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The Knight's tale - Il prologo, La figura del cavaliere

letteratura inglese



The Knight's tale


Il prologo


Nella parte conclusiva del prologo, dopo aver presentato accuratamente il periodo (tra l'11 e il 18 aprile), il luogo (Tabard Inn e strada verso Canterbury), ciò che si stanno accingendo a fare (un pellegrinaggio verso Canterbury, dove è sepolto St. Thomas Becket), perché (per purificare le loro anime) ed aver presentato tutti i personaggi della brigata, l'oste propone di raccontare delle novelle e spiega le "regole del gioco": ogni personaggio dovrà raccontare, durante il viaggio, due novelle all'andata e altre due al ritorno, per rendere più piacevole il cammino (le novelle avrebbero dovuto essere 120 in tutto, ma l'opera è rimasta incompiuta con solo 24 novelle); chi racconterà la novella più significativa e divertente sarà ricompensato al ritorno con una cena offerta dai compagni, mentre chi si rifiuterà di rispettare i patti dovrà pagare le spese di viaggio a tutti gli altri. Tutti i pellegrini accettano con entusiasmo e l'oste si offre di essere moderatore e giudice. Il giorn 929f57j o seguente la brigata intraprende il viaggio e con questo iniziano i racconti. A chi toccherà essere il primo novellatore viene lasciato stabilire dalla sorte, attraverso il gioco di tirare le paglie: la paglietta più corta è quella del cavaliere, che accetta di buon grado e inizia a raccontare.




La figura del cavaliere


La figura del cavaliere ci era stata presentata nel prologo nei suoi due aspetti salienti:

il valore militare: vengono elencate le numerose battaglie alle quali aveva preso parte con successo, divise tra quelle contro i saraceni (Spagna e Nord Africa), quelle nel Mediterraneo orientale e Asia minore e quelle nell'Europa orientale (Prussia, Russia e Lettonia);

la gentilezza e la nobiltà d'animo: "and of his port as meeke as is a mayde", "he nevere yet no vileynye ne sayde".

Sintesi di questi due aspetti è il suo arnese (array), che è di ottima qualità ma senza essere sfarzoso e porta ancora i segni dell'ultima battaglia (il giuppone è macchiato dal chiazzerino).

Nel curato polilinguismo realistico di Chaucer, la novella di un simile personaggio non può non rispecchiarne la personalità e l'ambiente.


Rapporti tra Chaucer e Boccaccio


Rapporti tra Chaucer e Boccaccio

La storia raccontata dal cavaliere è molto simile a quella della "Teseida delle nozze di Emilia" del Boccaccio, opera conosciuta dallo scrittore inglese, così come il Filostrato, mentre probabilmente, nonostante le somiglianze con i Canterbury Tales, non ha conosciuto il Decameron. C'è da precisare inoltre che non è certo che Chaucer attribuisse queste opere a Boccaccio, poiché alcuni manoscritti gli sono pervenuti anonimi o erroneamente attribuiti al Petrarca, scrittore di maggior fama internazionale.


Le fonti

Nella seconda ottava del libro I della Teseide Boccaccio scrive:


E m'è venuta voglia con pietosa

Rima di scrivere una storia antica,

Tanto negli anni riposta e nascosa,

Che latino autor non par che dica,

Per quel ch'io senta, in libro alcuna cosa


Chaucer, invece, inizia la novella scrivendo: Una volta, narrano le antiche storie.

Boccaccio sostiene quindi che la storia da lui narrata appartenga alla tradizione orale, mentre Chaucer dice di rifarsi a quella fonte latina ignorata dallo scrittore italiano, in particolare alla Tebaide di Stazio (come dice a proposito del sacrificio di Emilia, descritto in realtà nella Teseida, VII, 76 segg.) e a Corinne, che si suppone siano gli Amores di Ovidio. In realtà probabilmente anche Boccaccio conosceva la Tebaide e, oltre a questa, si è ispirato anche al Roman de Thèbes, romanzo cavalleresco del ciclo tebano.

La storia della Teseide è stata ripresa in mano più volte dal Chaucer, prendendone ora una citazione ora un altro spunto, tanto che compare in ben cinque sue opere (The Knight's Tale, Anelida and Arcite, The Parliament of Fowls, The Legend of Ariadne, Troilus), sulla base del principio che sarà enunciato da Shakespeare "non gittiam via nulla, che tempo verrà in cui potremo aver bisogno di tali versi", come ricorda il Praz.


La metrica

Una differenza rilevante è data inoltre dalla diversa scelta metrica. Boccaccio con la Teseide mirava a dare alla letteratura italiana il primo poema epico, sull'esempio dell'Eneide virgiliana, ed utilizza perciò il metro impegnato ed altisonante dell'ottava; Chaucer invece propone la stessa storia in veste di novella ed il ritmo suona più cantilenante a causa della rima baciata. Il verso impiegato è in entrambi i casi l'endecasillabo, il verso narrativo per eccellenza.


La novella


La figura di Teseo

Teseo, mitico eroe dell'antica Grecia, viene qui investito del titolo di duca, a causa della mancanza di prospettiva storica del Medioevo.

Viene presentato come uno degli uomini più valorosi di tutti i tempi, con una descrizione molto simile a quella fatta per il cavaliere: si sottolineano fin dall'inizio le sue virtù, l'abbondanza delle terre conquistate e ricorre sempre l'epiteto "nobile", ad indicare non tanto la sua nobiltà di stirpe, quanto la sua virtù cavalleresca. In questa descrizione, come avverrà anche in seguito, le iperboli si sprecano: qui per esaltare ogni pregio di Teseo, più avanti per indicare il fortissimo dolore dei protagonisti.


Riassunto


PRIMA PARS

Il duca Teseo, signore di Atene, è il più grande conquistatore di tutti i tempi: ha vinto tutto il Regno di Amazzonia e ne ha sposato la regina. Mentre Teseo è di ritorno ad Atene, con la moglie Ippolita e la sorella della moglie, la bellissima e giovane Emilia, trova per caso un corteo di donne vestite a lutto, che un tempo avevano goduto di ottima posizione ma che adesso sono disperate per l'oltraggio subito dai loro mariti: essi hanno perso la vita durante l'assedio di Tebe e Creonte, nuovo signore della città, non permette le onoranze funebri, anzi lascia tutti i loro corpi accatastati in pasto ai cani. A queste parole Teseo decide immediatamente di invertire la rotta per vendicare le donne e, senza sostare neanche un secondo nella sua città, si dirige a Tebe con tutto il suo esercito, lasciando andare ad Atene le due donne. In aperto combattimento Teseo uccide Creonte, diventando così padrone di Tebe, e restituisce alle donne i corpi dei loro mariti. Dopo la battaglia i soldati ateniesi trovano, tra le numerose vittime che stavano spogliando, due giovani tebani feriti ma ancora in vita: Arcita e Palemone, figli di due sorelle appartenenti alla famiglia reale. Teseo dispone di portarli ad Atene, dove avrebbero passato tutto il resto della loro vita in prigione. Quando Teseo torna ad Atene, accolto da tantissimi onori, i due giovani vengono rinchiusi in una torre, senza possibilità di riscatto. Anni dopo, in un mattino di maggio, Palemone vede dalla finestra la bellissima Emilia, che passeggia nel giardino sottostante la torre e ne resta così colpito che grida. Arcita, preoccupato per il cugino, chiede cos'abbia visto e Palemone gli risponde che non sa se si trattasse di donna o di dea. Anche Arcita si affaccia e resta così fulminato da tale bellezza che se ne innamora subito. I due cugini iniziano così a contendersi la donna amata da entrambi: Palemone accusa Arcita di essere un traditore e questo ribatte sostenendo di essere lui il primo ad essersene innamorato, poiché l'altro inizialmente non sapeva neanche di che cosa si trattasse, ma aggiunge anche che questo litigio è inutile, dal momento che sono entrambi destinati a trascorrere tutta la vita in quella cella.

Il duca Piritoo, vecchio amico sia di Arcita che di Teseo, durante una visita a quest'ultimo intercede per la liberazione del primo. Teseo concede la libertà ad Arcita senza alcun riscatto, ma a patto che questi non metta più piede su un suo territorio, pena la morte. In seguito alla liberazione e al conseguente esilio, Arcita è ancora più disperato di prima, perché si trova distante dalla donna amata ed arriva ad invidiare Palemone, che stando in cella ha comunque più possibilità di lui di conquistare Emilia. Allo stesso tempo Palemone si dispera invidiando il compagno libero e pensando che egli stia già raccogliendo un esercito per muovere guerra ad Atene ed avere in sposa Emilia. Su quale delle due situazioni sia la più sventurata il narratore non prende parte ma pone la domanda al pubblico.



SECUNDA PARS

Dopo un paio d'anni tormentatissimi, Arcita vede in sogno Mercurio, che lo esorta a prendere in mano la situazione e a recarsi ad Atene a rivedere la sua donna, costi quel che costi. Poiché Arcita nota che, in seguito al lungo dolore, la propria fisionomia è cambiata, pensa che non sia troppo rischioso tornare ad Atene e così fa, vestito da povero operaio e accompagnato solo da un misero scudiero. Va a palazzo dicendo di chiamarsi Filostrato e si offre come uomo di fatica; passa poi a servizio di un ciambellano addetto proprio all'appartamento di Emilia e si dimostra così valido che, dopo un paio d'anni, Teseo stesso lo vuole come scudiero (assume questo ruolo per tre anni). La notte del 3 maggio, dopo aver trascorso altri sette anni in cella, Palemone evade, grazie all'aiuto di un amico. Quando sta per sorgere il sole, si rifugia in un bosco, per continuare la propria fuga verso Tebe durante la notte. In quello stesso bosco si reca Filostrato, che, passeggiando, prima canta gioioso le lodi alla primavera, poi passa al lamento delle proprie sventure, riepilogando tutto ciò che è successo. Palemone, nascosto in un cespuglio, viene così a sapere che ne è stato di Arcita e, in un impeto di rabbia, balza fuori e lo aggredisce accusandolo di essere un traditore non solo nei propri confronti, perché cerca di sottrargli la donna amata, ma anche nei confronti di Teseo, perché gli ha mentito sulla sua identità. I due cavalieri non si fronteggiano subito, perché Palemone è disarmato, ma si accordano per duellare il giorno seguente in quello stesso bosco, dove Arcita porterà armi, da mangiare e da bere anche per il compagno. Durante il duello sopraggiunge in quella stessa radura Teseo, che sta andando a caccia: quando vede i due cavalieri combattere così violentemente senza alcun giudice, fa sospendere la battaglia; Palemone gli spiega i motivi della loro contesa e il duca, scoperta la verità su entrambi, decreta che si meritino la morte. A queste parole le donne presenti (tra le quali Ippolita ed Emilia) implorano pietà per i due cavalieri e Teseo le esaudisce, comprendendo che la colpa delle loro azioni era in realtà da attribuire non a loro ma alla potentissima forza di Amore. Per decidere a chi dei due andrà in sposa Emilia, Teseo propone di fare un duello: fra cinquanta settimane precise i due contendenti dovranno trovarsi in quel medesimo luogo, dove lui avrà fatto costruire uno stadio, con cento cavalieri forniti di tutto il necessario per il combattimento; chi dei due riuscirà ad uccidere o a catturare l'altro, sarà il vincitore e avrà quindi Emilia. Palemone e Arcita apprezzano molto la soluzione proposta dal duca e partono per Tebe.


TERCIA PARS

Teseo fa costruire un anfiteatro grandioso, scolpito e affrescato magistralmente: la porta a oriente è interamente dedicata a Venere, dea dell'amore, quella a occidente a Marte, dio della guerra, e quella a nord a Diana, dea della castità. Intanto a Tebe tutti i più valorosi cavalieri vogliono entrare a far parte delle schiere di Arcita e di Palemone, per combattere in un torneo così prestigioso; Palemone è affiancato da Licurgo, re di Tracia e Arcita da Emetrio, re dell'India, ed entrambi hanno al loro seguito cento cavalieri magnificamente bardati. Quando giungono ad Atene vengono tutti accolti da Teseo e accomodati in ogni agio. Due ore prima dell'alba del giorno del grande duello, Palemone si reca al tempio di Venere, presso lo stadio, e qui implora la dea affinché egli possa avere Emilia: non domanda né la gloria né la vittoria del duello, ma solo di soddisfare il suo amore. La dea mostra di aver accolto la preghiera con un tremito della sua immagine. Tre ore dopo Emilia si reca al tempio di Diana, alla quale chiede di preservare la sua verginità o, se questo non fosse possibile, di farla andare in sposa a colui che più l'ama. La dea le appare e le spiega che lei dovrà sposare uno di quei due cavalieri ma che non le sa dire quale. Infine, nell'ora consacrata a Marte, Arcita si reca al tempio di questo dio e lo prega di aiutarlo per vincere il duello; la risposta che ottiene è inequivocabile.  Dopo le promesse fatte, scoppia in cielo una lite furibonda tra Venere e Marte, poiché nessuno dei due vuole deludere le preghiere del proprio devoto; la questione viene risolta da Saturno, che riesce a soddisfare entrambi.


QUARTA PARS

Il mattino del gran torneo tutta la città è in gran fervore. Teseo annuncia un mutamento nelle regole, per evitare inutili spargimenti di sangue. Il torneo ha inizio: i due schieramenti sono perfettamente pari e sia Palemone sia Arcita si scagliano l'uno contro l'altro con la violenza di un leone e di una tigre. Il combattimento prosegue per tutto il giorno, ma poco prima del tramonto re Emetrio ferisce Palemone con un colpo di spada; nondimeno Palemone si difende con tutte le sue forze e viene anche aiutato dal re Licurgo, ma a niente vale: Palemone viene portato allo steccato nemico e Arcita vince il torneo. Ma proprio mentre Arcita si sta dirigendo a cavallo, tra la folla festante, verso la sua Emilia, una furia infernale mandata da Plutone su richiesta di Saturno si sviluppa da terra, travolge il cavaliere e lo disarciona. Nonostante ciò Teseo invita tutti ad esser lieti, poiché il torneo non ha causato alcuna vittima e nessuna delle due parti può realmente ritenersi sconfitta. Inizialmente i medici sostengono che Arcita sia curabile, ma ben presto le sue condizioni si rivelano essere disperate. In punto di morte Arcita convoca Emilia e Palemone, saluta la sua donna dicendole quanto lo addolori morire proprio adesso che l'aveva conquistata e le raccomanda, se un giorno dovesse sposarsi, di ricordarsi di quanto sia virtuoso Palemone, suo nemico tanto amato in passato. Non appena detto questo muore e tutta la città viene coinvolta nel lutto. Emilia è inconsolabile, così come Teseo, il quale dispone subito per fare dei funerali solenni per rendere ogni onore a questo prode cavaliere e fa porre il rogo proprio nel bosco in cui Arcita aveva tanto sofferto per amore. Anni dopo, cessato il lutto, si costituisce ad Atene un parlamento, in una seduta del quale Teseo convoca sia Palemone sia Emilia e parla loro dicendo che tutto è stato posto per avere un inizio ed una fine e che deve cessare il lutto per Arcita, poiché egli è passato a miglior vita con ogni onore alla sua memoria; esorta quindi Emilia a prendere per sposo Palemone, che tanto le è stato devoto. Emilia concede la propria mano, i due si sposano e si amano per tutta la vita.


Differenze tra il Racconto del Cavaliere e la Teseide


Nonostante le trame dell'uno e dell'altro racconto siano sostanzialmente simili, si possono individuare alcune differenze. In particolare, nella Teseide:

o   Il primo a vedere Emilia non è Palemone ma Arcita;

o   Emilia si accorge di esser guardata ed arrossisce;

o   Inizialmente alla notizia della liberazione Arcita non rimpiange di aver conosciuto Piritoo, ma anzi lo ringrazia;

o   Arcita non si cambia nome in Filostrato ma in Penteo;

o   Emilia è promessa sposa ad Acate;

o   Durante l'esilio da Atene l'amore di Arcita per Emilia si affievolisce e si riaccende solo dopo aver sentito sue notizie;

o   Quando Arcita torna ad Atene non viene riconosciuto da nessuno tranne che da Emilia;

o   Palemone non è sorpreso di trovare Arcita nel bosco, ma anzi ci va proprio per cercarlo;

o   nel bosco non è Palemone ad offendersi, ma Arcita, in seguito alla proposta del compagno di lasciargli, in nome della loro amicizia, la donna amata;

o   si dà maggiore spazio al combattimento del torneo;

o   l'ascesa al cielo dell'anima d'Arcita, presente nella Teseida, non viene ripresa nel racconto di Chaucer perché l'aveva già usata per la morte di Troilo (Praz).




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