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Foscolo e le sue opere - Le ultime lettere di Jacopo Ortis

letteratura



Foscolo e le sue opere

Le ultime lettere di Jacopo Ortis:

L'Ortis è un romanzo epistolare, un genere letterario in voga nel Settecento , specialmente nella seconda metà del secolo, quando nell'incipiente sensibilità romantica, la lettera meglio si prestava alle effusioni sentimentali; considerato però interiormente , in quanto contiene il nascere e lo svolgersi di una passione, in urto con la realtà, è un romanzo psicologico. Foscolo immagina che Jacopo scriva all'amico Lorenzo Alderani (forse Giovanni Battista Niccolini).

TRAMA: all'indomani del trattato di Campoformio (1797), con il quale il "liberatore" Napoleone ha ceduto Venezia all'Austria in cambio della Lombardia, Jacopo Ortis, che è un giovane di idee liberali, per sfuggire alle prime persecuzioni del governo austriaco, lascia Venezia e si rifugia sui colli Euganei. Qui conosce Teresa, che vive con il padre (il signor T.), anche lui profugo politico e con una sorella piccola, Isabellina, e se ne innamora profondamente. Ma la fanciulla è già promessa sposa ad un altro, Odoardo, un giovane serio, di buona posizione economica e sociale, ma spiritualmente arido. Si tratta di un fidanzamento di convenienza, combinato dal padre di Teresa, ma osteggiato dalla madre, che, per non rendersi complice dell'infelicità della figlia, ha abbandonato la famiglia e vive lontano con sua sorella. Jacopo, anche se ha la certezza di essere contraccambiato da Teresa, si accorge dell'assurdità del suo amore soprattutto per ragioni politiche, perché si tratta di tempi tristi che scoraggiano il matrimonio.




Per liberarsi dal tormento, lascia i colli Euganei e viaggia per alcune città, Bologna, Firenze, Siena, Milano, ecc. Quando apprende che Teresa si è sposato con Odoardo, corre a Venezia per salutare la madre, quindi ritorna sui colli Euganei, dove si uccide pugnalandosi al cuore.

Teresa è il nome della donna amata da Foscolo e che era la moglie di Vincenzo Monti.

Ortis è il Foscolo stesso.


L'opera ha infine per sottotitolo i versi danteschi: libertà va cercando, ch'è sì cara, come chi per lei vita rifiuta (Purg. I, ,vv. 71-72).

Questi versi ci rivelano la natura vera del suicidio di Jacopo Ortis. Esso non è negazione della vita, ma è, alfierianamente, affermazione e bisogno di libertà, denuncia di oppressione e protesta contro la società e il destino.


Oltre a quelle citate sul quaderno c'è, tra Foscolo e Goethe, una notevole differenza di stile e di lingua. Goethe, dice il Foscolo stesso, "depurò ed arricchì una lingua, il tedesco, che non aveva scrittori classici", egli invece, "ridiede forza e novità ad una lingua, quella italiana, classica da più secoli"


L'Ortis ha una notevole importanza storica. Anzitutto è importante per conoscere lo svolgimento della poesia del Foscolo. Vi troviamo infatti il motivo della concezione meccanicistica della natur 949g67j a sottoposta alla legge inesorabile della trasformazione perenne della materia, il motivo della tomba confortata dal pianto; il motivo dell'animazione romantica della natura, che conforta l'uomo e lo rasserena con i suoi spettacoli di bellezza e di armonia; il motivo dell'amor di patria e delle tombe degli eroi che accendono a egregie cose il forte animo; il motivo dell'esilio; il motivo della bellezza rasserenatrice (quella di Teresa); il motivo della poesia eternatrice; il motivo della gloria che salva l'uomo dalla morte e dall'oblio e lo fa vivere eternamente nelle sue opere e nella memoria dell'umanità. Questi motivi saranno successivamente ripresi dal Foscolo e trattati con forme ed immagini classicamente più nitide e composte.


Preludio:    Questa lettera è scritta 6 giorni prima del trattato di Campoformio, anche se si conoscevano già le clausole. Jacopo dapprima esprime il dolore per le sventure della patria, il cui sacrificio è ormai compiuto, sicché ai patrioti non rimane altro che piangere per le loro sciagure e per la vergogna di non aver saputo difendere l'indipendenza della patria. Poi risponde risentito al consiglio dell'amico di sottrarsi alle persecuzioni con la fuga; egli non lo farà mai, perché, per sottrarsi agli Austriaci dovrebbe consegnarsi ai Francesi, a coloro cioè che avevano tradito e venduto la sua patria. Jacopo sa di essere nella lista di proscrizione , ma per ora, su consiglio della madre si trova in un vecchio podere sui colli Euganei, dove non intende fuggire, perché nella sua solitudine trova almeno il conforto di poter vedere di lontano Venezia. Egli si duole delle persecuzioni subite dai patrioti, non tanto ad opera degli Austriaci, quanto ad opera degli stessi italiani, e non se ne meraviglia perché purtroppo - egli dice - noi stessi Italiani ci laviamo le mani nel sangue degli Italiani, cioè combattiamo sempre tra di noi invece di essere unti contro gli stranieri.  Quanto alla sua sorte egli ormai non se ne cura, perché ha perduto ogni speranza nella patria ed in sé e la vita, priva di ideali generosi e magnanimi, non gli appare più degna di essere vissuta. Pertanto egli si affida al destino, aspettando tranquillamente la prigione e la morte, col solo conforto che il suo cadavere non riposerà in terra straniera, ma nella terra dei padri ed il suo nome, per evitare le persecuzioni degli oppressori, sarà sommessamente compianto da pochi uomini, compagni di sventure.


In questa lettera troviamo alcuni dei motivi fondamentali della poesia foscoliana e precisamente quello della libertà della patria sentita come la ragione stessa della vita e quella della sepoltura confortata dal pianto degli amici: solo questo costituisce per il Foscolo il solo modo per sopravvivere idealmente oltre la morte. Quanto allo stile, nella prima parte ha un tono declamatorio e concitato, nella seconda è più sommesso ed elegiaco.

Teresa: Jacopo ringrazia Lorenzo di avergli presentato il signor T., offrendogli così l'occasione di conoscere Teresa, la divina fanciulla, che gli ispirerà un profondo sentimento d'amore.     Egli è andato alla casa di Teresa e l'ha trovata seduta mentre dipingeva il proprio ritratto. Ella lo accolse con molta gentilezza spiegando alla sorellina che si trattava dell'amico di Lorenzo, e chiamò il babbo, che gli additò le sue figliole, facendogli capire che la sua famiglia era tutta lì e che gli mancava sua moglie. Il signor T. e Jacopo conversarono a lungo e quando lui si stava per congedare arrivò Teresa che gli chiese di fermarsi. Jacopo torna a casa con il cuore in festa. Dapprima pensa che la contemplazione della bellezza rasserena ed addormenta negli uomini tutti i dolori, ma poi ha il presentimento che per il suo animo travagliato anche tale contemplazione può essere fatalmente fonte di nuovo dolore, perché si sente come predestinato ad avere perpetuamente l'animo agitato dalle passioni.


Appare nella lettera un altro dei motivi insistenti della poesia foscoliana, ampiamente e profondamente sviluppato nelle Odi e nelle Grazie , quello della bellezza rasserenatrice dei dolori umani . Tuttavia qui la bellezza lascia solo intravedere una luce di serenità, perché subito dopo, Jacopo è di nuovo sopraffatto dal pessimismo e sente di essere predestinato al dolore.

Napoleone ed i patrioti

Questa lettera fu scritta durante l'esilio in Svizzera e appare nella terza edizione zurighese dell'Ortis (1816). E' importante perché ci fa conoscere il giudizio politico del Foscolo sulla situazione italiana dopo la sconfitta di Napoleone, la fine del Regno Italico e i primi anni della Restaurazione.  A Lorenzo Alderani che lo accusava di essersi dimenticato dell'amico Ortis risponde che se pensava ciò dimostrava di conoscere poco lui, il cuore umano ed il proprio. Nel cuore di un esule l'amore della patria non può mai affievolirsi, né tanto meno spegnersi; esso convive con le altre passioni e ne è stimolato. Perciò in un'anima esulcerata come la sua l'amore diventa onnipotente, ma mai funesto, ossia dannoso, tanto è vero che egli senza Teresa sarebbe morto. E' merito della natura la creazione di tali spiriti generosi. Vent'anni prima (allusione agli anni anteriori alla Rivoluzione francese e al regime napoleonico), essi erano inerti ed intorpiditi dall'universale letargo dell'Italia, ma sia la Rivoluzione che il regime napoleonico avevano avuto il merito di scuotere dal torpore gli uomini generosi e di ridestare in essi le native passioni civili, facendo acquistare loro tale forte carattere che oggi la reazione può solo spezzarli, ma non piegarli. Ed è testimoniato questo sia da molti uomini antichi che sopportarono gloriosamente dolori e persecuzioni per la patria, sia da molti Italiani contemporanei, che Foscolo compiange ed ammira. Essi per la patria avranno cari il dolore e la morte. Jacopo e Lorenzo sono di costoro. Ma come ci sono i veri patrioti ci sono anche i falsi. Costoro si lagnano ad alta voce, dicendo di essere stati venduti e traditi; ma se si fossero armati, forse sarebbero stati vinti, ma non traditi e se si fossero difesi, né i vincitori (Francesi) avrebbero potuto venderli, né i vinti (Austriaci) avrebbero potuto comprarli. I falsi patrioti pensano che la libertà si possa comprare con il denaro e che gli stranieri vengano a scannarsi tra loro per liberare l'Italia, quasi che i Francesi fossero come Timoleonte che aiutò i Siracusani a liberarsi della tirannide di Dionigi ed i Siciliani in genere a cacciare i Cartaginesi, ritirandosi poi a vita privata. A questo punto il Foscolo fa parlare Jacopo come se avesse scritto la lettera nel 1798. Infatti, dopo aver ricordato la vana speranza riposta nei Francesi dai falsi patrioti italiani, egli dice che moltissimi di essi si fidarono di Napoleone , italiano di sangue e di lingua. Al contrario egli ritiene che da un animo basso e crudele come il suo, non si sia da aspettarsi nulla di utile e di nobile per gli Italiani. Anche se Napoleone ha la forza di un leone , tuttavia ha la mente volpina e se ne compiace. Egli infatti ha venduto Venezia mostrandosi più crudele del sultano Selim I e del re persiano Nadir Schah che furono certamente più feroci, ma meno spregevoli di Napoleone. Jacopo parla del trattato di Campoformio a prova di ciò, non accusando però la ragione di Stato, perché c'è sempre stata e sempre ci sarà. Egli piange per la sua patria, Venezia, che gli fu tolta, e il modo - dice con un verso dantesco (Inf. V, 102, parla Francesca) - ancor m'offende. I fautori di Napoleone si illudono che egli, essendo italiano, un giorno aiuterà la sua patria, ma Jacopo invece non si illude e ritiene anzi che la natura ha creato Napoleone tiranno ed il tiranno non guarda alla patria e non ne ha.


La lettera è importante perché anticipa quello che sarà il pensiero politico di tanti Italiani del Risorgimento (Mazzini,...), i quali erano convinti come il Foscolo che la libertà non era un dono concesso dagli stranieri, ma doveva essere conquistata con la lotta e i sacrifici degli Italiani stessi. Questa convinzione la troviamo liricamente nel I coro dell'Adelchi di Alessandro Manzoni (Dagli atri muscosi, dai fori cadenti....). In questa lettera c'è una rilettura del Machiavelli: egli apprezza il coraggio di Napoleone, ma non la mente volpina, anche se comunque è giustificato dall'emotività. Qui il tema amoroso si fonde con quello politico.

La natura 

Questa lettera contiene tutto il pensiero di Foscolo. La sua amara concezione materialistica della vita, viene infatti addolcita dalle "illusioni", come la bellezza (intesa in senso lato, quella femminile e quella della natura), l'amore, l'amicizia, la poesia, la patria, l'eroismo, la gloria, l'ansia di infinito: tutti valori capaci di dare un senso alla vita dell'uomo. Vorrebbe essere un pittore per dipingere la bellezza della natura che rasserena l'uomo, anche se ha la consapevolezza di non poter imitare la natura nella sua bellezza. Egli osserva lo spettacolo della natura in una sera di maggio e la sua descrizione appartiene alla tradizione neoclassica ( è un paesaggio idillico); poi passa alla descrizione della sera , che è cupa, minacciosa (tipica delle descrizioni preromantiche). A mezzogiorno la natura è in quiete: gli uccelli cantano, le pecore pascolano, il vento muove le foglie, le giovenche muggiscono (è un pezzo pieno di echi letterari, da Dante a certe tonalità arcadiche e di idillio preromantico). L'agricoltore segue i buoi appoggiato al bastone, madri e moglie preparano la cena nelle capanne fumanti, i pastori mungono il gregge e la vecchierella stanca accarezza il torello e gli agnelli. Foscolo riprende la tradizione di Teocrito e Virgilio di rappresentare uno scenario animato da persone umili (le Bucoliche) e questo non contrasta con il quadro classicheggiante (Arcadia). Lo scenario a poco a poco diventa sempre più vasto e smisurato: la pianura si perde e le ombre della notte si diffondono sulla terra. Dopo più di due ore di estatica contemplazione, egli scende lentamente dal monte e nel buio della notte non vede che i fuochi dei pastori. Mentre saluta le costellazioni, si sente invadere da un non so che di celeste, che gli fa desiderare una regione assai più alta della terra, avverte cioè un'ansia di infinito che gli dà la sensazione di una realtà sovrumana che lo avvince. Poi questo stato d'animo muta di colpo. Quando arriva sulla montagnola presso la chiesa sente la campana dei morti, vede i cumuli erbosi del cimitero ed è colto dal presentimento della morte , dalla sua concezione materialistica della realtà, per cui la materia torna alla materia (la materia è tornata materia; nulla scema, nulla cresce, nulla si perde quaggiù; tutto si trasforma e si riproduce), in un incessante processo di nascita, morte e trasformazione, a cui sono soggetti gli essere viventi. Sopraffatto dalla tristezza e dalla stanchezza di questo pensiero, Jacopo si sdraia e nell'oscurità lascia sfilare dinanzi alla mente tutte le sue sventure e tutte le sue speranze. Non vede altro che la sepoltura, in cui sprofondano i beni ed i mali di questa inutile vita. La prospettiva del nulla eterno dopo la morte lo avvilisce e lo fa piangere, perciò ha bisogno di consolazione che trova nel ricordo di Teresa e la invoca tra i singhiozzi.

Qui nel contrasto tra il pessimismo, dettato dalla concezione meccanicistica della realtà e le illusioni, prima prevalgono le illusioni - in particolare l'ansia di infinito che dà a Jacopo l'intuizione di una realtà trascendente -, poi, alla vista del cimitero, prevale il pessimismo dinanzi alla prospettiva della morte e del nulla eterno. Subentra, infine, a salvarlo dalla disperazione, un'altra illusione, l'amore, che si esprime con l'invocazione di Teresa. Quando cadrà anche quest'ultima illusione dopo il matrimonio di Teresa con Odoardo, la disperazione spingerà Jacopo al suicidio.

L'amore Questa lettera è come un inno alla più dolce delle illusioni foscoliane: l'amore, sentito come il momento più esaltante della vita umana. Lo spunto per questo inno all'amore è offerto a Jacopo dall'ebbrezza provata nell'aver baciato giorni prima Teresa. Anche se è convinto che il suo amore è senza speranza perché Teresa è fidanzata ad Odoardo, Jacopo si sofferma a descrivere liricamente la metamorfosi del suo animo derivata dalla dolcezza di quel bacio.   Dopo quel bacio egli è cambiato: i suoi pensieri sono diventati più nobili, tutto gli appare più soave, la natura si abbellisce al suo sguardo. Perfino dagli uomini egli non fugge più. L'amore è la madre delle arti belle, perché ispira la sacra poesia negli animi generosi, che tramandano alle future generazioni i loro canti di incitamento a compiere nobili imprese; accende inoltre nel cuore degli uomini la Pietà, ossia la tenerezza degli affetti. Senza l'amore la terra diventerebbe ingrata. Al ricordo di quel bacio egli ha l'impressione di vedere intorno a sé le Ninfe ed invoca in loro compagnia le Muse e l'Amore e poi vede le Naiadi. Un filosofo, sentendolo delirare così griderebbe "Illusioni!", ossia cose che si possono solo immaginare, ma Jacopo non è di questo parere. Egli chiama beati gli antichi che si credevano degni dei baci delle dee immortali, facevano sacrifici alla Bellezza e alle Grazie, credevano belli e veri tutti i sogni della loro fantasia. "Illusioni!" ripete il filosofo, ma senza di esse egli vivrebbe nell'angoscia, senza uno stimolo all'azione e se un giorno il cuore non avrà più sentimenti e passioni, egli se lo strapperà dal petto e lo caccerà come un servo infedele.

Così questa lettera cominciata con l'esaltazione dell'amore , si chiude con l'esaltazione di tutte le "illusioni" (la bellezza, la poesia, i sentimenti gentili, ecc.) sentite come l'unico stimolo a vivere  ed a operare nobilmente. Le illusioni segnano il trionfo dello spirito sulla materia, il trionfo degli ideali sulla miseria della condizione umana, destinata all'oscurità e alla morte. La ragione valuta l'amore come illusione, mentre il cuore lo riconosce come verità.

Fuoriuscito in patria    In questa lettera troviamo anticipata l'esaltazione di Firenze  e della Toscana, fatta nei Sepolcri, unità però con una serie di amare considerazioni sul malvezzo degli Italiani di combattersi tra loro, favorendo la plurisecolare divisione dell'Italia. La Toscana è la terra dove, dopo le barbarie, ossia dopo gli anni bui del Medioevo, risorsero la poesia e le lettere. Essa fu il centro della civiltà rinascimentale (cioè comprendente la cultura italiana da Dante ad Ariosto). Ma la Toscana è bella anche per la dolcezza del clima. Eppure Jacopo è inquieto perché ovunque vada sente il peso dell'esilio e della solitudine, avrebbe voluto andare a Roma per prostrarsi sui resti della passata grandezza, ma le autorità gli hanno negato il passaporto (poiché l'Italia era divisa in piccoli Stati) . Il diniego del passaporto amareggia Jacopo, che fa una serie di amare considerazioni politiche sulla condizione degli Italiani. Essi sono come fuoriusciti e stranieri nella stessa Italia e appena sono fuori del loro piccolo territorio, nulla li protegge: né l'ingegno, né la fame, né i buoni costumi... Il fatto più grave è che i sospetto e le ostilità non sono soltanto delle autorità, ma anche degli stessi italiani, che trattano come barbari, stranieri, quegli Italiani che non sono del loro piccolo territorio, sicché, mentre le nostre messi hanno arricchito i dominatori stranieri, le nostre terre non offrono aiuto agli Italiani perseguitati ed esiliati. i monti della Toscana sono famosi per le battaglie fratricide di quattro secoli prima tra Guelfi e Ghibellini e a Jacopo sembra ancora di vedere tutti quei Toscani che si ammazzavano tra di loro. E cerca di dissuaderli dicendo che i re per i quali essi combattono si dividono pacificamente i loro beni e la loro terra. Egli conclude la lettera con amaro pessimismo, dolendosi di dover sempre accusare l'Italia e compiangerla, senza alcuna speranza di poterla mai correggere e soccorrere.

Il tema della lettera è esclusivamente politico. Essa comincia con tono pacato, quando Jacopo ricorda la Toscana come terra della poesia e delle lettere, poi il diniego del passaporto con il quale avrebbe voluto recarsi a Roma per venerare le altre reliquie delle passate grandezze dell'Italia, gli apre gli occhi sulla realtà presente di un'Italia divisa, gretta e provinciale, in cui gli Italiani, dimentichi di essere fratelli, si guardano tra di loro in cagnesco come se quelli delle altre province fossero stranieri. E' tale l'amarezza di questo fatto, suffragato anche dai ricordi del passato, che alla fine Jacopo conclude con l'amara constatazione che, di fronte a tanta ottusità, grettezza e provincialismo, egli ha perduto la speranza di poter mai correggere e soccorrere la sua patria. Il tono acceso e declamatorio della seconda parte nulla toglie alla sincerità e al calore dei sentimenti espressi.



Il Parini  Anche qui troviamo anticipata la parte dei Sepolcri (vv.  53-77), dove il Foscolo parla di Parini. Dal colloquio con il Parini, che ha carattere politico e morale, Jacopo trae spunto per confessare la fine di ogni illusione di libertà e di eroismo e il proposito del suicidio inteso alfierianamente come un gesto di protesta contro un mondo di violenza, di viltà, di miseria in cui gli tocca vivere. Balza così in primo piano il conflitto tra individuo e società che è un tema tipicamente romantico. Nella lettera sia Jacopo che il Parini sono due figure in cui idealmente si rispecchia lo stesso Foscolo: Jacopo, perché il Foscolo l'ha modellato infondendo in lui i propri ideali ed il suo temperamento romantico; il Parini, perché il Foscolo ne ha alterato la figura storica, che era di carattere moderatamente sdegnoso, attribuendogli idee e temperamento di stampo alfieriano e foscoliano , presentandolo come uno spirito fiero, anelante a un mondo nuovo di libertà, di giustizia, di virtù magnanime ed eroiche, impossibili però da realizzare, in un mondo dominato dalla violenza dei tiranni e dalla viltà dei sudditi. L'Ortis rappresenta il momento più cupo del pessimismo foscoliano, quando nemmeno dai suoi maestri ideali, Parini ed Alfieri, colti anch'essi dalla stessa disperazione, viene più una parola di incitamento, di conforto e di fede in un mondo nuovo. Jacopo afferma che per liberarsi dalla tirannide è necessario lottare, mentre Parini lo disillude, dicendogli che per il momento non c'è un barlume di libertà e consigliandogli di abbandonare la politica. Ma Jacopo gli risponde che l'unico sentimento che ancora gli anima la vita, oltre all'amore per Teresa, è quello per la patria.

Ritorna così il suicidio come unica soluzione al dramma della vita. Ma al suicidio può pensare Jacopo che è un laico e non crede nell'altro mondo, non il Parini che è un sacerdote e ha riposto in cielo le sue speranze.

La lettera di Ventimiglia Jacopo riflette prima sulla storia d'Italia, un tempo dominatrice, ora serva dello straniero; poi sull'eterna onnipotenza delle umane sorti (cfr. Sepolcri, vv 153-154), ossia sul destino che tocca alternativamente ai popoli, ora di dominare sugli altri, ora di essere dominati; infine sulla generale infelicità degli uomini. Nella prima parte della lettera, Jacopo, preso dallo sconforto per la sua condizione di esule, si sforza di giustificare razionalmente il suicidio, ribattendo alle obiezioni che si possono sollevare contro di esso. Egli riconosce che ormai la sua esistenza, crollati tutti gli ideali in cui credeva, non giova più a nessuno, né alla patria né alle persone amate, anzi queste per causa sua possono subire anch'esse le persecuzioni. Perciò da Ventimiglia, dove è giunto per passare in Francia su consiglio della madre e dell'amico, decide di rinunziare ad emigrare e di tornare in patria sui colli Euganei e di morire. Questa decisione gli dà un senso di pace, ma più che di pace - dice all'inizio della seconda parte - si tratta di un tipo di stanchezza simile al sonno della morte. Come si vede, di tutto il paesaggio Jacopo rileva solo gli aspetti più orridi e selvaggi, cari allo spirito romantico, perché conformi allo stato d'animo di chi è sconvolto dalle passioni. La vista dei monti intorno a Nizza (che egli considera terre italiane, ma che appartengono alla Francia) offre lo spunto a Jacopo di meditare sulla storia d'Italia e dalla conseguente dominazione straniera. A questo punto la concezione meccanicista e deterministica della storia che ispira fatalismo e pessimismo, in quanto appare come una serie di violenze e di sciagure, fatalmente ineludibili, sembra incrinarsi e aprire la speranza di un domani migliore. Quando Jacopo dice che la sterilità di un campo prepara la prosperità dell'anno seguente, intende dire che le sciagure d'oggi forse preparano una vita diversa, più bella e finalmente conforme ai desideri umani.

La lettera è importante perché svolge la prima fase del pensiero del Foscolo, caratterizzata da un pessimismo totale che lo porta a vagheggiare il suicidio come solo rimedio alla vita infelice, un suicidio che è insieme liberazione e protesta: liberazione dall'infelicità e dal dolore, e protesta contro il capriccio del destino che incombe sugli uomini con le sue fatalità incomprensibili ed ineluttabili. E' parimenti importante perché il Foscolo, che proprio dall'Illuminismo ha ricavato la concezione meccanicistica e deterministica della realtà, qui concepisce la ragione, tanto esaltata dagli Illuministi, un dono funesto della natura, perché, mentre ci apre gli occhi sulla tragica condizione umana di miseria e di dolore sulla terra, ridotta ad una foreste di belve, non ci ha fornito alcun mezzo per rimediarvi. Ma se disprezza la ragione, in compenso il Foscolo già romanticamente esalta il sentimento, quando fa dire a Jacopo di provare piacere al pensiero del compianto dopo la morte e al pensiero dell'illusione, secondo la quale, se le passioni vivono dopo il sepolcro, il suo spirito doloroso sarà confortato dai sospiri di quella celeste fanciulla, che egli credeva nata per lui... e il destino feroce gli ha strappato dal petto.

Il pessimismo sarà poi superato mediante la fede nelle "illusioni" (la bellezza, l'amore, l'armonia del creato, la poesia, la patria, la gloria...) che con la loro forza e dolcezza riescono a dare, negli spiriti più sensibili, uno scopo ed un significato alla vita.

Addio alla vita    Ormai votato alla morte, Jacopo scrive la lettera d'addio a Teresa, cominciando con la descrizione poetica del paesaggio a lui caro, di cui alcuni elementi sono strettamente legati alla loro storia d'amore. Alla fine dice a Teresa che se qualcuno la accuserà della sua morte dovrà ricordargli che lui in punto di morte ha proclamato la sua innocenza.

E' questa forse la pagina più suggestiva del romanzo, degno epilogo di una storia d'amore e morte, resa ancora più esaltante dalla passione politica.




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