio consta di una parte fissa ("persona che vende") e di una variabile ("giornali"). La parte fissa è la parte di significato, introdotta dal suffisso, mentre la parte variabile corrisponde al nome di base. Questo si può applicare a molte delle parole che terminano in -aio, ma non a tutte, ad esempio "orologiaio", che non solo vende orologi ma li fabbrica. SI può arrivare alla parafrasi: "persona che svolge un'attività connessa con N".
La semantica di una parola complessa è trasparente o composizionale, vale a dire che il significato della parola complessa si può ricavare dal significato degli elementi componenti.
Cioè è vero quando la regola è produttiva, mentre una parola può alla lunga assumere significati idiomatici non più desumibili dagli elementi che la costituiscono.
Nella formazione delle parole, la semantica svolge anche un altro ruolo:i vari suffissi selezionano uno dei significati della base. Ad es. il verbo tentare può significare "cercare di corrompere" o "cercare di riuscire". Ogni suffisso che si aggiunge seleziona uno ed uno solo dei significati , ad es -zione e -tore selezionano la stessa accezione di significato, -tivo l'altra.
Si consideri un composto come camposanto. La sua struttura si può così rappresentare:
[[campo]N+[santo]A]N
Il composto ha la stessa categoria lessicale (nome) di uno dei suoi costituenti, il nome campo.
Diremo che campo è la testa del composto e che la categoria N del composto deriva dalla testa.[Regola dell' E' UN, il camposanto E' UN campo].
Identificare la testa di un composto è importante perché è dalla testa che derivano al composto tutta una serie di proprietà.
Non si riesce ad identificare la testa sulla base della sola categoria lessicale, e si può ricorrere ad altri tipi di informazioni, come i tratti sintattico-semantici che fanno parte della rappresentazione lessicale delle parole.E' dalla testa che il composto riceve 1)le informazioni categoriali e 2) i tratti sintattico-semantici.
Vi sono lingue in cui la testa dei composti può essere identificata posizionalmente, come in inglese ad esempio. La regola sincronica produttiva per la formazione dei composti in italiano contemporaneo genera composti con testa a sinistra. Gli altri che si possono trovare sono o un residuo di uno staio precedente della lingua o derivati da parole straniere.
Non è sempre facile distinguere fra composti (prodotto delle regole morfologiche) e sintagmi (prodotto delle regole sintattiche). Diversi sono i criteri proposti per distinguere tra questi due tipi di unità, ne analizzeremo solo due: l'inseribilità di materiale lessicale e la trasparenza ai processi sintattici. 1) un composto è una parola, ed essa non è interrompibile: non si può (tranne nel caso degli infissi) inserire del materiale lessicale all'interno di una parola, né estrarre.
2) i costituenti di un composto (ma anche di una parola derivata) non sono "visibili" alle normali regole della sintassi. Es: * "questa [[lava]+[piatti]] è costosa ma non è li lava bene". Il pronome non può far riferimento a piatti perché questa parola è "opaca" alle regole della sintassi.
Le lingue del mondo presentano una grande varietà di tipi di composti. Alcuni esempi:
n Composti incorporanti: derivano da un sintagma costituito da un verbo seguito da un SN oggetto. L'incorporazione consiste nella formazione di un verbo composto il cui primo costituente è il SN "oggetto". Es. (to) horseride, "andare a cavallo".
n Composti sintagmatici: un composto che sembra più di origine sintattica che morfologica: Es: (ingl) an [ate too much] headache
n Composti reduplicati: Si trovano in tamil ma anche in spagnolo. Sono composti costituiti dalla stessa parola ripetuta ed hanno in genere un significato intensivo o iterativo: Es: (sp) "correcorre" = corsa precipitosa. In italiano: Es. leccalecca, fuggifuggi. ecc.
n Composti troncati Si concatenano delle sottoparti dei due costituenti, tipo motel da motor e hotel, o smog. In italiano, ad es: confcommercio, confindustria.
Nei paragrafi precedenti si è assunto che tutti i composti abbiano una testa, che siano cioè endocentrici e che da questa derivino tutte le informazioni necessarie al composto per funzionare (sintatticamente) in una frase. In realtà non tutti i composti hanno una "testa".
Es: [[dormi]V[veglia]V]N
Con la regola "E' UN" si ottengono risposte negative: dormiveglia non E' UN dormi ne E' UN veglia, e non è un verbo, nessuna delle due parti può essere la testa. In casi come questi si dice che il composto è esocentrico. Questi composti possono essere V+N (portalettere), P+N (senzatetto), N+A (pellerossa), V+V (saliscendi).
Esiste un terzo tipo di composti, chiamati composti "dvandva" dalla tradizione grammaticale sanscrita. Questi composti hanno due teste, sono cioè formati da due costituenti che sono entrambi teste sia categoriali che semantiche. Es: cassapanca (plur: cassEpancHE )
Quando le regole morfologiche combinano due forme libere o una forma libera più una forma legata la sequenza che ne risulta può essere o perfettamente normale ( bar+ista = barista) o può necessitare di piccoli riaggiustamenti fonologici (vino+aio = vinaio, lungo+Arno = lungarno).
Altre regole di riaggiustamento riguardano casi di allomorfia ( amico amici, palatalizzazione della velare) o sporadici casi di inserimento come gas gassoso.
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