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CAPITOLO IV, V - Cristoforo

letteratura



CAPITOLO IV

Il sole non era ancor tutto apparso sull'orizzonte, quando il padre Cristoforo uscì dal suo convento di Pescarenico, per salire alla casetta dov'era aspettato. E' Pescarenico una terricciola, sulla riva sinistra dell'Adda, o vogliam dire del lago, poco discosto dal ponte: un gruppetto di case, abitate la più parte da pescatori, e addobbate qua e là di tramagli e di reti tese ad asciugare. Il convento era situato (e la fabbrica ne sussiste tuttavia) al di fuori, e in faccia all'entrata della terra, con di mezzo la strada che da Lecco conduce a Bergamo. Il cielo era tutto sereno: di mano in mano che il sole s'alzava dietro il monte, si vedeva la sua luce, dalle sommità de' monti opposti, scendere, come spiegandosi rapidamente, giù per i pendìi, e nella valle. Un venticello d'autunno, staccando da' rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall'albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne' campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. La scena era lieta; ma ogni figura d'uomo che vi apparisse, rattristava lo sguardo e il pensiero. Ogni tanto, s'incontravano mendichi laceri e macilenti, o invecchiati nel mestiere, o spinti allora dalla necessità a tender la mano. Passavano zitti accanto al padre Cristoforo, lo guardavano pietosamente, e, benché non avesser nulla a sperar da lui, giacché un cappuccino non toccava mai moneta, gli facevano un inchino di ringraziamento, per l'elemosina che avevan ricevuta, o che andavano a cercare al convento. Lo spettacolo de' lavoratori sparsi ne' campi, aveva qualcosa d'ancor più doloroso. Alcuni andavan gettando le lor semente, rade, con risparmio, e a malincuore, come chi arrischia cosa che troppo gli preme; altri spingevan la vanga come a stento, e rovesciavano svogliatamente la zolla. La fanciulla scarna, tenendo per la corda al pascolo la vaccherella magra stecchita, guardava innanzi, e si chinava in fretta, a rubarle, per cibo della famiglia, qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che anche gli uomini potevan vivere. Questi spettacoli accrescevano, a ogni passo, la mestizia del frate, il quale camminava già col tristo presentimento in cuore, d'andar a sentire qualche sciagura.



« Ma perché si prendeva tanto pensiero di Lucia? E perché, al primo avviso, s'era mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamata del padre provinciale? E chi era questo padre Cristoforo? » Bisogna soddisfare a tutte queste domande.

Il padre Cristoforo da *** era un uomo più vicino ai sessanta che ai cinquant'anni. Il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo il rito cappuccinesco, s'alzava di tempo in tempo, con un movimento che lasciava trasparire un non so che d'altero e d'inquieto; e subito s'abbassava, per riflessione d'umiltà. La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del volto, alle quali un'astinenza, già da gran pezzo abituale, aveva assai più aggiunto di gravità che tolto d'espressione. Due occhi incavati eran per lo più chinati a terra, ma talvolta sfolgoravano, con vivacità repentina; come due cavalli bizzarri, condotti a mano da un cocchiere, col quale sanno, per esperienza, che non si può vincerla, pure fanno, di tempo in tempo, qualche sgambetto, che scontan subito, con una buona tirata di morso.

Il padre Cristoforo non era sempre stato così, né sempre era stato Cristoforo: il suo nome di battesimo era Lodovico. Era figliuolo d'un mercante di *** (questi asterischi vengon tutti dalla circospezione del mio anonimo) che, ne' suoi ultim'anni, trovandosi assai fornito di beni, e con quell'unico figliuolo, aveva rinunziato al traffico, e s'era dato a viver da signore.

Nel suo nuovo ozio, cominciò a entrargli in corpo una gran vergogna di tutto quel tempo che aveva speso a far qualcosa in questo mondo. Predominato da una tal fantasia, studiava tutte le maniere di far dimenticare ch'era stato mercante: avrebbe voluto poterlo dimenticare anche lui. Ma il fondaco, le balle, il libro, il braccio, gli comparivan sempre nella memoria, come l'ombra di Banco a Macbeth, anche tra la pompa delle mense, e il sorriso de' parassiti. E non si potrebbe dire la cura che dovevano aver que' poveretti, per schivare ogni parola che potesse parere allusiva all'antica condizione del convitante. Un giorno, per raccontarne una, un giorno, sul finir della tavola, ne' momenti della più viva e schietta allegria, che non si sarebbe potuto dire chi più godesse, o la brigata di sparecchiare, o il padrone d'aver apparecchiato, andava stuzzicando, con superiorità amichevole, uno di que' commensali, il più onesto mangiatore del mondo. Questo, per corrispondere alla celia, senza la minima ombra di malizia, proprio col candore d'un bambino, rispose: - eh! io fo l'orecchio del mercante -. Egli stesso fu subito colpito dal suono della parola che gli era uscita di bocca: guardò, con faccia incerta, alla faccia del padrone, che s'era rannuvolata: l'uno e l'altro avrebber voluto riprender quella di prima; ma non era possibile. Gli altri convitati pensavano, ognun da sé, al modo di sopire il piccolo scandolo, e di fare una diversione; ma, pensando, tacevano, e, in quel silenzio, lo scandolo era più manifesto. Ognuno scansava d'incontrar gli occhi degli altri; ognuno sentiva che tutti eran occupati del pensiero che tutti volevan dissimulare. La gioia, per quel giorno, se n'andò; e l'imprudente o, per parlar con più giustizia, lo sfortunato, non ricevette più invito. Così il padre di Lodovico passò gli ultimi suoi anni in angustie continue, temendo sempre d'essere schernito, e non riflettendo mai che il vendere non è cosa più ridicola che il comprare, e che quella professione di cui allora si vergognava, l'aveva pure esercitata per tant'anni, in presenza del pubblico, e senza rimorso. Fece educare il figlio nobilmente, secondo la condizione de' tempi, e per quanto gli era concesso dalle leggi e dalle consuetudini; gli diede maestri di lettere e d'esercizi cavallereschi; e morì, lasciandolo ricco e giovinetto.

Lodovico aveva contratte abitudini signorili; e gli adulatori, tra i quali era cresciuto, l'avevano avvezzato ad esser trattato con molto rispetto. Ma, quando volle mischiarsi coi principali della sua città, trovò un fare ben diverso da quello a cui era accostumato; e vide che, a voler esser della lor compagnia, come avrebbe desiderato, gli conveniva fare una nuova scuola di pazienza e di sommissione, star sempre al di sotto, e ingozzarne una, ogni momento. Una tal maniera di vivere non s'accordava, né con l'educazione, né con la natura di Lodovico. S'allontanò da essi indispettito. Ma poi ne stava lontano con rammarico; perché gli pareva che questi veramente avrebber dovuto essere i suoi compagni; soltanto gli avrebbe voluti più trattabili. Con questo misto d'inclinazione e di rancore, non potendo frequentarli famigliarmente, e volendo pure aver che far con loro in qualche modo, s'era dato a competer con loro di sfoggi e di magnificenza, comprandosi così a contanti inimicizie, invidie e ridicolo. La sua indole, onesta insieme e violenta, l'aveva poi imbarcato per tempo in altre gare più serie. Sentiva un orrore spontaneo e sincero per l'angherie e per i soprusi: orrore reso ancor più vivo in lui dalla qualità delle persone che più ne commettevano alla giornata; ch'erano appunto coloro coi quali aveva più di quella ruggine. Per acquietare, o per esercitare tutte queste passioni in una volta, prendeva volentieri le parti d'un debole sopraffatto, si piccava di farci stare un soverchiatore, s'intrometteva in una briga, se ne tirava addosso un'altra; tanto che, a poco a poco, venne a costituirsi come un protettor degli oppressi, e un vendicatore de' torti. L'impiego era gravoso; e non è da domandare se il povero Lodovico avesse nemici, impegni e pensieri. Oltre la guerra esterna, era poi tribolato continuamente da contrasti interni; perché, a spuntarla in un impegno (senza parlare di quelli in cui restava al di sotto), doveva anche lui adoperar raggiri e violenze, che la sua coscienza non poteva poi approvare. Doveva tenersi intorno un buon numero di bravacci; e, così per la sua sicurezza, come per averne un aiuto più vigoroso, doveva scegliere i più arrischiati, cioè i più ribaldi; e vivere co' birboni, per amor della giustizia. Tanto che, più d'una volta, o scoraggito, dopo una trista riuscita, o inquieto per un pericolo imminente, annoiato del continuo guardarsi, stomacato della sua compagnia, in pensiero dell'avvenire, per le sue sostanze che se n'andavan, di giorno in giorno, in opere buone e in braverie, più d'una volta gli era saltata la fantasia di farsi frate; che, a que' tempi, era il ripiego 717b15h più comune, per uscir d'impicci. Ma questa, che sarebbe forse stata una fantasia per tutta la sua vita, divenne una risoluzione, a causa d'un accidente, il più serio che gli fosse ancor capitato.

Andava un giorno per una strada della sua città, seguito da due bravi, e accompagnato da un tal Cristoforo, altre volte giovine di bottega e, dopo chiusa questa, diventato maestro di casa. Era un uomo di circa cinquant'anni, affezionato, dalla gioventù, a Lodovico, che aveva veduto nascere, e che, tra salario e regali, gli dava non solo da vivere, ma di che mantenere e tirar su una numerosa famiglia. Vide Lodovico spuntar da lontano un signor tale, arrogante e soverchiatore di professione, col quale non aveva mai parlato in vita sua, ma che gli era cordiale nemico, e al quale rendeva, pur di cuore, il contraccambio: giacché è uno de' vantaggi di questo mondo, quello di poter odiare ed esser odiati, senza conoscersi. Costui, seguito da quattro bravi, s'avanzava diritto, con passo superbo, con la testa alta, con la bocca composta all'alterigia e allo sprezzo. Tutt'e due camminavan rasente al muro; ma Lodovico (notate bene) lo strisciava col lato destro; e ciò, secondo una consuetudine, gli dava il diritto (dove mai si va a ficcare il diritto!) di non istaccarsi dal detto muro, per dar passo a chi si fosse; cosa della quale allora si faceva gran caso. L'altro pretendeva, all'opposto, che quel diritto competesse a lui, come a nobile, e che a Lodovico toccasse d'andar nel mezzo; e ciò in forza d'un'altra consuetudine. Perocché, in questo, come accade in molti altri affari, erano in vigore due consuetudini contrarie, senza che fosse deciso qual delle due fosse la buona; il che dava opportunità di fare una guerra, ogni volta che una testa dura s'abbattesse in un'altra della stessa tempra. Que' due si venivano incontro, ristretti alla muraglia, come due figure di basso rilievo ambulanti. Quando si trovarono a viso a viso, il signor tale, squadrando Lodovico, a capo alto, col cipiglio imperioso, gli disse, in un tono corrispondente di voce: - fate luogo.

- Fate luogo voi, - rispose Lodovico. - La diritta è mia.

- Co' vostri pari, è sempre mia.

- Sì, se l'arroganza de' vostri pari fosse legge per i pari miei. I bravi dell'uno e dell'altro eran rimasti fermi, ciascuno dietro il suo padrone, guardandosi in cagnesco, con le mani alle daghe, preparati alla battaglia. La gente che arrivava di qua e di là, si teneva in distanza, a osservare il fatto; e la presenza di quegli spettatori animava sempre più il puntiglio de' contendenti.

- Nel mezzo, vile meccanico; o ch'io t'insegno una volta come si tratta co' gentiluomini.

- Voi mentite ch'io sia vile.

- Tu menti ch'io abbia mentito -. Questa risposta era di prammatica. - E, se tu fossi cavaliere, come son io, - aggiunse quel signore, - ti vorrei far vedere, con la spada e con la cappa, che il mentitore sei tu.

- E un buon pretesto per dispensarvi di sostener co' fatti l'insolenza delle vostre parole.

- Gettate nel fango questo ribaldo, - disse il gentiluomo, voltandosi a' suoi.

- Vediamo! - disse Lodovico, dando subitamente un passo indietro, e mettendo mano alla spada.

- Temerario! - gridò l'altro, sfoderando la sua: - io spezzerò questa, quando sarà macchiata del tuo vil sangue.

Così s'avventarono l'uno all'altro; i servitori delle due parti si slanciarono alla difesa de' loro padroni. Il combattimento era disuguale, e per il numero, e anche perché Lodovico mirava piùttosto a scansare i colpi, e a disarmare il nemico, che ad ucciderlo; ma questo voleva la morte di lui, a ogni costo. Lodovico aveva già ricevuta al braccio sinistro una pugnalata d'un bravo, e una sgraffiatura leggiera in una guancia, e il nemico principale gli piombava addosso per finirlo; quando Cristoforo, vedendo il suo padrone nell'estremo pericolo, andò col pugnale addosso al signore. Questo, rivolta tutta la sua ira contro di lui, lo passò con la spada. A quella vista, Lodovico, come fuor di sé, cacciò la sua nel ventre del feritore, il quale cadde moribondo, quasi a un punto col povero Cristoforo. I bravi del gentiluomo, visto ch'era finita, si diedero alla fuga, malconci: quelli di Lodovico, tartassati e sfregiati anche loro, non essendovi più a chi dare, e non volendo trovarsi impicciati nella gente, che già accorreva, scantonarono dall'altra parte: e Lodovico si trovò solo, con que' due funesti compagni ai piedi, in mezzo a una folla.

- Com'è andata? - E' uno. - Son due. - Gli ha fatto un occhiello nel ventre. - Chi è stato ammazzato? - Quel prepotente. - Oh santa Maria, che sconquasso! - Chi cerca trova. - Una le paga tutte. - Ha finito anche lui. - Che colpo! - Vuol essere una faccenda seria. - E quell'altro disgraziato! - Misericordia! che spettacolo! - Salvatelo, salvatelo. - Sta fresco anche lui. - Vedete com'è concio! butta sangue da tutte le parti. - Scappi, scappi. Non si lasci prendere.

Queste parole, che più di tutte si facevan sentire nel frastono confuso di quella folla, esprimevano il voto comune; e, col consiglio, venne anche l'aiuto. Il fatto era accaduto vicino a una chiesa di cappuccini, asilo, come ognun sa, impenetrabile allora a' birri, e a tutto quel complesso di cose e di persone, che si chiamava la giustizia. L'uccisore ferito fu quivi condotto o portato dalla folla, quasi fuor di sentimento; e i frati lo ricevettero dalle mani del popolo, che glielo raccomandava, dicendo: - è un uomo dabbene che ha freddato un birbone superbo: l'ha fatto per sua difesa: c'è stato tirato per i capelli.

Lodovico non aveva mai, prima d'allora, sparso sangue; e, benché l'omicidio fosse, a que' tempi, cosa tanto comune, che gli orecchi d'ognuno erano avvezzi a sentirlo raccontare, e gli occhi a vederlo, pure l'impressione ch'egli ricevette dal veder l'uomo morto per lui, e l'uomo morto da lui, fu nuova e indicibile; fu una rivelazione di sentimenti ancora sconosciuti. Il cadere del suo nemico, l'alterazione di quel volto, che passava, in un momento, dalla minaccia e dal furore, all'abbattimento e alla quiete solenne della morte, fu una vista che cambiò, in un punto, l'animo dell'uccisore. Strascinato al convento, non sapeva quasi dove si fosse, né cosa si facesse; e, quando fu tornato in sé, si trovò in un letto dell'infermeria, nelle mani del frate chirurgo (i cappuccini ne avevano ordinariamente uno in ogni convento), che accomodava faldelle e fasce sulle due ferite ch'egli aveva ricevute nello scontro. Un padre, il cui impiego particolare era d'assistere i moribondi, e che aveva spesso avuto a render questo servizio sulla strada, fu chiamato subito al luogo del combattimento. Tornato, pochi minuti dopo, entrò nell'infermeria, e, avvicinatosi al letto dove Lodovico giaceva, - consolatevi - gli disse: - almeno è morto bene, e m'ha incaricato di chiedere il vostro perdono, e di portarvi il suo -. Questa parola fece rinvenire affatto il povero Lodovico, e gli risvegliò più vivamente e più distintamente i sentimenti ch'eran confusi e affollati nel suo animo: dolore dell'amico, sgomento e rimorso del colpo che gli era uscito di mano, e, nello stesso tempo, un'angosciosa compassione dell'uomo che aveva ucciso. - E l'altro? - domandò ansiosamente al frate.

- L'altro era spirato, quand'io arrivai. Frattanto, gli accessi e i contorni del convento formicolavan di popolo curioso: ma, giunta la sbirraglia, fece smaltir la folla, e si postò a una certa distanza dalla porta, in modo però che nessuno potesse uscirne inosservato. Un fratello del morto, due suoi cugini e un vecchio zio, vennero pure, armati da capo a piedi, con grande accompagnamento di bravi; e si misero a far la ronda intorno, guardando, con aria e con atti di dispetto minaccioso, que' curiosi, che non osavan dire: gli sta bene; ma l'avevano scritto in viso.

Appena Lodovico ebbe potuto raccogliere i suoi pensieri, chiamato un frate confessore, lo pregò che cercasse della vedova di Cristoforo, le chiedesse in suo nome perdono d'essere stato lui la cagione, quantunque ben certo involontaria, di quella desolazione, e, nello stesso tempo, l'assicurasse ch'egli prendeva la famiglia sopra di sé. Riflettendo quindi a' casi suoi, sentì rinascere più che mai vivo e serio quel pensiero di farsi frate, che altre volte gli era passato per la mente: gli parve che Dio medesimo l'avesse messo sulla strada, e datogli un segno del suo volere, facendolo capitare in un convento, in quella congiuntura; e il partito fu preso. Fece chiamare il guardiano, e gli manifestò il suo desiderio. N'ebbe in risposta, che bisognava guardarsi dalle risoluzioni precipitate; ma che, se persisteva, non sarebbe rifiutato. Allora, fatto venire un notaro, dettò una donazione di tutto ciò che gli rimaneva (ch'era tuttavia un bel patrimonio) alla famiglia di Cristoforo: una somma alla vedova, come se le costituisse una contraddote, e il resto a otto figliuoli che Cristoforo aveva lasciati.

La risoluzione di Lodovico veniva molto a proposito per i suoi ospiti, i quali, per cagion sua, erano in un bell'intrigo. Rimandarlo dal convento, ed esporlo così alla giustizia, cioè alla vendetta de' suoi nemici, non era partito da metter neppure in consulta. Sarebbe stato lo stesso che rinunziare a' propri privilegi, screditare il convento presso il popolo, attirarsi il biasimo di tutti i cappuccini dell'universo, per aver lasciato violare il diritto di tutti, concitarsi contro tutte l'autorità ecclesiastiche, le quali si consideravan come tutrici di questo diritto. Dall'altra parte, la famiglia dell'ucciso, potente assai, e per sé, e per le sue aderenze, s'era messa al punto di voler vendetta; e dichiarava suo nemico chiunque s'attentasse di mettervi ostacolo. La storia non dice che a loro dolesse molto dell'ucciso, e nemmeno che una lagrima fosse stata sparsa per lui, in tutto il parentado: dice soltanto ch'eran tutti smaniosi d'aver nell'unghie l'uccisore, o vivo o morto. Ora questo, vestendo l'abito di cappuccino, accomodava ogni cosa. Faceva, in certa maniera, un'emenda, s'imponeva una penitenza, si chiamava implicitamente in colpa, si ritirava da ogni gara; era in somma un nemico che depon l'armi. I parenti del morto potevan poi anche, se loro piacesse, credere e vantarsi che s'era fatto frate per disperazione, e per terrore del loro sdegno. E, ad ogni modo, ridurre un uomo a spropriarsi del suo, a tosarsi la testa, a camminare a piedi nudi, a dormir sur un saccone, a viver d'elemosina, poteva parere una punizione competente, anche all'offeso il più borioso.

Il padre guardiano si presentò, con un'umiltà disinvolta, al fratello del morto, e, dopo mille proteste di rispetto per l'illustrissima casa, e di desiderio di compiacere ad essa in tutto ciò che fosse fattibile, parlò del pentimento di Lodovico, e della sua risoluzione, facendo garbatamente sentire che la casa poteva esserne contenta, e insinuando poi soavemente, e con maniera ancor più destra, che, piacesse o non piacesse, la cosa doveva essere. Il fratello diede in ismanie, che il cappuccino lasciò svaporare, dicendo di tempo in tempo: - è un troppo giusto dolore -. Fece intendere che, in ogni caso, la sua famiglia avrebbe saputo prendersi una soddisfazione: e il cappuccino, qualunque cosa ne pensasse, non disse di no. Finalmente richiese, impose come una condizione, che l'uccisor di suo fratello partirebbe subito da quella città. Il guardiano, che aveva già deliberato che questo fosse fatto, disse che si farebbe, lasciando che l'altro credesse, se gli piaceva, esser questo un atto d'ubbidienza: e tutto fu concluso. Contenta la famiglia, che ne usciva con onore; contenti i frati, che salvavano un uomo e i loro privilegi, senza farsi alcun nemico; contenti i dilettanti di cavalleria, che vedevano un affare terminarsi lodevolmente; contento il popolo, che vedeva fuor d'impiccio un uomo ben voluto, e che, nello stesso tempo, ammirava una conversione; contento finalmente, e più di tutti, in mezzo al dolore, il nostro Lodovico, il quale cominciava una vita d'espiazione e di servizio, che potesse, se non riparare, pagare almeno il mal fatto, e rintuzzare il pungolo intollerabile del rimorso. Il sospetto che la sua risoluzione fosse attribuita alla paura, l'afflisse un momento; ma si consolò subito, col pensiero che anche quell'ingiusto giudizio sarebbe un gastigo per lui, e un mezzo d'espiazione. Così, a trent'anni, si ravvolse nel sacco; e, dovendo, secondo l'uso, lasciare il suo nome, e prenderne un altro, ne scelse uno che gli rammentasse, ogni momento, ciò che aveva da espiare: e si chiamò fra Cristoforo.

Appena compita la cerimonia della vestizione, il guardiano gl'intimò che sarebbe andato a fare il suo noviziato a ***, sessanta miglia lontano, e che partirebbe all'indomani. Il novizio s'inchinò profondamente, e chiese una grazia. - Permettetemi, padre, - disse, - che, prima di partir da questa città, dove ho sparso il sangue d'un uomo, dove lascio una famiglia crudelmente offesa, io la ristori almeno dell'affronto, ch'io mostri almeno il mio rammarico di non poter risarcire il danno, col chiedere scusa al fratello dell'ucciso, e gli levi, se Dio benedice la mia intenzione, il rancore dall'animo -. Al guardiano parve che un tal passo, oltre all'esser buono in sé, servirebbe a riconciliar sempre più la famiglia col convento; e andò diviato da quel signor fratello, ad esporgli la domanda di fra Cristoforo. A proposta così inaspettata, colui sentì, insieme con la maraviglia, un ribollimento di sdegno, non però senza qualche compiacenza. Dopo aver pensato un momento, - venga domani, - disse; e assegnò l'ora. Il guardiano tornò, a portare al novizio il consenso desiderato.

Il gentiluomo pensò subito che, quanto più quella soddisfazione fosse solenne e clamorosa, tanto più accrescerebbe il suo credito presso tutta la parentela, e presso il pubblico; e sarebbe (per dirla con un'eleganza moderna) una bella pagina nella storia della famiglia. Fece avvertire in fretta tutti i parenti che, all'indomani, a mezzogiorno, restassero serviti (così si diceva allora) di venir da lui, a ricevere una soddisfazione comune. A mezzogiorno, il palazzo brulicava di signori d'ogni età e d'ogni sesso: era un girare, un rimescolarsi di gran cappe, d'alte penne, di durlindane pendenti, un moversi librato di gorgiere inamidate e crespe, uno strascico intralciato di rabescate zimarre. Le anticamere, il cortile e la strada formicolavan di servitori, di paggi, di bravi e di curiosi. Fra Cristoforo vide quell'apparecchio, ne indovinò il motivo, e provò un leggier turbamento; ma, dopo un istante, disse tra sé: « sta bene: l'ho ucciso in pubblico, alla presenza di tanti suoi nemici: quello fu scandalo, questa è riparazione ». Così, con gli occhi bassi, col padre compagno al fianco, passò la porta di quella casa, attraversò il cortile, tra una folla che lo squadrava con una curiosità poco cerimoniosa; salì le scale, e, di mezzo all'altra folla signorile, che fece ala al suo passaggio, seguito da cento sguardi, giunse alla presenza del padron di casa; il quale, circondato da' parenti più prossimi, stava ritto nel mezzo della sala, con lo sguardo a terra, e il mento in aria, impugnando, con la mano sinistra, il pomo della spada, e stringendo con la destra il bavero della cappa sul petto.

C'è talvolta, nel volto e nel contegno d'un uomo, un'espressione così immediata, si direbbe quasi un'effusione dell'animo interno, che, in una folla di spettatori, il giudizio sopra quell'animo sarà un solo. Il volto e il contegno di fra Cristoforo disser chiaro agli astanti, che non s'era fatto frate, né veniva a quell'umiliazione per timore umano: e questo cominciò a concigliarglieli tutti. Quando vide l'offeso, affrettò il passo, gli si pose inginocchioni ai piedi, incrociò le mani sul petto, e, chinando la testa rasa, disse queste parole: - io sono l'omicida di suo fratello. Sa Iddio se vorrei restituirglielo a costo del mio sangue; ma, non potendo altro che farle inefficaci e tarde scuse, la supplico d'accettarle per l'amor di Dio -. Tutti gli occhi erano immobili sul novizio, e sul personaggio a cui egli parlava; tutti gli orecchi eran tesi. Quando fra Cristoforo tacque, s'alzò, per tutta la sala, un mormorìo di pietà e di rispetto. Il gentiluomo, che stava in atto di degnazione forzata, e d'ira compressa, fu turbato da quelle parole; e, chinandosi verso l'inginocchiato, - alzatevi, - disse, con voce alterata: - l'offesa... il fatto veramente... ma l'abito che portate... non solo questo, ma anche per voi... S'alzi, padre... Mio fratello... non lo posso negare... era un cavaliere... era un uomo... un po' impetuoso... un po' vivo. Ma tutto accade per disposizion di Dio. Non se ne parli più... Ma, padre, lei non deve stare in codesta positura -. E, presolo per le braccia, lo sollevò. Fra Cristoforo, in piedi, ma col capo chino, rispose: - io posso dunque sperare che lei m'abbia concesso il suo perdono! E se l'ottengo da lei, da chi non devo sperarlo? Oh! s'io potessi sentire dalla sua bocca questa parola, perdono!

- Perdono? - disse il gentiluomo. - Lei non ne ha più bisogno. Ma pure, poiché lo desidera, certo, certo, io le perdono di cuore, e tutti...

- Tutti! tutti! - gridarono, a una voce, gli astanti. Il volto del frate s'aprì a una gioia riconoscente, sotto la quale traspariva però ancora un'umile e profonda compunzione del male a cui la remissione degli uomini non poteva riparare. Il gentiluomo, vinto da quell'aspetto, e trasportato dalla commozione generale, gli gettò le braccia al collo, e gli diede e ne ricevette il bacio di pace. Un - bravo! bene! - scoppiò da tutte le parti della sala; tutti si mossero, e si strinsero intorno al frate. Intanto vennero servitori, con gran copia di rinfreschi. Il gentiluomo si raccostò al nostro Cristoforo, il quale faceva segno di volersi licenziare, e gli disse: - padre, gradisca qualche cosa; mi dia questa prova d'amicizia -. E si mise per servirlo prima d'ogni altro; ma egli, ritirandosi, con una certa resistenza cordiale, - queste cose, - disse, - non fanno più per me; ma non sarà mai ch'io rifiuti i suoi doni. Io sto per mettermi in viaggio: si degni di farmi portare un pane, perché io possa dire d'aver goduto la sua carità, d'aver mangiato il suo pane, e avuto un segno del suo perdono -. Il gentiluomo, commosso, ordinò che così si facesse; e venne subito un cameriere, in gran gala, portando un pane sur un piatto d'argento, e lo presentò al padre; il quale, presolo e ringraziato, lo mise nella sporta. Chiese quindi licenza; e, abbracciato di nuovo il padron di casa, e tutti quelli che, trovandosi più vicini a lui, poterono impadronirsene un momento, si liberò da essi a fatica; ebbe a combatter nell'anticamere, per isbrigarsi da' servitori, e anche da' bravi, che gli baciavano il lembo dell'abito, il cordone, il cappuccio; e si trovò nella strada, portato come in trionfo, e accompagnato da una folla di popolo, fino a una porta della città; d'onde uscì, cominciando il suo pedestre viaggio, verso il luogo del suo noviziato.

Il fratello dell'ucciso, e il parentado, che s'erano aspettati d'assaporare in quel giorno la trista gioia dell'orgoglio, si trovarono in vece ripieni della gioia serena del perdono e della benevolenza. La compagnia Si trattenne ancor qualche tempo, con una bonarietà e con una cordialità insolita, in ragionamenti ai quali nessuno era preparato, andando là. In vece di soddisfazioni prese, di soprusi vendicati, d'impegni spuntati, le lodi del novizio, la riconciliazione, la mansuetudine furono i temi della conversazione. E taluno, che, per la cinquantesima volta, avrebbe raccontato come il conte Muzio suo padre aveva saputo, in quella famosa congiuntura, far stare a dovere il marchese Stanislao, ch'era quel rodomonte che ognun sa, parlò in vece delle penitenze e della pazienza mirabile d'un fra Simone, morto molt'anni prima. Partita la compagnia, il padrone, ancor tutto commosso, riandava tra sé, con maraviglia, ciò che aveva in teso, ciò ch'egli medesimo aveva detto; e borbottava tra i denti: - diavolo d'un frate! - (bisogna bene che noi trascriviamo le sue precise parole) - diavolo d'un frate! se rimaneva lì in ginocchio, ancora per qualche momento, quasi quasi gli chiedevo scusa io, che m'abbia ammazzato il fratello -. La nostra storia nota espressamente che, da quel giorno in poi, quel signore fu un po' men precipitoso, e un po' più alla mano.

Il padre Cristoforo camminava, con una consolazione che non aveva mai più provata, dopo quel giorno terribile, ad espiare il quale tutta la sua vita doveva esser consacrata. Il silenzio ch'era imposto a' novizi, l'osservava, senza avvedersene, assorto com'era, nel pensiero delle fatiche, delle privazioni e dell'umiliazioni che avrebbe sofferte, per iscontare il suo fallo. Fermandosi, all'ora della refezione, presso un benefattore, mangiò, con una specie di voluttà, del pane del perdono: ma ne serbò un pezzo, e lo ripose nella sporta, per tenerlo, come un ricordo perpetuo.

Non è nostro disegno di far la storia della sua vita claustrale: diremo soltanto che, adempiendo, sempre con gran voglia, e con gran cura, gli ufizi che gli venivano ordinariamente assegnati, di predicare e d'assistere i moribondi, non lasciava mai sfuggire un'occasione d'esercitarne due altri, che s'era imposti da sé: accomodar differenze, e proteggere oppressi. In questo genio entrava, per qualche parte, senza ch'egli se n'avvedesse, quella sua vecchia abitudine, e un resticciolo di spiriti guerreschi, che l'umiliazioni e le macerazioni non avevan potuto spegner del tutto. Il suo linguaggio era abitualmente umile e posato; ma, quando si trattasse di giustizia o di verità combattuta, l'uomo s'animava, a un tratto, dell'impeto antico, che, secondato e modificato da un'enfasi solenne, venutagli dall'uso del predicare, dava a quel linguaggio un carattere singolare. Tutto il suo contegno, come l'aspetto, annunziava una lunga guerra, tra un'indole focosa, risentita, e una volontà opposta, abitualmente vittoriosa, sempre all'erta, e diretta da motivi e da ispirazioni superiori. Un suo confratello ed amico, che lo conosceva bene, l'aveva una volta paragonato a quelle parole troppo espressive nella loro forma naturale, che alcuni, anche ben educati, pronunziano, quando la passione trabocca, smozzicate, con qualche lettera mutata; parole che, in quel travisamento, fanno però ricordare della loro energia primitiva.

Se una poverella sconosciuta, nel tristo caso di Lucia, avesse chiesto l'aiuto del padre Cristoforo, egli sarebbe corso immediatamente. Trattandosi poi di Lucia, accorse con tanta più sollecitudine, in quanto conosceva e ammirava l'innocenza di lei, era già in pensiero per i suoi pericoli, e sentiva un'indegnazione santa, per la turpe persecuzione della quale era divenuta l'oggetto. Oltre di ciò, avendola consigliata, per il meno male, di non palesar nulla, e di starsene quieta, temeva ora che il consiglio potesse aver prodotto qualche tristo effetto; e alla sollecitudine di carità, ch'era in lui come ingenita, s'aggiungeva, in questo caso, quell'angustia scrupolosa che spesso tormenta i buoni.

Ma, intanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del padre Cristoforo, è arrivato, s'è affacciato all'uscio; e le donne, lasciando il manico dell'aspo che facevan girare e stridere, si sono alzate, dicendo, a una voce: - oh padre Cristoforo! sia benedetto!

CAPITOLO V

Il qual padre Cristoforo si fermò ritto sulla soglia, e, appena ebbe data un'occhiata alle donne, dovette accorgersi che i suoi presentimenti non eran falsi. Onde, con quel tono d'interrogazione che va incontro a una trista risposta, alzando la barba con un moto leggiero della testa all'indietro, disse: - ebbene? - Lucia rispose con uno scoppio di pianto. La madre cominciava a far le scuse d'aver osato... ma il frate s'avanzò, e, messosi a sedere sur un panchetto a tre piedi, troncò i complimenti, dicendo a Lucia: - quietatevi, povera figliuola. E voi, - disse poi ad Agnese, - raccontatemi cosa c'è! - Mentre la buona donna faceva alla meglio la sua dolorosa relazione, il frate diventava di mille colori, e ora alzava gli occhi al cielo, ora batteva i piedi. Terminata la storia, si coprì il volto con le mani, ed esclamò: - o Dio benedetto! fino a quando...! - Ma, senza compir la frase, voltandosi di nuovo alle donne: - poverette! - disse: - Dio vi ha visitate. Povera Lucia!

- Non ci abbandonerà, padre? - disse questa, singhiozzando.

- Abbandonarvi! - rispose. - E con che faccia potrei io chieder a Dio qualcosa per me, quando v'avessi abbandonata? voi in questo stato! voi, ch'Egli mi confida! Non vi perdete d'animo: Egli v'assisterà: Egli vede tutto: Egli può servirsi anche d'un uomo da nulla come son io, per confondere un... Vediamo, pensiamo quel che si possa fare.

Così dicendo, appoggiò il gomito sinistro sul ginocchio, chinò la fronte nella palma, e con la destra strinse la barba e il mento, come per tener ferme e unite tutte le potenze dell'animo. Ma la più attenta considerazione non serviva che a fargli scorgere più distintamente quanto il caso fosse pressante e intrigato, e quanto scarsi, quanto incerti e pericolosi i ripieghi. « Mettere un po' di vergogna a don Abbondio, e fargli sentire quanto manchi al suo dovere? Vergogna e dovere sono un nulla per lui, quando ha paura. E fargli paura? Che mezzi ho io mai di fargliene una che superi quella che ha d'una schioppettata? Informar di tutto il cardinale arcivescovo, e invocar la sua autorità? Ci vuol tempo: e intanto? e poi? Quand'anche questa povera innocente fosse maritata, sarebbe questo un freno per quell'uomo? Chi sa a qual segno possa arrivare?... E resistergli? Come? Ah! se potessi, pensava il povero frate, se potessi tirar dalla mia i miei frati di qui, que' di Milano! Ma! non è un affare comune; sarei abbandonato. Costui fa l'amico del convento, si spaccia per partigiano de' cappuccini: e i suoi bravi non son venuti più d'una volta a ricoverarsi da noi? Sarei solo in ballo; mi buscherei anche dell'inquieto, dell'imbroglione, dell'accattabrighe; e, quel ch'è più, potrei fors'anche, con un tentativo fuor di tempo, peggiorar la condizione di questa poveretta ». Contrappesato il pro e il contro di questo e di quel partito, il migliore gli parve d'affrontar don Rodrigo stesso, tentar di smoverlo dal suo infame proposito, con le preghiere, coi terrori dell'altra vita, anche di questa, se fosse possibile. Alla peggio, si potrebbe almeno conoscere, per questa via, più distintamente quanto colui fosse ostinato nel suo sporco impegno, scoprir di più le sue intenzioni, e prender consiglio da ciò.

Mentre il frate stava così meditando, Renzo, il quale, per tutte le ragioni che ognun può indovinare, non sapeva star lontano da quella casa, era comparso sull'uscio; ma, visto il padre sopra pensiero, e le donne che facevan cenno di non disturbarlo, si fermò sulla soglia, in silenzio. Alzando la faccia, per comunicare alle donne il suo progetto, il frate s'accorse di lui, e lo salutò in un modo ch'esprimeva un'affezione consueta, resa più intensa dalla pietà.

- Le hanno detto..., padre? - gli domandò Renzo, con voce commossa.

- Pur troppo; e per questo son qui.

Che dice di quel birbone...?

- Che vuoi ch'io dica di lui? Non è qui a sentire: che gioverebbero le mie parole? Dico a te, il mio Renzo, che tu confidi in Dio, e che Dio non t'abbandonerà.

- Benedette le sue parole! - esclamò il giovane. - Lei non è di quelli che dan sempre torto a' poveri. Ma il signor curato, e quel signor dottor delle cause perse...

- Non rivangare quello che non può servire ad altro che a inquietarti inutilmente. Io sono un povero frate; ma ti ripeto quel che ho detto a queste donne: per quel poco che posso, non v'abbandonerò.

- Oh, lei non è come gli amici del mondo! Ciarloni! Chi avesse creduto alle proteste che mi facevan costoro, nel buon tempo; eh eh! Eran pronti a dare il sangue per me; m'avrebbero sostenuto contro il diavolo. S'io avessi avuto un nemico?... bastava che mi lasciassi intendere; avrebbe finito presto di mangiar pane. E ora, se vedesse come si ritirano... - A questo punto, alzando gli occhi al volto del padre, vide che s'era tutto rannuvolato, e s'accorse d'aver detto ciò che conveniva tacere. Ma volendo raccomodarla, s'andava intrigando e imbrogliando: - volevo dire... non intendo dire... cioè, volevo dire...

- Cosa volevi dire? E che? tu avevi dunque cominciato a guastar l'opera mia, prima che fosse intrapresa! Buon per te che sei stato disingannato in tempo. Che! tu andavi in cerca d'amici... quali amici!... che non t'avrebber potuto aiutare, neppur volendo! E cercavi di perder Quel solo che lo può e lo vuole! Non sai tu che Dio è l'amico de' tribolati, che confidano in Lui? Non sai tu che, a metter fuori l'unghie, il debole non ci guadagna? E quando pure... - A questo punto, afferrò fortemente il braccio di Renzo: il suo aspetto, senza perder d'autorità, s'atteggiò d'una compunzione solenne, gli occhi s'abbassarono, la voce divenne lenta e come sotterranea: - quando pure... è un terribile guadagno! Renzo! vuoi tu confidare in me?... che dico in me, omiciattolo, fraticello? Vuoi tu confidare in Dio?

- Oh sì! - rispose Renzo. - Quello è il Signore davvero.

- Ebbene; prometti che non affronterai, che non provocherai nessuno, che ti lascerai guidar da me.

- Lo prometto. Lucia fece un gran respiro, come se le avesser levato un peso d'addosso; e Agnese disse: - bravo figliuolo.

- Sentite, figliuoli, - riprese fra Cristoforo: - io anderò oggi a parlare a quell'uomo. Se Dio gli tocca il cuore, e dà forza alle mie parole, bene: se no, Egli ci farà trovare qualche altro rimedio. Voi intanto, statevi quieti, ritirati, scansate le ciarle, non vi fate vedere. Stasera, o domattina al più tardi, mi rivedrete -. Detto questo, troncò tutti i ringraziamenti e le benedizioni, e partì. S'avviò al convento, arrivò a tempo d'andare in coro a cantar sesta, desinò, e si mise subito in cammino, verso il covile della fiera che voleva provarsi d'ammansare.

Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d'una bicocca, sulla cima d'uno de' poggi ond'è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l'anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condizione e de' costumi del paese. Dando un'occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi, tromboni, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle e fiaschetti da polvere, alla rinfusa. La gente che vi s'incontrava erano omacci tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in una reticella; vecchi che, perdute le zanne, parevan sempre pronti, chi nulla nulla gli aizzasse, a digrignar le gengive; donne con certe facce maschie, e con certe braccia nerborute, buone da venire in aiuto della lingua, quando questa non bastasse: ne' sembianti e nelle mosse de' fanciulli stessi, che giocavan per la strada, si vedeva un non so che di petulante e di provocativo.

Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola, e pervenne sur una piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando, e non voleva esser frastornato. Le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli anni, eran però difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno tant'alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalle d'un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d'abitanti. Due grand'avoltoi, con l'ali spalancate, e co' teschi penzoloni, l'uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo, l'altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d'esser chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore. Il padre si fermò ritto, in atto di chi si dispone ad aspettare; ma un de' bravi s'alzò, e gli disse: - padre, padre, venga pure avanti: qui non si fanno aspettare i cappuccini: noi siamo amici del convento: e io ci sono stato in certi momenti che fuori non era troppo buon'aria per me; e se mi avesser tenuta la porta chiusa, la sarebbe andata male -. Così dicendo, diede due picchi col martello. A quel suono risposer subito di dentro gli urli e le strida di mastini e di cagnolini; e, pochi momenti dopo, giunse borbottando un vecchio servitore; ma, veduto il padre, gli fece un grand'inchino, acquietò le bestie, con le mani e con la voce, introdusse l'ospite in un angusto cortile, e richiuse la porta. Accompagnatolo poi in un salotto, e guardandolo con una cert'aria di maraviglia e di rispetto, disse: - non è lei... il padre Cristoforo di Pescarenico?

- Per l'appunto.

- Lei qui?

- Come vedete, buon uomo.

- Sarà per far del bene. Del bene, - continuò mormorando tra i denti, e rincamminandosi, - se ne può far per tutto -. Attraversati due o tre altri salotti oscuri, arrivarono all'uscio della sala del convito. Quivi un gran frastono confuso di forchette, di coltelli, di bicchieri, di piatti, e sopra tutto di voci discordi, che cercavano a vicenda di soverchiarsi. Il frate voleva ritirarsi, e stava contrastando dietro l'uscio col servitore, per ottenere d'essere lasciato in qualche canto della casa, fin che il pranzo fosse terminato; quando l'uscio s'aprì. Un certo conte Attilio, che stava seduto in faccia (era un cugino del padron di casa; e abbiam già fatta menzione di lui, senza nominarlo), veduta una testa rasa e una tonaca, e accortosi dell'intenzione modesta del buon frate, - ehi! ehi! - gridò: - non ci scappi, padre riverito: avanti, avanti -. Don Rodrigo, senza indovinar precisamente il soggetto di quella visita, pure, per non so qual presentimento confuso, n'avrebbe fatto di meno. Ma, poiché lo spensierato d'Attilio aveva fatta quella gran chiamata, non conveniva a lui di tirarsene indietro; e disse: - venga, padre, venga -. Il padre s'avanzò, inchinandosi al padrone, e rispondendo, a due mani, ai saluti de' commensali.

L'uomo onesto in faccia al malvagio, piace generalmente (non dico a tutti) immaginarselo con la fronte alta, con lo sguardo sicuro, col petto rilevato, con lo scilinguagnolo bene sciolto. Nel fatto però, per fargli prender quell'attitudine, si richiedon molte circostanze, le quali ben di rado si riscontrano insieme. Perciò, non vi maravigliate se fra Cristoforo, col buon testimonio della sua coscienza, col sentimento fermissimo della giustizia della causa che veniva a sostenere, con un sentimento misto d'orrore e di compassione per don Rodrigo, stesse con una cert'aria di suggezione e di rispetto, alla presenza di quello stesso don Rodrigo, ch'era lì in capo di tavola, in casa sua, nel suo regno, circondato d'amici, d'omaggi, di tanti segni della sua potenza, con un viso da far morire in bocca a chi si sia una preghiera, non che un consiglio, non che una correzione, non che un rimprovero. Alla sua destra sedeva quel conte Attilio suo cugino, e, se fa bisogno di dirlo, suo collega di libertinaggio e di soverchieria, il quale era venuto da Milano a villeggiare, per alcuni giorni, con lui. A sinistra, e a un altro lato della tavola, stava, con gran rispetto, temperato però d'una certa sicurezza, e d'una certa saccenteria, il signor podestà, quel medesimo a cui, in teoria, sarebbe toccato a far giustizia a Renzo Tramaglino, e a fare star a dovere don Rodrigo, come s'è visto di sopra. In faccia al podestà, in atto d'un rispetto il più puro, il più sviscerato, sedeva il nostro dottor Azzecca-garbugli, in cappa nera, e col naso più rubicondo del solito: in faccia ai due cugini, due convitati oscuri, de' quali la nostra storia dice soltanto che non facevano altro che mangiare, chinare il capo, sorridere e approvare ogni cosa che dicesse un commensale, e a cui un altro non contraddicesse.

- Da sedere al padre, - disse don Rodrigo. Un servitore presentò una sedia, sulla quale si mise il padre Cristoforo, facendo qualche scusa al signore, d'esser venuto in ora inopportuna. - Bramerei di parlarle da solo a solo, con suo comodo, per un affare d'importanza, - soggiunse poi, con voce più sommessa, all'orecchio di don Rodrigo.

- Bene, bene, parleremo; - rispose questo: - ma intanto si porti da bere al padre. Il padre voleva schermirsi; ma don Rodrigo, alzando la voce, in mezzo al trambusto ch'era ricominciato, gridava: - no, per bacco, non mi farà questo torto; non sarà mai vero che un cappuccino vada via da questa casa, senza aver gustato del mio vino, né un creditore insolente, senza aver assaggiate le legna de' miei boschi -. Queste parole eccitarono un riso universale, e interruppero un momento la questione che s'agitava caldamente tra i commensali. Un servitore, portando sur una sottocoppa un'ampolla di vino, e un lungo bicchiere in forma di calice, lo presentò al padre; il quale, non volendo resistere a un invito tanto pressante dell'uomo che gli premeva tanto di farsi propizio, non esitò a mescere, e si mise a sorbir lentamente il vino.

- L'autorità del Tasso non serve al suo assunto, signor podestà riverito; anzi è contro di lei; - riprese a urlare il conte Attilio: - perché quell'uomo erudito, quell'uomo grande, che sapeva a menadito tutte le regole della cavalleria, ha fatto che il messo d'Argante, prima d'esporre la sfida ai cavalieri cristiani, chieda licenza al pio Buglione...

- Ma questo - replicava, non meno urlando, il podestà, - questo è un di più, un mero di più, un ornamento poetico, giacché il messaggiero è di sua natura inviolabile, per diritto delle genti, jure gentium: e, senza andar tanto a cercare, lo dice anche il proverbio: ambasciator non porta pena. E, i proverbi, signor conte, sono la sapienza del genere umano. E, non avendo il messaggiero detto nulla in suo proprio nome, ma solamente presentata la sfida in iscritto...

- Ma quando vorrà capire che quel messaggiero era un asino temerario, che non conosceva le prime...?

- Con buona licenza di lor signori, - interruppe don Rodrigo, il quale non avrebbe voluto che la questione andasse troppo avanti: - rimettiamola nel padre Cristoforo; e si stia alla sua sentenza.

- Bene, benissimo, - disse il conte Attilio, al quale parve cosa molto garbata di far decidere un punto di cavalleria da un cappuccino; mentre il podestà, più infervorato di cuore nella questione, si chetava a stento, e con un certo viso, che pareva volesse dire: ragazzate.

- Ma, da quel che mi pare d'aver capito, - disse il padre, - non son cose di cui io mi deva intendere.

- Solite scuse di modestia di loro padri; - disse don Rodrigo: - ma non mi scapperà. Eh via! sappiam bene che lei non è venuta al mondo col cappuccio in capo, e che il mondo l'ha conosciuto. Via, via: ecco la questione.

- Il fatto è questo, - cominciava a gridare il conte Attilio.

- Lasciate dir a me, che son neutrale, cugino, - riprese don Rodrigo. - Ecco la storia. Un cavaliere spagnolo manda una sfida a un cavalier milanese: il portatore, non trovando il provocato in casa, consegna il cartello a un fratello del cavaliere; il qual fratello legge la sfida, e in risposta dà alcune bastonate al portatore. Si tratta...

- Ben date, ben applicate, - gridò il conte Attilio. - Fu una vera ispirazione.

- Del demonio, - soggiunse il podestà. - Battere un ambasciatore! persona sacra! Anche lei, padre, mi dirà se questa è azione da cavaliere.

- Sì, signore, da cavaliere, - gridò il conte: - e lo lasci dire a me, che devo intendermi di ciò che conviene a un cavaliere. Oh, se fossero stati pugni, sarebbe un'altra faccenda; ma il bastone non isporca le mani a nessuno. Quello che non posso capire è perché le premano tanto le spalle d'un mascalzone.

- Chi le ha parlato delle spalle, signor conte mio? Lei mi fa dire spropositi che non mi son mai passati per la mente. Ho parlato del carattere, e non di spalle, io. Parlo sopra tutto del diritto delle genti. Mi dica un poco, di grazia, se i feciali che gli antichi Romani mandavano a intimar le sfide agli altri popoli, chiedevan licenza d'esporre l'ambasciata: e mi trovi un poco uno scrittore che faccia menzione che un feciale sia mai stato bastonato.

- Che hanno a far con noi gli ufiziali degli antichi Romani? gente che andava alla buona, e che, in queste cose, era indietro, indietro. Ma, secondo le leggi della cavalleria moderna, ch'è la vera, dico e sostengo che un messo il quale ardisce di porre in mano a un cavaliere una sfida, senza avergliene chiesta licenza, è un temerario, violabile violabilissimo, bastonabile bastonabilissimo...

- Risponda un poco a questo sillogismo.

- Niente, niente, niente.

- Ma ascolti, ma ascolti, ma ascolti. Percotere un disarmato è atto proditorio; atqui il messo de quo era senz'arme; ergo...

- Piano, piano, signor podestà.

- Che piano?

- Piano, le dico: cosa mi viene a dire? Atto proditorio è ferire uno con la spada, per di dietro, o dargli una schioppettata nella schiena: e, anche per questo, si posson dar certi casi... ma stiamo nella questione. Concedo che questo generalmente possa chiamarsi atto proditorio; ma appoggiar quattro bastonate a un mascalzone! Sarebbe bella che si dovesse dirgli: guarda che ti bastono: come si direbbe a un galantuomo: mano alla spada. E lei, signor dottor riverito, in vece di farmi de' sogghigni, per farmi capire ch'è del mio parere, perché non sostiene le mie ragioni, con la sua buona tabella, per aiutarmi a persuader questo signore?

- Io... - rispose confusetto il dottore: - io godo di questa dotta disputa; e ringrazio il bell'accidente che ha dato occasione a una guerra d'ingegni così graziosa. E poi, a me non compete di dar sentenza: sua signoria illustrissima ha già delegato un giudice... qui il padre...

- E' vero; - disse don Rodrigo: - ma come volete che il giudice parli, quando i litiganti non vogliono stare zitti?

- Ammutolisco, - disse il conte Attilio. Il podestà strinse le labbra, e alzo la mano, come in atto di rassegnazione.

- Ah sia ringraziato il cielo! A lei, padre, - disse don Rodrigo, con una serietà mezzo canzonatoria.

- Ho già fatte le mie scuse, col dire che non me n'intendo, - rispose fra Cristoforo, rendendo il bicchiere a un servitore.

- Scuse magre: - gridarono i due cugini: - vogliamo la sen-

- Quand'è così, - riprese il frate, - il mio debole parere sarebbe che non vi fossero né sfide, né portatori, né bastonate.

I commensali si guardarono l'un con l'altro maravigliati.

- Oh questa è grossa! - disse il conte Attilio. - Mi perdoni, padre, ma è grossa. Si vede che lei non conosce il mondo.

- Lui? - disse don Rodrigo: - me lo volete far ridire: lo conosce, cugino mio, quanto voi: non è vero, padre? Dica, dica, se non ha fatta la sua carovana?

In vece di rispondere a quest'amorevole domanda, il padre disse una parolina in segreto a sé medesimo: « queste vengono a te; ma ricordati, frate, che non sei qui per te, e che tutto ciò che tocca te solo, non entra nel conto ».

- Sarà, - disse il cugino: - ma il padre... come si chiama il padre?

- Padre Cristoforo - rispose più d'uno.

- Ma, padre Cristoforo, padron mio colendissimo, con queste sue massime, lei vorrebbe mandare il mondo sottosopra. Senza sfide! Senza bastonate! Addio il punto d'onore: impunità per tutti i mascalzoni. Per buona sorte che il supposto è impossibile.

- Animo, dottore, - scappò fuori don Rodrigo, che voleva sempre più divertire la disputa dai due primi contendenti, - animo, a voi, che, per dar ragione a tutti, siete un uomo. Vediamo un poco come farete per dar ragione in questo al padre Cristoforo.

- In verità, - rispose il dottore, tenendo brandita in aria la forchetta, e rivolgendosi al padre, - in verità io non so intendere come il padre Cristoforo, il quale è insieme il perfetto religioso e l'uomo di mondo, non abbia pensato che la sua sentenza, buona, ottima e di giusto peso sul pulpito, non val niente, sia detto col dovuto rispetto, in una disputa cavalleresca. Ma il padre sa, meglio di me, che ogni cosa è buona a suo luogo; e io credo che, questa volta, abbia voluto cavarsi, con una celia, dall'impiccio di proferire una sentenza.

Che si poteva mai rispondere a ragionamenti dedotti da una sapienza così antica, e sempre nuova? Niente: e così fece il nostro frate.

Ma don Rodrigo, per voler troncare quella questione, ne venne a suscitare un'altra. - A proposito, - disse, - ho sentito che a Milano correvan voci d'accomodamento.

Il lettore sa che in quell'anno si combatteva per la successione al ducato di Mantova, del quale, alla morte di Vincenzo Gonzaga, che non aveva lasciata prole legittima, era entrato in possesso il duca di Nevers, suo parente più prossimo. Luigi XIII, ossia il cardinale di Richelieu, sosteneva quel principe, suo ben affetto, e naturalizzato francese: Filippo IV, ossia il conte d'Olivares, comunemente chiamato il conte duca, non lo voleva 1ì, per le stesse ragioni; e gli aveva mosso guerra. Siccome poi quel ducato era feudo dell'impero, così le due parti s'adoperavano, con pratiche, con istanze, con minacce, presso l'imperator Ferdinando II, la prima perché accordasse l'investitura al nuovo duca; la seconda perché gliela negasse, anzi aiutasse a cacciarlo da quello stato.

- Non son lontano dal credere, - disse il conte Attilio, - che le cose si possano accomodare. Ho certi indizi...

- Non creda, signor conte, non creda, - interruppe il podestà. - Io, in questo cantuccio, posso saperle le cose; perché il signor castellano spagnolo, che, per sua bontà, mi vuole un po' di bene, e per esser figliuolo d'un creato del conte duca, è informato d'ogni cosa...

- Le dico che a me accade ogni giorno di parlare in Milano con ben altri personaggi; e so di buon luogo che il papa, interessatissimo, com'è, per la pace, ha fatto proposizioni...

- Così dev'essere; la cosa è in regola; sua santità fa il suo dovere; un papa deve sempre metter bene tra i principi cristiani; ma il conte duca ha la sua politica, e...

- E, e, e; sa lei, signor mio, come la pensi l'imperatore, in questo momento? Crede lei che non ci sia altro che Mantova a questo mondo? le cose a cui si deve pensare son molte, signor mio. Sa lei, per esempio, fino a che segno l'imperatore possa ora fidarsi di quel suo principe di Valdistano o di Vallistai, o come lo chiamano, e se...

- Il nome legittimo in lingua alemanna, - interruppe ancora il podestà, - è Vagliensteino, come l'ho sentito proferir più volte dal nostro signor castellano spagnolo. Ma stia pur di buon animo, che...

- Mi vuole insegnare...? - riprendeva il conte; ma don Rodrigo gli dié d'occhio, per fargli intendere che, per amor suo, cessasse di contraddire. Il conte tacque, e il podestà, come un bastimento disimbrogliato da una secca, continuò, a vele gonfie, il corso della sua eloquenza. - Vagliensteino mi dà poco fastidio; perché il conte duca ha l'occhio a tutto, e per tutto; e se Vagliensteino vorrà fare il bell'umore, saprà ben lui farlo rigar diritto, con le buone, o con le cattive. Ha l'occhio per tutto, dico, e le mani lunghe; e, se ha fisso il chiodo, come l'ha fisso, e giustamente, da quel gran politico che è, che il signor duca di Nivers non metta le radici in Mantova, il signor duca di Nivers non ce le metterà; e il signor cardinale di Riciliù farà un buco nell'acqua. Mi fa pur ridere quel caro signor cardinale, a voler cozzare con un conte duca, con un Olivares. Dico il vero, che vorrei rinascere di qui a dugent'anni, per sentir cosa diranno i posteri, di questa bella pretensione. Ci vuol altro che invidia; testa vuol esser: e teste come la testa d'un conte duca, ce n'è una sola al mondo. Il conte duca, signori miei, - proseguiva il podestà, sempre col vento in poppa, e un po' maravigliato anche lui di non incontrar mai uno scoglio: - il conte duca è una volpe vecchia, parlando col dovuto rispetto, che farebbe perder la traccia a chi si sia: e, quando accenna a destra, si può esser sicuri che batterà a sinistra: ond'è che nessuno può mai vantarsi di conoscere i suoi disegni; e quegli stessi che devon metterli in esecuzione, quegli stessi che scrivono i dispacci, non ne capiscon niente. Io posso parlare con qualche cognizion di causa; perché quel brav'uomo del signor castellano si degna di trattenersi meco, con qualche confidenza. Il conte duca, viceversa, sa appuntino cosa bolle in pentola di tutte l'altre corti; e tutti que' politiconi (che ce n'è di diritti assai, non si può negare) hanno appena immaginato un disegno, che il conte duca te l'ha già indovinato, con quella sua testa, con quelle sue strade coperte, con que' suoi fili tesi per tutto. Quel pover'uomo del cardinale di Riciliù tenta di qua, fiuta di là, suda, s'ingegna: e poi? quando gli è riuscito di scavare una mina, trova la contrammina già bell'e fatta dal conte duca...

Sa il cielo quando il podestà avrebbe preso terra; ma don Rodrigo, stimolato anche da' versacci che faceva il cugino, si voltò all'improvviso, come se gli venisse un'ispirazione, a un servitore, e gli accennò che portasse un certo fiasco.

- Signor podestà, e signori miei! - disse poi: - un brindisi al conte duca; e mi sapranno dire se il vino sia degno del personaggio -. Il podestà rispose con un inchino, nel quale traspariva un sentimento di riconoscenza particolare; perché tutto ciò che si faceva o si diceva in onore del conte duca, lo riteneva in parte come fatto a sé.

- Viva mill'anni don Gasparo Guzman, conte d'Olivares, duca di san Lucar, gran privato del re don Filippo il grande, nostro signore! - esclamò, alzando il bicchiere.

Privato, chi non lo sapesse, era il termine in uso, a que' tempi, per significare il favorito d'un principe.

- Viva mill'anni! - risposer tutti.

- Servite il padre, - disse don Rodrigo.

- Mi perdoni; - rispose il padre: - ma ho già fatto un disordine, e non potrei...

- Come! - disse don Rodrigo: - si tratta d'un brindisi al conte duca. Vuol dunque far credere ch'ella tenga dai navarrini?

Così si chiamavano allora, per ischerno, i Francesi, dai principi di Navarra, che avevan cominciato, con Enrico IV, a regnar sopra di loro.

A tale scongiuro, convenne bere. Tutti i commensali proruppero in esclamazioni, e in elogi del vino; fuor che il dottore, il quale, col capo alzato, con gli occhi fissi, con le labbra strette, esprimeva molto più che non avrebbe potuto far con parole.

- Che ne dite eh, dottore? - domandò don Rodrigo. Tirato fuor del bicchiere un naso più vermiglio e più lucente di quello, il dottore rispose, battendo con enfasi ogni sillaba: - dico, proferisco, e sentenzio che questo è l'Olivares de' vini: censui, et in eam ivi sententiam, che un liquor simile non si trova in tutti i ventidue regni del re nostro signore, che Dio guardi: dichiaro e definisco che i pranzi dell'illustrissimo signor don Rodrigo vincono le cene d'Eliogabalo; e che la carestia è bandita e confinata in perpetuo da questo palazzo, dove siede e regna la splendidezza.

- Ben detto! ben definito! - gridarono, a una voce, i commensali: ma quella parola, carestia, che il dottore aveva buttata fuori a caso, rivolse in un punto tutte le menti a quel tristo soggetto; e tutti parlarono della carestia. Qui andavan tutti d'accordo, almeno nel principale; ma il fracasso era forse più grande che se ci fosse stato disparere. Parlavan tutti insieme. - Non c'è carestia, - diceva uno: - sono gl'incettatori...

- E i fornai, - diceva un altro: - che nascondono il grano. Impiccarli.

- Appunto; impiccarli, senza misericordia.

- De' buoni processi, - gridava il podestà.

- Che processi? - gridava più forte il conte Attilio: - giustizia sommaria. Pigliarne tre o quattro o cinque o sei, di quelli che, per voce pubblica, son conosciuti come i più ricchi e i più cani, e impiccarli.

- Esempi! esempi! senza esempi non si fa nulla.

- Impiccarli! impiccarli!; e salterà fuori grano da tutte le parti. Chi, passando per una fiera, s'è trovato a goder l'armonia che fa una compagnia di cantambanchi, quando, tra una sonata e l'altra, ognuno accorda il suo stromento, facendolo stridere quanto più può, affine di sentirlo distintamente, in mezzo al rumore degli altri, s'immagini che tale fosse la consonanza di quei, se si può dire, discorsi. S'andava intanto mescendo e rimescendo di quel tal vino; e le lodi di esso venivano, com'era giusto, frammischiate alle sentenze di giurisprudenza economica; sicché le parole che s'udivan più sonore e più frequenti, erano: ambrosia, e impiccarli.

Don Rodrigo intanto dava dell'occhiate al solo che stava zitto; e lo vedeva sempre lì fermo, senza dar segno d'impazienza né di fretta, senza far atto che tendesse a ricordare che stava aspettando; ma in aria di non voler andarsene, prima d'essere stato ascoltato. L'avrebbe mandato a spasso volentieri, e fatto di meno di quel colloquio; ma congedare un cappuccino, senza avergli dato udienza, non era secondo le regole della sua politica. Poiché la seccatura non si poteva scansare, si risolvette d'affrontarla subito, e di liberarsene; s'alzò da tavola, e seco tutta la rubiconda brigata, senza interrompere il chiasso. Chiesta poi licenza agli ospiti, s'avvicinò, in atto contegnoso, al frate, che s'era subito alzato con gli altri; gli disse: - eccomi a' suoi comandi -; e lo condusse in un'altra sala.





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