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La sua "malattia", funziona da strumento straniante nei confronti dei cosiddetti "sani" e "normali", il padre, il suocero, la moglie, Ada, Guido e tutti gli altri borghesi che si affollano 747j94h sullo sfondo della vicenda.La "malattia", che impedisce a Zeno di coincidere interamente con la sua parte di borghese, porta alla luce l'inconsistenza della pretesa "sanità" degli altri, che in quella parte vivono perfettamente soddisfatti, incrollabili nella loro certezze. Zeno, nella sua imperfezione di "inetto", è inquieto e disponibile alle trasformazioni, a sperimentare le più varie forme dell'esistenza, ad esplorare l'affascinante "originalità", mentre i "sani" sono cristallizzati in una forma rigida, immutabile. In lui vi è un disperato bisogno di "salute", cioè di normalità, di integrazione nel contesto borghese:vorrebbe essere un buon padre di famiglia, attivo ed abile uomo d'affari. Però, contro ogni sua intenzione, non riesce mai a coincidere veramente con quella compiuta e definitiva di uomo. Zeno finisce in tal modo per scoprire che la "salute atroce" degli altri è anch'essa "malattia", la vera malattia. La visione dell'"inetto" mette in crisi, sconvolge le nozioni contrapposte e gerarchicamente ordinate in salute e malattia, di forza e debolezza.La forza è esteriormente dei Cosini padre, dei Malfenti, delle Auguste, dei Guido Speier, la debolezza è di Zeno. Ma lo sguardo di Zeno distrugge le gerarchie, fa divenire tutto incerto ed ambiguo, converte la "salute" in "malattia". Zeno è dunque personaggio a più facce, fortemente problematico, negativo per un verso, come perfetto campione di falsa coscienza borghese, ma anche positivo, come strumento di straniamento e di conoscenza.
L'inetto vi appare come un "abbozzo", un essere in divenire, che può ancora evolversi verso altre forme proprio grazie alla sua "mancanza assoluta di uno sviluppo marcato in qualsivoglia senso", mentre i sani, che sono già in sé perfettamente compiuti in tutte le loro parti, sono incapaci di evolversi ulteriormente, arrestati nel loro sviluppo e cristallizzati nella loro forma definitiva. L'inettitudine, ormai, non è più considerata un marchio d'inferiorità, che condanni ad un'irrimediabile inadattabilità al mondo e ad un'inevitabile sconfitta esistenziale, ma una condizione aperta, disponibile ad ogni forma di sviluppo, si può considerare anche positivamente.
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