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Carl Gustav Jung
Sigmund Freud (1856-1939)
Si rimanda, per una generica trattazione del suo pensiero, al presente collegamento
ipertestuale.
Erich Fromm (1900-1980)
Il rapporto tra l'uomo e la società differisce da quello di Freud, che
insegnava che l'uomo è fondamentalmente antisociale e deve essere addomesticato
dalla società. Fromm prospetta una concezione dell'uomo che, pur sviluppandosi
sul solco tracciato da Freud, mostra di tener in maggior conto l'influenza
delle scienze sociali [...]. Fromm insiste sullo stato di solitudine e di
isolamento proprio della condizione umana, considerandole una conseguenza del
distacco dalla natura e dalla progressiva conquista di maggiore libertà. A tale
condizione sarebbero legati cinque specifici bisogni:
1) bisogno di relazioni;
2) bisogno di trascendenza (o di creatività);
3) bisogno di radicamento (nella natura e nel mondo);
4) bisogno di identità;
5) bisogno di un sistema di orientamento.
L'adattamento dell'uomo alla società è visto come un compromesso tra i bisogni
intimi e le richieste dell'ambiente. Il problema del rapporto tra uomo e
società è ritenuto fondamentale, poiché la società è vista come qualcosa di
creato dall'uomo allo scopo di realizzare la natura che gli è propria. Fromm
riconosce che nessuna delle società storiche ha raggiunto questo traguardo, ma
ritiene che per l'uomo sia possibile arrivare alla creazione di una simile
società ideale.
Nel suo libro "Psicanalisi e religione" Fromm discuteva il bisogno
dell'uomo di una struttura di orientamento con cui egli poteva superare la sua
alienazione e stabilire relazioni con gli altri. Questo bisogno può essere
soddisfatto da una ideologia, da una religione, o persino da una nevrosi
mentale. Fromm confrontò questo di psicoanalisi che egli chiamava cura dell'anima
con le religioni che accentuano il potere e la forza dell'individuo. Il più
importante contributo di Fromm alla psicologia sta nella sua accentuazione
della dignità e del valore dell'individuo. A differenza degli psicologi del
comportamento (behaviouristi, nota RDM) egli non riduce l'uomo ad un
comune denominatore di istinti.
Tratto da Erich Fromm, Avere o essere, ed. Mondadori, Milano 1977:
« Avere ed essere sono modalità esistenziali, entrambe sono potenzialità della
natura umana: alla base della modalità esistenziale dell'avere vi è un fattore
biologico, la spinta alla sopravvivenza (pag.134), alla base della modalità
esistenziale dell'essere c'è il bisogno di superare il proprio isolamento, che
è una condizione specifica dell'esistenza umana. A decidere quale modalità avrà
il sopravvento per la maggioranza è la struttura sociale con le sue norme ed i
suoi valori (pag.141). Il carattere sociale fonde la psiche individuale e la
struttura socioeconomica (sì che gli individui "desiderano fare ciò che
devono fare", pag.176). I mutamenti solo psichici sono limitati alla sfera
privata e sono inefficaci come i mutamenti economici, se non riguardano anche
il carattere. La struttura caratteriale dell'individuo costituisce il suo vero
essere, mentre il suo comportamento può essere solo una maschera, un'apparenza
(pag.130; il fanatismo, osserva l'Autore, talvolta serve a coprire impulsi
opposti, pag.116). Le strutture socioeconomica, caratteriale, religiosa sono
inseparabili (pag.182). »
Alfred Adler (1870-1937)
La psicologia adleriana è vicina al senso comune: nella teoria sulla
personalità, Adler attribuì un'importanza maggiore, nello sviluppo, al
sentimento d'inferiorità piuttosto che alle pulsioni sessuali rilevate da
Freud. Secondo Adler, i sentimenti consci o inconsci di inferiorità (da cui il
"senso di inferiorità"), associati a meccanismi di difesa che
svolgono un ruolo compensatorio (centrati soprattutto sulla ricerca del potere
sugli altri), costituiscono causa comportamentale importante. Essere uomo,
scrive, significa nutrire un sentimento d'inferiorità che preme costantemente
per il suo superamento. L'uomo compensa tale dato costitutivo di partenza con
la "volontà di potenza" (altrimenti detta "tendenza a
prevalere"), nozione di chiara derivazione nietzscheana e che Adler
concepisce come innata oltre che fondamentale. Questa "volontà di
potenza" è bilanciata dall'altra istanza fondamentale della psicologia
individuale, il sentimento sociale, che include l'empatia e la tendenza a
cooperare col prossimo.
Carl Gustav
Jung (1875-1961)
Approfondisce il processo di individuazione, in base al quale il Sè, inteso
come totalità conscio-inconscio, spinge verso l'autorealizzazione.
L'individuazione è principio del divenire e divenire del principio: si inizia
questo percorso con il passaggio dall'originaria identità con l'oggetto alla
"coscientizzazione" tramite differenziazione e integrazione
(differenziazione cioè dalla madre e dal collettivo). Sono processi a-storici
già presenti nei miti e possono essere compresi nel termine "inconscio
collettivo". I contenuti di tale inconscio sono archetipi, "strutture
strutturanti", bipolari modi a priori della conoscenza, presenti nel
sogno, nelle fantasie, nei deliri. Nei sogni i simboli vanno letti non in
modalità semiotica, come segni di processi istintivi elementari, come fa Freud,
ma come frammenti di un inconscio vitale.
Tratto da Giorgia Moretti-Mario Mencarini, "Alle soglie
dell'infinito":
[...] I contenuti dell'inconscio collettivo si riallacciano al patrimonio
storico-culturale dell'intera umanità. Scrive Jung: "La mia tesi [...]:
oltre alla nostra coscienza immediata, che è di natura del tutto personale e
che riteniamo essere l'unica psiche empirica (anche se vi aggiungiamo come
appendice l'inconscio personale), esiste un secondo sistema psichico di natura
collettiva, universale e impersonale, che è identico in tutti gli individui.
Quest'inconscio collettivo non si sviluppa individualmente ma è ereditato. Esso
consiste in forme preesistenti, gli archètipi, che possono diventare coscienti
solo in un secondo momento e danno una forma determinata a certi contenuti
psichici.". L'uomo si trova in tal modo ad essere attraversato da un'altra
contraddizione: in lui si manifesta la tendenza a ripetere comportamenti ed
atteggiamenti collettivi che oltretutto appartengono al passato dell'umanità e,
al tempo stesso, egli sperimenta il desiderio di salvaguardare la propria
libertà dando risposte originali a nuove situazioni ambientali. [...]
Alcune teorie centrali
Nome statunitense della corrente scientifica
comportamentista, il behaviourismo (dall'inglese behaviour, condotta o
comportamento) presuppone come ipotesi teorica il semplice assunto che l'azione
umana è determinata da eventi esterni; essa seguirebbe lo schema logico di
elementare e biologica primordialità che lega uno stimolo ad una risposta,
tramite lo schema: stimolo _ risposta. Importanti e pioneristici, gli studi di
Ivan P. Pavlov (tra l'altro poco apprezzabili da un'ottica animalista, come
purtroppo lo sono, ineluttabilmente, diversi aspetti della sperimentazione su
animali) dimostrarono che mammiferi come l'uomo, dei cani, generavano medesime
risposte a medesimi stimoli, anche quando gli stimoli stessi erano associati
alle risposte istintive attraverso percorsi artificiali sperimentali. Abbinando
un suono alla presenza di cibo, Pavlov riuscì a verificare come la salivazione
degli animali, nel tempo, aumentava al semplice reiterare il meccanismo sonoro,
anche quando il cibo, legato alla primigenio istinto della salivazione, veniva
a mancare. Successo notevole, se si ammettono gli istinti umani più elementari
associabili a quelli di altri mammiferi.
Secondo lo studioso John Watson, con un simile meccanismo, attraverso cioé
esperimenti che prevedevano ricompense e punizioni volte ad influenzare il
comportamento umano, si poteva evincere la condizionabilità non culturale ma
psicologica della persona; Gordon Willard Allport sottolineò la fiducia nel
potere dell'ambiente come determinante l'azione umana, parimenti dinamica e
difficilmente generalizzabile con teorie psicologiche troppo lineari e
universali. I neobehaviouristi, successori teorico-cronologici e nominali dei
comportamentisti, pur considerando l'importanza degli eventi ambientali,
accentuano gli stati psicologici personali come linee-guida essenziali nel
generare atteggiamenti e sentimenti quali determinante influenza genetica
dell'azione, al di là dell'iniziale schema teorico stimolo _ risposta.
La psicologia della Gestalt, o psicologia della
forma, a cui i cognitivisti devono molto teoricamente, prevede, recuperando la
filosofia kantiana dell'atto attivo della mente, l'intenzionalità come ciò che
rapporta il soggetto all'oggetto: l'oggetto ha realtà sua propria ma diviene
esistente in sede psichica solo quando un atto rapporta ad esso l'essere umano.
La psicologia dell'atto convoglia l'attenzione verso il soggetto, verso il suo
mondo e verso i dati immediati dell'esperienza. I cognitivisti videro centrale
il ruolo del pensiero e dell'interpretazione degli individui sull'attività
sociale nel creare modi di percepire psicologicamente gli uomini. In maniera
simile i cognitivisti ritennero che il modo in cui gli eventi esterni vengono
percepiti influenza il comportamento umano. In tal senso importante fu il
lavoro eseguito da Kurt Lewin, il primo psicologo sociale che sviluppò una
teoria generale del comportamento sociale umano.
Con la sua formulazione teorica del campo espresse l'idea che il modo in cui ci
si rappresenta il mondo è fattore principale dell'agire dell'essere umano. Il
modo in cui l'uomo si costruisce il mondo, inoltre, varia a seconda del variare
dei suoi bisogni e dei suoi scopi psicologicamente intesi. Lewin propose di
considerare il mondo psicologico come un campo composto da regioni
interdipendenti, le cui componenti principali sono persona ed ambiente.
La conoscenza di una persona, della materia o delle idee viene organizzata
cognitivamente dalla psicologia della persona stessa, secondo questa opzione
teorica, mediante l'uso di uno "schema". Lo schema psicologico si
intende come comprensivo di attributi e relative relazioni. Tramite uno schema,
infatti, è costruita, selezionata e classificata, secondo le ricerche dei
teorici considerati, ogni informazione disponibile all'individuo. Nel rapporto
con gli altri, anche in presenza di pochi dati, l'individuo utilizza schemi
cognitivi preesistenti. Fattori addizionali da considerare sono l'effetto
alone, il quale spiega il giudizio su di una persona come buona se di essa
abbiamo una informazione positiva; viceversa è validata dall'effetto alone una
cattiva percezione cognitiva a livello psicologico in caso di informazioni
negative precedenti. Le informazioni selezionate dal cervello a conferma di
schemi personali rappresentano una tendenza cognitiva chiamata "verifica
delle ipotesi di conferma", rientrante nel percorso psicologico personale
a schemi concepito e studiato da questa ipotesi teorica.
Altri fattori addizionali dell'effetto di percezione schematica sono l'effetto
di primacy e l'effetto di recency: quando la prima impressione formatasi è
legata alle prime informazioni, avremo l'effetto psicocognitivo di primacy;
quando la prima impressione è basata invece, su di una prevalenza delle più
recenti informazioni, avremo l'effetto psicocognitivo di recency. In genere
l'effetto di primary è privilegiato salvo l'uso di accorgimenti comunicativi
utili a mutare la percezione psicologica dei protagonisti dell'esperimento o,
in generale, della comunicazione informativa.
Vi è inoltre, sempre nel panorama teorico considerato, l'effetto di
innescamento: riferendoci ad un fatto particolare, gli individui privilegiano
schemi cognitivi diversi in rapporto causale con alcuni fattori ambientali,
appunto considerati di innesco; anche se inadatto, uno schema cognitivo è
utilizzato a causa di fattori legati al funzionamento tipico, o normale, del
cervello umano.
La individuale tendenza psicologica di ogni persona di raggruppare tratti o
configurazioni del mondo esterno in modo particolare si definisce teoria
implicita della personalità, altrimenti definibile, in linguaggio non tecnico,
come il modo in cui ogni essere umano produce convincimenti sulla personalità
dell'altro.
I teorici dell'interazionismo simbolico, come George H. Mead, divergendo dalle scuole psicologiche comportamentista e cognitivista, sottolineano le relazioni tra gli individui come essenziali nel comprendere atteggiamenti e comportamenti. Il concetto di ruolo è centrale per questa teoria: l'agire individuale è visto come costrutto determinato dal tipo di ruolo che si assume all'interno di uno specifico rapporto, dipendente altresì dal modo in cui l'altro reagisce all'interno del rapporto specifico.
La somiglianza è generalmente un parametro
considerato significativo, comunemente e a livello di verifiche
empirico-scientifiche nel settori di studi psicologici sociali, nel determinare
lo stato psicologico rispetto ad altri individui o gruppi di individui e, di
conseguenza, nel produrre azione sociale dell'individuo.
L'attrattiva non è direttamente proporzionale però alla somiglianza tra
persone: una persona differente da sé genera un bisogno di complementarietà che
può produrre un atteggiamento positivo come l'affinità. Comunque, e
generalmente, maggiore è il numero degli interessi in comune tra persone,
maggiore è l'attrazione relativa. La somiglianza non è espressa univocamente da
un solo livello conoscitivo. Vi è somiglianza tra persone relativamente ad una
medesima posizione socioeconomica, a medesimi interessi culturali, a stati
emotivi simili e così via.
L'attrattiva derivata dalla somiglianza interpersonale è dovuta a:
1) Gratifica. Gratificando l'autostima personale, ad esempio, quando lo stesso
stile di vita scelto da altri genera un sentimento di benessere prodotto dalla
conferma delle scelte individuali.
2) Fiducia. Dalla relazione di gruppo individui somiglianti traggono fiducia
sui risultati possibili cooperando su medesimi obiettivi.
3) Reciprocità. Le caratteristiche riscontrate nell'altro sono le stesse di chi
giudica.
Henri Tajfel, studiando la competizione tra gruppi
umani, correlò la stessa sia alla lotta per l'approvvigionamento che ad un tipo
particolare di difesa, la difesa dell'identità sociale. L'identità sociale è
prodotta dalla percepire un gruppo come proprio, con relativo vantaggio
derivante dal valore che si percepisce di avere, relativamente, nell'essere
parte integrante del gruppo, dall'essere protetto contro determinati pericoli
dallo status di membro del gruppo.
La persona compete con altri gruppi, quindi, salvaguardando il plusvalore
personale che percepisce di aver acquisito entrando nel gruppo e, difendendolo,
difendendo sé stesso dai pericoli ai quali la mancanza del gruppo medesimo lo
esporrebbe. Precisamente Tajfel rilevò sperimentalmente che:
1) Membri di un gruppo hanno atteggiamenti positivi reciproci discriminando i
non-membri.
2) Sviluppandosi, il gruppo crea omogeneità interna: i suoi membri si
assomigliano sempre più in atteggiamenti, opinioni, con accentuazione delle
differenze rispetto ad altri gruppi, al fine di ulteriore differenziazione.
3) Identità sociale e identità personale si allontanano nei fatti: chi è
diverso da sé non è visto come individuo ma membro di un gruppo.
4) Atteggiamenti di autocompiacimento ed autostima degli appartenti al gruppo
sono sviluppati ed accresciuti a discapito di altri gruppi, giudicati
negativamente in modo proporzionale.
Stereotipo sociale è una descrizione semplicistica
di interi gruppi: turchi iracondi, italiani impulsivi, tedeschi rigidi,
americani adolescenziali e così via. Gli stereotipi possono generare molto
facilmente, in un secondo momento, un secondo livello di conoscenza, i
pregiudizi. In ogni caso, influenzando parte delle azioni umane, può essere un
stereotipo a creare e a mantenere il giudizio sull'abbigliamento e la selezione
di indumenti adeguati ad un gruppo sociale particolare. Si ritiene, in
psicologia sociale, gli stereotipi come originati da processi cognitivi in
funzione di processi di pensiero identificabili come:
1) Differenziazione e polarizzazione: gli stereotipi si formano sul gruppo di
cui si è membri e su quelli estranei; i primi sono dettagliati maggiormente
rispetto ai secondi, più semplicistici e quindi sensibilmente più adatti a
generare pregiudizi.
2) Memoria negativa: gli stereotipi negativi sui gruppi estranei si mantengono
maggiormente nel tempo rinforzando il giudizio negativo iniziale.
3) Correlazione ingannevole: una correlazione stabilita tra termini, come
italiani e contadini, anche quando tale correlazione non risulta surrogata da
specifiche prove convalidanti ed oltre qualunque informazione che la invalidi
nei casi in cui non corrisponda al vero.
Gli stereotipi hanno funzioni che psicologicamente non sono assurde: i concetti
sugli altri generati dai processi cognitivi semplicistici come gli stereotipi
permettono, al di là delle verità raggiunte, di percepire in maniera minore il
mondo esterno come estraneo; in ogni stereotipo vi può essere contenuto
comunque, infatti, un qualche fondamento di verità, utile ad evitare di vedere
come totalmente oscure le azioni di altri individui o gruppi non conosciute
direttamente.
La comunicazione è considerabile come persuasiva, su
di un piano conoscitivo psicologico-sociale, quando riscontriamo un mutamento
degli atteggiamenti degli individui generato direttamente dalla comunicazione
stessa. Hovland e i suoi collaboratori studiarono attentamente, con i
procedimenti empirici da sempre utilizzati dalla psicologia sociale
sperimentale, la comunicazione persuasiva degli individui vista come processo,
cioé una serie di fasi individuabili nel tempo, e i relativi effetti sugli
esseri umani del completarsi del medesimo processo comunicativo. Variabili
importanti risultarono essere e sono:
1) La fonte cioé colui che produce la persuasione come tentativo
2) Il messaggio cioé il contenuto della comunicazione stessa
3) Il canale che trasmette la comunicazione, come tutti i 'media' di
comunicazione di massa (radio, TV)
4) Il ricevente cioé colui che riceve il messaggio
5) Il contesto cioé il contesto fisico ovvero sociale della comunicazione
persuasiva
La fonte
Attendibilità, attrattiva fisica, intenzioni del comunicatore: sono ritenute
queste le determinanti ineludibili nell'agire persuasorio, considerando
l'osservatore il focus sulla fonte originaria. Chiaramente il messaggio
proveniente da una fonte ritenuta attendibile è anch'esso ritenuto tale, pur
essendo stato osservato un effetto chiamato effetto latente: tramite
quest'effetto il messaggio proveniente dalla fonte meno attendibile, con il
trascorrere del tempo, risultava avere più incidenza e, in definitiva,
efficacia persuasiva.
La fenomenologia psicologica legata all'effetto latente è spiegabile come una
dissociazione operata tra colui che ha inviato il messaggio e la
caratteristiche delle informazioni trasmesse, venendo meno con ciò l'influenza
dell'attendibilità, quest'ultima valutata invece maggiore normalmente nei casi
in cui la fonte comunicativa è considerata più attendibile. Rievocando la
fonte, l'effetto è una crescita dell'attendibilità percepita, con conseguente
assenza dell'effetto latente.
Fonti considerate attendibili influenzano un relativo cambiamento degli
atteggiamenti, maggiormente se il messaggio coinvolge la persona od il gruppo
che opera nel trasmetterlo e, inoltre, come altro fattore interveniente, non a
suo vantaggio. H.C.Kelman osservò nel suo lavoro empirico influenze maggiori da
parte di chi era fisicamente gradito: ciò era motivato dalla volontà
individuale di rassomigliare o identificarsi con le persone. Nel caso le
intenzioni persuasive dell'emittente siano dichiarate, rese palesi, cioé la
fonte parla in modo esplicito di voler convincere i suoi destinatari tramite il
messaggio che ha trasmesso od intende trasmettere, allora il ricevente,
individuo, gruppo, audience che sia, assume un atteggiamento psicologicamente
competitivo che ostacola un eventuale cambiamento di atteggiamenti.
Quest'ultima componente psicologica non è sempre e comunque presente,
soprattutto se il messaggio non è letto come minaccioso per il self
individuale o collettivo.
Il messaggio
Persuasivo, primariamente, è il messaggio chiaro, comprensibile, che può essere
capito dal destinatario; la comprensione dei messaggi è contemporaneamente
presente insieme a uno stato psicologico tra i due alternativi: unilateralità o
bilateralità nella argomentazione.Varie ricerche hanno evidenziato come
l'impatto della comunicazione in senso persuasivo è diverso seguendo i dati su:
1) istruzione di chi l'ascolta;
2) argomentazione, che può essere unilaterale oppure bilaterale.
Nella maggior parte dei riscontri è risultata più facilmente persuasa da una
argomentazione bilaterale una persona con una dose di cultura individuale
maggiore; al polo opposto, un livello culturale non alto, assieme alla
unilateralità argomentativa, costruiscono generalmente uno stato di persuasione
maggiore di altre combinazioni dello stesso tipo. Inoltre un messaggio
minaccioso può incutere uno stato di paura, e può determinare un effetto boomerang:
la paura associata all'intenzione persuasiva produce in casi simili l'effetto
di inibire il cambiamento; il ricevente, originariamente disposto all'azione
persuasiva, riformula così l'atteggiamento personale in chiave difensiva.
Il ricevente
Molte ricerche hanno evidenziato come l'efficacia della comunicazione
persuasiva sia influenzata dalla disposizione o meno del ricevente a modificare
i propri atteggiamenti elaborando autonomamente l'informazione. Vi sono,
legando il discorso a tale proposito, tre tipi di disposizioni degli esseri
umani: una tendenza a farsi influenzare da ogni comunicazione persuasiva e a
cambiare i propri comportamenti; una ulteriore tendenza a modificare il proprio
pensiero in mancanza di opinioni a supporto di critiche o resistenze eventuali,
come sottolineato dal lavoro di ricerca di J.McGuire. Infine, la terza tendenza
del ricevente quella particolare forma di comunicazione umana, considerata come
volta oggettivamente a convincere, perciò definita in modo specifico, rilevante
epistemologicamente e metodologicamente, come comunicazione persuasiva, sta
nell'efficacia della comunicazione medesima rispetto all'autoconsiderazione del
ricevente: bassa autostima implica una linea d'opinioni facilmente plasmabile
dalle idee altrui, le quali vengono seguite a causa di una scarsa valutazione
dei propri assunti; una notevole autostima genera, d'altronde, una difesa decisa,
in qualità e quantità, di opinioni personali e relative posizioni
sociocomunicative, spingendo solitamente il ricevente, almeno sul piano
psicologico, ad argomentare, discutere, comunicare in modo anche paritetico,
con volontà e determinazione discorsive, quando è possibile, con la
fonte-emittente originaria.
Fiedler afferma, studiando le tipologie di leadership
ed osservando le relazioni dei tipi diversi di leaders con i diversi modi
possibili d'interazione dei gruppi, che si possono riscontrare due tipologie di
leadership, che corrispondono a determinati modi di essere leader di un
gruppo: vi è la leadership orientata al compito e quella orientata alla
relazione. Sono interessati affinchè il gruppo raggiunga determinati risultati
quei leader che tendenzialmente si pongono obiettivi finalizzati al compito,
mentre i secondi sono più interessati a buoni rapporti di tipo relazionale
all'interno del gruppo stesso.
Entrambi i tipi di leadership possono essere efficaci: la differenza nei
risultati finali è puramente contestuale, ed il successo dovuto a fattori
situazionali. Il controllo situazionale è il controllo che l'individuo studiato
come leader ha, potenzialmente, sui membri del gruppo. La situazione migliore è
di tipo fiduciario, quando ogni membro del gruppo ha compiti precisi ed il
leader può distribuire ricompense oppure comminare sanzioni. Dei due stili,
sono stati osservati due comportamenti determinati da fattori contestuali
diversi: lo stile orientato al compito risulta più efficace quando la
situazione è al massimo o al minimo controllo situazionale, cioé di estremo
controllo o di estrema mancanza di controllo, mentre nell'altro modo di
assumersi compiti da leader, ossia quando l'attenzione del leader è
maggiormente concentrata sui rapporti intergruppali, il leader stesso è più
efficace nelle situazioni ad un grado intermedio di controllo situazionale.
Il modello di Fiedler è contraddistinto, oltre gli utili esempi di modellamento
del lavoro di gruppo sia sul contesto situazionale che su diverse tipologie di leadership,
dal fatto dimostrato che non esiste una leadership migliore di un'altra:
l'efficacia delle tipologie psicologiche dipende da fattori situazionali.
Una delle questioni scientifiche più rilevanti è
stata, per molti psicologi, quella della necessità psicologica delle persone di
evitare fastidio personale nel percepire come incoerenti le proprie opinioni.
In caso di percezione negativa, nel momento in cui le idee personali vengono
avvertite spiacevolmente sbagliate o semplicemente considerate incoerenti (non
importa che lo siano realmente), sorge l'esigenza di ripristinare la coerenza
delle idee, attraverso processi psicocognitivi specifici, atti a ridurre quella
che viene definita dissonanza cognitiva. Leon Festinger si è occupato di questo
tipo di ricerche, rilevando che tanto più c'è dissonanza tra la
rappresentazioni individuali del mondo, tanto più è forte il disagio per
l'incoerenza che ne scaturisce.
La risoluzione della dissonanza può avvenire sia modificando il proprio
comportamento sia attraverso la modifica della rappresentazione. Disprezzando
chi vota un certo partito e, ad esempio, votando appunto proprio per il
medesimo partito, al fine di evitare la dissonanza cognitiva, si può sia
evitare di completare il voto sia cambiare tout court la propria
opinione sugl'elettori di quel partito, giustificando l'azione compiuta come
uno stato di bisogno, dovuto ad una particolare misura programmatica che aiuta
economicamente determinate fascie sociali, anche se ciò non è dovuto ad un
possibile e prevedibile miglioramento reale del proprio status.
Tutto ciò dimostra come le necessità di coerenza cognitiva influenzi il
cambiamento negli atteggiamenti: infatti ad una determinata coerenza logica si
associa una determinata coerenza di atteggiamenti. Gli effetti del
comportamento sugli atteggiamenti sono misurati empiricamente con i role-playing
ovvero interpretazioni di un ruolo; interpretare, adottando un certo comportamento,
può influenzare il cambiamento degli atteggiamenti mentre, se non produce
alcuna dissonanza, non si avrà alcun cambiamento.
Festinger, con una sua posizione non efficacemente supportata da studi mirati e
specifici, quindi con l'assenza di dati scientifici sufficienti, ha voluto
aggiungere che ad una maggiore pressione di qualcuno che ci vuol fare un'azione
indesiderata, corrisponde una riduzione della dissonanza cognitiva. Molti
autori critici di questa 'complementarietà' sui fattori esterni della teoria
della dissonanza si sono riallacciati alla consapevolezza, presente o assente,
delle persone interessate dagli esperimenti. Se nella pressione è implicita una
punizione o una ricompensa, il fatto di eseguire un'azione a forza, non
implicherebbe nessuna attrazione verso l'azione, e quindi nessuna diminuzione
della dissonanza. Altri autori, invece, ritengono che la ricompensa può
attenuare la dissonanza, come in quell'esperimento dove la ricompensa in
denaro, per il fatto di mentire ad altre persone sulla qualità interessante di
alcune prove motorie, in realtà, molto noiose, potesse non creare dissonanza
(caso della retribuzione soddisfacente), o far cambiare l'atteggiamento (caso
della ricompensa non soddisfacente e quindi di alta dissonanza). Klapper, inoltre,
studiò, con beneficio degli studi massmediologici, come al fine dell'evitamento
della dissonanza si "scelgono" le cose da vedere e da sentire, per
esempio, evitando di vedere o di ascoltare, alla televisione o alla radio ad
esempio tra i tanti media, fatti non congruenti con le proprie opinioni,
addirittura alterando la percezione, il ricordo e la rievocazione degli stessi
tramite un'autentica ostracistica lontananza cognitivo-sensoriale, a livello
psicologico, dell'interessato.
Konrad Lorenz (1903-1989)
Lorenz è stato uno dei principale esponenti di quel settore di studi
scientifico che si interessano del comportamento degli animali, l'etologia, la
scienza che studia appunto il comportamento di tutti gli esseri viventi, a
parte l'uomo, al fine di compararlo con il comportamento umano.
Celebre l'esperimento dell'osservazione di animali come le anatre. La sua
passione per le anatre, spiegò egli stesso in suo libro, era originata dalle
loro abitudini familiari, giudicate da Lorenz e dimostratesi molto simili a
quelle umane. Lavorando sulle anatre, Lorenz formulò l'altrettanto celebre
teoria dell'imprinting. Quando un cucciolo riceve cure e affetto da parte di
una madre diversa da quella biologica, anche se appartenente ad una specie
diversa, egli scoprì verificarsi il fenomeno dell'imprinting. Lorenz poté
proporsi come 'madre sostitutiva' per molte piccole anatre; contemporaneamente
esse si attaccavano affettivamente a lui, come avrebbero fatto con la propria
madre biologica. Lorenz (letteralmente diventato "mater honoris
causa") riuscì ad educare le sue piccole anitre, grazie al fenomeno
dell'imprinting, al punto che esse lo seguivano ordinatamente in fila, come
avrebbero fatto con la propria madre biologica, rispettando con lui un ordine
naturale che apparteneva ad altri individui biologici. Lorenz ne trasse un
insegnamento più generale, valido per la teoria evoluzionistica che riguardava
anche la specie umana: la selezione naturale aveva determinato non solo
l'evoluzione della specie, ma anche delle varie culture.
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