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Lingua e linguaggio - Il lessico

lettere



Lingua e linguaggio

Il termine "linguaggio", più generale, indica qualunque tipo di comunicazione tra esseri viventi. La lingua è specifica degli esseri umani, si fonda sui meccanismi verbali (produzione di suoni tramite l'apparato fonatorio). Non esiste lingua se non c'è lingua parlata, quella scritta viene solo a seguire. Di 5000-6000 lingue esistenti alcune sono solo parlate.

Esistono quattro settori dello studio della lingua:

fonetica: studio dei suoni caratteristici di una lingua;

grafia o grafematica: studio della rappresentazione grafica di una lingua (l'ortografia, invece, indica la norma grafica vigente);

morfologia: studio della lingua in quanto capace di rappresentare le varie categorie grammaticali;



sintassi: studio del collegamento tra le varie frasi;

lessico: insieme delle parole che costituiscono una lingua.


Il lessico

E' la struttura più superficiale di una lingua, in continua trasformazione. Soussure: la lingua non è una nomenclatura. Non esiste una puntuale corrispondenza concettuale tra lingue diverse, ma ogni lingua fotografa la realtà a modo suo.

Es.: in gallese (una lingua celtica) la sola parola "glass" indica la fascia di colori dal verde al blu.

"tempo" (it)= "time" o "weather" (en)

"carne" = "chair" o "viande" o "carne" (fr)

"bois" (fr) = "bosco" o "legno" *origine germanica per "cespuglio"---- "bush" (en)

bosco come insieme di cespugli, e riserva di legname: metonimia semantica, che permette di collocare in una prospettiva unitaria parole altrimenti molto lontane.

Non esiste una perfetta traducibilità.

Orazio: l'albero in autunno perde le foglie come in ogni lingua alcune parole cadono in disuso.

Arcaismi e neologismi.

arcaismi totali di cui la comunità linguistica non ha più coscienza.

Es. "innaverare" nella lirica del '200, francesismo per "ferire"

arcaismi parziali, con un grado di riconoscibilità.

Es. "speme"

arcaismi semantici: una parola che esiste ma non più nel particolare significato dell'italiano antico e poetico sopravvissuto cristallizzato sino all'800.

Es. Canto notturno di una pastore errante dell'Asia di Leopardi: "altro ufficio più grato non si fa dai parenti alla lor prole, ma perché dare vita a chi di quella poi consolar convenga?" "ufficio": latinismo da "officium"; "parenti": latinismo per genitori; "convenga": non "sia opportuno" ma "sia necessario". Anche in Cuore di De Amicis i bambini vengono accompagnati al primo giorno di scuola dai "parenti".

"qui si convien lasciare ogni sospetto, ogni viltà [...]" dice Virgilio nel III canto dell'Inferno.

I promessi sposi, opera innovatrice modellata sul fiorentino parlato. Nella conclusione con il "sugo" della storia: "e se non vi è dispiaciuta affatto vogliatene bene a chi l'ha scritta e anche a chi l'ha raccomodata [...], se siamo riusciti ad annoiarvi [...]." "affatto": "del tutto", nella I edizione "se vi ha dato qualche diletto". Manzoni affetta modestia. "riuscire": "finire per", non sforzo volontaristico ma risultato involontario.

Gianfranco Contini si soffermò sul verso di Dante "Tanto gentile e tanto onesta pare." "pare": non significa "sembra", ma "si manifesta con evidenza." "onesta": non "moralmente retta", ma "decorosa". "gentile": non "rispettosa della buona educazione".

arcaismi incipienti: parole note ma vecchie. Es. "giovinetto", "manosanta" (al nord "toccasana"), con uso senile o ironico, "scavezzacollo".


L'evoluzione continua di forma e significato delle parole fa sì che spesso l'uso attuali si discosti dall'etimo.

Es. "calligrafia": * bella scrittura, oggi "scrittura individuale a mano".

"panacea": * pianta miracolosa, oggi "rimedio universale" (solo in senso ironico).

I parlanti sono i veri legislatori di una lingua.

Manzoni era sostenitore dell'uso vivo contro chi voleva rifarsi all'etimo: non si potrebbe dire "giovin signore", perché sarebbe una contraddizione in termini (*seniorem).


Il lessico di ogni lingua è esposto all'influenza di altre lingue. Nonostante la pressione dell'inglese negli ultimi cinquant'anni, la fonetica italiana non è mutata, altrimenti avremmo una destrutturazione della lingua.

Il francese è la lingua che ha più influenzato l'italiano, ad esso risalgono molte parole del lessico fondamentale (De Mauro: circa 2000 parole più comuni e ricorrenti che coprono il 90-92% delle nostre produzioni linguistiche), entrate in italiano già nel Medioevo.

Es. "formaggio" ("omaggio" e le parole in -aggio) deriva dal francese, è una parola del '300 che sostituisce l'indigeno toscano "cacio".

Competenza attiva: capacità e abitudine a servirsi di un'espressione; competenza passiva.

"burro" (XIV sec.) in italiano si chiamava "butirro", che sopravvive in alcuni dialetti.

Il francesismo, sentito più prestigioso, ha cancellato il termine indigeno.

"biglietto" (XVI sec.), parola con forte vitalità.

"socialismo" (XIX sec.): quando il francese era ancora lingua veicolare delle classi colte.

I prestiti adattati sono diventati pienamente italiani, nulla ne tradisce l'origine esogena. I prestiti non adattati, invece, per qualche caratteristica fonetica, grafica o morfologica rivelano la mancata acclimatazione.

Es. "reportage" (XIX sec.) al plurale dev'essere uguale o con la -s richiesta dalla lingua di provenienza? Sono parole che creano incertezza.

Le parole dall'inglese sino al XIX secolo sono solo episodiche: bistecca, boicottare (da un nome proprio). Sono più numerosi gli anglicismi non adattati, nel lessico fondamentale "bar", "sport" (fine '800), "film" (inizio '900), riconoscibili perché terminano in consonante e creano incertezza fonetica e morfologica.

I verbi inglesi sono costretti ad assumere desinenze italiane.

Es. "becappare" (fare il backup). Diverso è "chattare", con pronuncia italiana ma mancato adattamento grafico.

Fino a tutto l'800 l'adattamento o la traduzione di parole straniere era normale (anche per i nomi propri e di città), poi si è mantenuta la grafia di provenienza. Madrid non fu tradotta perché è capitale di recente, prima lo era Toledo. Hanno sempre mantenuto la pronuncia straniera i nomi di città con pochi contatti con l'Italia (es. Heidelberg).

L'italiano è più recettivo nei confronti ai forestierismi rispetto al francese ed allo spagnolo.

Es. "mouse" in francese è tradotto "souris" e in spagnolo "ratòn".

Vi sono parole che sole rappresentano un'altra lingua in italiano.

Es. sciabola dal polacco, cocchio dall'ungherese, guru dal sanscrito (nessuna parola italiana termina con una -u non accentata, tranne quelle sarde), tabu (poi tabù), kamikaze ("vento di dio") dal giapponese con incertezza morfologica sul plurale e mancato adattamento grafico, mocassino dall'algonchino.

La massa dei neologismi è costituita di formazioni effimere, molto usate dalla stampa per pochi anni e poi cadute anche dalla competenza passiva.

Es. "antigiotto" nel 2001; "penultimatum", parola scherzosa per le minacce della politica usate solo come pressioni; "tangelo": agrume creato negli anni '60, senza successo, un aborto. "kiwi" è invece un neologismo di ampio successo.

Nel confronto lessicale tra le lingue romanze con in comune l'origine latina ed un alto grado reciproco di comprensione per competenza passiva troviamo forte somiglianza per il lessico alto e forte specificità per il lessico fondamentale.

Es. "miastenìa" (dal lessico medico, indebolimento muscolare) = "myasthenie" (fr, con grafia etimologica) = "miasténia" (es). E' forte la riconoscibi 545h76f lità del lessico scientifico anche con lingue di altre famiglie.

"ginocchio" è quasi uguale a "genou" (fr), ma diverso da "rodilla" (es)

"dito" è quasi uguale a "dedo" (es) ma diverso dal francese che usa differentemente "doigt" e "orteil" per mani e piedi.

"polpaccio" è diverso sia da "mollet" (fr) che da "pantorilla" (es).


La variabilità

E' una categoria immanente ad ogni lingua, può essere diacronica, però non è mai tale da impedire il contatto linguistico tra diverse generazioni, poiché il lessico fondamentale continua a trasmettersi.

variabilità diatopica: ad es. l'inglese di Gran Bretagna e quello d'America sono differenti pur restando la stessa lingua. L'italiano presenta differenziazioni da zona a zona, è quasi impossibile sentir parlare un italofono nativo senza capirne almeno la macro-area di provenienza. La variabile diatopica è molto marcata in termini di pronuncia e prosodia o calata (la caratteristica intonazione o curva melodica, soprattutto in frasi esclamative o interrogative).

Es. "cosa" in Puglia si pronuncia con la "o" chiusa anziché aperta. Nell'Italia meridionale le sillabe terminanti in vocale presentano vocali chiuse.

Una sillaba è libera o aperta se termina in vocale, chiusa o implicata se termina in consonante. Vi sono anche variabili diatopiche relative alla morfologia e sintassi.

Es. solo a Milano si usa il femminile per le linee degli autobus; solo a Roma e nel Lazio si usa "sgrullone" per "acquazzone" (sinonimo territoriale o geosinonimo); solo a Roma per indicare un luogo lontano e remoto si dice "allo sprofondo", con un'espressione sconosciuta al Nord e in Sicilia; i parlanti settentrionali trovano grottesco l'utilizzo di "cinta" per "cintura" anziché per le mura della città.

I due suffissi diminutivi dell'italiano -ino ed -etto (meno comuni -ello, -uccio, -uzzo) sono diversamente distribuiti sul territorio: a Roma c'è una maggiore opzione per -etto.

Le variabili diatopiche sono più ridotte per la macro-sintassi (del periodo): ve ne sono solo in Sicilia e Calabria.

Variabile diastratica, legata al diverso livello socio-culturale del parlante. A un basso livello di istruzione si possono fare errori, fortemente squalificanti a livello sociale.

Es. "vadi" per "vada". Gli errori reali nascono da una regola che non è riuscita ad affermarsi. Il verbo "andare" è suppletivo (si avvale di più radici, come fero in latino). L'errore nasce dall'applicare un'analogia per correggere le irregolarità della lingua.

Amare: amassi = dare: x    x=dassi

Es. "a gratis" anziché "gratis" (crudo latinismo)

gli/le sostituito da ci (non a Roma) è variabile diastratica e diatopica.

La firma con cognome e nome è diastraticamente sospetta.

Variabile diafasica, legata alle varie situazioni comunicative, riguarda tutti i parlanti e soprattutto quelli colti. Un esempio è l'uso dei pronomi allocutivi (tu, Lei, voi).

Nei Promessi sposi i personaggi umili si danno del "voi", quelli di alto bordo del "Lei", la presenza di più pronomi allocutivi consente di graduarli.

L'uso del turpiloquio è legato ad una variabile diafasica, ed è tipico di un regime di confidenza.

Es. "Il carcerato è scappato fregando le guardie."/ "Il detenuto è fuggito eludendo la sorveglianza delle guardie carcerarie."

Anche l'opposizione tra lingua settoriale e comune è un'alternanza diafasica.

Es. "Ho un po' di febbre."/ "Il paziente accusa un modico rialzo febbrile."

variabile diamesica: oltre allo scritto e al parlato abbiamo il trasmesso.


L'italiano

L'italiano si parla nella Repubblica italiana e nella Repubblica di San Marino e nel Canton Ticino della Confederazione elvetica. Al di fuori di queste aree l'italiano ha una certa diffusione come seconda o terza lingua a Malta (40-50% della popolazione) e in Argentina, per la consistente immigrazione sin dall'800. L'italiano è la seconda lingua straniera studiata nell'80% dei casi e la terza nel 2%, per il resto la quarta o quinta dopo inglese, spagnolo, francese e tedesco. E' mediamente studiata più del russo e del portoghese, che hanno un numero di parlanti nativi altamente maggiore ed una pari tradizione letteraria. Vi sono 60 milioni di parlanti; in Cina e Giappone l'italiano è studiato dai cantanti lirici, ed è usato come lingua veicolare dalla Chiesa Cattolica, i cui alti prelati compiono periodi di studio a Roma.

1) L'italiano ha una caratteristica terminazione vocalica (normale è invece quella consonantica nel latino e nella maggior parte delle lingue esistenti). Le parole terminanti in consonante si usano sempre in sintagmi in cui fanno tutt'uno con la parola seguente.

"non" (lt) > "non" (it); "no" è invece un avverbio olofrastico, che da solo rappresenta un'intera frase  e ha perduto la sua consonante finale.

Le parole vanno considerate nel loro uso reale nella frase.

I monosillabi grammaticali non hanno un significato compiuto in sé, per questo non se ne può dare una definizione semantica ma solo meta-linguistica.

Troviamo parole con finale consonantica tipicamente nei prestiti non adattati.

2) La mobilità dell'accento, che invece in francese è sempre sull'ultima, in polacco sulla penultima, in ungherese sulla prima. In italiano abbiamo parole tronche (ossitone), piane (parossitone), sdrucciole (proparossitone) e bistrucciole (es. "c pitano"). Lo spagnolo, nella stessa situazione, ha un sistema grafico razionale di rappresentazione dell'accento, mentre in italiano si accentano obbligatoriamente solo le parole tronche e le parole composte anche se la tronca singola non vuole l'accento (es. tre > ventitré) e un certo numero di monosillabi su cui si usa l'accento per distinguerli (es. "dà" verbo/ "da" preposizione; "sé" pronome/ "se" congiunzione; "è" verbo/ "e" congiunzione). Questa distinzione si fa quando il rischio di confusione è alto, ossia nel lessico fondamentale (es. "do" verbo/ "do" nota; "re"/ "re" nota non necessitano distinzione). "Sé" vuole l'accento anche davanti a "stesso", non si introduce un'eccezione inutile e scomoda. Tutti i dizionari e le grammatiche danno la doppia possibilità, lo Zingarelli dal 1996 indica "se stesso" come errore, l'accento è usato da Treccani, Garzanti e Famiglia Cristiana.

Toponimi con incertezza sull'accento: Mocóresi (Liguria), Bucchiánico (Abruzzo), Bóvegno (Lombardia), Átena (Campania), Galátone (Puglia).

3) La ricchezza di suffissi alterativi che attribuiscono una sfumatura vezzeggiativa, diminutiva, accrescitiva e spregiativa. Questo ha sempre colpito i viaggiatori stranieri sin dal '600 e '700.

Lessicalizzazione: un antico diminutivo diviene parola autonoma. Es. "manetta", "grilletto"

4) A differenza delle altre lingue europee l'italiano soltanto presenta un numero estremamente vario di dialetti, idiomi parlanti in un'area ristretta di territorio. In zone molto ridotte esistono però vere lingue, come il basco in Spagna e in Italia il ladino dolomitico (30.000 parlanti).



Milano

Napoli

Venezia

Ricchezza della tradizione letteraria

+ (1700 e Carlo Porta)

+ (Eduardo De Filippo)

+ (Carlo Goldoni)

Fedeltà o lealtà linguistica (diffusione)

- (per la forte corrente migratoria nel secondo dopoguerra)



Ventaglio diafasico (utilizzo non solo familiare, ma largo)




Omogeneizzazione (diffusione di un unico tipo linguistico nella zona controllata da questa città)





Venezia non è riuscita a imporsi linguisticamente sul Veneto perché agli albori esercitò il potere "de là de mar" disinteressandosi dell'entroterra.

Che un certo idioma sia lingua o dialetto non lo decide il linguista ma il prestigio socio-culturale che si è conquistato (ad esempio nelle scuole, nella letteratura anche saggistica, come lingua veicolare, nei giornali). Il dialetto è una specie di stato che non ha né esercito né marina disse Wahir.

Dati (campionari) ISTAT 2006 sulla quota di dialettofonia in Italia:

parlano sempre italiano in famiglia il 45% degli abitanti (molti se guardiamo alla nostra situazione storica).

Il 50-55% alterna italiano e dialetto (con le persone anziane e per il linguaggio dell'affettività)

il 73% parla sempre italiano con estranei.

Dei giovani tra i 6 e i 24 anni:

il 58% parla sempre italiano in famiglia.

L'83% parla sempre italiano con estranei.

Il Veneto è la regione con la più alta dialettofonia (38% con estranei), seguito da Calabria, Campania e Sicilia. La Toscana (per ragioni storiche), la Liguria (per ridotta componente rurale) e il Lazio hanno la più bassa dialettofonia.


Storia linguistica esterna dell'italiano

La storia linguistica interna procede dalle strutture grammaticali della lingua indipendentemente dal contesto esterno. Tuttavia nell'evoluzione di una lingua ha molta importanza la linguistica esterna, cioè l'insieme delle condizioni esterne che influiscono. Si pensi al lessico e alla questione dei prestiti.

-Fattori extra-culturali (dove cultura è antropologicamente ogni campo di intervento delle società umane), ovvero quelli geografici. Hanno un'importanza molto ridotta. Ad esempio lo stretto di Messina, un confine geografico molto netto, non ha impedito le quantità di tratti convergenti del dialetto di Reggio e di quello di Messina. L'Italia settentrionale e centro-meridionale (Emilia e Toscana) sono separate dagli Appennini: i rispettivi dialetti differiscono molto ma piuttosto per ragioni storiche, sin dal Medioevo in cui la prima era bizantina e la seconda longobarda. Nel Medioevo Pisa era un porto importante, poi l'Arno ha spostato la sua foce, si potrebbe attribuire ad un condizionamento geografico il fatto che il toscano abbia fornito pochi termini marinareschi all'italiano, a differenza del veneziano (traghetto, zattera, arsenale, che entra in italiano con l'Inferno di Dante per introdurre lo spettacolo dei corrotti), del genovese (molo, scoglio, darsena dalla stessa origine araba di arsenale, boa e oblò), del napoletano in misura minore (sommozzatore). La ragione non è geografica ma politica, legata alla sconfitta di Pisa da parte di Genova sul finire del '200, che segnò il declino della Toscana sul mare.

La geografia non condiziona la lingua, ma al contrario la lingua può permetterci di ricostruire l'antico paesaggio (così i toponimi Bosco tre case, Selvapiano, Nemi, Padule, Palù, Orsara, Lovara). Un fattore geografico importante, già per metà culturale, è la viabilità.

-Fattori culturali

a) in senso lato: la mano dell'uomo è percepibile chiaramente ma non influisce direttamente sulla lingua. La Storia. Alla fine del III sec. a.C. con la battaglia di Zama tutta l'Italia peninsulare fu sotto il dominio di Roma, questo comportò il declino delle altre lingue italiche rispetto al latino. Nel Vsec. d.C. con le invasioni barbariche l'Italia conosce la frammentazione dell'antica unità. Nel 416-17 Rutilio Namaziano, gallo, scrive un diario di viaggio in distici elegiaci intitolato De reditu con il forte senso della romanità declinante: "Fecisti patriam diversis gentibus unam/ profuit iniustis te dominante capi/ dumque offers victis propri consortia iuris/ urbem fecisti quod prius orbis erat."

La storia successiva è di forte frammentazione, una nuova fase unitaria inizia solo nel 1861.

Nel mantenimento di una lingua sola tra le varie parti furono importanti i Normanni (dinastia germanica francesizzata) che nel XI secolo portarono nell'Italia meridionale e in Sicilia le novità letterarie di Francia, cui si ispirò la scuola siciliana nata attorno a Federico II, che segna l'inizio della tradizione letteraria italiana. Anche l'Italia settentrionale risentiva dell'influenza di Francia e Provenza (v. Sordello da Goito). Vi è poi la corrente epica della letteratura franco-veneta. Questo influsso riguarda anche il costume, con la diffusione dell'abitudine (del mondo feudale) di pregare a mani giunte. Il mondo feudale influenza assai la poesia, come la percezione della donna amata. La contemporanea influenza francese a nord e sud ha favorito un'impronta comune evitando la completa disarticolazione dell'Italia.

Nel 1861 non facevano ancora parte dello Stato italiano il Veneto, il Friuli (annessi nel 1866), Roma (1870). Con la I guerra mondiale i confini arrivano al Brennero a comprendere Trento, Bolzano, Trieste e parte della Dalmazia (1918). Dopo la II guerra mondiale si sono perse l'Istria e la Dalmazia, con migrazione della loro popolazione italofona in altre regioni italiane.

La colonizzazione inizia nel 1880, diretta a Somalia, Eritrea, Etiopia e Libia, dove però gli effetti linguistici della presenza italiana sono molto scarsi.

Una minoranza linguistica, alloglotta, ha una madrelingua e tradizioni diverse: è il caso del 70% della popolazione di Bolzano, tedescofona, la più importante minoranza linguistica storica. In Valle d'Aosta vi è una minoranza franco-provenzale, una albanese in alcuni centri del meridione (Calabria e Molise), che rappresenta la fuga di parte della popolazione albanese nel XV secolo dalla dominazione ottomana. Tenendo conto delle migrazioni di fine '900-inizio 2000 dovremmo considerare le minoranze arabe, marocchine, rumene, albanesi. Del 5% di alloglossia in Italia è consistente quella recente, trascurabile quella storica.

Nel secondo '500 Emanuele Filibrato spostò la capitale del suo regno a Torino, al di qua delle Alpi e decise di adottare l'italiano come lingua del tribunale; la regione periferica del Piemonte sarà centrale nel Risorgimento.

Ha importanza il fattore demografico, gli spostamenti di popolazioni con mortalità accentuata per guerre o pestilenze e con migrazioni. La pestilenza più importante, del 1348, immortalata dal Decameron, ebbe conseguenze anche sulla lingua italiana perché incise in modo più forte sulle affollate città, sicché Firenze si spopolò e fu successivamente ripopolata da ondate migratorie e il tardo fiorentino del '300 e '400 cambiò (ancora nel '500 Machiavelli usa "el" che si era sostituito a "il", Dante diceva "avrò" cui subentrò "arò", diceva "fosse" in luogo del quale si diffuse "fusse", anche non toscano). Il ritorno a forme più arcaiche sta nella svolta classicista imposta nel '500 all'italiano da Pietro Bembo.

Le migrazioni furono due: la prima dal 1880 al 1940 interessò circa 2 milioni di persone verso Sudamerica (Argentina) e Nordamerica e ridusse la quota di dialettofonia del Meridione, e spinse all'istruzione (anche con le rimesse). Vi fu negli anni '50 e '60 una migrazione interna dal Sud e dalle isole e dal Veneto verso Milano, Torino e Genova (il triangolo industriale), che indebolì i dialetti locali.

L'economia. Nel Basso Medioevo Italia ed Europa vivono un'evoluzione economica e industriale, con la diffusione del fiorino. I potenti fiorentini, banchieri, stabilirono vere colonie nelle altre città e nazioni (c'erano forti comunità fiorentine a Milano e Napoli e in altre realtà italiane, anche ad alti livelli culturali). Ser Ciappelletto, figura caricaturale di una novella di Boccaccio, era realmente un trafficante in Francia.

Il diritto, che si esprime attraverso la lingua e instaura un rapporto con la realtà che la lingua disegna. Il diritto ci prova la limitata incidenza delle lingue germaniche in Italia nonostante le invasioni di Goti, Longobardi e Franchi nell'Alto Medioevo. Esisteva un diritto longobardo che fu però cancellato perché Irnerio, giurista del XII sec., ha restaurato quello romano in tutta Europa. "faida" indica oggi una tipica nozione anti-giuridica, ma la parola nasce per indicare un diritto di rivalsa riconosciuto dai longobardi, anche su un parente di chi aveva commesso un torto.

"guidrigildo" (dal tedesco "wieder" di nuovo, e "Geld" oro) è un risarcimento -anche oggi praticato ma solo per il diritto civile- non per le sanzioni penali.

"Ordalia" (lett. "giudizio di Dio" delegava ad un superiore ente divino il compito di giudicare, oggi questo è impensabile e anzi la sentenza è riformabile e consta di due o tre gradi.

Il diritto ha agito in altri casi con i primi documenti linguistici italiani. Il placito capuano del 960: "Sao ko kelle terre que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti." E' normale che i primi testi di una lingua siano pratici, giuridici o mercantili, e non poetici. Era la formula che dovevano pronunciare alcuni testimoni nell'ambito di una contesa civile. Al di là del contenuto è schiettamente volgare e non latina anche la forma, è particolare l'uso del grafema <k> per rappresentare la velare sorda, che era estraneo all'alfabeto latino classico, si affacciò alla tradizione grafica volgare e già nel '300 era sparito, sostituito dalla tradizione attuale, fondata sul grande modello latino.

Placito < PLACITUM (sentenza) da PLACET

I più antichi documenti delle lingue romanze sono giuridici. Così del francese i Giuramenti di Strasburgo dell'842, un testo relativo ad un evento storico. La Francia conosce uno stato unitario e una potente monarchia, ancora nell'Alto Medioevo, mentre l'Italia mantiene il particolarismo e non v'è spazio per documenti con rilevanza storica oltre che linguistica. Il notaio (e il prete) era in molti villaggi dell'Alto Medioevo l'unico depositario della cultura scritta, che mediava alla massa degli illetterati.

Anche la religione ebbe importanza linguistica. Es. l'ebraico è divenuto in pochi decenni lingua ufficiale di Israele pur avendo alle spalle solo una tradizione di scrittura sacra. Anche la riforma luterana in Germania (inizio '500) ebbe risonanza linguistica perché chiamava i fedeli alla lettura diretta dei testi sacri, con una forte spinta all'alfabetizzazione ed un precoce assestamento linguistico diffusosi dal basso.

Il rapporto della Chiesa con la lingua volgare è duplice: il latino è rimasto lingua liturgica sino al 1965; Belli ha rappresentato le alterazioni del latino del popolino a messa.

Il concilio di Tours dell'813 chiede per la prima volta ai religiosi di precidare "in rusticam romanamque linguam, quo facilius cuncti possint intellegere quai dicuntur." La predica medievale era fortemente teatralizzata, sicché era possibile cogliere qualcosa anche del latino. Il concilio di Trento, che segna la controriforma cattolica, ribadisce la necessità di ricorrere al volgare nelle prediche.

A S. Roberto Bellardino di deve il catechismo, un modo preterintenzionale per diffondere un volgare sopra-dialettale.

Sandro Bianconi e padre Giovanni Pozzi, due studiosi ticinesi, hanno documentato una ricca diffusione del volgare nelle lettere inviate nel '500-'600 alla curia di Milano, a Carlo e Federico Borromeo. Negli archivi di Milano sono contenute circa 60.000 di queste lettere.

In questo periodo vi è anche una grande diffusione di prediche, anche con manuali, come il Panigarda che pubblica nel 1609 un trattato Il predicatore, che propone una lingua media e sufficientemente modellata sul toscano. Amistà diverso da amicizia, sirocchia da sorella, rifiuta questi arcaismi, ma anche detti idiomatici fiorentini troppo spinti perché incomprensibili, es. "mandare all'uccellatoio." Padre Segneri, il più grande predicatore del '600, scrive in italiano fortemente letterario: la frase "Vengo a spacciare per nuovo un avviso sì ricantato" fu trascritta in un corso anonimo per preparare i giovani cappuccini alla predicazione: "Dico come nuova una cosa saputa da tutti."

Un altro dato è la presenza dell'immaginario religioso ancora sino agli anni '60 e '70. La gran parte dei nomi ha un'origine agiografica.

L'alfabetismo dipende dalla presenza più o meno diffusa di scolarità; l'analfabetismo era condizione normale nell'Alto Medioevo, è celebre il caso di Carlo Magno. Un'eccezione è rappresentata da Firenze (definita "a nation of shop-keepers") di cui il grande storico G. Villandi dice che più della metà dei bambini maschi imparavano a leggere e scrivere. Alessandra Macinghi Strozzi, che da vedova curò la banca del marito, ci ha lasciato una serie di lettere ai figli.

Ancora nel 1871 la maggioranza della popolazione era analfabeta: nord-ovest 45%, nord-est 63%, centro 61%, sud e isole 65%.

De Mauro nel 1963 nella Storia linguistica dell'Italia unita con un certo calcolo afferma che nel 1861 solo il 2,5% della popolazione poteva considerarsi italofona. Secondo De Mauro possono considerarsi italofoni solo coloro che avevano compiuto 5 anni di studio (si ammetteva che in caso di necessità delle maestre analfabete potessero prendere una classe delle elementari). Dominava il fattore rurale e non c'era da parte delle famiglie contadine spinta all'istruzione. Già il Piemonte con l legge Casati del 1859 sanciva l'obbligatorietà del primo biennio delle elementari e la legge Coppino del 1871 la sua gratuità. Si possono considerare italofoni i toscani e i romani già solo se alfabeti. Roma fino al '500 presentava un dialetto vicino al napoletano, poi vi fu una forte toscanizzazione dovuta ai papi medicei e alla ripopolazione dopo il sacco del 1527. Nel 1982 Castellani portò la cifra al circa 10%. Studi successivi hanno distinto competenza attiva e passiva: solo dell'idioma materno il parlante ha perfetta competenza attiva e passiva orale. La competenza passiva era sicuramente più alta.

Molte testimonianze di viaggiatori stranieri del Grand Tour ci dicono che, pur avendo conoscenza libresca dell'italiano, riuscivano a capirsi con i popolani (Goethe, Dickens).

Manzoni diceva di conoscere tre lingue: il milanese, il francese, il latino. L'italiano lo conosceva ma male, per vie libresche, secondo la sua autovalutazione.

A differenza di francese e spagnolo l'italiano non si è diffuso per via amministrativa, a differenza di ebraico e tedesco non per il canale religioso, ma appartiene ad un'insolita categoria in cui fu determinante l'elemento letterario.


Nascita letteraria dell'italiano

La nascita letteraria dell'italiano è nel '300. L'antefatto è la scuola poetica siciliana sorta attorno a Federico II nella prima metà del XIII secolo. I poeti siciliani vengono da varie città, di molti abbiamo solo il nome, del grande Giacomo da Lentini sappiamo solo che fu notaio, abbiamo un suo consistente numero di componimenti, sappiamo che fu l'inventore del sonetto. L'abate di Tivoli, Giacomo Pugliesi, Pier delle Vigne (di Capua). La corte di Federico II era itinerante, attivando a livello colto l'imitazione di modi della poesia provenzale. La poesia siciliana, in volgare, poteva essere irritata altrove perché fortemente astratta. Manoscritti emersi recentemente testimoniano una ricezione della poesia siciliana al nord. I tre grandi canzonieri della poesia siciliana furono scritti da copisti toscani: Vat. Lat. 3793 fiorentino, Lour. Pisano, Pal. Pistoiese. Evidentemente la richiesta di testi poetici in volgare era forte proprio in Toscana. Il copista medievale tende ad alterare il testo sulla base del suo personale dialetto, questo determina precise conseguenze linguistiche, visibili in particolare per le rime, che nella poesia provenzale erano perfette: nella poesia siciliana quale noi la leggiamo abbiamo esempi di rima imperfetta. Es. amare: pure.

E' scarsamente probabile che la raffinata poesia siciliana usasse rime imperfette, tutto si spiega riconducendo i due termini al siciliano antico. Es. amuri: puri.

Le carte di Barbieri, un dotto letterato del '500, trascrivono alcune poesie siciliane in siciliano stretto.

Alcune caratteristiche della lingua poetica siciliana si mantengono sino all'800:

nui "noi" (cfr. Cinque Maggio: "nui" ricavato da V. Monti)

loco, novo, more etc. senza dittongo: la o breve tonica in sillaba libera nel toscano si dittonga in uo, ma il dittongamento era ignoto al siciliano. Ma queste forme per il copista toscano potevano spiegarsi con il latino ed essere accettate. ("nova franchigia annunziano i cieli e genti nove..." dalla Pentecoste di Manzoni; v. anche Leopardi)

condizionale del tipo "vorrìa" invece di "vorrebbe" (Leopardi)


Scrisse De Mauro che non è retorico dire che Dante è il padre della lingua italiana: il 90% dell'attuale vocabolario fondamentale è rappresentato da parole già usate da Dante, anche se non sempre le parole sono rimaste uguali. Nell'italiano antico "noia" significava "presenza di stimoli dolorosi", e ha mantenuto questo significato oggi solo al plurale.

"La fretta [...] l'onestade ad ogni atto dismaga" (Dante)

Dante ebbe subito una fortuna straordinaria, nel 1827 scrisse il sonetto della Garisenda con fortissima patina bolognese (forse da attribuire ad un copista) che leggiamo con data precisa perché trasmessoci dai Memoriali bolognesi, registri in cui i notai trascrivevano degli atti, le cui parti bianche venivano riempite con versi o interi componimenti. Ser Enrichetto delle Querce trascrive un intero sonetto di Dante, quasi sicuramente imparato a memoria: questo ci attesta la fama del poeta appena ventiduenne. Nel 1317, quando Dante sta scrivendo il Paradiso, una terzina dell'Inferno viene conservata da un altro Memoriale bolognese. Circa 800 manoscritti ci hanno trasmesso la Commedia. Uno dei copisti più illustri di Dante è stato Boccaccio, che trascrisse quattro volte la Commedia. Dante è un codificatore di lingua, a lui risalgono molte espressioni dell'italiano di oggi.

Il più antico manoscritto toscano di Dante, esemplato dal Trivulziano (Biblioteca Trivulziana di Milano), si deve al copista ser Francesco di ser Nardo. Nel '500 Borghini ci dice che con la sua attività di copista fece la dote di tre o quattro figlie, l'aneddoto ci prova la fortuna della Commedia.

Dante avvia la tradizione in volgare anche per la trattatistica, con il Convivio (1304-1307), che allude con il titolo all'ideale banchetto di sapere approntato dall'autore. All'inizio del trattato giustifica la scelta del volgare con:

"cautela di disconvenevole ordinazione", poiché il Convivio nasce come commento a tre canzoni dottrinali in volgari.

Desiderio di "pronta liberalitade", cioè di rivolgersi ad una molteplicità di lettori, anche coloro che non sapevano il latino.

"naturale amore per la propria loquela"; all'inizio del '300 latino e francese tengono il campo nella poesia e nella prosa saggistica (Brunetto Latini, maestro di Dante, scrive in francese il suo Tresòr, una sorta di enciclopedia; un dantista francese, Resard, del '900 spiega la condanna di Brunetto tra i peccatori contro natura, non con la sodomia, ma con l'uso di una lingua straniera). Nell'ultimo decennio del '200 Dante scrive la Vita Nova, un prosimetro, in cui parla della scelta del volgare per la poesia d'amore spiegandola suggestivamente con il desiderio di rivolgersi alle donne, che non sapevano il latino.

Questo elemento si ritrova in Boccaccio, che nel proemio al Decamerone spiega le ragioni dell'opera, dicendo di voler distrarre le donne dai loro tormenti, giacché non possono uscire per svagarsi.

Il volgare nasce come opzione di apertura e allargamento dei destinatari del testo scritto. Il De vulgari eloquentia, celebra il volgare ed è in latino perché si rivolge ai dotti, ma non ebbe grande fortuna: probabilmente Petrarca non lo conosceva, forse Boccaccio, nel '400 se ne perse conoscenza, fu tramandato solo da quattro manoscritti e poi riscoperto nel '500. L'opera viene scritta per andare alla ricerca del volgare illustre (l'odorosa pantera, che -dicono i bestiari medievali- spande ovunque il suo profumo ma non si riesce a catturare). Questo "volgare latium" deve essere cardinale (punto di riferimento rispetto agli altri volgari della penisola), aulico (degno di una reggia, se l'Italia ne avesse una), curiale (degno dell'uso giuridico) e illustre.

Nel I libro, dopo aver risolto il problema dell'origine del linguaggio con il riferimento biblico a Babele, arriva ad una rassegna negativa dei vari dialetti per dimostrare che nessuno può essere il volgare illustre; il romanesco viene definito "tristiloquium", "Messure, quin tu dici?" Parla malissimo anche dei dialetti toscani, per il fiorentino cita "Manichiamo introque, che noi non facciamo altro" (Ciacco, punito nel girone dei golosi, è fiorentino). "manicare" oggi è un arcaismo (da cui "manicaretto"). "manicare" però si trova nel canto del conte Ugolino, che si morde le mani: "credendo ch'il fosse per voglia di manicar..."; "introque" chiude un canto: "sì andavamo [con Virgilio] e parlavamo introque." In realtà per Dante il volgare illustre è la lingua non della poesia in generale, ma dello stile della tragedia (opposto a quello della commedia). Nel Medioevo si era perso il senso della rappresentazione teatrale, comico e tragico indicavano solo stile basso e elevato. La Commedia si chiama così ("...d'altro parlando che la mia comedìa parlar non si cura") perché passa da uno stile molto basso ("merda", "culo") alla rappresentazione di olio e di complessi concetti filosofici. Non si deve pensare che nel Paradiso non vi siano luoghi di registro stilistico basso (S.Pietro, Beatrice nel canto XXIX: "di questo ingrassa il porco Sant'Antonio, e altri ancor che sono ancor più porci"). Commedia vuol dire stile dilatato.

Dante è il primo a teorizzare cosa sia il volgare illustre dal punto di vista contenutistico e formale, esso si deve occupare di:

AMOR (tradizione amorosa siciliana e stilnovistica estremamente rarefatta)

SALUS (armi, per cui cita il provenzale Bertrand del Bormio)

VIRTUS (da VIR, fu condizionata dal cristianesimo giungendo a significare la virtù morale).

Vi sono parole, degne di contadini, come "cetra" e "greggia" (Par. X), che pure si trovano nella Commedia, "corpo" (che Francesca da Rimini indica con "persona"), le parole con doppia z ("puzza" però si trova anche nel Paradiso); si devono usare parole trisillabe o simili, in monosillabi sono accettati solo come elementi grammaticali. La lingua poetica alta deve essere estremamente selezionata; anche se Petrarca non conosce il De vulgari eloquentia, vive però nella stessa humus culturale.

Non c'è implicazione politica nel problema della lingua di Dante.

La Commedia non fruttifica nella tradizione letteraria: fatta eccezione per il Dittamondo di Fazio degli Uberti, la terzina dantesca poi non ha fortuna paragonabile con le rime bernesche (es. Ode dell'orinale), che con essa condividono il realismo e la possibilità di promuovere elementi comici.


Boccaccio con il Decameron è stato il modello incontrastato della prosa narrativa sino al XVI secolo, offre tre livelli linguistici: il più alto è quello della cornice con la lingua estremamente ricercata, soprattutto per la sintassi, che ricalca quella latina (con il verbo in clausola), poi il livello diegetico o narrativo, e poi quello dialogico, con un livello basso e colloquialmente vivace, che attinge al fiorentino popolare. Boccaccio aveva grande consapevolezza metanarrativa, affronta il problema della poetica del proemio e nell'introduzione alla IV giornata, e nella premessa al poemetto in ottave Filostrato, il cui stile definisce umile. E' probabile che da questa operetta nasca la grande tradizione dei poemi in ottave, che si specializzano come metro epico (Orlando Furioso, Gerusalemme liberata e Adone di Marino). Per la sua grande attenzione al volgare Boccaccio fu molto ammiratore di Dante, cui dedicò un ciclo di letture nella chiesa di Orsanmichele e quattro trascrizioni della Commedia. Boccaccio ci ha lasciato un numero considerevole di autografi, tra cui quello amiltoniano del Decameron riconosciuto da Vittore Branca.


Petrarca, da primo umanista, usa il volgare come un semplice divertimento rispetto al latino; in una delle Seniles (1373) traduce in latino l'ultima novella del Decameron, quella di Griselda, che sembra smentire una serie di valori borghesi e terreni manifestati da Boccaccio, e scrive all'amico che egli deve averla scritta da giovane nel "materno eloquio" e che la ha solo sfogliata, non letta. E' significativo il titolo d'autore del Canzoniere, Rerum vulgarium fragmenta, di cui possediamo due manoscritto autografi (Vat. Lat. 3196 e 3195, il primo dei quali è il "codice degli abbozzi", il secondo in parte autografo, in parte idiografo, cioè scritto da un copista di fiducia). Nel manoscritto degli abbozzi si rivolge a sé stesso con l'appunto di correggere, tutti gli interventi metalinguistici sono in latino ("dic aliter", "hoc est sonantior"). Il Canzoniere sembra una consacrazione del volgare illustre dantesco, perché è la celebrazione dell'antirealismo, chiave di molta poesia alta sino all'800. Nel De vulgari eloquentia Dante dice che amor, salus e virtus sono degni di figurare nel volgare illustre "dum multo accidente vilescant": non si possono usare i nomi propri se non con forte valore simbolico (Laura, "empia Babilonia" per Avignone). Questo spiega il forte tasso di metaforicità nella nostra tradizione poetica. Petrarca fissa i termini della "descriptio mulieris" in un modo presto tradizionale (per una donna dagli occhi azzurri si dovrà attendere nel '700 la traduzione di Ossian, non si parla mai del naso, e dei denti solo in senso metaforico come perle). Per un capovolgimento di questo modello si deve attendere Gozzano con La signorina Felicita nel '900.

La fortuna arrise ai generi metrici del Petrarca, soprattutto al sonetto e alla canzone (un altro caso di convergenza preterintenzionale tra Petrarca e il Dante del De vulgari). Leopardi, grande eversore della metrica, scrive però canzoni che risentono fortemente dell'archetipo petrarchesco.

Chretien de Troyes, il più grande narratore francese medievale, non ebbe nessuna incidenza dopo il '500. Lo stesso vale per l'inglese Chaucer.

Nella lingua italiana è decisiva la mediazione letteraria. Bembo rappresenta il momento in cui  gli autori arcaici vengono promossi a modelli da imitare.


Con Manzoni si passa dal problema della lingua letteraria a quello della lingua d'uso, cui egli arriva però attraverso un'esperienza letteraria, nel momento in cui attende al Fermo e Lucia. Manzoni avverte il chiaro impulso a scrivere in una lingua "viva e vera", poiché in una lingua libresca non si può dire tutto. In parlante nativo può "produrre un numero infinito di frasi", osservò Chomsky. Nella seconda prefazione al Fermo e Lucia si dice scontento di sé e definisce il romanzo "un guazzabuglio". Si rende conto che nessun dialetto italiano se non il fiorentino può funzionare da modello per gli altri, perché è l'unico che, avendo coinciso storicamente con la fase letteraria, può essere accolto dagli altri. Manzoni, però, è convinto della parità di tutti i dialetti italiani, tra cui sceglie quello con maggiori possibilità di affermarsi. Non promuove il fiorentino popolare ma borghese, che marca una distanza ridotta rispetto alla tradizione letteraria. Emilia Nuti, istitutrice fiorentina delle sue figlie, era sua informatrice privilegiata. Per la prima volta il centro normativo della lingua è una varietà parlata e non letteraria.


Sino all'invenzione della stampa (metà '400) i testi di Dante, Petrarca e Boccaccio circolavano per manoscritti. Ogni libro copiato a mano reca linguisticamente le tracce del copista. Dante era letto su testi con lingue lievemente diverse. Per il '300 e '400 manca una grammatica condivisa, una norma unica, nelle scuole si insegna il latino.

La stampa cambia radicalmente il modo di trasmettere la letteratura: si ha la possibilità di stampare un testo il più possibile condiviso, non destinato a una precisa committenza. La parola "concorrenza" ha le prime attestazioni proprio in ambito tipografico. Nasca la figura del correttore tipografico, un letterato. Nelle stampe cominciano a essere più sistematiche le separazioni tra le parole e i segni di interpunzione, si comincia a favorire l'accessibilità del testo. Si inizia a depositare nella cultura del tempo l'esigenza di una norma condivisa, non solo da parte del mercato editoriale ma anche dei lettori. Sino al '500 comunque la stampa è fortemente ibrida, divisa tra la lingua latina che incide soprattutto per la grafia anche perché era l'unica scuola cui rifarsi, il fiorentino in cui non si aveva capacità di distinguere tra quello trecentesco e cinquecentesco, il lombardo (generico italiano settentrionale) perché Venezia era il centro in cui si producevano più stampe che non in tutto il resto dell'Italia.

In quattro edizioni (1472, 77, 78, 81) del verso "Nel mezzo del cammin di nostra vita":

"megio", "mezo" (x3)

"camin" (x3), "camino"

"trovai", "ritrovai"

"gionsi" ["giunsi"]

"deretta" ["diritta"]

Si componevano le stampe con le lettere al contrario, questo a volte generava errori.

Nel 1500 a Venezia il tipografo Aldo Manuzio commissiona a un giovane patrizio veneziano, Pietro Bembo, di curare un'edizione di Petrarca. Il padre Bernardo possedeva un'enorme biblioteca e lo aveva istruito in modo che a 18 anni potesse già collaborare con Poliziano per controllare il testo di una commedia di Terenzio; con Manuzio Bembo progetta una collana di classici anche volgari, con Orazio, Virgilio, Dante e Petrarca. Bembo cerca di depurare i testi del Petrarca dagli errori e sovrapposizioni di copisti e tipografi, fa una collazione. Riesce a farsi prestare dai Santa Sofia di Padova l'autografo di Petrarca (Vat. Lat. 3195) e corregge la propria opera (non erano molte le correzioni). Progressivamente Bembo prende conoscenza del fiorentino trecentesco. Non si aveva una norma codificata né una condivisione ortografica. Pochi mesi dopo per la prima volta veniva stampato un libro tascabile (il formato dei libri d'ore): è la Bibbia laica di un nuovo mondo.

Nel primo '500 cominciano ad essere ritratte donne con in mano un Petrarchino. Il libro viene rapidamente copiato in Europa anche per il formato. Bembo si rende conto che la leggibilità dei testi era poco garantita dalla scarsa interpunzione dei manoscritti e degli incunaboli. Introduce il punto e virgola e l'apostrofo, un'invenzione desunta dallo spirito greco. Il corsivo aldino è quello italico tutt'oggi esistente.

Bembo voleva allontanarsi progressivamente dal latino: intitolò Le cose volgari di messer Francesco Petrarca. L'Umanesimo aveva accantonato il volgare per recuperare il latino, Bembo invece lo promuove culturalmente.

Il Vat. Lat. 3199 è una copia della Commedia di Dante che Petrarca manda a Boccaccio che la ricopia, Bembo se la procura, ormai è abbastanza esperto del fiorentino del '300, e riesce a lavorare bene su un testo pure meno sicuro. Progressivamente costruisce una nuova sensibilità linguistica che riesce a distinguere ciò che è meno e più antico, in una lingua che non era la sua. Per la prima volta nasce la filologia volgare.

Le aldine introducono sistematicamente l'accento grave sulla "è" verbo.

Il Vat. Lat. 3197 nella seconda parte reca il testo di Dante.

Incunaboli sono le stampoe pubblicate prima del 1499. Mentre lavora al testo di Petaraca, il 2 settembre 1500 Bembo scrive all'amante Maria Savoriani che ha incominciato a scrivere qualcosa sulla lingua italiana. Le prose della volgar lingua usciranno 25 anni dopo: lì non si lavorava solo su un'edizione ma su un progetto culturale. In questi 25 anni l'esigenza di normalizzazione linguistica si incanala nella questione della lingua, in cui era in gioco un'identità linguistica e culturale.

lingua delle corti, in particolare quella cosmopolita del papa a Roma

lingua che trae il meglio di tutta la produzione letteraria italiana

Frattanto molti studiarono la lingua del Petrarca sulle aldine; la moda di scrivere come Petrarca e Boccaccio fu inaugurata da Bembo stesso con gli Asolani nel 1505, una sorta di centone di Boccaccio. Il latino sempre più viene visto come un lingua parallela. Nel 1516 un giurista dalmata, Giovanfrancesco Fortunio, pubblica ad Ancona la prima grammatica italiana a stampa, desumendo le regole dai testi di Boccaccio e Petrarca e facendo andare su tutte le furie Bembo, che nel 1512 aveva già concluso la prima parte delle Prose.

Finite le Prose, nel novembre 1524 le dona al papa, una lettera ci indica la sua intenzione di pubblicarle subito. Dedica il libro al cardinale Giulio de' Medici "che nel novembre 1523 è stato creato a Sommo Pontefice", nel dialogo parla di un certo personaggio con una carica che avrebbe indicato la composizione a prima del 1516, e comunque ambienta il dialogo nel 1502.

Le Prose sono un dialogo di impostazione ciceroniana in 3 parti, i quattro personaggi incarnano diversi modi di guardare alla letteratura: Carlo Bembo (il fratello, che parla per l'autore), Giuliano de' Medici (parla del fiorentino contemporaneo), Federico Fregoso (provenzale), tutti contro Ettore Strozzi (superiorità del latino). Si risolve prima il problema del rapporto tra latino e volgare (con eguale dignità): vuole impostare il volgare sulla base dell'imitazione degli autori trecenteschi, rendendolo come il latino che impostato nello stesso modo: è il classicismo volgare, che rende classica la letteratura volgare. Il III libro è una grammatica del fiorentino trecentesco. Prima rifiuta che altre parlate possano ambire allo stesso grado di nobiltà del fiorentino (Carlo Bembo), poi Giuliano dice: "Non si può dire che sia veramente lingua alcuna favella che non ha scrittori"; la letteratura funge da filtro nella lingua. Pone lo scrittore al centro dell'elaborazione stilistica e rende il senso di rifarsi a dei modelli. E' un'impostazione stilistica che poi sarà anche morfologica, per questo Dante viene accantonato per il suo pluristilismo (es. "che merda fa di ciò che si trangugia"). Anche perché Petrarca e Boccaccio sono più facilmente ripetibili, per questo la nostra lingua poetica è così simile a sé stessa nei secoli. Bembo crea una grammatica parallela per prosa e poesia.

Es. tu ami (prosa); tu ame (poesia), mentre Fortunio li teneva entrambi.

amerei/amerìa

Bembo depositava nella cultura rinascimentale una grammatica del fiorentino trecentesco, eliminando quello quattrocentesco. Fiorì una serie di manuali che semplificano le norme di Bembo, che furono diffuse dall'Orlando furioso dell'Ariosto.

Nel 1536 Guicciardini sta scrivendo la Storia d'Italia, incontra l'opzione bembiana che riesce a rendere alla moda il passato '300 sottraendolo al tempo. Gli sorgono persino dubbi sull'ortografia latina per effetto delle aldine che la respingevano.


Nel secondo '500 a Firenze comincia una reazione, una nuova ondata filologica che porterà al vocabolario della Crusca. Un gruppo di letterati fiorentini decidono di proporre attraverso un vocabolario un'idea di lingua, basandosi sullo "spoglio", un censimento di autori. Leonardo Salviati propone il metodo da seguire impostando un canone che comprende grandi e minori autori per recuperare il fiorentino trecentesco, mettendo però in luce la sua saldatura con quello quattrocentesco corrente. Capiscono di non doversi basare sulle stampe, ma di dover tornare ai manoscritti con la collazione. Costruiscono un ampio lemmario, non avranno però abbastanza soldi per pubblicarlo, lo stamparono poi a Venezia nel 1612.


Fonetica

E' la parte della linguistica che si occupa della produzione di suoni (foni) nel linguaggio; la stragrande maggioranza delle lingue usa l'aria espiratoria, poche lingue utilizzano l'aria inspiratoria per produrre foni occlusivi o click.

Il primo ostacolo che l'aria incontra sono le corde vocali a livello della laringe. Le corde vocali possono accollarsi (chiudersi) non facendo passare l'aria: alcune lingue, come il tedesco, presentano il colpo di glottide (spazio tra le corde vocali) con funzione linguistica. Altrimenti le corde vocali possono restare inerti o entrare in vibrazione, che ci permette di distinguere i foni in sordi e sonori.

Non esiste una corrispondenza biunivoca tra alfabetico storico di una lingua e suoi suoni.

Nella maggior parte delle lingue (non il portoghese) le vocali sono sempre sonore, le consonanti possono essere sorde o sonore.

Il palato ha una porzione anteriore ossea e una posteriore molle cartilaginea (velo palatino che termina nell'ugola).

Il velo palatino può sollevarsi chiudendo l'accesso alla fosse nasali e facendo uscire l'aria solo dalla bocca; da qui i foni orali.

Se invece il velo palatino lascia passare aria alle cavità nasali si hanno i suoni nasali, in italiano [m], [n] e [ɲ].

Al digramma italiano <gn> corrisponde in spagnolo un unico grafema con la tilde, <ñ>.

Sia <b> che <m> si pronunciano chiudendo e aprendo le labbra con esplosione di aria all'esterno, l'uno però è un suono orale, il secondo nasale.

Nella cavità orale la lingua è l'organo principe della produzione linguistica, come dimostra la stessa polisemia di questa parola in italiano e latino. La lingua ci permette di distinguere tra vocali e consonanti. Il nome sloveno della città di Trieste è Trst, quindi la differenza non sta nel poter essere pronunciate da sole o meno.

Le vocali sono cantabili, ovvero producono un suono (una vibrazione regolare e periodica), le consonanti un rumore (una vibrazione irregolare e aperiodica). Perché si crei un suono è necessaria una cassa di risonanza, la bocca, che permette la relativa regolarità acustica delle vocali. I movimenti della lingua nella bocca ci permettono di distinguere le vocali e rappresentarle con il triangolo vocalico.


Vocali posteriori o    u i Vocali anteriori

velari o e o palatali

ɔ Ɛ

(la o aperta con a

simbolo iconico)    centrale (lingua appiattita sul pavimento della

bocca: massima apertura, prolungabile)


Le vocali italiane toniche sono sette, non cinque come ci indica la grafia. La forte opposizione tra vocali aperte e chiuse è netta solo in Toscana e nell'Italia centrale. Nell'estrema Italia meridionale (Sicilia, Calabria e Salento) nei rispettivi dialetti e nell'italiano regionale non esistono le vocali chiuse. Nell'area settentrionale (Val padana) l'opposizione tra vocali aperte e chiuse è molto sfumata e oscillante, come nello spagnolo.

Le vocali atone sono solo cinque perché si perdono quelle aperte, si torna ad una corrispondenza biunivoca tra suono e grafia: la distinzione aperta/chiusa non è più rilevante e si tende a pronunciare le vocali chiuse.

In "sollevo" la e è /Ɛ/, ma nell'infinito la e tonica tende ad essere chiusa.

Tra i parlanti italiani c'è una larghissima se non totale possibilità di comprensione a prescindere dal timbro delle vocali.

Perché ci sia rumore, ossia consonante, la colonna d'aria ascendente deve essere interrotta o deve esserci un restringimento del canale respiratorio con effetti di frizione. (es. s).

modo di articolazione:

a) chiusura del canale espiratorio: occlusive (esplosive, momentanee perché sono suoni non prolungabili, mute)

b) restringimento del canale espiratorio: costrittive (fricative, spiranti, continue)

c) elemento occlusivo + elemento fricativo: affricate. Es [ts]

luogo di articolazione

tratti accessori: sordo/sonoro, orale/nasale


Le occlusive

Dalle più avanzate alle più arretrate:


Labiali

Dentali o alveolari

Palatali

Velari

sorde

sonore

sorde

sonore

sorde

sonore

sorde

sonore

p

b

t

d



k

g


m


n






Per distinguere i suoni tra loro è condizione sufficiente una differenza.

[p]: (occlusiva) labiale sorda (orale). Il tratto di occlusiva è implicito nella labialità; il carattere di orale è trascurabile giacché le nasali in italiano sono solo tre ed è preferibile contrassegnare solo quelle.

[b]: (occlusiva) labiale sonora (orale).

[m]: (occlusiva) nasale labiale (sonora)

Alveolari perché la lingua tocca gli alveoli degli incisivi superiori.

[t]: dentale sorda

[d]: dentale sonora

[n]: nasale dentale

[ ɲ]: palatale. E' uno dei suoni rari dell'italiano, poco diffusi in altre lingue, si produce similmente alla nasale dentale senza che la lingua arrivi a toccare gli alveoli.

Nelle velari il dorso della lingua tocca il velo pendulo occludendo per un attimo il passaggio dell'aria.

[k]: velare sorda

[g]: velare sonora

La resa grafica di /k/ è <c> davanti alla vocale centrale e a quelle posteriori, <ch> davanti alle vocali anteriori; di /g/ <g> e <gh>.

H è una realtà grafica ma non fonetica: l'italiano e le lingue romanze non hanno un suono aspirato che corrisponda all'h.

Poiché l'italiano si è imposto per via libresca e non parlata, la fonetica non ha avuto peso nella scelta del toscano, pertanto gli italiani di diverse regioni distinguono sempre due parole che differiscono per un solo fono e si scrivono diversamente (gara/cara), e non così facilmente parole omografe (pésca/pèsca). Abbiamo poi omonimi (letto/letto) e omofoni (hanno/anno).


Le fricative

Labiodentali

Alveolari

Prepalatali

Palatali

sorde

sonore

sorde

sonore

sorde

sonore

sorde

sonore

f

v

s

z







r





l



[f]: labiodentale sorda

[v]: labiodentale sonora. Nel settentrione e nel meridione si dice "vi".

"sibilante" indica il suono.

Sibilante: - sorda iniziale <sole>

-sonora <slitta> /'zlitta/

accentazione: la vocale accentata è quella della sillaba che segue, l'accento si segna prima della sillaba da accentare.

In posizione intervocalica opposizione tra sorda e sonora. /'kasa/; /'roza/

La generazione della sonora è una pronuncia tipicamente settentrionale; a Roma la sibilante intervocalica è sorda.

Impredicibile: non c'è norma sull'uso della pronuncia.

Variante combinatoria: oscillazione legata alla disposizione di un fono nella parola.

<r> e <l> liquide: questo termine viene dai grammatici latini che a loro volta l'avevano tradotto dai Greci.

Vibrante: la lingua vibra sul palato.

[l]: laterale

[r]: vibrante

Tra le prepalatali troviamo simboli estranei al latino.

[ʃ]: suono <sc>, complesso, è una sibilante che si articola in posizione arretrata. Sibilante prepalatale sorda, si usa solo davanti a vocale palatale.

[Ʒ]: <g> di <gente> detto alla maniera toscana.

[λ]: non è una lambda ma una y al contrario, rende il suono <gl>. Laterale palatale.

Digrammi: suoni che graficamente si scrivono usando due fonemi.

Trigrammi: suoni che graficamente si scrivono usando tre fonemi.


Le affricate

Sono solo alveolari e prepalatali.

Alveolari

Prepalatali

sorde

sonore

sorde

sonore





L'italiano tende a pronunciare l'alveolare sempre sonora.

es. <zero> /'ʣƐro/

<zio> /'ʣio/ è una variabile diatopica.

<cena> /'ʧena/

<gente> /'ʤƐnte/


Differenze fonetiche: tenui e intense. Es fatto/fato.

In posizione intervocalica:

sempre tenue la sibilante sonora

sempre intensa la sibilante prepalatale sorda [ʃ], la nasale palatale [ɲ], la laterale palatale [λ].


j semiconsonante quando è seguita da vocale e priva di accento.

L'accento si pone tra le due consonanti come quando si va a capo.




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