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Callimaco - Un poeta intellettuale e cortigiano - Opere di erudizione e di critica

letteratura greca



Callimaco - Un poeta intellettuale e cortigiano


Considerato la voce più significativa della poesia ellenistica, Callimaco figlio di Batto nacque nell'antica Cirene, sulle coste africane, attorno al 305 a.C.

Era di famiglia nobile: sembra discendesse dal mitico fondatore della città Batto, nome che nel dialetto ionico locale significa "Sovrano". Il padre di Callimaco portava lo stesso nome dell'antico capostipite, e proprio negli anni in cui nacque il poeta la famiglia godeva di grande fama e prosperità grazie all'appoggio di Ofella, generale di Tolomeo I, che aveva conquistato Cirene ed era stato nominato governatore della regione. Cirene gravitava dunque attorno al potente regno egiziano dei Tolomei. È probabile che Callimaco abbia trascorso a Cirene gli anni della giovinezza e vi abbia completato la prima fase della sua formazione culturale. Ebbe così modo di assimilare un vasto insieme di conoscenze sulla storia e sulla mitologia locale, che egli continuò ad ampliare nell'intero 616i87g corso della vita e che lasciò significative tracce nella sua produzione poetica. Verso il 290 a.C. Callimaco lasciò Cirene per recarsi ad Alessandria dove, prima di essere ammesso a corte, esercitò per qualche tempo la professione di maestro nel sobborgo di Eleusi. Forse egli venne ben presto introdotto a corte in qualità di giovane paggio, come accadeva di norma ai discendenti delle famiglie reali. Era comunque destinato a salire in alto; quando nel 283 divenne re Tolomeo II Filadelfo, Callimaco entrò con facilità nell'entourage del principe e si distinse nell'ambiente della Biblioteca per i suoi lavori grammaticali e filologici tra i quali in particolare i pinakeS (tavole), un catalogo complessivo di tutta la letteratura greca. La sua posizione presso i Tolomei crebbe sempre più in importanza tanto che egli divenne il poeta di corte dei re alessandrini. Celebrò con i suoi versi le nozze tra Tolomeo Filadelfo e Arsinoe. Quando il successore designato di Tolomeo Filadelfo, Tolomeo III, che sposò una nobildonna di Cirene, Berenice, e poco dopo salì al trono, la posizione di Callimaco acquisì ulteriore rilievo e i suoi legami con la corte divennero ancora più stretti. Ne è la dimostrazione "La chioma di Berenice", dedicata alla nuova regina, in cui il poeta dà l'estrema prova di affezione alla famiglia reale. Morì attorno al 204 a.C.



Callimaco fu, per tutta l'epoca antica, uno dei poeti più letti e celebrati e dunque tanto più sorprendente è la scomparsa della maggior parte della sua produzione. Restano per intero solo sei inni agli dei (Zeus, Apollo, Artemide, Delo, i lavacri di Pallade, Demetra) ed un gruppo di 68 epigrammi. Molti frammenti papiracei di tradizione indiretta riportano le altre opere: gli Aitìa (le cause), elegie, i giambi, l'Ecale, (epillio). Compose il poemetto polemico Ibis, imitato da Ovidio, ed altre opere sia politiche sia erudite. Coesistono dunque in lui la figura del poeta professionista che componeva per committenza (secondo i moduli della poesia arcadica) e quella del letterato erudito, proiettato verso una poesia destinata alla divulgazione libresca. L'opera poetica di Callimaco fu oggetto di commenti grammaticali e storici da parte di Teone, studioso della poesia ellenistica, vissuto sotto il principato di Augusto e Tiberio. Dai suoi e da altri commenti derivano le dihghseiS: "argomenti a riassunti" delle opere del poeta.


Opere di erudizione e di critica


Il vastissimo insieme delle opere erudite di Callimaco, andato quasi completamente perduto, comprendeva:

  • Opere geografiche
  • Una paradossografia (cose strane)
  • Opere naturalistiche.

In ambito più strettamente letterario l'opera massima furono i pinakeS, "registri" o "tavole" di tutti coloro che si distinsero in ogni settore della cultura e di ciò che scrissero. Si trattava di una monumentale bibliografia ragionata, a carattere enciclopedico, di tutti i principali scrittori in lingua greca, suddivisa in vari settori, a seconda del genere. Nell'ambito dei vari settori, che erano almeno dieci (lirica, tragedia, filosofia, ecc.), gli autori erano catalogati in ordine alfabetico; ogni nome era accompagnato da una sintetica biografia, seguita dai titoli delle opere corredati quando era possibile, dall'incipit di ciascun testo. Allo stesso genere apparteneva un'altra opera, una "lista" di tutti i poeti drammatici, disposti in ordine cronologico. Tutti gli scritti di carattere erudito, frutto delle ricerche di Callimaco, nella biblioteca di Alessandria, contribuirono a conferire anche alla sua poesia un carattere di straordinaria preziosità culturale e formale, che sarebbe poi diventato elemento peculiare dell'intera letteratura ellenistica.


Gli Aitìa


Nell'antichità il capolavoro di Callimaco erano considerati gli Aitìa (Aitia), le "cause", una raccolta di elegie in quattro libri. Gli aitìa realizzano, più di ogni altra opera, il suo programma poetico ed intellettuale, cosicché essi potrebbero essere presi come il manifesto del nuovo modello di poesia. Punto di riferimento per il pubblico dotto dell'antichità, vennero letti fino al VII sec. d.C. e anche oltre; probabilmente andarono perduti nelle devastazioni provocate dalle conquiste crociate di Costantinopoli nel 1204. numerosi frammenti papiracei e un riassunto in prosa (le diegesi) consentono però di delineare il tracciato dell'opera alla quale Callimaco lavorò per lunghi anni: una prima edizione comprendeva due libri, che divennero quattro, preceduti da un prologo, nella seconda edizione databile agli ultimi anni di vita del poeta.

Nella prima edizione, gli Aitìa iniziavano con un sogno nel quale Callimaco incontrava le muse che cortesemente soddisfavano la sua curiosità erudita e, rispondendo alle sue domande, gli spiegavano via via le ragioni di usi e abitudini insolite e rare: perché a Caro durante i sacrifici i flauti devono tacere? Perché a Lindo durante i sacrifici si lanciano maledizioni contro Eracle? E così via...

Il pretesto del sogno fungeva da tessuto connettivo dell'opera anche nell'edizione successiva, almeno per i primi due libri. Utilizzando questo espediente narrativo Callimaco si richiamava all'antico modello di Esiodo, uno degli autori prediletti dagli alessandrini, che nella teogonia aveva raccontato la sua iniziazione poetica sul monte Elicona; a sua volta, il modello callimacheo influenzò gli autori successivi, soprattutto latini, come Ennio e Orazio, che utilizzavano il topos del sogno poetico. Delineata la cornice della raccolta, appare però evidente che essa e solo un pretesto. Gli Aitìa sono in realtà una successione di testi autonomi, ciascuno concluso in se stesso e destinato a sviluppare un argomento di natura erudita e antiquaria, rivolto a illustrare con prezioso intellettualismo costumi e racconti antichi e marginali, che potevano attirare l'attenzione del raffinato e ristretto circolo di lettori ai quali Callimaco si rivolgeva. Era una sequenza di spezzoni elegiaci di varia estensione incasellati uno dopo l'altro senza alcun rapporto di consequenzialità. Gli Aitìa sono il primo esempio di poesia eziologia, che si sforza di far emergere da un tempo mitico o semi mitico l'origine prima, la causa di un rito, di un dato tradizionale o religioso: troviamo così la storia di Acantio e Cidippe, le sorgenti di Argo, il culto delle Cariti a Paro, ecc. così l'erudizione diventa in Callimaco poesia e gli Aitìa sono la prima e fondamentale manifestazione dell'operare di un "poeta doctus", nutrito di letture e capace di tradurle in versi impeccabili, raffinati, anche se spesso di marmorea freddezza. Quest'opera costituisce anche, nella storia della letteratura occidentale, la prima manifestazione del principio dell'arte pel l'arte in cui l'operare del poeta è svincolato da ogni considerazione che non sia intrinseca al poetare stesso.




I Giambi.


Nell'edizione complessiva delle opere callimachee gli Aitìa erano seguiti dai giambi, una raccolta di tredici composizioni in dialetto ionico a imitazione dei giambografi arcaici. Benché siano giunti fino a noi attraverso papiri purtroppo danneggiati, possediamo fortunatamente un riassunto che ne ricostruisce la trama. Il contenuto e le occasioni sono assai vari; tuttavia la raccolta trova un motivo di unità nella sua struttura ad anello, poiché il primo e l'ultimo giambo hanno come protagonista Ipponatte e sono scritti in giambi scazonti (coliambi), il metro di cui l'antico giambografo del VI sec. a.C. fu ritenuto inventore. Nel giambo I Callimaco immagina che Ipponatte, ritornato dal regno dei morti, si rivolge ai letterati del Serageo di Alessandria, perennemente in discordia fra loro, per esortarli alla modestia e alla concordia con la favola della coppa dei sette sapienti. Il ricco Baticle, in punto di morte, consegnò al proprio figlio una coppa d'oro con l'incarico di consegnarla al più saggio fra i sette sapienti. Il giovane offrì la coppa a Talete, che però la rimandò a Biante, ritenendolo più meritevole. Biante, a sua volta, la donò a Periandro, finché la coppa, passando da un sapiente all'altro, tornò a Talete, che la consacrò ad Apollo. In questo modo ciascuno dei sette diede prova di umiltà e misura, che sembrano essere scomparse dal cuore dei letterati moderni, perennemente rosi dall'orgoglio e dall'invidia. Il II giambo, sottoforma di favola esopica, affronta il tema della polemica letteraria. In esso si narra che un tempo anche gli animali avevano avuto da Zeus il dono della favella ma poiché ne abusarono il dio li rese muti ed aggiunse le loro voci a quelle che gli uomini già possedevano. Il III giambo critica l'epoca presente, in cui il denaro prevale sulle virtù. Il III giambo descrive un'allegorica contesa letteraria tra l'alloro e l'ulivo, ciascuno dei quali rivendica i propri meriti su quelli del rivale, con l'intervento di un cespuglio di rovi che tenta di mettere pace tra i due contendenti. Degli altri giambi resta quasi solo il riassunto, forse il più interessante è il XIII, in cui Callimaco si giustifica per la varietà dei suoi componimenti. Questa, in contrasto con consuetudini ormai consolidate, dovette attirare qualche critica a Callimaco da parte di altri letterati, che avrebbero preferito una più tradizionale unità di argomenti. Nel giambo XIII il poeta si difese dall'accusa di polueideia, presentando questa "eterogeneità" dei temi come un pregio e non come un difetto. In questo giambo, ultimo della raccolta, compariva di nuovo il personaggio di Ipponatte, ma le lacune del testo ci impediscono di comprenderne con chiarezza il motivo e la funzione. Callimaco iniziò un nuovo genere letterario, detto spoudogeloion, seriocomico; la critica moderna lo ha giudicato assai significativo, non solo perché ci offre un'ulteriore dimostrazione del multiforme ingegno del poeta, ma anche perché esso ebbe una notevole risonanza nella letteratura latina. Infatti, nonostante l'affermazione di Quintiliano "Satura tota nostra est", si è ormai giunti alla convinzione che Callimaco abbia contribuito, assieme ai giambografi del VI sec a.C. e alla commedia antica, ad offrire temi e modelli alla poesia satirica latina ed al genere letterario della satura, che da lui assimilò il carattere composito dei contenuti e la tendenza ad esprimere concetti di elevata e persino severa moralità con molta disinvoltura.


Le poesie liriche


Callimaco compose anche un certo numero di poesie liriche, in cui compaiono, ancora più accentuate, quelle caratteristiche di raffinatezza formale e di ricercata varietà del metro che già si notano nella produzione giambica. Quattro sono le principali cui se ne possono aggiungere alcune altre, delle quali è rimasta qualche traccia.








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