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FRANCISCO DE QUEVEDO - LA CUNA Y LA SEPOLTURA

letteratura spagnola



FRANCISCO DE QUEVEDO


Francisco de Quevedo nacque a Madrid nel 1580. Nel corso della sua esistenza visse una sorta di rivalità con il poeta a lui contemporaneo Gongora. Ebbe ambizioni politiche e, dal 1613 al 1620, stette in Italia, più precisamente a Napoli, per volere del duce di Osuna.

La sua opera, che è considerata il culmine dell'"agudeza" barocca, ha carattere più filosofico che edonistico (come fu invece la poesia di Gongora). Egli si propone uno scopo morale e le sue composizioni riflettono il disinganno con cui affrontava la vita: secondo la concezione dell'autore, infatti, l'esistenza umana non è altro che una corsa verso la morte, l'uomo nasce morendo e non c'è nulla al mondo che non sia soggetto a questo destino.

La sua produzione poetica è molto vasta, e abbraccia diversi e contrastanti generi letterari:

POESIA FILOSOFICA E MORALE: in questa sezione si concentrano i grandi temi del Barocco: la brvità e l'inconsistenza della vita,l la fugacità del tempo, l'onnipresenza della morte. Quevedo esprime con ineguagliabile intensità la sua angusta visione del vivere, a volte alleviata dalla dottrina cristiana o stoica.



POESIA AMOROSA: nonostante fosse un frate Trappista (ordine religioso i cui membri usavano salutarsi con l'espressione "Fratello, ricordati che dobbiamo morire") scrisse poesie amorose nelle quali sviluppò il tema dell'amore come anima del monto e vincitore sulla morte.

POESIA SATIRICA O BURLESCA: dal suo disinganno nascono anche le sue burle, i suoi componimenti scherzosi, ricchi di immagini efficaci.

ROMANZO PICARESCO: scrisse un romanzo picaresco La Vida del Buscón. Il termine buscón, intraducibile in italiano, indica un pitocco, 929g63j una persona miserabile che vive di elemosina. In questo aspetto il romanzo di Quevedo si differenzia dalla tradizionale produzione picaresca poiché i protagonisti di questo genere di romanzo usavano solitamente cercare di guadagnarsi di che vivere.

OPERE SATIRICHE: tra la produzione satirica in prosa si distingue l'opera Los Sueños, composta da cinque opere più brevi, tra cui El mundo por dentro, nelle quali, attraverso invenzioni fantastiche, l'autore offre un panorama dei vizi umani.

OPERE ASCETICHE: tra cui La cuna e la sepoltura sulla brevità della vita .

Tanto nella prosa che nei versi, Quevedo è un virtuoso della lingua. Mentre Gongora nella sua poesia sovrappone e paragona immagini, colori, nella poesia di Quevedo sono i concetti che si rincorrono e si sovrappongono tra di loro. Egli è la massima espressione del concettismo e le sue opere sono caratterizzata dalla forte e costante presenza di giochi di parole, comparazioni inusuali, antitesi e contrasti, paradossi.


LA CUNA Y LA SEPOLTURA


All'inizio dell'opera "La cuna e la sepoltura" troviamo queste righe che sono particolarmente esplicative sia del pensiero di Quevedo che, più in generale, della mentalità barocca:


"La culla e la sepoltura sono il principio della vita e la fine della stessa. Dato che, al giudizio di chi non ha giudizio, le due sono tra di loro molto distanti, la vista disingannata non solo le vede vicine, ma perfino unite, che si inglobano l'una con l'altra: perché è vero che la culla inizia a essere sepoltura, e la sepoltura è la culla di un'altra vita (ultraterrena). Inizia l'uomo a nascere e a morie, per questo, quando muore, finisce allo stesso tempo di vivere e di morire."


QUEJA POR LA VEJEZ Y POR LA MUERTE (Lamento per la vecchiaia e per la morte)


Tema ossessivo dell'opera di Quevedo fu l'amarezza per la fugacità del tempo e per il rapido approssimarsi della morte.


Voi della vita! Nessuno mi risponde

Tempo passato che ho vissuto!

La sorte avversa ha morso il mio tempo

La mia pazzia nasconde le mie ore.


Il verso iniziale di questa prima quartina "¡ Ah de la vida!" riprende l'espressione tipica "¡ Ah de la casa!" che si usa solitamente quando ci si accinge ad entrare in una casa, per rivolgersi alla vita. Il secondo verso, invece, inizia con l'espressione "¡ Aquí fr los antaños." he richiama l'espressione "¡Aquí de la justicia!" , la quale veniva usata ogni qual volta voleva i si richiamasse alla giustizia. Il poeta chiede che lo assistano i tempi passati che ha vissuto. L'ultimo verso invece sta a significare che le pazzie commesse gli hanno fatto perdere del tempo prezioso e lo hanno reso privo di ricordi, non memorabile.


Che senza sapere né come né dove

La salute e l'età sono fuggite!

Scema (manca) la vita,assiste ciò che ho vissuto

E non c'è disgrazia che non mi accerchi.


Ieri è andato; Domani non è arrivato

Oggi se ne sta andando senza fermarsi

Sono un fu, un sarà e un Sono (essere) stanco.


Mettendo insieme l'Oggi il Domani e lo Ieri

Fasce e sudario, e ho lasciato

Il presente di un uomo vicino alla morte.



La vita del poeta si compendia nell'Oggi, nello Ieri e nel Domani (e le tre rispettive forme verbali), nell'unione della

nascita con la morte. All'uomo già morto non resta che il ricordo.



AMOR MÁS PODEROSO QUE LA MUERTE


Questo è il sonetto più bello e triste della produzione amorosa spagnola. Lo schema metrico delle quartine è ABBA, mentre la sirima è rimata secondo lo schema ABA BAB. In esso è evidente il superamento del nulla gongoriano, poiché esiste qualcosa che sopravvive alla morte. Tale stadio della vita non è mai nominato direttamente.


Potrà chiudere i miei occhi l'ultima

Ombra che mi toglierà il giorno bianco

e l'ora finale potrà slegare l'anima dal corpo,

mostrandosi così lusinghiera con la mia anima.


L'ultima ora, la morte, libererà l'anima del poeta dal corpo e sarà lusinghiera, perché lo libererà dall'affanno ansioso dell'amore.


Però, passata dall'altra parte, sull'altra riva del fiume

Non lascerà la memoria, per cui ardeva

L'anima mia saprà nuotare nell'acqua fresca,

e perderà il rispetto per la legge severa.


La legge a cui si riferisce il poeta è quella che impedisce il ritorno dell'anima dopo la morte (la resurrezione). Tuttavia la sua anima, ardente d'amore, non terrà conto di questa dura legge e attraverserà nuovamente il fiume Lete, in cerca del suo corpo.


Anima, incarcerata dal dio dell'Amore

Vene, a cui il sangue ha dato tanto fuoco,

midolli, che hanno ardentemente bruciato,


il suo corpo lascerà, non il suo dolore,

diventeranno cenere, ma sentiranno ancora la passione;

saranno polvere, ma polvere innamorata.


Il corpo è espresso attraverso una serie di metonimie.






UN SONETO BURLESCO


Il seguente sonetto mostra la maestria e la grandezza dell'umorismo di Quevedo ed è apice del conceptismo. Si prende un gioco di un gran naso e del suo possessore.



C'era un uomo attaccato ad un naso

C'era un naso superlativo,

c'era un naso ebreo e scrittore,


Popolarmente si attribuisce agli ebrei la caratteristica di possedere un naso grande ma in questo passo l'autore fa anche riferimento ad un largo mantello che erano soliti indossare. Per cui parafrasando sarebbe " un naso grande come un mantello e curvo come la schiena di uno scrivano."


C'era un pesce spada molto peloso


La parola "peje" sta sia per pesce che per cattivo soggetto; il naso era, dunque, simile al naso di un pesce spada con molti peli sulla punta e il suo possessore era un cattivo soggetto con una folta barba.


C' era l'asta (lo gnomone) di una meridiana senza sole

C'era un alambicco pensoso,

c'era un elefante con la proboscide all'insù,

era un Ovidio Nasone ancora più nasone.


Ovidio Nasone era uno scrittore romano discendente dalla famiglia dei Nasoni, chiamato così a causa del suo grnade naso.


C'era il rostro di una galera,

c'era un piramide dell'Egitto,

era il naso delle dodici tribù d'Israele;


C'era un nasissimo senza fine,

tantissimo naso, naso prominente

che non poteva stare nel viso di Anas.


Anas era in mone di un ebreo descritto nel Vangelo, responsabile della passione di Cristo; l'autore interpreta il nome come se significasse "senza naso" (come se la A iniziale fosse un'alfa privativa).


EL BÚSCON


Quando aveva circa 23 anni, Quevedo scrisse il suo unico romanzo, intitolato La Vida del Búscon, chiamato Pablos. Esso appartiene al genere picaresco, e per tanto il picaro racconta la sua vita in prima persona da quando nacque a Segovia.  

Un brano giustamente famoso de El Búscon è il ritratto di Don Cabra, al cui collegio studia Diego Coronel e con lui il suo criado Pablos. È un esempio ammirabile di iperbole barocca, con numerose comparazioni concettiste. La descrizione fisica del personaggi implica più volte i suoi connotati caratteriali.


Era il clerico cerbottana (astuccio secco e lungo in cui si conservavano le frecce), lungo, solo nella figura, una testa piccola, capelli rosi (non ho niente da aggiungere per chi conosce il proverbio), gli occhi collocati nella parte posteriore della testa, che sembrava guardasse da dentro una caverna, tanto profondi e scuri che potevano essere un buon posto per le botteghe dei mercanti; il naso, tra Roma e Francia,


Il riferimento allo spazio tra Roma e Francia non solo indica la larghezza del naso, ma la parola roma va intesa anche nel significato di naso molto schiacciato o di uomo privo del naso. Tale erosione del naso era frequentemente causata da malattie come la lebbra o la sifilide (come testimonia anche il romanzo La losana Andalusa), per questo nelle frasi successive, l'autore ci tiene a specificare che questa deformazione del naso non era causata da una malattia ( e quindi dal vizio, dato che la sifilide veniva trasmessa anche sessualmente) poiché il curato era molto avaro.


perché se lo erano mangiato escrescenze e raffreddori, che non erano di vizio perché costa denaro; la barba scolorita dalla paura della bocca vicina, che, affamata, sembrava minacciare di mangiarsela; i denti, gliene mancavano non so quanti, e penso che fossero stati mandati via perché erano fannulloni e vagabondi; il collo lungo come quello di uno struzzo; con un pomo così sporgente, che sembrava volesse uscire in cerca di cibo forzata dalla necessità, le braccia magre, le mani ciascuna come un fascetto di spighe. Il suo andare era molto pausato; se si agitava un po', gli suonavano le ossa come le Tavolette di san Lazaro.


Nel 500 era molto diffusa la lebbra e la maggior parte dei malati, debilitati dalla malattia, non potevano certo lavorare. Per questo motivo essi girovagavano in cerca di elemosina ma, poiché la gente temeva il contagio e non voleva essere avvicinata, segnalavano la loro presenza battendo tra di loro due tavolette; le persone avevano così il tempo di allontanarsi ed erano solite lasciare cibo o soldi per i malati. Tale passo ricorda i monatti descritti dal Manzoni ne I Promessi Sposi.


La parola tubercolosa ( cioè il parlare flebile); la barba grande, che mai tagliava per non spendere; e lui diceva che non lo faceva perché gli faceva schifo vedere le mani del barbiere sul suo viso, e avrebbe preferito farsi uccidere piuttosto le permetterlo; i capelli glieli tagliava uno di noi ragazzi. Portava un berretto nei giorni di sole, bucherellato da mille buchi e guarnizioni di grasso; era stato un panno, con i fondi sciupati. La sottana, come dicevano alcuni era miracolosa, perché non si sapeva di che colore fosse. Alcuni, vedendola così spelacchiata, la ritenevano fatta di pelle di rana; altri dicevano che era un'illusione; da vicino sembrava nera, e da lontano azzurra. La portava senza cintura; non portava né collo né polsini. Sembrava, con i capelli lunghi e la sottana misera e corte, il servi torello della morte. Ogni scarpa poteva essere la tomba di un filisteo.


I filistei erano un popolo nemico degli israeliti che viveva nel nord dell'Egitto; erano uomini smisuratamente grandi.


La sua stanza da letto, non aveva neanche le ragnatele. Congiurava contro i topi sperando che non gli mangiassero alcuni pezzi di pale che conservava. Aveva il letto sul pavimento, e dormiva sempre dallo stesso lato per non guastare le lenzuola. Concludendo, era l'arcipovero e il proto miseria (cioè il primo nella miseria).


EL MUNDO POR DENTRO


Nei testi letti finora abbiamo potuto avvertire lo humor acido di Quevedo, che manifesta un'attitudine ostile per le cose umane. Peò in essi lo humor, il gioco, sembra predominare. In molto altre opere, come ne Los Sueños (a cui appartiene El mundo por dentro) l'umorismo cede il passo al pessimismo, all'amarezza e al disinganno.

UNA MUJER HERMOSA Y EL DESENGAÑO. È il disinganno che accompagna Quevedo nella via più grande del mondo, perché la conosca meglio. La strada dell'Ipocrisia. In questa molte cose che ci sembrano sincere - il dolore di una vedova, la diligenza di un agente della giustizia, la grandeza di un cavaliere - sono pura finzione. Incluso la bellezza di una donna bellissima. Di fronte all'esaltazione rinascimentale della bellezza femminile, il grande disinganno dell'epoca barocca vede solo la falsità e l'inganno. Ecco un esempio di ciò che il Disinganno dice a Quevedo che ha elogiato la bellezza di una donna che ha visto.


Vedesti questa visione, che si è addormentata brutta e si è fatta bella questa mattina e fa grande ostentazione? Sappi che le donne la prima cosa che indossano svegliandosi, èun viso, una gola e due mani e dopo le gonne. Tutto ciò che vedi in esse è comprato e non naturale. Vedi i capelli? È comprato e non naturale. Le sopracciglia nero fumo; e come si fanno le ciglia non si rifarebbero il naso, non l'hanno. I denti e la bocca che erano, così neri, come calamai e polverine li hanno migliorati. Il cerume delle orecchie passato sulle labbra, e ciascuno è una candelina. Le mani? Ciò che sembra bianco è grasso. Che cos'è vedere una donna, che deve uscire il giorno seguente perché la vedano, iniziare la notte prima l'addobbo, e vederle coricarsi con la faccia come un cestino di uva passa, e la mattina pittarsi la pelle come vogliono? Cos'è vedere una racchia o una vecchia voler fare come i negromanti, essere rimessa a nuovo da un alambicco? La stai guardando? Beh non è suo. Se si lavassero il viso, non le riconosceresti. E credi nel mondo non c'è cosa così lavorata come la pelle di una bella donna, dove si asciugano e si seccano e si sciolgono più belletti che le loro gonne. Quando vogliono lusingare qualche naso, si raccomandano a pastiglie e suffumigi, e a volte dissimulano il sudore dei loro piedi con scarpine di ambra.


L'ambra è un unguento profumato ricavato da una secrezione dei capodogli opportunamente trattata.


Ti dico che i nostri sensi sono a digiuno di quello che sono le donne e sazi di ciò che sembrano. Se le baci, ti infanghi le labbra; se le abbracci, non stringi altro che tavolette e schiacci cartone; se le tocchi non riesci a raggiungerle, se le mantieni ti impoverisci, se le lasci, ti perseguitano; se la ami, ti lasciano. Fammi capire in che modo sono buone, e considera che questo superbo animale è reso poderoso dalla nostra debolezza, il nostro desiderio di amare è meglio che sia sofferto e castigato che soddisfatto, e vedrai chiari i tuoi errori.















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