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GABRIELE D'ANNUNZIO

letteratura italiana



GABRIELE D'ANNUNZIO


Frattura tra ideale e reale. Per D'annunzio l'ideale coincide con l'arte, il reale con la rottura dell'arte. L'ideale a cui l'uomo dovrebbe aspirare è l'arte, che ha due compiti:

creare e conservare la bellezza passata;

portatrice della verità agli uomini.

Il primo compito dell'arte è delineato nella prima produzione dannunziana, volta al recupero del classicismo antico e rinascimentale. A questa produzione si aggiunge la raccolta Maia. Questa prima parte è l'este 535g61f tica. L'Alcyone è simbolista (secondo compito dell'arte).



Di contro abbiamo il reale. Nella società del suo tempo l'arte non è più possibile per colpa della borghesia. Questa tematica è affrontata nei romanzi, nei quali si trovano artisti, spesso uomini falliti, come Andrea Sperelli (Il Piacere), Giorgio Aurispa (Il trionfo della notte), Claudio Contelmo (Le vergini delle rocce), Stelio Effrena (Il fuoco), Paolo Tarsis (Forse che sì, forse che no).

D'annunzio sperimenta tutti gli stili di scrittura, sia contemporanei che antichi, e tutte le poetiche (simboliste, veriste, russe, futuriste, crepuscolare). D'annunzio copia e sperimenta poetiche di tutta Europa. D'Annunzio è presentato come un mito, ma è poco stimato perché di suo c'è veramente poco in quanto ha copiato tutto. Quello che c'è di suo lo possiamo trovare nell'"Alcyone".

Ideale: creare l'arte e conservare la bellezza.

"Canto nuovo" (1882) fa parte della seconda poetica di D'Annunzio e fa riferimento al classicismo di Carducci e i parnassiani francesi. C'è già una certa attenzione al simbolismo, ricavata dall'identificazione del poeta con la natura, con un elemento di volta in volta diverso (panismo) o assistiamo ad una antropomorfizzazione della natura. Attraverso questo il protagonista produce poesia che deve essere tenuta lontana dal volgo. Tutto intorno c'è volgarità, negazione di bellezza.

"Intermezzo di rime": D'Annunzio mantiene uno stile classico e guarda a Baudelaire, recuperando temi erotici e quasi pornografici. Lo sfondo di queste poesie è quello di Roma sfarzosa, classicheggiante, bizantina, nella quale D'Annunzio cerca di entrare (gente nobile che non ha niente da fare).

"Isotteo e Chimera": poesia classica di '300 e '400 e Rinascimento; ripropone l'ambiente delle corti rinascimentali e poesia come portatrice di quella bellezza che dobbiamo ricreare. La poesia è ancora di salvezza e ricrearla per portarla ai nuovi borghesi. Temi di piacere, sesso, crudeltà in ambiti e stili classicheggianti.

"Maia": laudi del cielo, mare, terra, eroi; costituito nella prima parte di un poema non interrotto; stile classicheggiante, recuperata la bellezza del mondo pagano, quando la poesia era perfettamente fusa con la natura, in contrasto con il presente che nega questa bellezza. L'artista viene visto come un essere superiore, un superuomo; e deve anche educare il volgo alla bellezza attraverso la poesia.

Il secondo compito della poesia, cioè farsi portatrice di verità al resto degli uomini, si definisce attraverso l'Alcyone, costruito come un romanzo e descrive un soggiorno con una donna in Versilia (Toscana). Il poeta sembra apparentemente togliere le spoglie di superuomo ed è presentato come l'erede di un fanciullo divino che suona un flauto e fa parlare la natura.  Ma questo non sempre è sulla terra, anzi fatica a farsi sentire nella realtà contemporanea e D'Annunzio corre in suo aiuto per fissare sulla carta le idee.

Siamo in ambito simbolista; ma in più D'Annunzio dice che senza il poeta la natura non potrebbe nemmeno parlare agli uomini. È il poeta che interpreta i messaggi della natura; senza di lui essa non parla. Questo Schulze trova soprattutto in "La sera fiesolana" (pag. 459). Componimento di 3 strofe con versi liberi e divise da una specie di ritornello. I versi sono formati da un numero dispari di sillabe: verso libero teorizzato da Giampiero Lucini.

Come D'Annunzio arriva al verso libero D'Annunzio parte, con le prime raccolte, con la metrica barbara, che è una pratica carducciana (v. pag. 410, scheda). Carducci scrive"odi barbare", cercando di rendere i metri latini (che sono quantitativi) in versi italiani (accentuativi), combinando i versi italiani. Ciò che si ottiene è un qualcosa di barbaro, straniero sia agli italiani che ai latini. È un prodotto nuovo, di scarso valore. È importante perché è il primo passo verso un rinnovamento della metrica italiana (Pascoli c prova, ma rimane fedele ai metri tradizionali). D'Annunzio risente dell'influsso di Lucini e utilizza il verso libero, sciolto da schemi fissi di rime (pagg. 397,398 e scheda).

Le poesie di D'Annunzio sono prive di punteggiatura (punti solo alla fine della strofa).






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