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Giacomo leopardi

letteratura



Giacomo leopardi


Giacomo leopardi nasce a recanati (luogo molto arretrato economicamente e culturalmente) nel 1798, è un uomo pessimista, materialista, contrario al progresso e laico. E' figlio di un nobile ma la sua vita è una vita di isolamento, infatti ha sempre cercato di fuggire da questo paese ed ha sempre desiderato l'indipendenza economica che non ha mai trovato completamente. E' un uomo malato e la sua malattia è uno strumento fondamentale per la poesia e per la riflessione sulla vita degli uomini (di tutti i tempi). Cresce senza affetti, con legami profondi solo con i fratelli, ma nonostante ciò è un uomo di grande erudizione (conosce tante nozioni, sa) e di cultura accademica ed è proprio la sua formazione culturale che avrà un'importanza grandissima. Nel 1816 si colloca la sua conversione letteraria (dall'erudizione al bello, cioè ai valori della poesia) e poco dopo inizia a scrivere poesia e compone i piccoli idilli. Dopo aver iniziato una corrispondenza con giordani, leopardi si sente sempre più a disagio nell'ambiente recanatese e nel 1819 tenta di fuggire dalla prigionia familiare, ma viene scoperto dal padre. Inizierà poi a scrivere lo zibaldone: diario intimo in cui tratta di come il suo pensiero si sia sviluppato, ed in particolare viene segnalata la sua conversione filosofica ( dal bello al vero, cioè dalla poesia alla filosofia e quindi inizia a riflettere sui temi dell'uomo) e solo nel 1822 potrà lasciare per la prima volta la sua terra natale per recarsi a roma dove però subisce una forte delusione. Tornato a recanati, a causa anche delle condizioni fisiche, si dedica alla scrittura delle operette morali, originali prose che trattano di riflessioni filosofiche e dove è importante il rapporto tra vita e felicità ed il tema principale è quello della natura matrigna. Si entra qui (1824) nella fase del pessimismo cosmico (totale) dove leopardi ha una sconsolata visione della condizione umana. Negli anni a seguire leopardi viaggia molto ma è nel 1827 che si trasferisce a pisa dove rimane incantato per il clima, l'aspetto e l'accoglienza generosa e dove viene favorito il ritorno alla scrittura poetica. Scrivendo a silvia apre la stagione del ciclo pisano-recanatese (grandi idilli: forte presenza autobiografica; viaggio nella propria personalità descrizione dei moti del proprio io e del proprio animo. E' come un'avventura dell'animo). Nel 1730 una sottoscrizione degli amici toscani gli permette di lasciare recanati, dove non tornerà più perché pochi anni dopo nel 1733 si trasferisce a napoli dove muore. Prima della morte però riesce a comporre gli ultimi due canti (il tramonto della luna e le ginestre nel quale tratta della natura malvagia e del rapporto con l'uomo; questo viene definito complicato perché è la ragione che prende il sopravvento). Il rapporto intrapreso con giordani modifica l'atteggiamento dell'autore dando alla sua cultura una dimensione filosofica e civile che vanno al di là dell'erudizione. Leopardi accoglie dall'illuminismo con entusiasmo la fiducia nella ragione e nella ricerca sperimentale ed empirica della verità, ma inizialmente applica questa formazione razional 828g63i istica a un contenuto ideologico cattolico; sarà solo successivamente che si distaccherà dalla religione. Leopardi è inoltre ritenuto un eccellente filologo: i suoi interventi congetturali, le sue ipotesi, le sue ricostruzione della tradizione tedesca lo pongono al livello dei più grandi filologi tedeschi del tempo. Si è a lungo negato però, che il pensiero leopardiano abbia una rilevanza filosofica; esso infatti mancherebbe dei requisiti necessari alla speculazione (sistematica, coerenza, originalità). E' solo dopo la ii guerra mondiale che viene riconosciuta l'importanza della sua speculazione, anche perché è egli stesso che parla spesso del suo sistema e che definisce teorie alcune proprie riflessioni di particolare rilevanza generale. Il suo metodo di indagine è però definito aperto in quanto l'autore rifiuta un uso specialistico della speculazione filosofica; non pensa cioè in quanto filosofo ma in quanto essere umano e sociale. I due criteri di funzionalità sui quali tenta di adeguare le proprie riflessioni sono il vero per l'individuo o esistenziale dell'io e il vero sociale dei molti; le leggi del sistema devono, quindi, avere un valore sia soggettivo che oggettivo. Verso il 1818 leopardi affronta il problema dell'infelicità umana (frutto della civiltà vista in contrasto con la natura) definendo l'uomo stesso il colpevole. A suo parere la natura è considerata un'entità positiva e benefica e non c'entra con l'infelicità perché mette in vita l'uomo e lo dota di immaginazione che lo rendono capace di virtù; è infatti la civiltà umana che distrugge le illusioni e che non permette all'uomo di essere felice sulla terra, perché erano proprio le illusioni che rendevano portavano l'individuo a credere che la felicità potesse essere raggiunta. L'infelicità dell'uomo non è quindi un dato essenziale, ma storico: gli antichi infatti erano in grado di immaginare, mentre i moderni no. Questa prima fase viene per questo motivo definita pessimismo storico che è basato su alcune antitesi come natura-ragione, immaginazione-sentimento, bello-vero, poesia-filosofia (1818-1823). A causa della crisi di questo sistema di natura e di illusioni l'adesione di leopardi al cattolicesimo viene meno e si apre la porta verso il sensismo illuministico, dove le idee e quindi la poesia dipende dalle sensazioni. Leopardi acquisisce tra l'altro un forte aspetto materialista, ispirato al meccanicismo e al sensismo; da qui nasce la teoria del piacere (1820), una ricerca cioè proiettata verso il futuro: la ricerca del piacere è infinita nello spazio (quando trovi un piacere ne cerchi subito un altro) e nel tempo (nasce con l'uomo e muore con la morte della persona) e siccome l'illusione alimenta il senso di felicità si dice anche che il piacere viene alimentato dal sensismo; l'illusione è anche definita dolce e piacevole ma sempre destinata a cadere. L'uomo prova piacere quando cessa l'ansia e il dolore ma il piacere è momentaneo e per questo motivo non può cessare il desiderio infinito. Si ha in questo modo una nuova concezione della natura vista come colpevole dell'infelicità umana e inadeguata perché da agli uomini l'amor proprio ed il bisogno di felicità senza poter in nessun modo soddisfare tale bisogno; anzi fa della vita un insieme di delusioni e di sofferenze con il solo scopo della morte. Si procede così verso il pessimismi cosmico (1824-1837)dove viene vista la vita come male perché appunto sono le condizioni esistenziali dell'uomo le cause dell'infelicità. Nel 1816 ha inizio l'età della restaurazione ed è la data in cui ha inizio in italia il dibattito tra classicisti e romantici. Questo ha preso inizio grazie ad un articolo scritto da madame de stael sulla biblioteca italiana che invita gli italiani ad aprire le finestre sull'europa. A questo risposero polemicamente i classicisti (tra cui leopardi e giordani) che sostengono l'eternità del bello, l'imitazione degli antichi e il rispetto delle regole aristoteliche (unità di tempo, spazio e luogo), fanno ricorso a temi mitologici, si riferiscono ad un pubblico di eruditi ed utilizzano una lingua aulica e basata sulla tradizione del passato; mentre i romantici sostengono il bello storico, si basano sull'originalità e rifiutano le regole aristoteliche, ricorrono a temi moderni, si riferiscono ad un pubblico borghese e fanno uso della lingua comune e popolare. Giordani reagì affermando che non esistono progressi e poiché il culmine era già stato toccato in passato non c'era bisogno di novità ma solo di imitare i processi che avevano reso possibile tale risultato; inoltre giordani difende la grande tradizione letteraria italiana. La posizione di leopardi fu invece un po' più complessa in quanto intervenne per ben due volte al dibattito, ma importante fu nel 1818 la scrittura del dialogo di un italiano intorno alla poesia romantica. Il suo discorso è tutto basato sulle contrapposizioni antichità-modernità, natura-ragione, illusione-vero; egli afferma che il mondo moderno è nemico delle illusioni e della natura, ma è solo da queste che può nascere la poesia, perciò il compito del poeta è imitare la natura. Difende poi gli italiani sottolineando le distanze tra la nostra cultura e le altre. Per leopardi il legame tra poesia e natura e l'unico punto di forza per la poesia, perché questa nasce dalla natura e dai sensi; è proprio per questo che è impossibile non guardare i classici siccome nell'età primitiva gli antichi si creavano illusioni e fantasticavano perciò avevano uno stretto rapporto con la natura e da questo poteva nascere la poesia. I romantici uccidono questo legame e quindi la poesia stessa per cui ne nasce una forte contrapposizione tra ragione che fa cadere la poesia e natura che la fa nascere. Secondo leopardi l'età moderna rappresenta l'età delle illusioni, dove trionfa il vero e la ragione e dove cioè si scopre la verità e l'uomo si allontana dallo stato di natura per cui l'unica strada per fare poesia è studiare ed imitare gli antichi. Il poeta contemporaneo viene così definito imitatore degli imitatori perché solo i classici possono imitare la natura e quindi creare la vera poesia sentita; mentre all'uomo moderno è concessa solo la poesia sentimentale, quella cioè sentita come canto e vicino alla filosofia in cui il poeta si convince che sono cadute le illusioni e che il mondo moderno è vissuto nella realtà. L'intellettuale deve poi potenziare le esperienze che ha vissuto negli anni in cui è più vicino allo stato di natura e quindi gli anni dell'infanzia, della gioventù. Secondo i romantici italiani la poesia deve avere una funzione sociale e civile e per questo c'è bisogno di sviluppare temi che riguardano tutto il popolo (es: risorgimento) ed una funzione pure politica; mentre secondo leopardi è importante riprendere le virtù ed i valori morali che gli antichi avevano riprodotti alla luce della nuova società. I romantici rifiutavano il ritorno al passato ed sostennero le loro opinioni su alcuni manifesti romantici tra cui ricordiamo lettera semiseria di grisostomo dove viene sottolineato il problema della lingua e del pubblico per gli intellettuali. Leopardi nutre, inoltre, una profonda sfiducia nel senso della storia e nel progresso soprattutto perché quest'ultimo ha allontanato l'uomo dallo stato di natura. Anche in leopardi però si ritrovano alcuni aspetti dell'immaginario romantico come la scissione io-mondo e la tensione tra natura e uomo; ma i temi trattati principalmente dal poeta sono quelli dell'angoscia, del dolore, dell'infinito e del mistero. Secondo lui la poesia deve essere capace di corrispondere all'aspirazione umana al piacere servendosi di determinate tecniche, deve così perseguire un'espressività indeterminata poiché nell'uomo vi è la presenza dell'immaginazione alla indeterminatezza: ecco il motivo per il quale leopardi ricerca spesso vocaboli vaghi e indefiniti che lasciano fantasticare ed evocano. Questa immaginazione si esercita in particolare nella direzione della memoria e del desiderio; per questo la poesia deve dare voce al passato, riportando all'uomo quella sensazione di piacere e di soddisfacimento. Come si è potuto notare, leopardi attribuisce alla poesia e alla letterature una grande importanza; tuttavia egli interpreta il ruolo di scrittore in modo lontano dai termini tradizionali visto che ad esempio rifiuta le concezioni dell'arte come produzione di bellezza estetica per il godimento o come esercizio di decoro (tendenze democratiche e civilmente impegnate dell'illuminismo). Scrivere è per lui esprimere il mondo concreto ed empirico di un "io" determinato fatto di corpo, sensazioni, storicità materiali ed essere sensibile all'identità della specie. Il 1824 è l'anno delle operette morali (dialoghi o riflessioni di carattere filosofico); tra queste ricordiamo dialogo della natura e di un islandese e cantico del gallo silvestre. La prima tratta il tema dell'infelicità dove protagonista è un islandese che fugge per tutta la vita dalla natura, convinto che essa perseguiti gli uomini rendendoli infelici, ma sebbene l'abbia fuggita, ne è perseguitato di continuo. Nel dialogo emerge la totale indifferenza della natura al bene e al male della gente, ed è la natura stessa ad affermare le leggi di uno spietato materialismo; il dialogo non è concluso e per questo rimane in sospeso. L'altra operetta, invece, è scritta in prosa ma è in forma di cantico (si nota qui la chiusura della prosa e un elevato senso di pessimismo). Il cantico riassume alcuni temi portanti come il radicale materialismo, il prevalere del male e del dolore sulla felicità, la superiorità della morte sulla vita.la vita (ore di veglia) è data solo in funzione della morte (sonno sogno), il mattino rappresenta l'età della giovinezza, il periodo cioè in cui si soffre di meno perché riesce ad illuderci maggiormente; la sera è composta dalle ore più angosciose perché scorge la realtà, mentre la notte rappresenta il sonno e quindi la morte per sopportare le fatiche del giorno successivo, si assapora così la morte per vivere la vita. La produzione poetica significativa di leopardi è tutta la raccolta dei canti composto tra il 1816 e il 1837. Il linguaggio che utilizza il poeta nei suoi testi è di grande capacità evocativa (i testi evocano e riescono a far commuovere e a ritrovare i sentimenti) e non sarà mai imitato da nessuno; lavora sulla parola e non sul termine, utilizza molti aggettivi e lavora con la memoria che attenua la realtà che appunto porta alla poesia. Il titolo persegue l'unificazione dei due filoni fondamentali del libro, quello delle canzoni e quello dei testi idillici. La sua produzione poetica viene suddivisa in tre fasi corrispondenti a momenti espressivi: si da pertanto la prima fase (1818-22) che vede nascere le canzoni civili e gli idilli, una seconda fase (1828-30) caratterizzata dai canti pisano-recanatesi, una terza fase (1831-37) corrispondente alle canzoni sepolcrali e ai componimenti impegnati. La prima fase è caratterizzata da tre direzioni di ricerca: una prima è di tipo romantico per i temi quotidiani e scabrosi ed i titoli valgono a riassumere il contenuto del testo; ma è importante ricordare che questa prima direzione legata a episodi di cronaca nera non entrerà mai a far parte dei canti, mentre le altre due si. Da una parte ricordiamo le canzoni civili dove l'autore tenta una poesia ed un linguaggio impegnato; dall'altra troviamo gli idilli dove viene sperimentata una poesia più lirica, di tipo sentimentale adottando un linguaggio più semplice e una forma aperta e personale. L'impegno civile delle canzoni si conclude con la canzone bruto minore (1821), nella quale l'eroe romano (ispiratore assassino di cesare), deluso dai valori per cui lottava e sconfitto, rinnega la virtù fino ad allora seguita accusando l'indifferenza dell'universo; rifiuta ogni illusione di immortalità ed infine prima di uccidersi esprime il desiderio di confondersi nella materia inerte. Questa rappresenta un suicidio civile. L'altra canzone del suicidio è invece l'ultimo canto di saffo (1822) e rappresenta un suicidio esistenziale dove una poetessa greca si uccide perché è brutta e deforme in quanto secondo lei la natura gli ha negato l'amore (inclinazione del concetto di madre benevola); è proprio qui che viene accusato il destino dell'uomo e gli dei, ritenuti distributori di felicità ed infelicità. In queste canzoni del suicidio si nota un'opposizione tra il grande sentire e l'illusione, che per leopardi è la capacità di immaginare; l'uomo è per lui, capace di relazionarsi solo all'interno di un cerchio stretto, ma non è in grado di vivere in un grande cerchio (come ad esempio a roma che in fin dei conti è uguale a recanati). Parallelamente alle canzoni civili nascono gli idilli (1819-21), cioè situazioni, affezioni, avventure storiche dell'animo del poeta, sottolineando il carattere soggettivo ed esistenziale di questi temi e presentando un punto di vista lirico-soggettivo dove l'espressione di una condizione interiore personale si associa ad un bisogno di interrogazione e riflessione di tipo speculativo. Leopardi sceglie, in questi testi, un lessico comune e piano, nobilitato però alla ricerca del vago e dell'indefinito. Dal punto di vista metrico emerge l'endecasillabo sciolto che può esprimere in modo migliore i momenti più narrativi di questi testi. Gli idilli più significativi sono l'infinito che rappresenta un complesso itinerario immaginativo e conoscitivo e la sera del dì di festa dove si alterna il confronto con un paesaggio notturno dominato dalla luna e dalla distanza dalla donna amata e la riflessione sull'immensità del passato.




L'infinito

E' un idillio ed anche uno dei testi più conosciuti di leopardi. In questo testo il poeta cerca di recuperare la memoria perché ricordare ci permette di rendere più vaga e poetica l'esperienza presente. Ciò che non si vede bene, che non è ben definito, che è vagamente sentito o lontano è, secondo lui, poetico perché porta l'uomo verso l'immaginazione proprio come la siepe che impedisce la vista di ciò che sta al di là di essa e che mette in moto un processo fantastico piacevole. Il rumore delle foglie mosse dal vento, in contrasto con il silenzio dell'infinito, riporta il poeta alla realtà. I termini utilizzati sono tutti indefiniti, vaghi perché lasciano fantasticare ed evocano per creare l'infinito; vi è anche un forte uso e contrapposizione dell'aggettivo dimostrativo che permette di distinguere il passato dal presente. Utilizza l'endecasillabo sciolto; la sintassi rompe con la metrica e quindi rompe con i canoni della poesia metrica; mentre i verbi utilizzati sono coniugati al tempo infinito o gerundio ed anche questi danno un senso di indeterminatezza. Si ritrova in questo testo la teoria del piacere in quanto il poeta fa riferimenti al tempo e allo spazio infiniti immaginati al di là della siepe; la ragione è in questo testo però sempre presente, leopardi è consapevole e sa di immaginare (mi fingo) ma questo gli porta piacere ed è da questo che si comprende il suo rifiuto per la trascendenza e il metafisico: fantastica, immagina ma è sempre cosciente di tutto.


La sera del di' di festa

Composto nel 1820, questo idillio, riprende in parte il tema dell'infinito confrontando il presente con l'infinità del tempo. In questo periodo ci troviamo alle soglie del pessimismo cosmico e del materialismo nel quale viene ritrovato un uomo che facendo parte della natura soffre, ma questa ne rimane indifferente. Inoltre qui si trova una riflessione sul tema della perdita e della vanità di ogni cosa, misurato sul riferimento dei popoli antichi e sull'esperienza personale; il poeta osserva un oggetto e riflette ed è proprio l'oggetto o il luogo che è motivo di riflessione sentimentale. Il testo è suddivisibile in due parti: la prima comprende la descrizione di una situazione e la seconda lo sviluppo della riflessione. Il piacere viene definito come una constatazione drammatica della vita del poeta, dove la natura ascolta ed è interlocutrice ma rimane indifferente (contrapposizione tra la notte serena e l'angoscia del poeta). La metrica utilizzata è sempre quella dell'endecasillabo sciolto; qui leopardi si riferisce prima alla luna e in seguito alla donna che vorrebbe fosse sua e che ama e dopo una breve descrizione della quiete del paesaggio si affaccia osservando e pensando al giorno di festa che sta passando e all'arrivo del giorno lavorativo che porta con sé qualsiasi tipo di disgrazia; questo porta il poeta a ragionare in modo tale da pensare che tutto nella vita è qualcosa di effimero, di passeggero e non lascia ricordi (come il giorno festivo); ma non solo le piccole cose sono effimere, anche le glorie dei grandi. Durante la lettura dell'idillio si nota la presenza di percezioni sensoriali di tipo uditivo e visivo; queste scandiscono i moti dell'animo e la fantasia del poeta dando l'impressione di una successione temporale dove il ricordo attenua il presente che è visto in maniera completamente negativa.


A silvia

Silvia rappresenta il simbolo della giovinezza ed è proprio con gli anni della giovinezza che se ne va l'illusione e quindi anche ogni speranza. E' un canto che viene scritto nel 1828 a pisa ed è il primo esempio di canzone libera in quanto è presente libertà sia nelle rime che nel metro. La tesi che uccide silvia e la delusione che colpisce tutte le speranze del poeta sono i referti portati a testimonianza di un destino generale dell'uomo; in ogni caso restano irrealizzate le illusioni e le speranze della giovinezza. Il rivelarsi tragico della verità, con la morte di silvia, suscita la protesta di leopardi nei confronti della natura, crudele ingannatrice e persecutrice degli uomini; così che la verità della condizione umana coincide con la perdita di ogni speranza (la sola certezza è la morte). Anche qui il testi viene diviso in due parti distinte, la prima comprende la descrizione mentre la seconda le riflessioni del poeta.


Canto notturno di un pastore errante dell'asia

Questo canto è l'ultimo del ciclo pisano-recanatesi e bisogna ricordare che non è ambientato a recanati perché l'ispirazione è venuta dalla lettura di un articolo di un barone russo che descriveva la vita e le condizioni dei pastori erranti (chirghisi). Chi medita e quindi chi parla non è il poeta ma proprio un povero pastore, leopardi infatti abbandona la poetica della rimembranza ed identifica le vicende dell'uomo primitivo alle vicende dell'uomo moderno, e le conclusioni sono che il filosofo ne sa quanto il pastore (l'ignoranza del pastore è una verità filosofica). Il testo , composto da sette strofe, viene diviso in due parti dove nella prima l'uomo guarda in alto e si rivolge alla natura, mentre nella seconda l'uomo guarda in basso al proprio gregge e questo sta a significare che l'animale è più in basso dell'uomo. All'inizio vi è un paragone tra la vita dell'uomo e quella della luna; il pastore interroga la luna tramite domande esistenziali, ma quest'ultima è solamente una presenza consolatrice ed interlocutrice e quindi non risponde e rimane indifferente alle parole rivolte. Questa situazione del poeta che parla alla luna viene definita topica perché è una situazione che nel leopardi incontriamo spesso. Successivamente il poeta spiega come è la vita dell'uomo mortale attraverso le proprie esperienze e la descrive con aggettivi che servono a dimostrare la potenza evocativa del discorso, la vita è una ricerca continua di consolazione che però porta sempre alla morte che rappresenta l'oblio. Sulla base di alcune constatazione il pastore si chiede poi perché dare la vita se poi bisogna sempre consolare questi essere di esistere e denuncia il momento della nascita come condizione di infelicità dell'uomo. Nella strofa centrale ci si ricollega nuovamente alla luna ed il pastore ipotizza che la luna possa osservare, vedere e comprendere; inoltre ci si chiede a cosa servano la sofferenza, la morte, la perdita, il susseguirsi dei giorni, delle stagioni e del tempo. Queste sono tutte domande di tipo esistenziale che appunto l'uomo si pone e alle quali non trova una risposta sensata. In conclusione di strofe viene però rivendicato il valore dell'esperienza materiale (teoria meccanicista)come fondamento della conoscenza e dall'esperienza materiale del pastore deriva la certezza del male. Si passa poi ad analizzare il pastore che guarda dall'alto verso il basso il suo gregge e dice che l'animale secondo lui è più beato perché riposa e non si rende conto di soffrire, non è consapevole di quello che gli accade in quanto scorda ogni stento, fastidio o affanno ed è libero dalle ansie. Una parola importante in questo canto è tedio che sta a significare la consapevolezza della vanità della vita, cioè la capacità di sentire la proprio angoscia sentimentale, le proprie sofferenze o noie. Il gregge che sta all'ombra e ne è appagato viene poi paragonato al pastore che a differenza dell'animale non riesce a trovare un po' di serenità, ma è assalito dall'angoscia ed è proprio per questo che l'uomo pensa che se fosse un vegetale o un animale forse sarebbe più felice. La conclusione che però ne traiamo è che per qualsiasi essere vivente la vita è male ed è funesto il giorno della nascita per tutti; la vita porta in sé la sventura in qualsiasi stato.


La quiete dopo la tempesta

Il titolo di questo canto, composto a recanati, è una metafora e sta a significare il piacere dopo l'affanno (angoscia, sofferenza) ed è proprio per questo che all'interno ritroviamo la teoria del piacere. Il testo porta una divisione netta tra descrizione e riflessione a differenza del canto notturno; nella prima parte viene presentata la descrizione del paesaggio dove leopardi si attiene alla struttura dell'idillio in senso classico (descrizione del paesaggio), mentre nell'ultima strofa vi è la riflessione. Il tema trattato è quello del piacere e la tesi è che l'unico vero piacere concesso all'uomo è quello che deriva da un dolore che cessa. La descrizione del paesaggio è fatta con la presenza di suoni di tipo onomatopeico ed il tutto è giocato su allitterazioni e rime. La seconda strofa rappresenta il commento all'evocazione della quiete dopo il temporale dove si nota che a causa di tutte le sofferenze che la natura porta agli uomini, questi pensano alla morte; l'uomo è infatti in balia di venti, fulmini.che sono mossi proprio dalla natura solo per offenderci. Il piacere è per leopardi un momento di serenità, mentre la morte rappresenta la salvezza dal dolore, perché libera la prole umana ed è questo che ci fa capire la forte concezione meccanicista del poeta. Nell'ultima strofa la natura viene anche definita cortese mentre la prole cara agli dei e per questo viene a loro rivolto come un riconoscimento che però viene letto tutto in senso ironico.




Dialogo della natura e di un islandese

Questo dialogo fu scritto nel 1824 ed affronta il tema nodale della natura che viene personificata e descritta come una gran donna ritta e con il volto mezzo tra il bello ed il terribile. L'islandese rappresenta in pratica il percorso che leopardi fa per passare dal pessimismo storico al cosmico. Leopardi trova la natura sotto l'equatore ed è qui che inizia un colloquio tra i due; inizialmente l'islandese spiega il motivo per cui fugge dalla terra nativa e quindi dalla natura ed è qui che si riscopre la teoria del piacere, perché spiega che ha abbandonato gli altri uomini e l'islanda che secondo lui è un paese difficilmente abitabile. L'uomo si è reso conto di quanto la vita è vana ed ha sperimentato una serie di piaceri che non giovano alla natura perciò cerca un luogo dove la natura è più benevola e dove viva meglio ma non ha trovato niente dove offendendo non veniva offeso proprio perché la natura ostacola sempre l'uomo. Le sue conclusioni sono che la natura è nemica dell'uomo e di qualsiasi creatura dell'universo ed ha constatato che non c'è possibilità di fuga e l'unica soluzione è accettare fieramente questo destino. La natura risponde affermando che non ha intenzione di curarsi delle creature umane in quanto lei segue solo la legge cioè creare e distruggere (concezione meccanicista). La conclusione del dialogo è che l'universo non ha alcun scopo e questo si comprende soprattutto nel finale, ironico ma amaro, quando tutto rimane in sospeso perché l'islandese viene mangiato da due leoni affamati: la vita dell'islandese non serve perciò a nulla, nemmeno ai leoni che dopo poco saranno nuovamente affamati; la vita dell'uomo serve solo a mantenere in vita l'intero universo.


La ginestra o il fiore del deserto

E' una canzone composta a torre del greco nel 1836. In questo testo non c'è più l'idillio e nemmeno la poetica del vago e dell'infinito ma troviamo l'arido vero che diventa materia di poesia; la ginestra indica l'uomo che ha acquistato la consapevolezza della realtà e quindi un uomo saggio o può rappresentare la poesia che continua a cantare e a levare alte le illusioni ed è l'unico fiore che riesce a vivere sulla terra arida e secca del vesuvio che invece rappresenta la natura che non muta rimanendo quindi minacciosa nonostante gli uomini cerchino di migliorare. Esso ha distrutto ciò che l'uomo aveva creato (la civiltà). Leopardi attraverso riflessioni filosofiche arriva a condannare il suo secolo giudicandolo stupido in quanto rifiuta la razionalità in nome di un rinomato spiritualismo che porta alle illusioni, per questo non si unirà agli uomini che parlano di progresso e futuro glorioso; l'uomo è solo una piccola parte dell'immenso universo e da questa affermazione si comprende il rifiuto da parte del poeta dell'ottimismo e dell'illuminismo. In apertura troviamo una citazione ironica che comprende un verso evangelico di giovanni e allude alla difficoltà con cui la verità regni negli uomini che preferiscono illudersi di cose false (le tenebre) piuttosto che prendersi coscienza della realtà (la luce) che però è dolorosa. Le tenebre indicano le stolte vie del progresso e un rifugio sconveniente per l'uomo, mentre la luce è la coscienza della sofferenza umana; l'uomo infatti secondo leopardi deve vivere coalizzandosi e nella consapevolezza della sua condizione (pessimismo cosmico). Nella prima parte del canto leopardi invita a vedere come la natura non si preoccupa dell'uomo, ma ci perseguita e dice che la vera grandezza dell'uomo è riconoscere la dura verità, realtà, cioè la sua condizione (l'uomo è in balia della natura che è nemica e questi attraverso un rapporto di solidarietà e quindi un'alleanza devono combatterla). L'oggetto della seconda parte è invece la critica nei confronti del 1800, periodo sciocco e stupido che ha abbandonato la strada percorsa e quindi la razionalità per lo spiritualismo vantandosi di andare avanti e inconsapevole, invece, di retrocedere. Leopardi afferma che cercherà di mostrare il disprezzo per il suo secolo che non guarda in faccia alla realtà nonostante sappia che chi si rende doloso viene poi dimenticato. Solo grazie al pensiero dell'illuminismo, secondo il poeta, siamo risorti dalla barbarie (età passate) e solo la civiltà può migliorare le sorti; il 1800, invece, ha girato le spalle a questo pensiero (illuminismo) e definisce vile chi diversamente lo segue, mentre chiami grandi gli uomini che elevano al di sopra delle stelle la condizione umana (uomini razionali). Durante la stesura di questo testo ci troviamo all'interno del pessimismo cosmico ma siamo ulteriormente dentro al pessimismo eroico dove la grandezza è consapevole della propria fragilità e precarietà.






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