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Il Romanticismo - Genesi del Romanticismo - Differenziazioni

letteratura



Il Romanticismo




1 Caratteristiche generali



Ripetutamente, nell'esaminare la letteratura della seconda metà del Set­tecento, sono ricorsi i termini "preromantico" e "romantico": con essi volevasi fare riferimento a quel vasto movimento spirituale che, estesosi in ogni parte d'Europa tra la fine del secolo XVIII e la prima parte del XIX, opera un profondo rinnovamento nelle lettere, nelle arti, nel pensiero.

Il termine Romanticismo deriva da Romantico = aggettivo relativo a "romanzo", (intendendo il romanzo epico cavalleresco, allora non esisteva ancora il romanzo come lo intendiamo oggi), quindi designava qualcosa o qualcuno che avesse caratteristiche appunto analoghe, in particolare che fosse fantasioso e sentimentale (visto che fantasia e sentimento caratterizzano il genere su menzionato).


Si può affermare che il Romanticismo rappresenti una rivoluzione culturale, una delle 3 grandi rivoluzioni con cui si apre l'età contemporanea, insieme alla Rivoluzione industriale (che è una rivoluzione economica), a quella Francese (che è politica e sociale).




Il Romanticismo fu più di una scuola letteraria: a convincersene è suffi­ciente pensare che nel periodo del suo avvento, del suo sviluppo, del suo gra­duale esaurimento, cioè grosso modo dal 1789 al 1854, l'Europa passa, da un regime di autorità ad un regime di liberta, dal dogma della sovranità di diritto divino al mito della nazione, da una gerarchia sociale e chiusa ad una gerar­chia e aperta,alle nuove forze che andavano enucleandosi da ogni strato della nazione.


. L'importanza storica che ad esso va riconosciuta, come fenomeno spirituale di rinnovamento, nei confronti delle età precedenti, non è inferiore a quella del Rinascimento, rispetto alle forme ed allo spirito me­dievale: il nuovo «modo di sentire », e conseguentemente il nuovo modo di pensare e di vivere introdotto dal Romanticismo in tutti i paesi europei, ne fa, dopo quello rinascimentale, il più importante movimento di pensiero della civiltà moderna.


Nella valutazione dei termini « romantico » e « romanticismo » occorre tener presenti due significati:


quello strettamente storico-letterario che corri­sponde al mutamento di gusto operatosi in tutta Europa tra la fine del Sette­cento e l'inizio dell'Ottocento, e che è legato alle particolari condizioni spiri­tuali e culturali che determinano e contraddistinguono la cosidd 333h74d etta «epoca romantica » ;

quello ideale, o astorico, che corrisponde alla eterna esigenza di dare libera espressività all'immaginazione ed al sentimento, e che, come, tale, è riscontrabile in ogni età ed in ogni epoca della millenaria storia dell'uomo.


Volendo rimanere nel campo storico, non poche sono le difficoltà che si frappongono ad una definizione del Romanticismo e ad una precisazione rigo­rosa dei limiti dì tempo entro i quali esso nasce e fiorisce.

Causa la vastità e complessità delle sue manifestazioni, che interessano tutti i campi della vita politica, sociale, religiosa, artistica, con infinite variazioni e diversificazioni per ogni paese europeo, esso è quasi inafferrabile: qualsiasi data presa ad indicarne la genesi ed il crepuscolo può essere largamente discussa, perché non si possono ignorare la sopravvivenza del passato e la presenza dì una eredità classica nel periodo di maggiore splendore romantico, né tanto meno il protendersi di elementi romantici quasi fino ai giorni nostri attraverso i vari movimenti poetici « decadentistici», i quali in parte trassero origine da uno dei presupposti fondamentali del Romanticismo: l'immediatezza espressiva. Sarà perciò opportuno, come già è stato fatto per il Rinascimento, esami­nare da vicino, prima i momenti storici del Romanticismo, poi l'evoluzione da esso apportata al modo di concepire la vita, infine i principali canoni del­l'arte poetica romantica.

Non a caso è stata usata l'espressione « momenti storici »: se infatti tra il 1800 ed il 1835 ogni letteratura europea, comprese quelle nordiche, ha il suo momento romantico, esso non è uguale per tutte e non appare nello stesso periodo di tempo.

Al fine di una maggiore chiarezza indicativa possibile, è forse opportuno attenerci ad elementi storici indiscutibili, alle date cioè che segnano il sorgere, in ogni paese, delle «scuole» che fecero esplicitamente proprio il programma romantico.


Queste scuole nacquero, con successione cronologica:

in Germania nel 1797 con la    rivista Athenaeum dei fratelli Schlegel

in Inghilterra nel 1798 con il programma aggiunto dal Wordsworth e Coleridge alla loro opera Lyrical Ballads

in Francia attorno al 1813, con la traduzionedel Corso di letteratura drammatica di A. W. Schlegel 1813-14) e la pubblicazione de La Germania di M.me de Staël

in Italia nel 1816 con la Lettera semiseria di Grisostomo del Berchet e da un articolo della medesima M.me de Staël (di cui poi parleremo).


Appare quindi chiaro che se in Inghil­terra, in Francia, in Italia, il Romanticismo aveva avuto, nell'età settecentesca, precorrimenti più o meno palesi e più o meno importanti, solamente in Germania esso conobbe la sua prima concreta fase formativa, e dalla Germania dilagò nella rimanente parte d'Europa.





2 Genesi del Romanticismo



Il preromanticismo che anticipa il Romanticismo, concerne tutti quegli aspetti separati che, presi in esame in funzione del Romanticismo stesso, risultano ad esso collegati in quanto ne hanno anticipato alcune caratteristiche (come per Foscolo che presenta aspetti preromantici, ma non può esser considerato romantico).

Questa è unadefinizione del preromanticismo ("astorica"); l'altra definizione invece riguarda una
vera e propria corrente "storica" che anticipa il romanticismo e ne precorre molti elementi e tematiche, tuttavia ma non ha ancora sviluppato una lucida teorizzazione che sintetizzi e definisca in maniera organica le caratteristiche del movimento.

Non a caso si dice che il Romanticismo nasce in Germania nel 1797, vale a dire con l'uscita dell'Athenaeum dei fratelli Schelegel e in Inghilterra con le "Lyrical ballads" di Wordsworth e Coleridge (1798), in quanto tali opere racchiudono in sé o teorizzano le principali caratteristiche del movimento Romantico.

Sono insomma i manifesti del Romanticismo come in Italia lo sarà "la lettera semiseria di Grisostomo" del Berchet (quindi in Italia il romanticismo si afferma in ritardo anche in seguito alla forte influenza del classicismo; il Neoclassicismo infatti esiste parallelamente al Romanticismo stesso (cioè non muore ovviamente appena nato il Romanticismo): emblematica in tal senso è la polemica tra classicisti e romantici in Italia (che è anche una polemica in fondo tra due diverse generazioni), di cui parleremo in seguito.


Il Romanticismo ebbe il suo primo periodo di preparazione negli ultimi decenni del Settecento, e conobbe un intenso e rapido sviluppo in Germania perché lì erano più intensi che in ogni altro paese il senso dell'autonomia di fronte al classicismo francese e l'avversione al dispotismo rivoluzionario.

A prepararne l'avvento contribuirono le intuizioni di alcuni letterati tedeschi, in particolare


il riconoscimento dei diritti della fantasia e del soprannaturale

l'interpretazione della poesia come "effusione del sentimento"

la concezione dell'ispirazione come "stato di esaltazione del sentimento".

Ne scaturì uno sprezzante disdegno per ogni regola e forma di precettistica.


Il filosofo GIOVANNI GOFFREDO HERDER (1744-1803) formula la distinzione della scuola popolare e primitiva, frutto di espressione spontanea e immediata, dalla poesia d'arte o riflessa derivata dall'imitazione o rielaborazione di modelli stranieri. Egli considerò vera poesia solo quella che ci offrono le opere nate da germinazione spontanea come la Bibbia, i poemi omerici, le tragedie di Sofocle, il teatro shakespeariano, i poemi di Ossian, i canti popolari.


In più affermò il principio che come ogni nazione ha una sua lingua e storia, così deve avere una sua poesia, diversa da quella degli altri popoli sia per contenuto che per forma.



Questi principi furono fatti propri da un gruppo di poeti, che diedero vita, mento detto Sturm und Drang (tempesta e assalto) per cui l'uomo realizza la sua umanità nell'impeto della passione e caratterizza la sua personalità indipendentemente o contro le norme del tempo e della società in cui si trova a vivere; come la natura non ci appare solo nella sua calma bellezza (come per i Neoclassici) ma anche nei sui aspetti terribili (concetto di sublime, contrapposto a quello di bello), così la poesia e l'arte non debbono rifuggire dal rappresentare la violenza del sentimento. L'artista però deve ubbidire solo al suo "genio", il che equivale all'esaltazione del genio e della spontaneità e originalità ad esso connaturate.


Da queste premesse filosofiche e letterarie prese le mosse il Romanticismo vero e proprio, che ha in con lo Sturm la rivalutazione del sentimento ed il ripudio di ogni forma di razionalismo; ma se ne differenzia sostanzialmente invece perché considera consapevole, quindi libera, e non governata da una "cieca" necessità interna, l'attività creativa insieta nello spirito dell'uomo.



Di questa nuova concezione della libera attività creativa del poeta di fece promotrice la rivista già menzionata, l'Athenaeum, pubblicata e progettata da Federico Schlegel e dal fratello Augusto, insiee ai poeti Novalis e Wackenroder.

Partendo dalla distinzione tra poesia ingenua degli antichi e poesia sentimentale dei moderni, essi misero in evidenza i caratteri costitutivi di entrambe.


La prima tende all'armonia, alla serenità, all'equilibrio ed è perfetta nella sua inconsapevolezza

La seconda nasce dal travaglio suscitato nel Medioevo dalla religione, con il senso del peccato e della redenzione. Tende quindi all'inquieto, al drammatico, al nostalgico; dà la preferenza agli elementi sentimentali e meditativi ed è consapevole dei propri limiti e dell'impossibilità di raggiungere la perfezione. Questa poesia non può che essere romanza, cioè fiorita sul terreno di una nuova sensibilità medievale e cristiana.







Differenziazioni nazionali nell'ambito del Romanticismo



Se in Germania l'opposizione letteraria e l'opposizione politica alla Francia crearono le condizioni ambientali più favorevoli per il primo insorgere del nativo "genio2 etnico, occorre ricordare che in ogni altra letteratura europea il movimento romantico si accompagna al risveglio dell'idea nazio­nale.

Pur accogliendo le nuove idee provenienti dalla Germania, ogni grande letteratura europea ebbe la propria voce, germinata spontaneamente dalla tradizione nazionale: in Inghilterra la riforma operata dalle Lyrical Ballads si appoggia sul culto di Chaucer, di, Spenser, di Shakespeare; in Francia si risale a forme autoctone anteriori e si procede ad una riforma formale di pro­sodia e di vocabolario, più che ad una riforma interiore, operando una rottura con il classicismo più violenta che in altri paesi; in Italia non si rinuncia al senso della misura e della chiarezza derivanti da una lunga tradizione uma­nistica, e si vuole accordare l'esigenza di una letteratura popolare e patriot­tica con l'indole e il genio della nostra stirpe e con il movimento rinnovatore iniziato dal Parini e dall'Alfieri. In Italia inoltre il Romanticismo assume una differenza di rilievo: alla letteratura viene dato un fine educativo (diverso da quello degli illumisti, per questi parliamo di "istruzione" delle masse, in quanto la filosofia illuministica fonda sul materialismo; quella romantica invece sull'idealismo, quindi parliamo di etica, morale, quindi di educazione). Questa finalità contrasta con il concetto romantico di "arte per l'arte" (= arte libera, senza finalità e senza regole); in Spagna si ritorna ai monumenti letterari medievali ed al teatro del Siglo de oro; in Russia si fa confluire il fantastico ed il sentimentale in un realismo che permetta la concreta rappresentazione della sua particolare società.

A queste differenziazioni nazionali fanno seguito le differenziazioni dei singoli scrittori: per essi, come per le nazioni alle quali appartengono, vige lo stesso principio di libertà, per cui non ci si deve meravigliare se la sensi­bilità romantica di Foscolo e di Leopardi sia di natura diversa da quella di Manzoni, se la poesia di Byron presenti caratteri difformi da quella di Coleridge, se il soggettivismo di Schiller si distingua chiaramente da quello di Tieck e di Novalis.

L'originalità e la sincerità sono essenzialmente i due cardini sui quali ruota la dichiarata opposizione del Romanticismo al Classicismo. Una oppo­sizione che non coinvolge tanto la mitologia quanto l'essenza del Classicismo, intesa come precettistica ed imitazione.

Nel loro entusiastico ed appassionato culto della libertà, i romantici non possono tollerare oltre l'idea di una immutabile bellezza artistica fondata sulla riproduzione del «modello » o sulla riproduzione della natura: il poeta, essi affermano, non deve scrivere imitando quello che è stato scritto, ma con la sua anima ed il suo cuore.

Ecco perché il Romanticismo nutre una religiosa venerazione per tutto, quello che è vergine, spontaneo, primitivo; perché accoglie le voci profonde, dll'Io e dell'anima popolare; perché crea esso pure il suo mito, che è quello dell'individuo contornato da rocce selvagge, da foreste impenetrabili, da deserti incalpestati.

Qui non vi è modello, non vi è disciplina retorica, non vi è dogma artistico: il poeta è solo con se stesso e con la natura, di qualsiasi specie essa sia, ed unica sua preoccupazione è quella di scrivere come altri non hanno ancora scritto.





4 Romanticismo e Illuminismo a confronto



A tutta prima l'avvento dell'irrazionale, se così possiamo considerare il sentimento, l'immaginazione, l'istintività, sembrano collocare il Romanti­cismo in posizione antitetica al razionalismo illuministico: in effetti dell'Illu­minismo accoglie il principio di rinnovamento e di liberazione civile-spiri­tuale da esso promosso nella seconda metà del Settecento; all'Illuminismo si oppone in quelli che possono essere considerati i due miti fondamentali della dottrina illuministica: il primato dell'intelletto e la progressiva ascesa del genere umano.

Minata con il dubbio razionalistico la religione, impugnata la legittimità dei privilegi di determinate classi sociali, misconosciuto il valore della tra­dizione, l'uomo romantico si ritrova solo in mezzo a tante rovine (crollo dell'ordine antico, rivoluzione, lotte nazionali, epopea napoleonica, caduta dell'Impero, Restaurazione) e sente che deve ricominciare da capo a rico­struirsi il mondo interno ed a comprendere il mondo esterno; ma, spaurito dinanzi alla grandiosità dell'impresa, avverte nuovamente il senso misterioso della natura che non riesce a dominare, comprende che la verità è frutto di un lungo travaglio e di continue evoluzioni, che la bellezza non può essere qualche cosa di immutabile, che la conoscenza è faticosa conquista di tutto il genere umano. Alla amarezza ed al disinganno ingenerati da una tale sco­perta riaffiora in lui un rinnovato bisogno di interiorità, per ricercare in sé quanto ancora di valido sussista ai fini di una tale ricostruzione; un rinnovato bisogno di conoscere le esperienze compiute dai suoi predecessori per trarne utile ammaestramento; una rinata consapevolezza della presenza di una divi­nità nella successione degli eventi dei popoli, così come dei singoli individui. Sono queste - interiorità, senso della storia, religiosità - le sue prime ed importanti conquiste.

Interiorità significa conoscenza di se stesso, delle proprie forze e delle proprie responsabilità, ma anche della disperata solitudine in cui si viene a trovare: il sogno classico di una perenne serenità scompare di fronte agli infiniti ostacoli che si ergono innanzi all'uomo; la vita assume per lui l'aspetto di forza dinamica, di tumultuosa passione; la felicità si trasforma in vaga illusione che può per un attimo affascinare, ma che si disinganna al contatto con la realtà. Il poeta romantico si rende conto di tutto questo e, ritrovandosi fragile creatura in balia di forze a lui superiori ed ostili, si rattrista, si travaglia, soffre, e canta liricamente il suo dolore e la sua tri­stezza (Leopardi), oppure narra autobiograficamente la storia segreta del pro­prio lo (Confessioni di Rousseau, Diario intimo del Tommaseo).


Alla storia il Romanticismo ritorna perché essa equivale alla soggettiva esperienza dei popoli nel continuo fluire delle vicende umane. È questo il particolare significato dello storicismo romantico, a fronte dell'antistoricismo illuministico: da un canto ci si preoccupa ora di scoprire, attraverso la ricerca di documenti letterari e culturali delle epoche lontane, le segrete forze vitali che hanno agito, nei periodi di buona e di avversa fortuna, sul destino dei singoli popoli (e ciò sarà di stimolo all'insorgere delle molte rivoluzioni che tra il 1830 ed il 1848 portarono all'indipendenza alcune nazioni europee), dall'altro si gettavano le basi, e quanto solide lo dirà il tempo, di una concreta riforma civile destinata a mutare il volto della società moderna, nonché di quel moderato liberalismo che, sorto quale compromesso fra le astratte esi­genze rivoluzionarie e le condizioni reali della società, concorse validamente al trionfo, in tutto l'Occidente, degli ideali democratici. Più specificatamente, questo ritorno al passato è soprattutto ritorno al Medioevo, all'età, cioè, in cui ha termine la storia antica di Roma, cara alla tradizione classica, ed ha iniziola storia moderna, che vede l'incontro delle genti germaniche con il cristianesimo: le vicende di tale età agiscono efficacemente sulla formazione delle coscienze nazionali nella lotta contro l'oppressione dei potenti e contro la schiavitù degli stranieri (Adelchi di Manzoni).


L'esame più approfondito delle attività umane, tutte interdipendenti e tutte rivolte ad un fine, di cui si avverte l'esistenza ma di cui si ignorano le risultanze future, richiama nuovamente l'uomo romantico a quei tradizionali valori religiosi che, rifiutati dall'ateismo illuministico, tornano a rappresentare, per le anime sconvolte dalla crisi, un sicuro rifugio ed un prezioso elemento consolatore. Questa religiosità si rivolge sempre in imme­diatezza di sentimento del divino, e presuppone sempre la coscienza di una comunione dello spirito con l'infinito: essa costituisce una componente, e non la meno importante, di quell'interiorità che caratterizza il Romanticismo europeo.



5 Aspetti della poetica romantica



Parlare di poetica a pro­posito di un'arte che poggia essenzialmente sul mito della libertà soggettiva potrebbe sembrare contraddittorio; eppure, anche il Romanticismo ebbe una sua poetica: se ai nuovi poeti era concesso tutto, questo tutto aveva delle carat­teristiche comuni, un mondo comune, una forma comune.

Primo ed essenziale elemento costitutivo, come già si è visto, è la ricon­quista della soggettività. Essa si manifesta attraverso temi costanti e caratte­ristici, comuni a tutta la letteratura di questo periodo: inquietudine, disinganno, solitudine; gusto della morte, delle rovine, delle tombe rischiarate dalla luna, di paesaggi desolati; ricerca inesausta di una irraggiungibile fe­licità e compiacenza dei propri mali, talora spinta all'esasperazione del suici­dio (Werther e Jacopo Ortis); disperazione, o letteraria, o realmente vissuta, che contrassegna la fine prematura di una corte di giovani poeti (Byron, Keats, Shelley e altri).

La soggettività roman­tica potrebbe assumere l'aspetto di una rottura definitiva tra 1'Io ed il reale, tra il poeta ed il mondo nel quale si trova a vivere.


Mentre la poesia umanistica si era limitata a descrivere l'universo, la poesia romantica, mossa da un irresistibile slancio verso l'infinito, si « tuffa », per usare un'espressione russoviana, nell'universo, e trae fonte di ispirazione, o dalla consapevole inca­pacità di penetrarlo e dominarlo (senso del mistero), o dal conflitto che si sta­bilisce tra l'uomo e la Natura indifferente ed ostile, o dal violento contrasto tra l'individuo e la società a lui estranea e nemica.


Da tale contrasto tra individuo e realtà traggono origine alcuni aspetti fondamentali:del Romanticismo:


il titanismo, quando l'eroe idoleggiato, com­battendo disperatamente fino all'estremo delle sue forze, si erge con osti nata pervicacia contro tutti e contro tutto, a volte anche contro Dio, e tra­sforma l'ineluttabilità della sua sconfitta in orgogliosa esaltazione di se stesso e del proprio ardimento (Leopardi);

il vittimismo, che si riduce ad un patetico « crogiolarsi » nel proprio dolore o ad una appassionata « voluttà » di sofferenza, e per 1'instabile natura del soggetto sfocia, ora in estreme aberrazioni spiri­tuali, ora in fluido sentimentalismo;

l'esotismo, il quale non è altro che inde­finita aspirazione della fantasia a trasferirsi, o nell'irreale regno della fiaba (fratelli Grimm), od in suggestivi paesi lontani, in seno ad una natura vergine e lussureggiante, che permette all'uomo di tornare ad essere padrone di se stesso e divenire parte integrante del mondo che lo circonda.


A quest'ultimo vagheggiamento di una realtà diversa da quella presente, si ricollega, in parte, il culto delle origini, della poesia popolare , e nazio­nale, del folklore, delle leggende ed epopee primitive.

Esso è la diretta conseguenza, sia del radicale mutamento di gusto, per cui a Virgilio si preferisce Omero, a Petrarca si preferisce Dante, al teatro francese del Seicento si pre­feriscono Shakespeare ed i drammaturghi spagnoli; sia del nuovo modo di intendere la poesia come pura e spontanea espressione dello spirito, al di fuori di ogni forma e contenuto convenzionali.

Ai poeti romantici parve quasi un miraggio il potersi avvicinare all'anima del popolo, ricca di sentimento e di fantasia, l'unica, secondo loro, capace di accogliere tutte le passioni umane senza mortificarle, e di estrinsecarle con assoluta sincerità d'animo e semplicità di linguaggio. Un primo sintomo del­l'adesione incondizionata dei romantici ad un tal genere di poesia lo si ebbe verso la fine del Settecento con l'entusiastico accoglimento della poesia ossia­nica e bardica, nonostante la mistificazione letteraria operata su di essa dal Macpherson; in seguito, e per tutto l'Ottocento, fiorisce una vera,e propria « scienza delle tradizioni », che promuove ricerche ed indagini intorno agli scrittori medievali, che procede a vaste raccolte di leggende, narrazioni epiche, saghe, cantari di quel lontano periodo (notevoli, a questo riguardo, i risultati raggiunti dai fratelli Grimm in Germania, dal Fauriel in Francia, dal Tom­maseo in Italia), che stabilisce essere vera poesia solo quella popolare, e che al popolo si riferisce, interpretandone i sentimenti, rispecchiandone le cre­denze, esaltandone le native e primigenie virtù morali.


Duplice è la conseguenza di questo nuovo sentimento ammirativo per l'arte popolare: la, rinascita di una finalità dell'arte, che non intacca il prin­cipio della sua autonomia, ma lo rafforza accogliendo temi che possano interessare una cerchia sempre più vasta di lettori e convogliando nelle opere in prosa (romanzo psicologico, dramma borghese, novella, sentimentale) l'operoso senso della vita, e la rivalutazione dei dialetti, autentica ed immediata espres­sione linguistica del popolo a fronte di quella accademica e stilisticamente riflessa dei dotti: felice testimonianza di questa rivalutazione è la presenza, nella letteratura del primo Ottocento, di inconfondibili personalità poetiche, come quelle del milanese Carlo Porta e del romano Gioacchino Belli.

Si ritorna con ciò alla premessa iniziale: nonostante le infinite contraddi­zioni ed intemperanze di cui ci sarà dato parlare, il Romanticismo fu un fe­condo e vasto movimento spirituale che investì e rinnovò profondamente l'arte, la cultura, la filosofia, l'estetica, la vita morale e politica di tutte le na­zioni europee. Una sua inesatta comprensione e valutazione equivale alla totale o parziale incomprensione e valutazione della letteratura, del secolo XIX, ed in parte del secolo XX.












6 Il Romanticismo italiano


Se il movimento romantico significò per molti popoli europei, da poco costituitisi in entità nazionale (quello tedesco) o profondamente rinnovatisi (quello francese ed inglese), un ritorno alle tradizioni patrie per contrapporle a quelle classiche, divenute, per assuefazione umanistica e reto­rica, « codice di regole e testo di esempi », per il popolo italiano ebbe il valore di conciliazione dell'antico con il moderno, meglio, di contemperamento dei grandi valori acquisiti nel passato, ma liberati dalle sovra­strutture umanistiche e retoriche, con la nuova sensibilità scaturita da una più attenta valutazione dei problemi civili, sociali, politici del presente.


Oltre alla divulgazione, nella penisola, delle opere della Staël, nonché di Goethe, Schiller, Chateaubriand, Byron, Scott, attraverso traduzioni, prima in francese, e poi in italiano, fu un articolo di M.me de Staël, tradotto da Giordani e pubblicato nel gennaio del 1816 sul primo numero della Biblioteca italiana; a dare l'avvio alle accese polemiche sul nuovo indirizzo dell'arte in genere, della poesia in particolare.

Era, la Biblioteca italiana, una rivista mensile diretta dal mantovano Giuseppe Acerbi e sussidiata dall'Austria: distogliendo gli Italiani dall'esaltazione del loro glo­rioso passato ed accostandoli alle nuove fiorenti letterature straniere, questa pensava di spegnere nei loro animi ogni eventuale interesse per le questioni politiche e per la perduta libertà: di qui la benevola accoglienza, nel primo fascicolo, all'arti­colo della Staël,. Quando però s'accorse che il raffronto della sterile letteratura italiana con l'esuberante letteratura d'oltr'alpe ad altro non serviva che a sollecitare il risveglio della coscienza nazionale, impresse alla rivista un carat­tere rigorosamente classico.

Nell'articolo menzionato, intitolato Sulla maniera e la utilità delle traduzioni, la Staël, invitava i nostri scrittori ad uscire dal loro isolamento letterario, causa prima della loro decadenza culturale: traducendo dall'inglese e dal tedesco, accostandosi alle moderne letterature europee non «per vestire fogge straniere ma per conoscerle », non per diventarne imitatori ma per liberarsi da tutte le viete usanze che tornano a pregiudizio della naturale schiettezza, come la mitologia, il vuoto accademismo, l'erudizione a sé stante, essi avreb­bero avuto modo di ritrarne vantaggi sia relativamente alla forma che al contenuto delle loro opere.


La risposta alle affermazioni dell'illustre scrittrice francese, accusata di voler misconoscere il_nostro glorioso passato, non si fecero attendere: tutta la schiera dei vecchi letterati insorse sdegnosamente, vuoi perché identificava nell'indirizzo classicista lo stesso stesso onore nazionale, vuoi perché avversava ostinatamente oni forma di novità, vuoi ancora perché giudicava il Roman­ticismo una letteratura popolata di maghi e di streghe che si dilettava soltanto del macabro e dell'orrido.

Non mancarono però gli strenui difensori della Staël,, la quale, ribadendo la necessità che la cultura italiana si rimettesse alla pari con la progredita civiltà europea, aveva controbattuto con molto buon senso e moderazione alle critiche degli avversari: «Restate pure italiani, ma studiate. La stessa ispirazione, questo miracolo del cielo, s'opera sulla terra per la estensione e varietà delle cognizioni».

Molti letterati italiani, accomunati dal desiderio di rendere più umana, cordiale e popolare la nostra letteratura, misero in evidenza l'anacronismo delle dottrine classicistiche, ne rilevarono il diminuito interesse presso un'accresciuta schiera dei lettori moderni.

Essi condannarono l'ostinata volontà di continuare, con una inutile esercitazione stili­stica, l'ormai arida imitazione dei modelli antichi.

Occorreva, invece imparare dagli antichi il modo di accostarsi alla letteratura con spontaneità: non imitarli, ma emularli « nello spaziare generosamente e grandio­samente per la immensità del cuore umano ».

Il tono moderato e conciliante di questi, teorici delle dottrine romantiche, di fronte alla tradizione classica è tanto più apprezzabile se si pensa all'irragionevolezza degli avversari.


E Conciliatore si intitolò il periodico biset­timanale (detto comunemente « foglio azzurro » dal colore della carta) sorto in contrapposizione alla Biblioteca italiana per difendere le nuove idealità letterarie: fondato dal conte Federico Gonfalonieri e dal conte Luigi Porro Lambertenghi, riunì attorno a sé uomini di diverse classi sociali e opinioni, come precisa il motto Rerum concordia discors posto sulla testata.

Principale redattore ne fu Silvio Pellico; ne furono collaboratori, fra gli altri, Visconti, Berchet, Borsieri.

Ma la velata polemica antiaustriaca dei molti articoli e l'ac­cento schiettamente liberale e patriottico insospettirono presto la censura: dopo l'ennesimo invito di questa a moderare il tono politico del periodico, il quale sempre più apertamente denunciava le tristi condizioni in cui versava l'Italia, Pellico decise di sospenderne la pubblicazione. Era il 18 ottobre 1819, ed il Conciliatore era giunto al suo centodiciottesimo numero. Allorché, nel 1821, l'Austria cercò di soffocare, con processi e sentenze capitali, il sen­timento nazionale in Lombardia, si ritrovò di fronte a parecchi collaboratori del periodico: Pellico, Confalonieri, Borsieri, Maroncelli conobbero le atrocità del carcere; altri, come Berchet, dovettero rifugiarsi all'estero.

Quest'ultimo era stato al centro della polemica fra classicisti e romantici italiani per via di un libretto arguto) e vivace, pubblicato subito dopo l'arti­colo della Staël e intitolato Sul « Cacciatore feroce » e sulla « Eleonora » di G. A. Bürger, Lettera semiseria di Grisostomo: in esso il Berchet propugnava, ma con ben altro calore, quell'accostamento della nostra alle altre letterature europee in precedenza caldeggiato dalla illustre scrittrice francese, e se egli non riuscì a coordinare organicamente il pensiero dedotto dagli scritti di Schlegel, Herder, e degli altri teorici stranieri del Roman­ticismo, ciò non toglie che la sua possa essere considerata l'opera che diede il primo e vigoroso impulso alla battaglia romantica in nome della sincerità, della libertà e della popolarità dell'arte, tanto da essere comunemente giudicata il « manifesto » del Romanticismo italiano.


La lettera si definiva « semiseria » perché, dopo aver combattuto le unità aristoteliche, l'uso della mitologia, l'imitazione degli antichi, alla fine muta tono, e scherzosamente afferma di aver voluto fare tutto ciò « a spese dei novatori ».


Vi si immagina che un buon padre di famiglia, Grisostomo, invii al proprio figlio in collegio, avendoglielo richiesto, la traduzione in prosa di due famose ballate del Bürger; tale finzione offre al Berchet la possibilità di parlare, sia delle liriche del poeta tedesco, sia della poesia popolare in genere.

Compito di questa è commuovere l'anima e colpire la fantasia della gran massa di cit­tadini, che non sono rozzi e spiritualmente inerti come gli ottentotto, e neanche raffinati come i parigini, ma «pensano, leggono, scrivono, piangono, fremono sentono le passioni tutte ». Gli uomini hanno tutti insita la « tendenza alla poesia », sebbene diversa­mente distribuita secondo i diversi strati sociali. Spetta al poeta rendersi in­terprete dei loro sentimenti e delle loro aspirazioni, incombe al letterato l'alto ufficio di intrattenerli, in quanto ignari delle regole astratte e degli schemi tradizionali, sulle cose presenti, non sulle cose antiche e d'altri.

La poesia non deve essere volta « a piaggiare un Mecenate, a gratificarsi un Augusto, a procurarsi un seggio al banchetto dei grandi » (poesia libera quindi e non più cortigiana), ma « a miglio­rare i costumi degli uomini, a farne gentili gli animi, a contentare i bisogni della fantasia e del cuore ».

Se di fatto essa è l'espressione della natura viva, deve in conseguenza essere «viva come l'oggetto ch'ella esprime, libera come il pensiero che le dà moto, ardita come lo scopo a cui è indirizzata ». Siano quindi i poeti italiani, al pari di quelli tedeschi, « coevi » al loro tempo, e non ai « secoli seppelliti »; facciano di piacere al loro popolo, investigandone l'animo e pascendolo «di pensieri e non di vento »; non lamentino la mancanza di unità nazionale, perché « se noi non possediamo una comune patria politica » ben possiamo crearci una comune patria letteraria « a conforto delle umane sciagure ».

Se poi essi sapranno rinnovare, oltre che il contenuto, anche il mezzo espressivo servendosi di un linguaggio più semplice, più umano, più diretto, la letteratura diventerà veramente uno strumento efficace di educa­zione nazionale e di rigenerazione politica.


A distanza di tempo si possono scorgere numerose antinomie nelle dot­trine enunciate da Berchet, ed in seguito più autorevolmente dal Manzoni nella Lettre à M. Chauvet e nella Lettera al D'Azeglio: assegnando un com­pito educativo all'opera d'arte, implicitamente se ne infirmava il principio dispontaneità; imponendole un determinato contenuto (esaltazione della patria, sentimenti cattolici, ritorno al Medioevo) ed una determinata forma (popo­lare), se ne invalidava il principio di libertà. Ma ai primi romantici importava soprattutto svecchiare la nostra letteratura, liberarla da ogni superstite acca­deismo.





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