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Il Gorgia
Il dialogo si svolge probabilmente in casa di Callicle, che ospita il sofista Gorgia di Leontini e il suo discepolo Polo, in un momento posteriore al 407 (Socrate allude alla sua esperienza di pritania dicendo che è avvenuta l'anno precedente). Callicle svolge una parte rilevante nel dialogo, rappresenta, per così dire, l'acclimatazione dell'etica aristocratica alla democrazia.
Il Gorgia è un passo importante nella maturazione del pensiero di Platone: l' élenchos e alcune tesi socratiche convivono con la critica filosofica alla democrazia e con l'accenno a miti e temi metafisico-morali destinati a venir sviluppati nelle successive opere della maturità.
Gorgia, che si vantava di saper rispondere a qualsiasi domanda, è reduce da una
fortunata esibizione pubblica. Socrate gli pone un quesito analogo a quello cui
aveva messo di fronte Protagora: "chi
sei?", cioè "che cosa insegni?"
Polo, ambizioso allievo del sofista, si offre di rispondere in sua vece: gli
uomini hanno molte technai, apprese
dall'esperienza. L'esperienza fa sì che la nostra vita proceda secondo una
regola e non a caso. Gorgia è il migliore, perché possiede la techne più bella.
La tesi di Polo ha una componente epistemologica: l'idea che la techne, intesa nel senso di conoscenza
indirizzata alla pratica, derivi esclusivamente dall'esperienza. Socrate
osserva che il giovane sofista ha imparato la retorica, ma non l'arte del
dialogo come argomentazione finalizzata alla verità: si è lanciato in una lode
della retorica, ma non ha detto che cos'è. Ha fatto un discorso
propagandistico, mentre Socrate chiedeva una definizione che spiegasse quale
fosse il contenuto caratterizzante dell'insegnamento di Gorgia.
Interviene Gorgia, che accetta di discutere con Socrate usando l'argomentazione
breve, che rende possibile l'interlocuzione, in luogo della macrologia: un
abile sofista sa padroneggiare entrambe le tecniche.
La retorica: seduzione o techne ?
La retorica - spiega Gorgia interrogato da Socrate - è una techne,
,come la tessitura, la medicina, la ginnastica, la musica. Tutte le technai producono discorsi persuasivi nel
rispettivo ambito di competenza e hanno ad oggetto dei beni.Le technai manuali si risolvono nel lavoro, quelle
discorsive hanno la loro azione e ratificazione nei discorsi. In particolare,
la retorica si occupa di produrre discorsi 616f58g persuasivi nelle assemblee politiche
e nei tribunali: il suo oggetto è il giusto e l'ingiusto. E' una techne che conferisce grande potere a chi la
domina, perché un discorso persuasivo può sopravanzare, nelle pubbliche
assemblee, le argomentazioni di esperti in altri rami del sapere.
Socrate induce Gorgia a distinguere fra il sapere che segue all' avere imparato
e la convinzione che segue all' essere stati persuasi.
Sia
chi ha imparato, e dunque sa, sia chi è stato convinto, e dunque nutre una
credenza, è persuaso di ciò che gli è stato messo in mente: ma mentre può
esserci una persuasione (pistis ) vera
e una persuasione falsa, non può esservi una scienza ( episteme
) falsa.
La retorica, che mira alla persuasione e non all'insegnamento, suggerisce
soltanto delle credenze, e funziona soprattutto davanti a un pubblico di
ignoranti - un pubblico cui non viene trasmesso nulla, ma è semplicemente
manipolato.
Gorgia sottolinea che se della retorica viene fatto un uso ingiusto, la
responsabilità di questo uso non dipende da chi l'ha insegnata, ma dall'allievo
che la impiega così. In altri termini, l'arte del sofista è uno strumento
moralmente neutro, una tecnica nel senso moderno della parola, il cui
significato assiologico dipende dall'uso che se ne
fa.
Socrate replica che, stando così le cose, il retore non è esperto neppure
sull'oggetto del suo discorso, il giusto e l'ingiusto, e conosce solo l'arte di
persuadere gli ignoranti, cioè di sembrare sapiente fra gli incompetenti.
Gorgia, cadendo in contraddizione con quanto detto prima, risponde affermando
che la retorica comporta anche la conoscenza di ciò che è giusto.
L'etica dell'élenchos
La distinzione socratica fra il sapere che segue l'aver imparato e la persuasione che segue all'essere convinto potrebbe incorrere nel sospetto di essere una distinzione meramente retorica: chi ci assicura che l'insegnamento non sia una forma scaltrita di persuasione? Anche i sofisti con cui Socrate si confronta hanno la pretesa di insegnare qualcosa; le domande con cui Socrate li incalza suggeriscono il dubbio che la sofistica non abbia nulla da trasmettere, ma si riduca al marketing di se stessa. Gorgia stesso, di fronte a questo dubbio, preferisce cadere in contraddizione, affermando che la retorica ha qualcosa da insegnare sul giusto e sull'ingiusto.
Socrate è davvero diverso dai sofisti? Per rispondere a questa domanda, dobbiamo scoprire, nell'argomentazione di Socrate, qualcosa che la distingua dalla retorica sofistica. E questo compito è difficile, perché Socrate conosce ed usa le tecniche argomentative dei suoi avversari. Ma, proprio discutendo con Gorgia, fa un'affermazione che nessun sofista potrebbe condividere:
...ritengo l'essere confutato come un maggior beneficio, tanto maggiore, quanto è meglio essere liberati dal male più grande che liberarne altri. (458a) |
Lo spessore semantico del sostantivo greco élenchos
e del corrispondente verbo elencho comprende
non solo la nostra "confutazione", ma anche il venire riconosciuti
colpevoli, e l'essere svergognati (in Omero). L' elenchos
, in altri termini, non è una riprovazione puramente cognitiva, ma comporta
una esperienza umiliante. Un sofista o un politico pubblicamente confutati
avrebbero fatto una brutta figura, e avrebbero perso mercato o potere. Stando
così le cose, è bizzarro e paradossale che Socrate veda nell' élenchos una esperienza salutare e benefica,
tanto da render preferibile il venir confutati al confutare; ed è analogamente
bizzarra la convinzione socratica che subire ingiustizia sia meglio che
commetterla. Ma proprio simili convinzioni distinguono l' atteggiamento di
Socrate da quello dei sofisti: Socrate può avere la certezza di
"insegnare" perché egli stesso si espone alla confutazione e, non
facendosi pagare, rifiuta la competizione della politica e del mercato. La
differenza prima fra stile socratico e stile sofistico non è solo logica ed
epistemologica - non riguarda solo gli strumenti argomentativi - ma ha
anche a che vedere con un orientamento e un interesse etico, preliminari allo
sviluppo dei suoi ragionamenti: è per un interesse etico che Socrate mette alla
prova se stesso e gli altri in una confutazione che è allo stesso tempo una
esperienza di purificazione personale.
Conoscenza e potenza
Polo sfrutta l'imbarazzo del maestro come occasione per rifarsi avanti: Gorgia
si è vergognato di ammettere che la retorica è una tecnica indipendente da ogni
controllo assiologico, e Socrate ne ha approfittato
per farlo cadere in contraddizione. Ma come se la caverebbe Socrate, se fosse
investito del compito di rispondere?
Socrate accetta la sfida, e si impegna a sostenere la tesi che la retorica -
l'arte di argomentare in pubblico - non è una vera e propria techne, perché non ha ad oggetto un bene
umano; è, piuttosto, una forma di adulazione e di seduzione. Non avendo un
progetto, essa si basa solo sull'esperienza, come del resto aveva detto Polo
all'inizio del dialogo. Il rapporto fra la retorica e l'amministrazione della
giustizia, intesa come una techne, è
paragonabile a quello fra la cucina e la medicina: un bravo cuoco, in base alla
sua esperienza, può certo cucinare cibi gradevoli al palato, ma solo un buon
medico, che ha in mente un ideale di salute fisica, sa dire quale sia la dieta
più sana. [463b ss]
Per questo motivo, non si può sostenere che sia sufficiente l'esperienza a fare
una techne: occorre anche una
conoscenza dei fini cui è indirizzata l'azione. Questa conoscenza non può
derivare solo dall'esperienza, perché richiede un giudizio sui fini in base ai
quali facciamo i nostri progetti.
Polo replica dicendo che retori e tiranni hanno un grande potere nella città,
perché possono far bandire o mettere a morte chi vogliono. Una tesi di questo
genere presuppone la convinzione che la retorica, se intesa come tecnica
agnostica rispetto alla natura e al valore dei fini per i quali viene
impiegata, accresca il potere delle persone che la dominano. Imparare una
tecnica mettendo fra parentesi il problema della moralità dei suoi fini conduce
a padroneggiare degli strumenti che ci sarebbero preclusi se avessimo scupoli di natura etica. Il nostro arbitrio, in questo
modo, avrà possibilità più ampie di realizzazione.
Socrate, che pensa che una vera techne includa
la consapevolezza e la valutazione dei suoi fini, deve dimostrare che i retori
e i tiranni non hanno le potenzialità loro attribuite, perché non hanno la
consapevolezza e la capacità di valutare gli scopi per i quali agiscono. Essi
non fanno ciò che desiderano, ma ciò che sembra loro opportuno. E le due cose
non sono necessariamente identiche.
Gli uomini agiscono per degli scopi, che devono essere dei beni per loro: ad
esempio, chi beve una medicina amara, lo fa in vista di un bene, la sua salute.
Le azioni che compiono per ottenere questi beni sembrano loro buone. Ma una
azione che sembra buona, cioè in grado di realizzare il bene cui è finalizzata,
può non essere l'azione più adatta per conseguire il bene che l'agente si
prefigge. In questo caso, l'agente fa ciò che gli sembra bene, ma non fa ciò
che desidera. Ciò che l'azione effettivamente realizza è diverso da ciò che
l'agente aveva in mente di ottenere. Questo avviene quando un agente, pur
avendo il potere di agire, manca di conoscenza sulla vera natura della sua
azione.
Facciamo un esempio: l'oracolo annuncia a Edipo che ucciderà suo padre e
sposerà sua madre. Edipo, essendo convinto che i suoi genitori adottivi di
Corinto siano i suoi genitori naturali, fugge a Tebe
per sottrarsi alla profezia. Qui comincia a desiderare di sposare la vedova del
re, Giocasta. Questo è ciò che gli sembra bene.
Edipo, tuttavia, non sa che Giocasta è sua madre;
ignora, pertanto, che l'oggetto reale del suo desiderio è proprio ciò che sta
cercando di evitare, e cioè il matrimonio con sua madre. Edipo fa quello che
gli sembra bene, ma non quello che desidera, a causa della sua ignoranza. Se ci
manca la conoscenza, non basta il potere, per realizzare quello che vogliamo.
La giustizia come parte della felicità
Quando Socrate afferma che il potere senza conoscenza non ha nessun valore, non
sta parlando di una conoscenza semplicemente tecnica, ma della conoscenza del
bene, che permette di discernere il giusto dall'ingiusto. Egli ha di fronte un
interlocutore, Polo, il quale pensa che la retorica, svincolata dall'etica,
possa migliorare il benessere di chi se ne vale senza farsi scrupoli. Il poter
fare ciò che sembra dei retori e dei tiranni è qualcosa di invidiabile. E a
questo interlocutore deve dimostrare che l'ingiustizia, e non l'impotenza, è il
male supremo:
Il
supremo male, il male peggiore che possa capitare, è commettere
ingiustizia... |
Socrate conduce Polo a riconoscere che il vero potere non è semplicemente fare
ciò che si vuole, ma riuscire a trarne vantaggio. Il giovane sofista, allora,
gli adduce come esempio di felicità un usurpatore e tiranno di successo, il
despota macedone Archelao figlio di Perdicca. Come
prova della sua tesi presenta il consenso della maggioranza. Socrate, però, non
accetta questa prova come valida: il ridicolo e l'appello ad una opinione
condivisa dai più sono solo surrogati di confutazione - surrogati tanto più
sospetti in quanto offerti da un sofista, che fino a un momento fa si era
vantato di saper manipolare le assemblee con la propria retorica - i quali non
hanno nessun valore in una argomentazione sulla verità.
Socrate si propone di dimostrare a Polo, con il metodo elenctico,
che non è possibile essere nello stesso tempo ingiusto e felice. L'opinione da
cui prende avvio l' élenchos è la tesi di Polo
secondo cui subire ingiustizia è peggiore che commetterla; ma commettere
ingiustizia è moralmente più brutto che patirla. Questa tesi si basa sul
presupposto che la bellezza e la bruttezza morale siano diverse dal bene e dal
male in quanto inteso a procurare felicità.
Il primo passo dell'élenchos consiste nel chiedere per quale ragione una cosa è considerata "bella" . La risposta è: perché dà piacere o è utile a chi la contempla. Analogamente, una cosa apparirà brutta se provoca dolore o danno. Cioè il bello e il brutto dipendono dal piacere e dal dolore che provocano, o dal bene e dal male che procurano.
Polo aveva riconosciuto che commettere ingiustizia è più brutto che patirla.
Ma questo significa che Polo riconosce anche che commettere ingiustizia può essere o più doloroso o più dannoso (peggiore) che subirla.
Commettere ingiustizia non supera in dolore in patirla. Possiamo però ammettere che lo supera in male, e quindi:
commettere ingiustizia è peggio che subirla.
Questo
argomento si basa su un' omissione, che lo può fare apparire un sofisma, se non
rendiamo esplicite le sue premesse tacite. .Ma, nel dialogo, è un argomento
sufficiente a piegare Polo: la giustizia, in quanto padronanza di sé
rappresenta il benessere e la salute dell' anima. E chi si sottrae alla
giustizia correttiva e alle sue punizioni, si comporta come un bambino che
cerchi di sottrarsi alla sua medicina, perché non si rende conto che serve per
guarirlo. Anzi, se vogliamo il male di un nostro nemico dobbiamo cercare di
sottrarlo alla giustizia, perché viva il più a lungo possibile in
compagnia della sua infelicità. Perciò, conclude Socrate ironicamente, la
retorica serve soltanto quando si ha a che fare con chi ha intenzione di
commettere il male. Altrimenti è perfettamente inutile.
L'attacco aristocratico e sofistico alla giustizia politica
A questo punto, irrompe nella discussione un interlocutore ancora più
agguerrito di Polo, Callicle. Socrate parla sul serio
o scherza? Perché, se dicesse sul serio, l'intera vita umana sarebbe capovolta,
e tutti faremmo proprio il contrario di quello che dovremmo fare.
Socrate gli risponde con un gioco di parole: siamo entrambi innamorati, io di
Alcibiade e della filosofia, tu del demos ateniese
e di Demo figlio di Pirilampo. Tu non sai contraddire
quello che dice il tuo amore, ma ti lasci cambiare da cima a fondo. Così faccio
io; con la differenza che Alcibiade dice ora una cosa ora un'altra, la
filosofia sempre la stessa. E se non confuti quanto sostiene la filosofia, tu
sei in disaccordo con te stesso e disarmonico. Per capire che cosa vuol
lasciare intendere Socrate, dobbiamo tener presente che il rapporto fra
l'amante adulto e il più giovane amato era di tipo educativo: Callicle che fa tutto quello che dice Demo, che è, con un
doppio senso, un ragazzo e il popolo, è un cattivo politico e un cattivo
amante.
Callicle decide di stare al gioco: Socrate è riuscito
a prevalere su Gorgia e su Polo perché ha usato dei trucchi retorici, e ha
approfittato del fatto che i due sofisti si vergognassero a dire quello che
veramente pensavano. Entrambi hanno trattato l'idea di giustizia come qualcosa
di dato, e non hanno osato metterla in discussione. Ma basterebbe smascherare
il carattere convenzionale di questa idea per sottrarsi agli argomenti di
Socrate, la cui forza si basa solo sul pudore altrui.
Polo, quando diceva che commettere ingiustizia è più brutto che subirla,
intendeva più brutto per legge o per convenzione od uso; Socrate, invece,
suggerisce che lo sia per natura. Ma per natura ciò che è più brutto - subire
ingiustizia - è anche peggiore; è solo per legge che è il contrario. Per natura
non è da uomo, ma da servo subire ingiustizia senza essere capaci di
ricambiarla, ed è meglio morire che vivere maltrattati e offesi. Quelli che
fanno le leggi sono i deboli e i molti, per il loro utile . Spaventano i
più forti, che potrebbero prevalere, dicendo che è brutto e ingiusto pretendere
di avere più del dovuto e cercare di prevalere sugli altri. Essi amano avere
l'uguale perché sono mediocri. Ma per natura è giusto che il migliore prevalga
sul peggiore, e il più potente sul meno capace. Questo la natura lo mostra
ovunque, tra gli animali e tra gli uomini, nelle città e nelle famiglie. Il
forte che riuscisse a liberarsi dagli incantesimi della città, sarebbe nostro
padrone. Questo sarebbe il giusto secondo la legge di natura. [483a ss.]
La filosofia è solo un passatempo per i giovani, e non è da uomo continuare a
praticarla da adulti, quando si deve misurare il proprio valore nell'agorà e
nella polis: Socrate, ad esempio, non saprebbe difendersi se accusato
ingiustamente in tribunale, proprio perché perde tempo con la filosofia, quando
la retorica sarebbe assai più utile.
Le tesi di Callicle usano la sofistica e l'etica
aristocratica per smascherare la giustizia e l' isonomia
democratica come ingannevole e convenzionale. La realtà dei rapporti umani,
come si può vedere nella famiglia e nella politica estera, si basa sulla legge
del più forte, che, aristocraticamente, è anche il migliore. Callicle, tuttavia, nonostante faccia proprio l'arsenale
delle critiche antidemocratiche contemporanee, accetta la democrazia come campo
di battaglia: i migliori sono, elitisticamente, anche
coloro che prevalgono manipolando le masse con la retorica.
Socrate si compiace di aver trovato un interlocutore come Callicle,
che è la miglior pietra di paragone per la sua anima, in quanto possiede
scienza, benevolenza e franchezza nel parlare. E dopo questa captatio benevolentiae,
egli comincia l' élenchos, che
punta, impietosamente, sui suoi pudori. Nel confronto con Callicle,
che è un aristocratico, Socrate si atteggia ad ingenuo, ma sceglie
provocatoriamente esempi che fanno riferimento a cose e persone
"vili", allo scopo di irritare e mettere in ridicolo il suo
interlocutore. Questo espediente retorico serve a smascherare i presupposti assiologici che Callicle nasconde
acriticamente sotto la sua professione di realismo.
La prima obiezione di Socrate mette in luce una contraddizione caratteristica
della critica aristocratica all'etica della democrazia: se la maggioranza
pensa che commettere ingiustizia è peggio che subirla, e impone con la forza la
sua preferenza alla minoranza, è nel suo diritto naturale, essendo la più
forte. E Callicle, per quale il giusto secondo natura
comporta la prevalenza del più forte, dovrebbe coerentemente rassegnarsi alla
volontà dei più, a prescindere dalla loro condizione sociale.
Callicle risponde, sdegnato, che Socrate
approfitta della sue scelte terminologiche infelici: i migliori che hanno
diritto di prevalere sui peggiori non sono i più forti fisicamente, perché
questo legittimerebbe il potere di una accozzaglia di plebei e di schiavi. E
rettifica la sua definizione: i "migliori" sono quelli che valgono di
più, nel senso che sono i più intelligenti o competenti.
Socrate gli chiede chiarimenti: un medico, in quanto esperto di dieta, ha il
diritto di ingozzarsi con una quota sproporzionata di cibo, in luogo di
distribuirlo a ciascuno secondo le sue necessità? Un bravo tessitore avrà
titolo ad avere più degli altri, e se ne andrà in giro avvolto in molti e
magnifici drappi? E, per quanto riguarda la distribuzione delle scarpe, un
calzolaio dovrà andare a spasso indossando più paia di scarpe, e più grandi di
quelle degli altri?
Callicle, sempre più irritato, risponde
che lui non si occupa di simili mestieranti, ma delle persone esperte negli
affari politici, a cui deve essere assegnato il potere nella città.
Il problema della sophrosyne
Socrate mette Callicle di fronte a un altro aspetto
dell'etica democratica: la virtù della sophrosyne
(temperanza o autocontrollo). Questi "migliori", che dovrebbero
governare la città, sanno governare se stessi? Il suo interlocutore, da
aristocratico, rifiuta di trattare la sophrosyne
come una virtù: il giusto per natura comporta che ciascuno assecondi i suoi
desideri e le sue passioni. La temperanza non è una virtù, perché comporta
l'asservimento alle leggi, al logos e al biasimo dei molti,
anziché alla proprie passioni personali. [491e]
Socrate, riprendendendo una metafora pitagorica,
paragona l'anima di chi è asservito alla passione ad un orcio bucato, che deve
essere continuamente riempito con un recipiente anch'esso bucato. La natura del
desiderio è tale che esso non potrà mai essere soddisfatto, perché continuerà a
ripresentarsi ciclicamente, in base a bisogni più o meno indotti. Callicle, di contro, pensa che l'essenza della vita felice
sia questo ciclo ripetitivo di soddisfazione e di privazione: vivere dolcemente
consiste nel più grande fluire. L'ideale di vita di Callicle
si contrappone frontalmente a quello di Socrate: chi persegue la conoscenza
segue un itinerario lineare e irreversibile, come possiamo vedere nel Protagora, mentre chi persegue il piacere è
prigioniero di un processo ripetitivo.
Socrate propone a Callicle, che aveva in mente le
nobili passioni dell'aristocratico, come il desiderio di primeggiare sugli
altri o di vendicare gli amici, una serie di applicazioni sgradevoli o scurrili
della sua tesi. La vita decantata da Callicle è
simile a quella del caradrio, una specie di piviere
che evacua mentre mangia, o a quella di un malato di rogna che trova sollievo
nel grattarsi continuamente, o ancora - cosa obbrobriosa per un fautore della
virilità- a quella dell'omosessuale passivo. Callicle
si scandalizza, ad onta della sua decantata indipendenza dalle convenzioni dei
più.
Dopo essersi così preparato il terreno, Socrate può colpire Callicle al cuore della sua tesi, che comporta l'identificazione del bene con il piacere (nel senso di soddisfazione dei desideri). Bene e piacere non sono la stessa cosa per tre motivi fondamentali:
La giustizia come armonia dell'anima
Questa techne non può essere la retorica,
perché si basa solo sull'esperienza e non ha un progetto. Il suo modello deve
essere, piuttosto, il lavoro dell'artigiano, che sceglie i pezzi da montare
tenendo presente l' idea. In base al modello offerto dall'idea, i pezzi
vengono disposti in un ordine e in una proporzione armoniosa.
L'ordine del corpo si chiama salute, quello dell' anima legge. Questo ordine si
conserva attraverso le virtù personali della giustizia e della sophrosyne, e comporta una relazione
armoniosa sia con se stessi, sia con la totalità fuori di sé.
Socrate diceva che la virtù è consapevolezza: per questo essa può essere riassunta
nella sophrosyne, che è controllo di
sé. [507b ss]
Nel Gorgia, accanto a questa tesi socratica, si introduce l'elemento
dell'idea , il modello di rettitudine, ordine e armonia dell'anima. Ci
si potrebbe chiedere se l'idea, in quanto modello, possa fare a meno
della consapevolezza personale, fino ad ispirare un "modellamento"
delle persone a prescindere dalla loro volontà. L'equiparazione socratica di
virtù e conoscenza, se applicata in modo radicale, sembra non autorizzare
nessuna punizione differente dalla confutazione. Una punizione che si
giustificasse perché riplasma le persone secondo il
modello appropriato non sarebbe compatibile con la teoria della virtù come
conoscenza, ma potrebbe essere legittimata da una nozione di virtù come
conformità a un'idea. La prospettiva del Gorgia, tuttavia, è resa
problematica dal fatto che Platone non rigetta la tesi socratica della
virtù come consapevolezza: l' élenchos,
per esempio, è trattato come un'esperienza di emendazione non soltanto
cognitiva, ma anche morale. Egli aggiunge alla tesi di Socrate, la
teoria dell' idea dell'anima come modello di ordine, come se non vi fosse
contrasto fra le due posizioni.
Nella parte conclusiva del dialogo Callicle, che è stato sconfitto dall' élenchos, segue l'argomentazione di Socrate con riluttanza e senza convinzione, per cortesia verso Gorgia, che continua a fare da spettatore, e perché il suo interlocutore lo costringe, quasi, a continuare. Socrate si dice incapace a costruire una argomentazione senza il controllo di un altro dialogante, che verifichi la solidità delle sue tesi. E arriva a dire che, per quanto i ragionamenti condotti fino a quel momento siano "di ferro e diamante", non sa affatto come stiano veramente le cose, ma sa solo che nessuno, finora, è riuscito a sostenere tesi diverse senza venir confutato. [509a] La certezza del ragionamento elenctico è sempre provvisoria, perché costruita sulle opinioni di persone provvisorie: Socrate non lusinga mai i suoi interlocutori, nel senso che non permette loro di nutrirsi dell'illusione di aver acquisito qualcosa da lui.
Questa debolezza è nello stesso tempo un punto di forza: mentre gli esperti di
retorica Gorgia e Polo sono ridotti a spettatori, Socrate conduce chi riesce a
discutere con lui ad occuparsi non di tecniche argomentative
sul giusto e sull'ingiusto, ma del giusto e dell'ingiusto in quanto questione
sostantiva.
La critica filosofica alla democrazia
Socrate, seguito dal recalcitrante Callicle, affronta
un problema tecnico-politico: per evitare di subire ingiustizia occorre o
conquistare il potere, o parteggiare per il governo in carica. Ma per essere
amici di chi è al potere, occorre essergli il più possibile simile: un tiranno,
ad esempio, disprezzerà chi è peggiore di lui e avrà paura di chi è migliore di
lui. Sarà amico solo di chi ha la sua stessa mentalità ed è disposto a
rimanergli soggetto. Se l'arte della politica si riduce a una pratica di
sopravvivenza, essa consisterà semplicemente nell'ingraziarsi il padrone. Callicle pensa di valersi della retorica per manipolare le
masse, che, aristocraticamente, disprezza. In realtà, cercando di lusingarle,
si rende simile a loro, mentre un buon politico dovrebbe piuttosto interagire
con le persone, per renderle migliori.
D'altra parte, anche se riconosciamo l'utilità della retorica per argomentare
nelle assemblee e nei tribunali, e dunque, all'occorrenza, per sottrarsi a una
condanna a morte, non si vede da dove questa disciplina possa trarre un titolo
di nobiltà. Anche il nuoto, la navigazione e la tecnica di costruire macchine
da guerra salvano la vita; eppure il maestro di nuoto, il marinaio e il
meccanico non vanno pavoneggiandosi per la loro techne,
anche perché essi sanno benissimo che i loro strumenti servono solo alla
sopravvivenza, e non alla felicità delle persone. E' bizzarro che Callicle, un meccanico della sopravvivenza politica, guardi
dall'alto in basso il costruttore di macchine, quando egli stesso, per farsi
valere nella polis, si renda simile al demos
che tanto disprezza, al solo scopo di lusingarlo.
Il giudizio dei morti
Il Gorgia si conclude con il primo dei grandi miti platonici della
maturità: il mito del giudizio dei morti. Socrate afferma che questo racconto è
in realtà un logos, e ha solo l'apparenza di mythos.
Tanto è vero che egli stesso dice di vivere cercando di non commettere
ingiustizia, piuttosto che di non subirla, perché teme molto di più il giudizio
dei morti, con la cui narrazione si congeda da noi, che quello dei vivi.
Luca Mazzotti
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