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L'ETA' MEDIA - DALLA FINE DEL SECOLO XI ALL'INIZIO DEL SECOLO XIII, STORIA, PERSONAGGI

letteratura spagnola




L'ETA' MEDIA


1.DALLA FINE DEL SECOLO XI ALL'INIZIO DEL SECOLO XIII.


Il latino utilizzato in Castiglia si era tanto distanziato dalle sue origini, che persino i monaci avevano bisogno di spiegazioni per i termini che derivavano dal latino.

A partire dagli ultimi decenni del X secolo, compaiono: le Glossa emilianenses e, più tardi, le Glossa Silenses, divengono la prima testimonianza della nascita di una modalità linguistica nuova, risultato dell'uso locale del latino parlato.

Prima del Poema de Mio Cid, che è la prima opera letteraria in castigliano, gli spagnoli cantavano cancioncillas, ricevute e trasformate dai romani.  Alcune di queste brevi canzoni le, jarchas, iniziarono a far parte, già a metà dell'XI secolo, del repertorio delle 727j99h poesie dei grandi autori, che scrivevano in arabo o in ebraico.



E' questa anche l'epoca in cui visse Rodrigo Díaz de Vivar, protagonista del Poema de Mio Cid.


STORIA, PERSONAGGI.

ALFONSO VI (1072-1109) è il re che, con la sua figura, primeggia in questo periodo. Le circostanze grazie alle quali salì al trono sono legate alla morte di suo fratello Sancho II e furono oggetto di cantar di gesta. Durante il suo regno si ebbe la conquista di Toledo e di un'ampia zona nei dintorni della città, grazie all'appoggio dei mozarabi (= popolazione cristiana sotto il dominio arabo). Il Cid sarà proprio il concentrato di quelle figure che nascono ora, vale a dire, di quegli uomini che vivono e si arricchiscono nelle zone di frontiera, combattendo contro gli arabi o alleandosi con loro .

Alfonso VI promosse in Castiglia varie innovazioni culturali: l'abbandono del rito mozarabico e la incorporazione del rito romano e, contemporaneamente, impose la regola benedettina ai più lontani monasteri, consolidando così la dipendenza dal Papa della Chiesa della Navarra,prima, e di quella castigliana, poi.

Due fatti storici fondamentali da ricordare: la piena formazione delle differenti nazionalità della penisola e il lento dominio del regno di Castiglia sugli altri regni.


ALFONSO VII (1126-1157) sale al trono castigliano-leonese. Egli promosse una politica di divisione tra i regni cristiani a proprio beneficio, per difendere la sua idea di essere considerato dagli altri re imperatore della Penisola; nasce ora il Portogallo come contea indipendente di Leòn, che diventerà, nel 1143, un regno.



LETTERATURA DEL SECOLO XII.

Le lettere latine nella Castiglia e Leòn producono opere originali, come la Historia Compostelana e la Cronica Adefonsi Imperatoris. Quest'ultima contiene il Poema de Almerìa, la migliore opera epica ispanolatina del Medioevo, le cui allusioni al Cid si sommano ad altri testi come le Gesta Roderci e il Carmen Campidoctori, tutte legate alle leggende epiche relative al ciclo di Rodrigo Dìaz de Vivar . L'autore della Almerìa è un uomo colto, esperto conoscitore anche dell'epica francese (cita spesso Roldàn e Oliveros).

Il genere più significativo di questo periodo sono, però, le opere storiografiche.


Intanto, i musulmani e gli ebrei della penisola sviluppano una fiorente letteratura: tra i musulmani, AVEMPACE (Ibn Batjtja), poeta e filosofo, possibile inventore della forma zejelesca; AVERROE'(Ibn Rushd), filosofo e commentatore di Aristotele.

Alcuni di questi autori incorporano jarchas in lingua romanza come conclusione delle proprie moaxajas; altri scrivono alcune delle loro opere in latino o divengono traduttori. Tuttavia, la relazione tra le tre culture araba, giudaica e cristiana non sembra essere molto profonda e le influenze reciproche non sono unitariamente riconosciute dai critici.

Nella Castilla-Leòn ancora non è sorta una letteratura in lingua romanza, anche se sono sempre più numerose le testimonianze dell'esistenza di una tradizione orale relativa alla poesia lirica e forse anche all'epica. Già, infatti, appaiono i giullari nei testi e nella vita quotidiana: questo è il caso del primo che si cita Pallea Juglar, che nel 1136 appare come confirmatario, accanto a conti nobili ed ecclesiastici, del Fuero de los francos di Toledo.

Si può supporre che la sua attività non fosse quella di intrattenere o divertire con giochi o altro perché questo tipo di giullare era molto inviso alla chiesa: il suo repertorio doveva perciò essere formato da letteratura edificante (vita di santi, fatti eroici.).



Oltre alla poesia colta, opera di autori formatisi nel seno delle scuole monastiche, esiste una LETTERATURA che si trasmette DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE e le cui prime testimonianze sono le canzoni popolari.

Tentare di indagare come e quando nacquero queste prime canzoni è ovviamente molto difficile e vano. Per quanto riguarda l'occidente, la LIRICA POPOLARE in LINGUA ROMANZA nacque nel momento stesso in cui il latino smise di essere latino e iniziò ad essere prodotto nuovo embrione delle lingue attuali.

Già nel VI secolo la chiesa insisteva a proibire le canzoni popolari: ciò rivela lo scarso successo di tali proibizioni e, al contrario,  la vitalità di cui godeva il lirismo tradizionale.

Le testimonianze più antiche di poesia lirica in lingua romanza sono costituite dalle jarchas, brevi composizioni che si incontrano alla fine di certi poemi in arabo o in ebraico, poemi chiamati moaxajas,  databili tra metà del sec XI a fine del sec XII.

Secondo i trattatisti arabi medievali, furono i poeti di al-Andalus (la moderna Andalusia) e i poeti cordobesi della fine IX e inizio X, gli inventori del moaxaja, cioè, un tipo di ode o canzone amorosa composta da varie strofe di 5 o 6 versi, di cui i primi quattro o cinque rimano tra loro, mentre l'ultimo o gli ultimi due rimano con l'ultimo o i due ultimi delle altre strofe. In questo modo costituiscono un doppio gioco di rime: alcune mantengono l'unità strofica; le altre, danno coerenza alla composizione. Da qui deriva il  nome, che significa ' ornato con un tipo di cintura a doppio giro '.

La denominazione e l'uso in senso metaforico di un termine che designa un oggetto tanto prezioso come quel cinturone, fatto di due fila di perle e pietre preziose, dà l'idea della connotazione di lusso e ricercatezza con cui veniva vista questa forma poetica, frutto possibile solo di una società raffinata e molto vicina al manierismo letterario.

La moaxaja è, dunque, il risultato di una serie di alterazioni della norma stabilita per la poesia araba classica, che si basava in tirate di lunghi versi monorimi scanditi a seconda della quantità della sillaba lunga o breve.

Rispetto a tale norma, la moaxaja  si divide in strofe, con versi corti e alternanza di rime come la poesia romanica posteriore.

L'ultimo o gli ultimi versi della composizione erano formati dalla jarcha: le rime finali di tutte le strofe dipendevano dalla rima assonante stabilita nella jarcha, che, inoltre, aveva scarsa relazione tematica con il resto della composizione e che era introdotta di forza.

La jarcha costituisce, dunque, la base sulla quale si edifica la moaxaja: alcune jarcha ebbero esistenza propria, vale a dire, indipendentemente dalla moaxaja in cui erano nate, mentre altre sono senza dubbio creazione degli stessi autori che le inclusero nelle moaxaja.

Accanto a questi autori, sempre ad al-Andalus si coltivò un altro tipo di poesia a carattere popolare, lo zejél, scritto in arabo volgare e con l'inserzione di parole della lingua romanza. Normalmente aveva un carattere più narrativo e satirico rispetto alla moaxaja. Lo zejél presentava una struttura strofica simile a quella delle composizioni di tipo tradizionale di altri domini linguistici: possiede un estribillo iniziale, poi tre versi con la stessa rima, un verso de vuelta e ancora un estribillo. (Manca di una jarcha).

E' impossibile conoscerne l'origine, anche se vengono indicati come inventori gli stessi poeti cordobesi della moaxaja.


Le jarchas in lingua romanza sono, invece, per lo più canti d'amore pronunciati, nella finzione poetica, da una donna sconsolata, che si dispera davanti alla madre per l'assenza dell'amato e per le sofferenze che patisce per colpa dell'amore.

La similitudine tematica con le cantigas de amigo, di origine gallego-portoghese è evidente, anche se si è segnalato con certezza che il tono è molto diverso: le jarchas romanze esprimono un amore gioioso rispetto al sentimento triste delle cantigas.

I critici si sono soffermati sull'atteggiamento appassionato della donna mettendola in relazione con altre composizioni dell'occidente europeo: la lirica casigliana di tipo tradizionale, la Frauenlinder tedesca, la chanson de toile francese.In tutti i casi, i parallelismi esistenti non solo sono attribuibili all'esistenza di un sostrato comune o a contaminazioni diverse, ma si è segnalato anche che la terminologia sembra stabilire forti vincoli tra la tradizione provenzale e l'andalusa.

L'angoscia della donna per l'assenza dell'amato si esprime in varie forme a seconda delle circostanze: in alcuni casi lo supplicherà di non andarsene, in altri chiederà che ritorni subito o impreca contro il tempo che scorre troppo lento..

In questo mondo poetico esiste una sola persona, che è l'Io della donna, narratrice e soggetto. L'interlocutore, come nella lirica tradizionale, nella chanson de femme, è la madre della ragazza, che normalmente non prende la parola. In alcuni casi il lamento della donna è diretto all'amato, sempre una figura muta, che non risponde mai alle suppliche o richieste della donna.

La solitudine in cui si muove la giovane innamorata si fa pietosa più si presta attenzione all'ambiente fisico intorno: il paesaggio conta poco o niente,non ci sono passeri che annunciano la primavera.

La jarcha si svolge in un ambiente urbano: le città che fungono da scenario sono Guadalajara, Siviglia, o Valencia, centri molto distanti l'uno dall'altro, ma tutti nuclei della vita araba nella penisola iberica dei sec XI e XII.

Accanto alle jarchas di tipo amoroso ce ne sono alcune che come tema centrale hanno l'elogio di un personaggio conosciuto.




LA LIRICA TRADIZIONALE


Già dal secolo XIII, la lirica popolare presenta un chiaro incrocio con gli ideali cortesi che modificarono l'assetto del genere: da una parte, la POESIA COLTA lo accolse rielaborandolo; dall'altra, divenne il genere caratteristico della POESIA EROTICA.

In alcuni casi la POESIA POPOLARE, ignorò la lirica colta e continuò ad esistere lontano dai testi scritti, trasmettendosi di generazione in generazione e accettando le modificazioni introdotte: le CANZONI TRADIZIONALI sono sopravvissute identiche fino ai nostri giorni.

LA vitalità della lirica tradizionale in Spagna e Portogallo è un'eccezione nel panorama occidentale ed è anche eccezionale che si possa seguire il cammino di questa tradizione dal XV secolo, quasi senza interruzioni, grazie alla permanenza delle antiche forme, fossilizzate nella cultura degli ebrei sefarditi espulsi nel 1492. Tuttavia sono rimasti pochi testi originali della poesia tradizionale, così com'erano nel Medioevo, perché furono trasmessi attraverso collezioni colte o perché facevano parte di testi di autori con un certo grado di consapevolezza letteraria.

Le jarchas si sono conservate grazie alle moaxajas, le "cantigas de amigo" primitive possono essere, quanto meno, ricostruite a partire dalle imitazioni che ne fecero i poeti allego-portoghesi; infine, un gran numero di villancicos sono giunti fino a noi grazie al lavoro di autori colti che li glossarono o che li raccolsero in repertori.


Il VILLANCICO è la strofa caratteristica della lirica castigliana di tipo tradizionale: è formata da due o tre versi con un numero di sillabe estremamente variabile e flessibile, mancando dunque, di una forma fissa. Nonostante tale variabilità, si è comunque riscontrata una marcata tendenza per lo schema ABB, con versi di otto e di sei sillabe, che a volte possono presentare un pié quebrado.

Il termine villancico indica anche una forma strofica costituita dalla somma della composizione tradizionale con la sua glossa, con la quale si era soliti accompagnare le cancioncillas, per lo meno a partire dalla metà del XV sec fino al XVII.

E' difficile sapere quale sia l'origine del villancico: alcune testimonianze isolate danno ad intendere che la composizione fosse presente in Castiglia fin dal XIII secolo.

La poesia tradizionale portoghese, castigliana o francese si caratterizza per l'abbondanza di composizioni brevi, di due o tre versi, con una disposizione delle rime che tende a rimanere fissa. In generale, questi distici o tristichi che in castigliano si chiamano, appunto, villancicos, sono considerati elementi invariabili della lirica di tipo tradizionale, mentre la glossa si modifica continuamente in accordo al gusto di un'epoca o di un autore. Così il villancico si costituisce sulla base metrica delle moaxajas, sul fondamento tematico delle cantigas de amigo.

Gli studiosi di lirica tradizionale sogliono ammettere il vincolo tra questa poesia e la danza, ponendo in relazione le origini della lirica tradizionale con le canzoni pagane per l'arrivo della primavera: nella lirica romanza persistono alcune testimonianze che convalidano tale ipotesi. Questi esempi hanno fatto pensare che il soggettivismo della lirica, l'espressione dei sentimenti tardò ad inserirsi nelle forme popolari dove poi si aggiunse a temi già esistenti o si diversificò dando così vita a nuove varianti.


I TEMI della lirica tradizionale:

-NATURA. Questo tema mette in relazione la lirica tradizionale con i canti primitivi per celebrare l'arrivo della primavera e la nascita dell'amore: insieme ai campi in fiore compaiono uccellini (usignolo,tortora..) o altri animali caricati di simboli erotici (cervo, gazza, falcone). Questo stesso significato hanno anche i fiori, specialmente la rosa, simbolo di verginità o l'acqua, simbolo di fertilità.


-CELEBRAZIONI di certi AVVENIMENTI, alcune canzoni invitano al ballo, altre celebrano le nozze o la morte, la vittoria o il benvenuto. Le canciones de romerìa (= sagra o pellegrinaggio) si pongono all'interno del gruppo di quelle per la rinascita della natura e delle canzoni per le grandi feste, presentano componenti pagane significative.


-ACCOMPAGNAM AL LAVORO, canzoni di tessitori, filatori..


-AMORE. È il gruppo più nutrito, formato di innumerevoli varianti: l'amore appare una ragione di allegria, ma anche di tristezza, per la separazione tra la ragazza e il suo amato. A questo gruppo appartengono le composizioni che hanno per tema la monaca che rinnega il convento, la donna sposata ma scontenta ( la malmaritata), la ragazza che desidera sposarsi..

Ancora, le canzoni pastorali con le loro varianti "las serranas"e "serranillas".


-sicuramente sono esistite anche canzoni dedicate alla BURLA O alla SATIRA.



La lirica tradizionale arriva ai canzonieri a metà del XV secolo, grazie all'opera soprattutto dei maestri di musica che adattano le canzoni alla polifonia. Uno degli esempi più famosi è il Cancionero musical de palacio. In seguito, il successo della polifonia insieme alle preoccupazioni degli umanisti per un'espressione artistica più pura o naturale, fecero sì che si copiassero villancicos in opere di teatro, canzonieri, trattati di musica o in pliegos sueltos .







LA TRADIZIONE EPICA ED IL «MESTER DE JUGLARÍA»

Nella Spagna mussulmana (sud della penisola), lo scarso o inesistente peso della tradizione latina fece sì che la LIRICA POPOLARE ROMANZA fosse assunta in sede letteraria. Progressivamente, anche al nord grave crisi della cultura latina, che non risparmiò nemmeno i pochi ambienti clericali che la conservavano, né, comunque, poteva esistere un pubblico adatto a recepire una produzione letteraria di intrattenimento in lingua latina o derivata da fonti latine.

Questo è il motivo per il quale la letteratura castigliana non inizia, come in Italia, con opere provenzali o provenienti da ambienti clericali. Al contrario, ogni forma di produzione letteraria è legata all'attività dei GIULLARI, umili professionisti che conservavano e sviluppavano, a seconda del proprio talento, un patrimonio tradizionale vario, divertendo un pubblico eterogeneo. Inoltre la produzione giullaresca, in mancanza di alternative letterarie, poté godere nella Penisola Iberica di una considerazione e un prestigio altrove negato o contestato da produzioni letterarie di altro livello.

Il repertorio potenziale di ogni giullare non era posseduto per intero da nessuno: il MESTER DE JUGLARìA si articolava in modo diverso, a seconda delle capacità e inclinazioni del giullare o delle circostanze di luogo e tempo in cui aveva luogo.

Esisteva una gerarchia tra giullari determinata dalla loro specializzazione e dal prestigio: ad alcuni della classe più alta, veniva addirittura riconosciuta una FUNZIONE EDUCATIVA.

Il re di Castiglia ALFONSO X, stabilì che durante i banchetti di cavalieri i giullari recitassero cantari di gesti per aumentare il coraggio del pubblico di soldati.

La tradizione dell'epica giullaresca è attestata direttamente dal XII secolo, manca da precisare se possa essere più antica e quale sia la sua esatta origine.

È necessario distinguerne FORME E CONTENUTI: l'epica giullaresca più antica ha avuto nei fatti storici una base almeno parziale (ad esempio, episodi della vita castigliana durante la Riconquista, dal primo conte di Castiglia al Cid). Naturalmente il dato storico appare sempre deformato da episodi fantastici o di matrice folcloristica, tuttavia queste composizioni testimoniano una certa aderenza alla realtà dei secoli immediatamente precedenti al cantare, perciò è stata formulata l'ipotesi di una CONTINUITA' NARRATIVA tra fatti e canzone epica nella forma a noi nota.

IPOTESI ORIGINE GOTA dell'epopea castigliana: se anche non si accetta ciò si può però ammettere presenza di motivi narrativi di origine germanica.


Si può inoltre notare un'assoluta preminenza della regione della Castiglia nella produzione epica: ragione, forse, nello sviluppo di una maggiore sensibilità per problematiche storiche ed etiche in un popolo che rapidamente acquista indipendenza creando una propria fisionomia, tanto da potersi mettere a capo del movimento di Riconquista; nell'affermarsi rapido del tipo linguistico castigliano, tanto che anche i testi più antichi da altre regioni presentano aspetti linguistici di base castigliana.

Se la BASE della LINGUA COMUNE è il castigliano ed esso ha resistito ai vari apporti dalle altre regioni, ciò è dovuto al fatto che i giullari crearono e diffusero una poesia epica nei secoli più antichi.

Il giullare esercitava una funzione informativa, ma anche indubbiamente, di dilettare e intrattenere il pubblico con narrazioni più o meno fedeli ai fatti storici Tale contaminazione doveva essere frequente e forse anche gradita dal pubblico.



LA TRADIZIONE DELL'EPICA CASTIGLIANA

Essa presuppone qualcosa di diverso da un progressivo incremento fantastico di vicende storiche: nasce quando si passa DA PROPOSITO INFORMATIVO A EDUCATIVO imponendo all'autore aderenza alle vicende storiche reali, non tanto nei singoli fatti quanto nella sostanza di fondo.

La CRONOLOGIA di ciò che conosciamo di questa produzione è problematica: il testo più antico è una versione del Cantar de los siete Infantes de Lara, forse di poco posteriore al Mille di cui è rimasta solo un'eco nella Estoria de España di Alfonso el Sabio. Sorprende la scarsità di testi epici castigliani conservati, ma ciò non è prova della loro inesistenza: si trovano leggende epiche nelle storiografie medievali già dalla fine del IX secolo.

Le cronache, redatte in latino dalla "Primera Crònica General" o "Estoria de Espana" dell'entourage di Alfonso X, incorpora leggende epiche come testimonianze storiche degne di credibilità: sono testi in prosa e in latino, ma solo quando la cronaca corrisp è scritta in castigliano , cioè a partire da Alfonso X si sono potute ricostruire parti del poema originale, vd Infantes de Lara e Cantar de Sancho II, le altre sono solo leggende e non poemi epici.

Menendez Pidal isola una lunga lista di temi epici, 13, a partire da quel testo: tuttavia ognuno di questi non è un cantar di gesta ma leggende e non tutte si ampliano fino a un poema.

La conservazione dei cantari di gesta nelle cronache grazie alla prolificazione è fatto importante: da una parte i ricopiatori delle cronache considerano testi storici quelli narrati dai giullari e danno loro stessa credibilità che le altre cronache in latino da cui attingono.

In accordo con i cantari di gesta conservati e con le notizie dalle cronache, si usa considerare  che la EPOPEA CASTIGLIANA è formata da TRE CICLI TEMATICI: quello dei CONTI DI CASTIGLIA, del CID e il CICLO FRANCESE.


Inoltre almeno dalla sec metà del XI secolo, circolava la leggenda dell'invasione della Spagna da parte di Carlo Magno e della morte di Rolando a Roncisvalle: ciò significa che l'epica castigliana fosse già in contatto con il più antico poema francese.

E' in questo punto che si situa anche il CANTAR DE MIO CID, composto verso il 1140 da un giullare. La datazione si basa non tanto su elementi linguistici, quanto su dati contenuti nei fatti narrati (accenno a re Alfonso VII come vivente, a lotte fra arabi in Marocco..)

Il poema si divide in TRE CANTARI di quasi uguale estensione:

si narra di come il Cid sia cacciato in esilio dal re Alfonso VI e che sopravviva guerreggiando contro i mori, vincendoli e conquistando Valencia, per poi scontrarsi col conte di Barcellona Raimondo Berengario.

Il racconto del poema corrisponde  in parte ad avvenimenti storici, ma risulta palese che l'interesse è scarso per le grandi imprese militari del Cid, così come per il suo ruolo storico e politico nella penisola. Sono preferiti gli aspetti privati della biografia di Ruy Dìaz: in quest'ambito la veridicità del poema è esemplare, al punto che personaggi trascurati dai cronisti o dagli storici (ad esempio, i compagni del Cid)sono molto noti al poeta e la loro esistenza reale è attestata.

Allo stesso tempo però, sono presenti errori grossolani a detta dei critici.

Menéndez Pidal ha proposto, per risolvere questa contraddizione, di distinguere fra un POEMA DI GORMAZ, composto poco dopo gli avvenimenti narrati e veridico, da un giullare di San Esteban de Gormaz, che scrisse il piano generale dell'opera;  una sua posteriore rielaborazione romanzesca, chiamata POEMA DI MEDINACELI . Tale ipotesi è stata, successivamente, giudicata troppo semplice dai critici: non si sa quale sia la preistoria del poema fino al testo del 1140, cioè quello a noi pervenuto.

Il poema del Cid è arrivato a noi grazie ad una copia realizzata nel XIV a partire da un manoscritto del 1207 elaborato da Per Abbat. Su questo dato sono state formulate diverse ipotesi La prima, definita individualista, riporta che Per Abbat sia il creatore geniale del "Poema". La seconda, neotradizionalista, che egli sia semplice scrivano del dettato di un giullare.

Nel primo caso, si supporrà che Per Abbat fosse un uomo colto, formatosi fuori di Spagna, con conoscenze profonde in vari ambiti e che ebbe accesso a documenti relativi a Rodrigo Diaz de Vivar, el Cid. Egli produsse l'opera a imitazione dei modelli letterari francesi (chanson de geste), individuando un  eroe di nazionalità castigliana.

Nel caso dell'ipotesi neotradizionalista, Per Abbat fu un paziente notaio che si limitò a porre per iscritto un poema già presente nella tradizione e conosciuto da tutti (in questo caso l'origine del testo da cercare molto prima del 1207).





IL DUECENTO



IL «MESTER DE CLERECÍA»

Dagli inizi del XIII alla fine del XIV nascono in Castiglia una serie di opere scritte in strofe di quattro versi, con rima consonante (tetrasticos monorrimos), di 14 sillabe con cesura nella settima, conosciuti con la denominazione di "CUADERNA VìA" (nome che compare nella seconda strofa del "Libre de Alexandre"). 

Queste opere della produzione giullaresca, oltre che per la struttura metrica, si distinguono anche per l'origine colta del materiale narrativo e per la maggiore qualificazione letteraria e coscienza degli autori: anche se anonimi, a parte Gonzalo de Berceo, rivelano tutti una formazione clericale, dimostrando di essere più consapevoli della loro responsabilità letteraria. La FORMA METRICA di questo gruppo di opere, circa trenta, si associa al verso alessandrino francese: quest'influsso di modi francesi è dovuto all'importante presenza di commercianti e monaci arrivati dalla Francia alla fine del XI.

L'ORIGINE di questo TIPO DI VERSO E STROFA si trovano nella poesia ritmica dei goliardi, composta in latino, con il quale mantiene la sua base colta.

Gli autori della "cuaderna vìa" in Castiglia formano un gruppo ben caratterizzato attorno ai sec XIII e XIV: il vincolo più significativo fra loro è la forma metrica usata che li distingue sia dai cantari di gesta che dalle forme più brevi ( ottosillabi, novenari.).

Altri tratti significativi è che sono scrittori colti, conoscitori del latino e che perciò hanno formazione superiore rispetto al resto dei loro contemporanei: è ovvio che solo i religiosi avessero tale grado di preparazione. Pertanto, si è chiamata "mester de clerecìa" (= mestiere del clero), l'attività letteraria che si esprime in cuaderna vìa. Questi autori dominano i ricorsi retorici e si considerano eredi di conoscenze trasmesse da altri attraverso le loro opere, sono perciò molto frequenti i riferimenti a testi scritti che servono da modello tanto che disprezzano tutto ciò che non si basa su un'autorità e di qui anche il disprezzo per le parole ingannevoli dei giullari.

Scrivono con chiara intenzione didattica e perché giungano a pubblico ampio utilizzano la lingua romanza e anche le tecniche dei giullari come l'intromissione dell'autore nell'opera, epiteti, digressioni burlesche..

I generi della cuaderna vìa sono molto numerosi, in virtù della gran libertà degli autori nel comporre: argomento STORICO, come il "Libro de Alexandre", "Historia troiana".; oppure vite di santi, opere di genere epico, didattico, edificante..



GONZALO DE BERCEO è l'unico di questo gruppo di autori di cui ci è dato conoscere l'identità: era un religioso, legato al monastero di San Millàn, ma non era un  monaco. Aveva buona formazione letteraria .

La lista delle sue opere si può stabilire a partire da manoscritti settecenteschi di due codici a loro volta copie dell'originale.

Dovette scrivere circa 12 opere che si è soliti riunire in tre gruppi a seconda del loro contenuto:

-vite di santi  (Santo Domingo de Silos, San Millàn.)

-argomento mariano (Milagros de Nuestra Señora..)

-dottrinali o liturgiche

-tre inni, traduzioni in castigliano dal latino


L'opera di maggior diffusione di Berceo sono i "Milagros de nuestra senora": la tradizione letteraria dei miracoli mariani si inscrive nella corrente del culto della Vergine Maria che si impose dopo la consacrazione di chiese e cattedrali a suo nome e l'influsso dei monaci cistercensi che spinsero il culto per tutto l'occidente a partire da XII secolo.

I "Milagros" di Berceo hanno alcuni obiettivi chiari: rendere culto alla vergine e intrattenere i pellegrini al monastero di San Millàn de Yuso.

L'introduzione allegorica pare essere sua o almeno non si sono trovati testi che possono essere serviti da fonti all'autore, tuttavia l'opera inizia con il topos del locus amoenus della letteratura medioevale. Il numero 25 (i miracoli) e il numero cinque secondo la numerologia cristiana, rappresentano la Vergine, sono gli stessi di una versione latina e nello stesso ordine, perciò l'opera originale di Berceo è da limitare alla introduzione e alla capacità narrativa.

LE ORIGINI DELLA PROSA

In Spagna come nel resto del mondo romanzo, le prime attestazioni di prosa in volgare sono costituite da documenti e statuti, importanti dal punto di vista linguistico, ma con uno scarso valore da quello letterario.

La prosa letteraria nasce in Spagna all'interno di un'intensa attività traduttoria, che ha come precedente la SCUOLA TRADUTTORI TOLEDANI.

Toledo è la prima città di al-Andalùs (=tutto il territorio spagnolo dominato da musulmani) a cadere in mani cristiane (1085).Dal sec XII la città iniziò ad attirare studiosi occidentali che attingono alla dottrina filosofica, teologica e scientifica di arabi ed ebrei: è grazie al loro lavoro che si recupera la filosofia aristotelica.

Tecnica singolare per le traduzioni: Avicenna riporta che si traduceva parola per parola dall'arabo in volgare romanzo e poi di qui in latino.

Scopo principale non l'ornato della frase, ma la precisione della traduzione: anche se grezzo e inelegante il volgare doveva adattarsi a pensieri filosofici e dunque il linguaggio qui conobbe ricchezza e maturità che altrove non ebbe.

Dunque, è in un ambiente che subisce solo a margine il peso della traduzione latina, tanto che il latino è visto solo come lingua per esportare i testi e non per l'uso interno

Al gruppo di traduttori di Toledo si potrebbe anche far risalire il più antico testo iberico in prosa, che non è una semplice traduzione: la "Fazienda de Ultra mar" certamente del XII, che porta in dedica il nome di un certo arcivescovo di Toledo: si tratta di una descrizione della Terra santa che usufruisce delle guide per i pellegrini e dei passi biblici anche in ebraico, per illustrare storia località citate

Inoltre uso sempre più ampio del volgare come lingua giuridica: anche se non si tratta di prosa letteraria, il diritto esige comunque espressioni chiare e ciò costituì un vantaggio per lo sviluppo del linguaggio e della prosa letteraria stessa.





ALFONSO X EL SABIO (1221,regno dal 1252-1284).

Figlio di Ferdinando III il re che aveva conquistato l'Andalusia: anche se ancora mancava Granata la lotta con i mori si arresta durante il regno di Alfonso per concentrarsi invece all'interno. La Castiglia cerca di imporsi, senza risultato, sulle altre regioni della penisola e anche contro la corona germanica.

L'attività del re come patrocinatore e coltivatore della scienza e delle lettere pare straordinaria, il suo nome compare su trattati scientifici,opere giuridiche liriche e narrative e cantiche religiose.

La sua partecipazione diretta alle opere col suo nome è stata oggetto di dibattito, ma ogni ipotesi si basa su alcune frasi messe in bocca allo stesso re nella "General Historia": si dice che il re ha fatto un libro non perché l'abbia scritto di suo pugno, ma perché raccoglie gli argomenti e li ordina e poi li scrive un altro per incarico suo.

Dunque bisogna considerare il nome Alfonso X come un'etichetta nella quale rientrano numerosi autori che lavorarono al suo servizio: il gruppo di collaboratori costituito da traduttori dal latino, dall'arabo, dall' ebraico, poeti e musici. Il lavoro Alfonsino si sviluppa dunque a partire dalla tradizione della scuola di traduttori toledana e ne subisce gli influssi almeno per la scelta degli argomenti e per l'uso della tecnica di traduzione anche se ora la stesura castigliana viene considerata il punto d'arrivo del lavoro. Inoltre a differenza della scuola toledana ora gli scopi sono pratici e non teorici (Aristotele viene ignorato), perciò i destinatari sono tutti interni alla cultura iberica.


Una parte di queste opere si sono conservate in codici di ottima qualità, copiati su pergamena, spesso decorate con ricche miniature   


Il CORPUS delle opere alfonsine si divide, nello specifico, in:

-oltre 400 poesie liriche in onore alla Vergine scritte in gallego;

-una monumentale compilazione legislativa, le Siete Partidas ed una giuridica, il Fuero Real;

-due compilazioni storiche la Estoria de España e la General Estoria

-una collezione di libri magici

-raccolta di trattati astronomici,fra cui le Tablas alfonsìes e astrologici

-un testo sul gioco degli scacchi


Libri astronomici, astrologici e magici.

Gran parte del loro successo è dovuto alla esattezza dei calcoli e all'impegno posto nella costruzione di strumenti maneggiabili, precisi.

I "Libros del saber de Astronomìa" costituiscono la collezione più importante di trattati astronomici in lingua romanza.

Si dividono in tre parti ben differenziate, riunite in epoche diverse tanto da avere avuto vita indipendente.

Soprattutto la seconda è interessante: è un manuale per la costruzione e l'utilizzazione di tredici strumenti diversi che in alcuni casi sono una novità nel campo dell'Astronomia anche se di dubbia utilità.

La terza è formata dalle "Taulas alfonsìes"forse cronologicamente anteriori al resto: sono tavole di calcolo astronomico che prendono come base le coordinate di Toledo e sono in generale il lavoro più importante prodotto alla corte del re, testimoniata dalle numerose versioni e adattamenti successivi anche se di esse rimangono solo l'introduzione e il "modo d'empleo" delle tavole.

L'attività astronomica e astrologica dei collaboratori di Alfonso X si sviluppa intorno a 30 anni, tra il 1250 e il 1279.


OPERA STORIOGRAFICA

La prima opera di questo genere di Alfonso X è la "Estoria de espana",iniziata verso il 1270: si avvale della scarsa tradizione storiografica spagnola in latino nel momento in cui ne rompe gli schemi e stile.

La sua base è il De Rebus Hispaniae di Rodrigo Jimenez de Rada (1243), più tutte le altre fonti reperibili, Svetonio Lucano, storici arabi e cantari di gesta.

Tutto il materiale raccolto è inserito in un unico ordine cronologico e fuso in una narrazione omogenea: non si voleva selezionare le notizie attraverso principi critici ma integrarne il maggior numero possibile in un racconto il più possibile esaustivo.

Ebbe larga influenza, da quest'opera partì una lunga tradizione di opere storiografiche che si riprendono l'una con l'altra, tanto che è stato difficile identificare il testo Alfonsino dai successivi.

Si è stabilito che originale è solo la prima parte, i primi 565 capitoli che trattano dell'Antichità e del dominio dei goti fino all'arrivo degli arabi. Pare che per questa parte l'intervento del re fu consistente:scelse i collaboratori e rivide lo stile e la lingua della redazione.

La seconda parte, invece, che arriva fino alla morte di Fernando III, fu terminata durante il regno di Sancho IV seguendo comunque la scrittura e il modello della parte precedente .

Il valore storico di quest'opera è modesto, le fonti usate ci sono note direttamente, ma è comunque lavoro importante sia per l'ampiezza che per la novità della prospettiva: poiché usate anche fonti letterarie non si occupa solo delle imprese dei re ma anche del mondo nobiliare e del modo di vivere in senso ampio.


Prima che quest'opera fosse portata a compimento, fu progettato un altro lavoro più ambizioso, una storia universale o "General Estoria", che andasse dalla creazione del mondo ai tempi del re. Non si sa quasi nulla sulla data d'inizio, si pensa che le prime 4 parti fossero già compiute alla data della morte del re 1284.

Gli autori presero a modello la trama dei "Canones crònicos" di Eusebio di Cesarea (San Jeronimo), con le modificazioni incluse da Sant'Agostino e dunque riprende la divisione della storia del mondo in sei età distinte.


























IL TRECENTO


PRIMI ESEMPI DI ROMANZO

Fra la fine del 200 e inizio 300, continua la produzione di operette moralistiche e didattiche.

Dunque l'ultima parte del 200 presenta già tratti letterari ben definiti:le traduzione della Bibbia o di testi orientali, testi scientifici e le cronache si scrivono in prosa; il verso rimane per il resto della produzione, cantares de gesta, letteratura d'intrattenimento, opere del mester de clerecìa.

Questo panorama ben definito si altera a partire dallo stesso XIII secolo con la comparsa di racconti in prosa sopra i più svariati temi: argomenti fino a poco prima trattati in versi vengono scritti in prosa forse cercando una vicinanza alla storiografia e dunque forse una maggiore credibilità.

Il mester de clerecìa contiunua ad avere successo, solo gli autori iniziano ad impiegare diverse combinazioni metriche in una stessa opera.

In questo contesto si sviluppa un genere nuovo, la NOVELLA, e appaiono i PRIMI ROMANCES.


Significative sono prima di tutto, due grandi opere che aprono la strada allo sviluppo della narrativa in prosa e del romanzo cavalleresco.

La più antica sembra essere la "Gran Conquista de Ultramar", difficilmente databile: è una vastissima compilazione di materiale di provenienza francese. Il nucleo principale è costituito dalla storia delle crociate di Guglielmo di Tiro, alla quale sono aggiunte narrazioni derivanti dalle "chansons de geste" del ciclo delle crociate.

Più successo hanno avuto le versioni dei testi sulla guerra di Troia: 1270 un anonimo traduce il Roman de Troie del XII secolo o ancora molte versioni della diffusa "Historia troiana" latina.


Il primo romanzo originale del 300 è però il "Libro del Cavallero Zifar". Ha una struttura singolare: la prima parte segue la traccia dei cosiddetti romanzi bizantini e in essa le avventure sono guidate dal caso più che dalla abilità cavalleresca; la seconda rientra nella tradizione didattica con fusione di sentenze ed exempla e loro inserimento in cornice narrativa con un debole filodialogico; la terza ha deciso carattere cavalleresco e sfrutta il romanzo bretone e motivi folcloristici.

Probabilmente scritto da un chierico toledano è un testo approssimativo ed incoerente, ma significativo perché in esso si opera una sintesi di materiale narrativo orientale e occidentale aneddotico e romanzesco, mentre il modo in cui tutto questo materiale è tenuto insieme appare tipicamente iberico nella rinuncia a selezione di toni e stili di preferenza in favore di integralismo narrativo.






GLI INIZI DEL ROMANCERO.


Mentre va scomparendo l'epica e parallelamente, con la nascita di altri generi narrativi, compaiono i primi romances. Da un punto di vista linguistico il termine romance possiede una grande polisemia in castigliano: può indicare la lingua derivata dal latino, termine usato nel Medioevo per denominare le narrazioni fantastiche in verso o prosa e le composizioni lirico-narrative in ottosillabi.

Col tempo il termine è appunto passato ad indicare solamente queste ultime, cioè poemi narrativi, di estensione variabile ( ma in generale brevi) di carattere epico-lirico, composti in versi monorimi assonanti di 18 sillabe, divisi in due emistichi ( ciò porta alla pubblicazione dei rom come se si trattassero di versi ottosillabi con rima nei versi pari e liberi i dispari)

Presentano una gran semplicità nei ricorsi espressivi e nella loro brevità e frammentarismo finale sono di gran concisione e drammaticità, senza digressioni di alcun tipo.

E' evidente il parallelismo formale e spesso anche di contenuto del Romancero con  l'epica castigliana: secondo Menendez Pidal con l'ampliamento del pubblico dell'epopea, iniziarono ad essere inseriti elementi che fossero graditi ad un pubblico più eterogeneo; questo pubblico si entusiasmò poi, per parti determinate del cantare, in modo da indurre il giullare a ripeterle sempre. L'uditorio finiva, quindi, per imparare questi pezzi, che si sedimentano nella memoria popolare.

Si tratta dunque di una selezione che si può considerare naturale:in alcuni casi il giullare può ritoccare i frammenti o rielaborarli per dargli maggior drammatismo o per sua migliore comprensione.

I romances più antichi sono databili grazie a notizie interne al testo. I più antichi risalgono al XIV secolo e sono di carattere informativo: alludono alla morte di Ferdinando IV (1312) o ad avvenimenti durante regno di Alfonso XI (1328). Tuttavia questi romances furono raccolti più tardi, soprattutto nel XVI secolo, cioè circa 150 anni dopo i fatti narrati.

Dei romances più antichi però nessuno ha carattere epico, fatto che ha reso dubbia la parentela con l'epica: bisogna aspettare fino al 1465-70 per incontrare il primo romance epico.




























IL QUATTROCENTO:L'ETA' DI JUAN II E DI ENRIQUE IV



UMANESIMO E TRADIZIONE MEDIEVALE

L'influenza della cultura araba e ebraica va indebolendosi, soprattutto per un crescente antagonismo con gli ambienti cristiani, anche se in realtà è grazie al livello intellettuale di alcuni "conversos" (ebrei convertiti) che la cultura spagnola produce effetti rilevanti.

Elemento del tutto nuovo a questo secolo è l'eco del'Umanesimo italiano, che acquista in Spagna caratteri specifici. Non si era mai avuta una intensa attività dei traduttori come in Italia che lì permise la diffusione dei classici all'interno di cerchia di lettori laici: le traduzioni alfonsine di testi classici avevano avuto il solo scopo di rientrare come fonti nelle compilazioni storiografiche.


In generale il secolo XV si caratterizza per la fioritura della poesia dei canzonieri, per lo sviluppo dei testi di cavalleria e la nascita di altre forme narrative, come ad esempio, le finzioni sentimentali: sono tre espressioni di uno stesso fatto, la risposta dell'aristocrazia alla crisi dei valori che l'avevano sostenuta nei secoli precedenti. Un gran numero di nobili non ha responsabilità politiche o militari e dunque guarda con nostalgia l'età d'oro della cavalleria: nasce così l'imitazione della poesia feudale.

L'influsso aragonese, soprattutto della corte di Barcellona è fondamentale per comprendere l'evoluzione della letteratura in Castiglia: le relazioni tra le due corti facilitarono l'arrivo di nobili castigliani alla corte aragonese e poi a Napoli da Alfonso V, entrando così in contatto con le novità letterarie italiane.

Non tutti i nobili, però, coltivavano questa passione per le lettere, con grande scandalo degli umanisti italiani che pensano che la Spagna sia un paese di barbari. L'interesse per la nuova cultura, la volontà di incarnare il topos del nobile atto al culto delle lettere e delle armi è dunque ristretto ad un limitato numero di individui.








LA POESIA AGLI INIZI DEL REGNO DI JUAN II (regna dal 1406-1454)


E' un periodo cruciale per storia politica e culturale della Spagna.

I poeti dei primi decenni del 400, la cui parabola creativa scende verso il 1430, sono esempi tipici: il loro numero è sempre più consistente e loro provenienza diversa, alcuni sono di corte, altri sono nobili o religiosi. Ciò comporta anche un pubblico nuovo, non più nuclei di corte che preferivano il genere satirico, vicino ai gusti del popolo o circolo selezionato di dotti, ma pubblico composito dotati anche di cultura approssimativa ma con esperienze fatte anche fuori di Spagna e dunque interessati a qualcosa di diverso dalla tematica amorosa.

I TEMI di questa produzione sono di conseguenza, piuttosto nuovi: sono frequenti le poesie d'occasione, sorta di cronaca poetica dei momenti cruciali della storia castigliana a loro contemporanea, che spesso composte in scambi di componimenti fra più rimatori.

I poeti sono di levatura modesta, ma ambiscono a produrre testi di tematica grave e severa: sono di moda i "DECIRES", che trattano della Trinità, del libero arbitrio della morte.

Significativo è che questi poeti cerchino di elaborare un diverso ideale di poesia, sostituendo all'evasione ed al gioco amoroso dei lirici prec un certo impegno culturale.

Sul TERRENO FORMALE altrettante novità: non si rinnega la scuola gallego-portoghese ma si preferiscono comunque altri schemi, come i versos de arte mayor, divenuti il metro usuale sia dei decires che della narrativa in versi. Il verso è carico di allusioni erudite, la retorica fa capo alla scolastica e spesso alla logica.

Rilevante è l'INFLUSSO DANTESCO grazie alla mediazione di Francisco Imperial genovese trasferitosi a Siviglia alla fine 300. La poesia dantesca è per gli spagnoli un modello di poesia dottrinale come era per gli italiani e come illustrata dai commentatori, assunto come esempio per le costruzioni allegoriche .



IL MARCHESE DI SANTILLANA

Don Iñigo Lòpez de Mendoza (1398-1458): combattè contro i mori per il re Juan II e grazie a questo gli fu consegnato il marchesato di Santillana. Fu una delle figure principali di questo periodo ed uno di quei pochi nobili che si distinsero per il culto delle lettere: egli stesso in un suo scritto difende la compatibilità tra armi e lettere, tanto che ai suoi contemporanei e ai posteri sembrò l'incarnazione perfetta di tale ideale.

La sua sensibilità per la cultura fu eredità della sua famiglia e venne sviluppata poi grazie alla sua formazione avvenuta alla corte Barcellona, dove conobbe la poesia italiana: tentò di imitare il sonetto e fece tradurre i principali commentari alla Commedia, alla quale è legata una delle sue opere la Comedieta de Ponza.

Costruì una notevole biblioteca nel suo palazzo di Guadalajara, nella quale furono raccolti i libri più letti dalla nobiltà del suo tempo ed anche altri, che arrivarono per la prima volta in Spagna, dalla Francia e, soprattutto, dall'Italia (il Marchese stesso ordinò di comprarli e di tradurli). A lui si devono, inoltre, le versioni dell'Iliade, Fedone, Eneide.


OPERE

Nel Prohemio e carta al condestable don Pedro de Portugal (1445) ci dà alcuni tratti delle sue concezioni estetiche: sostiene che l'importante in poesia è il contenuto, che deve essere utile e la forma deve essere bella ed esatta nel computo sillabico, anche se in realtà sembra più che si fermi agli aspetti formali senza elaborare sufficientemente il contenuto. In questo stesso testo scrive anche un breve abbozzo di storia letteraria della Castiglia, in cui include maggiori personalità ed opere oltre alla poesia popolare.

La produzione è molto vasta e mostra il confluire delle tradizioni culturali più vive del tempo.

Le composizioni giovanili sono di carattere canzonerile e la varietà metrica rivela ricerca di vie espressive: è una poesia leggera nella quale l'amore, la lode e la separazione dalla dama sono temi abituali. Di questo periodo (1429-1440) fanno parte le 8 SERRANILLAS: come è d'uso in questo genere, il poeta presenta un suo incontro con una giovane montanara, sempre in luoghi perfettamente identificabili, in modo che chi ascolta possa situare l'azione correttamente, in uno spazio.

Si dedicò anche a un altro tipo di composizione, di carattere più serio, i DECIRES NARRATIVOS (sono precedenti al 1437), che si legano, quanto alla tecnica usata, ad autori come Dante o Petrarca. Ogni personaggio o oggetto rappresentato è allegoria di qualcos'altro di concreto o astratto, come la Fortuna, non mancano dei ed eroi dell'antichità che riesce ad inserire nel testo grazie all'artificio del sogno (Querella de amor, L'Infierno de los Enamorados..).

All'inizio del 1436 mette mano ad un progetto impegnativo, la Comedieta de Ponça (120 ottave de arte mayor) che prende spunto da fatto storico contemporaneo, la sconfitta navale di Alfonso V d'Aragona a Ponza (1435). Riprende già nel titolo il titolo dantesco anche se con diminutivo obbedendo al genere poiché inizia con casi dolorosi per finire lietamente. L'autore va oltre il fatto politico contingente, per meditare sul destino dell'uomo e sui casi della fortuna.



JUAN DE MENA (Cordoba1411-1456)

E' chiaro esempio di una nuova classe emergente: di origine modesta, studi a Salamanca e fu in Italia, per poi essere introdotto alla corte di Juan II dove fu nominato cronista e segretario di lettere latine. Anche per i contemporanei fu l'incarnazione dell'intellettuale puro, che ha poche entrate ma è dimentico di ogni cura mondana. Di lui il Marchese di Santillana tesse un elogio in versi che furono ricambiati da Juan de Mena.

OPERE come membro di corte compose canzoni amorose e decires che ottennero importante diffusione tanto da comparire in numerosi Canzonieri. Maggior fama ottenne con le sue opere più lunghe, come la Coronaciòn del Marquès de Santillana (1438), nel quale celebra il successo di questo in una campagna militare contro i mori: è un'opera allegorica che va dalla miseria del mondo alla esaltazione del protagonista su una base che ha come lontano punto di partenza la Commedia.

Lo stesso schema narrativo utilizzato anche nella sua OPERA PRINCIPALE Labirinto de Fortuna o Trescientas ( circa 1444) dedicata al re e nel quale poeta narra vizi e virtù dei forti di tutti i tempi, degli scontri tra fortuna e Provvidenza e descrizione della casa della fortuna estesa per i 7 circoli planetari dove risiedono diverse categorie di personaggi o individui reali, in cima a tutti sta il re.

E' un poema morale e politico nel quale il verso la lingua e lo stile, trovano elevata espressione in accordo al contenuto: con l'uso della forma del verso in arte mayor , il quale presenta una marcata distribuzione dell'accento, impone una nuova estetica, per la quale il ritmo sta sopra ogni altro aspetto lessico o sintattico, perciò è costretto a inventare neologismi o arcaismi.   






L'ETA' DEI RE CATTOLICI


Caratteri generali

Le storie della letteratura sono solite includere nel periodo medievale anche il regno di Fernando e Isabella facendo dunque coincidere la fine di un'epoca letteraria con la fine del XV secolo.  Secondo l'autore non pare plausibile perché l'età dei re cattolici è segnata in molte parti da profonde novità rispetto agli anni precedenti.

Prima di tutto, le novità sono in AMBITO POLITICO: per la politica interna importante unione tra casato di Castiglia e quello d'Aragona, instaurazione di regime autoritario, tendenza alla omogeneità religiosa in seguito all'espulsione degli israeliti e dei moriscos (1492); per la politica estera fine della Riconquista con la caduta di Granata, scoperta dell'America e proiezione della Spagna nel panorama europeo.

Perciò sembra più lecito non spezzare la continuità del discorso storico tra il regno dei re cattolici e quello del nipote Carlo V e separarlo invece tra i primi e loro predecessore Enrique IV.

In CAMPO LETTERARIO una serie di indizi attestano una certa innovazione, anche se è un passaggio più complesso e lento.

La LIRICA CORTESE vive sì ancora nella riproposizione di forme tradizionali ma si hanno comunque due novità rilevanti: l'affermarsi in ambienti colti di un gusto per temi e toni popolari e il fiorire di poesia religiosa.

Contemporaneamente inizia il TEATRO, inesistente prima, grazie ad esempio, a Gil Vicente. A margine della produzione destinata alla scena si colloca la Celestina che eredita dalla tradizione medioevale, ma comunque, originale per alcune sfumature rinascimentali.

Nemmeno sono interamente medievali, per la NARRATIVA, la tradiz del romanzo sentimentale e dei libri di cavalleria.




La NUOVA FILOLOGIA UMANISTICA

Come esempio del rinnovamento radicale della cultura sotto i re cattolici si può prendere la figura del Sivigliano DON ALFONSO DE PALENCIA (1423-1490), uno dei primi a compiere intera formazione in Italia: conosce il greco e viene nominato cronista di corte dopo Juan de Mena. Scrive in latino le Gesta hispaniensa.


Ancora più significativa, è la maturità filologica raggiunta da ANTONIO DE NEBRIJA (1442-1522). Studiò a Salamanca ma sua formazione umanista grazie agli studi durati 10 anni a Bologna. La sua carriera si svolge quasi interam in ambito universitario che è cosa nuova e prova la possibilità del nuovo umanesimo spagnolo di integrarsi negli organismi accademici.

Egli attribuisce un grande peso al problema linguistico: riforma l'insegnamento del latino scrivendo le Introductiones latinae, in forma di versi, ma con intenti  pedagogici per restaurare un latino più vicino a quello classico.

Trasferisce inoltre il procedimento filologico dalle lingue classiche al volgare romanzo: nel 1492 pubblica un vocabolario latino/spagnolo e la prima Gramatica castellana che afferma esplicitamente la dignità della lingua posta sullo stesso piano di quelle classiche.



JIMENEZ DE CISNEROS (1456-1517) frate francescano che dal 1492 fu confessore di Isabel e grazie a ciò potè con successo governare la vita religiosa della Castiglia per poi divenire arcivescovo di Toledo e cardinale. La riforma culturale e religiosa si intersecano: fonda l'Università di Alcalà de Henares, nata soprattuto per un progetto che ha come fine l'addestramento di teologi che conoscano le lingue antiche, ma anche Aristotele e Tommaso, Duns Scoto  e uguale rilievo hanno grammatica e retorica così come greco ed ebraico.

L'umanesimo trova dunque la sua sede non a corte, ma in una università che è un altro fatto nuovo.





LA NASCITA DEL TEATRO MODERNO: LA CELESTINA.


Prima di tutto si deve stabilire se si tratta di una novella in prosa o se è veramente un'opera teatrale: è certo che in alcuni momenti si può pensare che l'autore sta parodiando il romanzo sentimentale come il Carcel de amor di Diego de San Pedro e per questo ha usato un registro di maggiore realismo di fronte all'idealismo tipico delle narrazioni sentimentali. Tuttavia il fatto che tutta l'opera sia costruita sul dialogo tra i personaggi, che il tema sia centrato su alcune relazioni d'amore illecite e che l'azione si limiti ad un breve periodo di tempo, situano l'opera sulla scia della commedia umanistica, che spesso era letta a voce alta e non si rappresentava.

Il testo ci è giunto in due versioni differenti attribuite a FERNANDO DE ROJAS (1470-1541): la prima delle due chiamata Comedia de Calisto y Melibea, pubblicata nel 1499, formata da 17 atti e manca del nome dell'autore, in più mancano pagine iniziali dell'unica copia. Dovette avere un successo immediato, perché non tardarono ad apparire le riedizioni nelle quali compare il nome di Fernando de Rojas.

Nel 1502, nuove edizioni col titolo di Tragicommedia de Calisto y Melibea: nel prologo, l'autore racconta di essersi sentito obbligato per compiacere suo pubblico ad apportare modificazione al primo testo (5 nuovi atti) e di introdurre un tono didattico e moralizzante.

Il risultato è che le relazioni amorose tra Calisto e Melibea, facilitate dall'intervento della vecchia Celestina, servono da asse centrale per articolare gli amori tra i servi di Callisto e le protette di Celestina.

L'opera è in gran parte una storia di donne, che ha luogo all'interno delle case o nel giardino, spazi che sono tipicamente femminili, e che presenta protagoniste femminili: la vecchia mezzana, motore dell'intera opera, Elicia e Areùsa che provocheranno la morte di Calisto e infine la perdente, Melibea vittima di tutti gli altri che alla fine si suicida.

L'impostazione generale si appoggia su vari pilastri: Terenzio e le commedie a lui ispirate, che conobbero una certa fortuna alla fine del Medioevo, specialmente nell'ambiente universitario; ma anche gli ideali dell'amore cortese ritornano. La figura stessa di Calisto, risponde alle caratteristiche dell'innamorato che venera la sua dama fino al punto di distinguere con difficoltà tra passione d'amore e fede religiosa. In realtà quello che all'inizio sembra una confessione religiosa più che amore, diviene man mano invito alla lussuria, quindi l'amore cortese rimane alla fine lontano.

Gli autori che sono serviti da modello ideologico o letterario a Fernando sono molti e rivelano la formazione intellettuale dello scrittore (frequentò l'Università di Salamanca).

Mano a mano che si procede nella lettura, il testo sembra un'opera di straordinaria erudizione: pertanto non stupisce che si rintracci l'orma di Petrarca, anche nei momenti più imprevedibili. I personaggi parlano a volte con le parole del poeta, il che suona strano, perché ciò annulla la distanza che separa l'estrazione sociale di alcuni di loro e le profonde conoscenze letterarie che manifestano.

Il filo conduttore dell'intera opera nasce da una massima di Eraclito, usata dallo stesso Petrarca, con la quale si apre il prologo alla Celestina. Tutta l'azione, infatti, è un continuo scontro degli uni con gli altri con in sottofondo il motivo dell'avversa fortuna.


La Celestina è dunque frutto della fine 400 e come tale conserva ancora molti aspetti medievali (il didatticismo dell'opera o l'abbondanza di soliloqui), ma, sopra questi aspetti, si pone l'abilità dell'autore nel costruire i dialoghi, che cambiano registro a seconda di chi sia l'interlocutore, abbandonando dunque la norma retorica che obbligava ciascuno a parlare secondo il proprio stato sociale. Perciò si può dire che con questo si sancisce la fine del Medioevo letterario e s'inizia un'epoca nuova.




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