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Il funzionalismo
Il funzionalismo fu una tipica espressione della nuova cultura nordamericana ed ebbe il suo
riferimento principale nei Principles of psychology pubblicati nel 1890 da William James - professore
prima di psicologia e poi di filosofia ad Harvard - che
Figura 4. William James
«rappresentò per anni il simbolo della nascente
indipendenza americana nei confronti della psicologia
tedesca, e in cui per la prima volta in modo esplicito
e specifico veniva fatto riferimento al significato e
alla rilevanza per la psicologia delle teorie
evoluzionistiche di Darwin e di Spencer; teorie che,
insistendo sul rapporto fra organismo e ambiente,
trovavano vasta risonanza nel contesto socioculturale
nordamericano dei primi anni del secolo, fortemente
caratterizzato in senso pionieristico.
Strettamente legata all'istanza evoluzionistica
nell'opera dello stesso James, e ancor più tipicamente
nordamericana, un'altra istanza presiedette al nascere
della psicologia funzionalistica: e cioè la filosofia
pragmatistica di Mead, Moore e Dewey, elaborata
soprattutto nell'ambito della nuova Università di
Chicago.
Tuttavia, il funzionalismo risentì anche della
tradizione europea wundtiana; e in certo modo, non
esplicitamente, si riallacciò a un'altra tradizione
psicologica europea, la «psicologia dell'atto»
inaugurata da Franz Brentano nel 1874, e
comunemente conosciuta come «scuola austriaca»
attraverso le opere successive di autori quali Stumpf,
Meinong, Lipps e il nostro Benussi: difatti, sebbene
gli psicologi funzionalisti americani non citino quasi
mai gli scritti degli «psicologi dell'atto» tedeschi, nei
I paragrafi che seguono sono tratti da S. Marhaba, Lo strutturalismo e il funzionalismo, in Legrenzi (a cura di)
(1980) Storia della psicologia, Il Mulino, Bologna: pp.79-91.
primi rivive sostanzialmente inalterata la fondamentale categoria interpretativa dei secondi, cioè
l'«intenzione», il «tendere a» della mente impegnala nell'interagire con l'ambiente.
Rispetto allo strutturalismo, il funzionalismo si presentò come un sistema assai più composito ed
eterogeneo, eclettico e tollerante nei confronti delle altre prospettive psicologiche. E pertanto
difficile individuare un unico testo sistematico che ne contenga tutte le sfaccettature. Fra i testi più
significativi vanno ricordati, in ordine di tempo, un articolo di John Dewey del 1896, The Reflex Are
Concept in Psychology, il cui autore avrebbe ben presto abbandonato gli interessi psicologici per
dedicarsi interamente alla filosofia e alla pedagogia pragmatistica; un manifesto programmatico di
James Rowland Angell (1867-1949)
un testo di psicologia generale del successore di Angell a Chicago, Harvey Carr (1873- 1954).
Quest'ultimo testo rappresentò il canto del cigno del movimento funzionalistico, ormai sommerso
dall'impeto del comportamentismo watsoniano. Facendo esplicito riferimento alle concezioni di
Darwin - soprattutto a quelle espresse nelle opere L'origine dell'uomo e la selezione sessuale del 1871 e
L'espressione delle emozioni nell'uomo e negli animali del 1872 - gli psicologi funzionalisti considerano
l'organismo umano come l'ultimo stadio del processo evolutivo. In questa prospettiva, i processi
mentali sono quelli che sono perché in qualche modo hanno aiutato l'organismo a sopravvivere, gli
sono stati utili nel suo adattarsi all'ambiente circostante.
L'interrogativo principale per la psicologia diventa allora non tanto «cosa sono i processi mentali»,
quanto «a cosa servono e come funzionano i processi mentali». L'accento viene posto sulle
operazioni dell'intero organismo biologico, umano ma anche animale, anziché sui contenuti della
mente umana isolata dal corpo. Scompare il tradizionale dualismo «mente-corpo», che in Wundt e
Titchener aveva assunto le vesti del «parallelismo psicofìsico»: per i funzionalisti i processi mentali
sono direttamente espressi dal medesimo organismo che esprime i processi biologici (come la
respirazione o la circolazione del sangue). Acquisendo questa valenza biologica, la psicologia
acquisisce al contempo una valenza esplicativa: al contrario dei titcheneriani, che si limitano a «descrivere
» e demandano lo «spiegare» alle scienze biologiche, gli psicologi funzionalisti «descrivono»
e «spiegano» rimanendo all'interno della psicologia.
Oggetto della ricerca psicologica sono «le attività mentali relative all'acquisizione,
all'immagazzinamento, all'organizzazione e alla valutazione delle esperienze, e alla loro successiva
utilizzazione nella guida del comportamento» [Carr, 1930]. Ciò che è centrale in questa definizione è
il concetto di «comportamento guidato, orientato verso»; ovvero, con formulazione pienamente
evoluzionistica, «comportamento adattivo».
Il comportamento adattivo è caratterizzato dalla presenza di tre componenti:
1. una stimolazione motivante, interna o esterna all'organismo;
2. una situazione sensoriale;
3. una risposta che alteri la situazione in modo tale da soddisfare le condizioni motivanti.
Ad esempio, un uomo affamato che si procura del cibo e mangia fino ad essere sazio pone in atto
un comportamento adattivo. La fame è la stimolazione motivante, il cibo è una parte della
situazione sensoriale, il mangiare è la risposta che soddisfa la motivazione iniziale. Naturalmente,
non tutti i comportamenti sono adattivi: se starnutisco mentre mi allontano da un incendio, il mio
allontanarmi è un comportamento adattivo, ma tale certo non è il mio starnutire. I comportamenti
non adattivi sono descrivibili esclusivamente nei termini oggettivi di stimolo e risposta.
Grande importanza rivestono i processi mentali coscienti.
La coscienza non sfugge alla legge dell'adattamento biologico, anzi, ne costituisce il massimo
esempio: essa emerge quando il comportamento è ostacolato da eventi problematici in ordine alla
sopravvivenza dell'organismo, e, una volta svolto il proprio ruolo adattivo, tende a eclissarsi e a
farsi sostituire dagli automatismi comportamentali. In altre parole, siamo acutamente coscienti nel
momento in cui cominciamo a formarci una nuova abitudine che implica una nostra relazione
adattiva con l'ambiente circostante o con gli oggetti in esso contenuti, e tendiamo a diventare meno
coscienti con il progressivo consolidarsi dell'abitudine stessa. Esemplificando: chi impara a suonare
il pianoforte è all'inizio acutamente cosciente di tutti i movimenti delle proprie dita; mentre cessa di
esserlo successivamente, dopo che si sono instaurate le appropriate coordinazioni sensomotorie».
Antielementismo
«Fin dall'articolo di Dewey del 1896 [The Reflex Are Concept in Psychology] il funzionalismo sferra un
attacco alla tradizione psicologica elementistica. Secondo Dewey l'arco riflesso non è scomponibile
in due entità reciprocamente indipendenti (stimolo e risposta), bensì costituisce un anello unitario in
una ininterrotta catena di altri archi riflessi. Nel caso di un bambino che vede una fiamma, allunga
una mano verso di essa, e si scotta, non è esatto parlare di una sequenza di tre eventi
reciprocamente indipendenti: il vedere, l'allungare la mano, e lo scottarsi; bisogna invece parlare di
un'unica attività finalizzata, «vedere per toccare». La sensazione infatti non precede il movimento: il
«vedere» non è lo stimolo che precede la risposta motoria «allungamento della mano», perché già
nel «vedere» è implicata una serie di adattamenti motori che controllano l'azione «allungamento
della mano».
Ogni attività dell'organismo vivente è dunque un processo globale e continuo. Tuttavia, aggiunge
Dewey, è lecito distinguere fra stimolo e risposta, perché l'uno e l'altra svolgono ruoli diversi nella
coordinazione totale relativa al raggiungimento dello scopo, in altre parole perché l'uno e l'altra
assolvono funzioni diverse nell'adattare l'organismo alla situazione ambientale. La distinzione fra
stimolo e risposta è pertanto «funzionale», si fonda cioè su ciò che essi fanno; non è «esistenziale»,
non si fonda cioè su ciò che essi sono.
In definitiva, il concetto di «funzione» della Scuola di Chicago è antielementistico in due sensi
distinti e complementari. Da un lato, le funzioni mentali sono attività globali, in sé non scomponibili;
d'altro lato, esse sono processi dinamici di carattere strumentale mediante i quali l'intero
organismo si adatta alle situazioni dell'ambiente circostante».
Le funzioni mentali
«Oggetto della ricerca funzionalistica sono in parte i processi mentali già studiati da Titchener, ma
ridefiniti in termini di «funzioni»; in parte processi mentali nuovi, non contenuti nel sistema
titcheneriano. I primi sono la sensazione e l'emozione (intesa in termini globali, non spezzettata in
«stati affettivi»); i secondi sono la percezione, la motivazione, l'apprendimento, il pensiero. Nei
rispettivi manuali di psicologia generale Titchener dedica ben dieci capitoli alla sensazione, mentre
Carr gliene dedica soltanto uno, e per giunta piccolo. Oggetto centrale della ricerca strutturalistica,
la sensazione diventa, proprio in quanto elementare, oggetto molto marginale della ricerca
funzionalistica. Tuttavia i funzionanti riconoscono il valore adattivo dei processi sensoriali: in
particolare, mediante inabilità spaziale», che è tanto maggiore quanto più si sale nella scala
filogenetica, l'organismo assolve l'importante funzione adattiva consistente nel localizzare gli oggetti
nel suo spazio circostante e nel discriminare le loro dimensioni.
Quanto all'emozione, i funzionalisti ne sottolineano il carattere adattivo, di riadattamento organico
automatico che aumenta l'efficacia della risposta a situazioni particolari: per esempio, quando
l'organismo è ostacolato nella propria libertà di movimento, può manifestarsi l'emozione «collera»,
la quale, mediante una mobilitazione di energia - che si esprime fra l'altro nell'accelerazione del
battito cardiaco e della respirazione - aiuta l'organismo stesso a reagire più efficacemente contro
l'ostacolo. I funzionalisti, tuttavia, ammettono l'esistenza di molte emozioni per così dire «gratuite»,
non direttamente funzionali o addirittura antifunzionali alla sopravvivenza dell'organismo.
Nell'approccio funzionalista la percezione è un processo mentale a sé stante, non una somma di
sensazioni elementari, come nell'approccio strutturalista. Carr la definisce: «cognizione di un
oggetto presente in relazione a un qualche comportamento adattivo». Dato il suo orientamento
biologizzante e data la sua vocazione esplicazionistica, la psicologia funzionalistica attribuisce
grande importanza alla motivazione. Carr la definisce nei seguenti termini: «qualsivoglia stimolo
relativamente persistente fame, sete, pulsione sessuale, dolore, ecc. - che domina il comportamento
dell'individuo fino a quando quest'ultimo non reagisce in modo tale da soddisfarlo».
Ma l'oggetto principale della ricerca funzionalistica, quello che sta a quest'ultima come la sensazione
sta alla ricerca strutturalistica, è l'apprendimento. Funzione adattiva per eccellenza, esso consiste
nell'acquisizione, da parte dell'organismo animale o umano, di appropriate modalità di risposta a
situazioni problemi che presenti nell'ambiente dell'organismo stesso; modalità di risposta che hanno
valore di sopravvivenza. Se questa caratterizzazione evoluzionistica del significato globale
dell'apprendimento costituisce una «esclusiva» dei funzionalisti, la loro spiegazione dei meccanismi
interni dell'apprendimento è invece largamente debitrice nei confronti della tradizione psicologica
associazionistica. In particolare, Carr eredita da Thorndike, associazionista e iniziatore (fin dal 1898)
della sperimentazione psicologica sull'apprendimento animale, la famosa «legge dell'effetto»,
formulata nel 1905. Secondo questa legge:
ogni atto che, in una data situazione, produce soddisfazione, finisce con l'essere associato a quella
situazione. Così, quando la situazione si ripresenta, l'atto ad essa relativo ha maggiori probabilità di
ripetersi rispetto al passato. Viceversa, ogni atto che in una data situazione produce insoddisfazione,
finisce con l'essere dissociato da quella situazione. Cosi, quando la situazione si ripresenta, l'atto ad
essa relativo ha minori probabilità di ripetersi rispetto al passato [Thorndike 1911].
Rispetto agli associazionisti, tuttavia, i funzionalisti attribuiscono assai minore importanza
all'apprendimento «per prove ed errori». Essi sostengono che, fin dal primo impatto con la situazione
problemica, l'organismo vivente - soprattutto se dotato di coscienza - si comporta spesso non
già in modo casuale, bensì in modo selettivo e analitico.
Per quanto infine concerne il pensiero (inteso come flusso continuo, non sbriciolato in immagini
mentali), i funzionalisti ne sottolineano gli aspetti adattivi o strumentali: un'idea, un ragionamento,
un'aspettativa possono avere una funzione adattiva tanto quanto le percezioni. Esemplificando: il
pensiero di un esame da fare può indurre nel soggetto una preparazione più adeguata, svolgendo
così una funzione adattiva in sostituzione di quella che potrebbe svolgere uno stimolo percettivo
oggettivamente presente nell'ambiente del soggetto» .
I metodi del funzionalismo
«Sebbene fondamentalmente soggettivistico come lo strutturalismo, il funzionalismo detronizza
l'introspezione dal suo status di unico metodo psicologico. Da un lato le funzioni mentali - al
contrario dei contenuti mentali, unico oggetto di studio degli strutturalisti - non compaiono
nell'esperienza diretta; d'altro lato, secondo la celebre definizione di William James, grande ispiratore
dei funzionalisti, la coscienza è come «un fiume che scorre», una ininterrotta corrente, e pertanto
non può essere colta mediante un metodo elementistico, statico e parcellizzante qual è quello
introspettivo titcheneriano.
In generale, si può parlare di «eclettismo metodologico» dei funzionalisti. Indubbiamente essi
valorizzano la sperimentazione di laboratorio, soprattutto nel campo dell'apprendimento: ma da un
lato, rispetto a Titchener, essa è intesa e praticata in modo assai meno sistematico e rigoroso, d'altro
lato essa è accompagnata e spesso interamente sostituita dal metodo genetico e dal metodo
osservazionale puro, ritenuti particolarmente idonei a cogliere le funzioni mentali nel loro contesto
naturale.
Come Wundt, e al contrario di Titchener, i funzionalisti (soprattutto Angell) accettano i contributi
alla conoscenza psicologica della filosofia, della storia, della letteratura, dell'arte, dell'antropologia
comparata. In un certo senso, possono essere pertanto considerati anticipatori del contemporaneo
interdisciplinarismo.
E ancora come Wundt, al contrario di Titchener, e precorrendo molto blandamente il
comportamentismo, i funzionalisti ricorrono talora all'osservazione oggettivistica o
comportamentale, quale integrazione all'osservazione soggettivistica, che rimane il loro
fondamentale criterio metodologico.
Infine, i funzionalisti aprono la psicologia allo studio delle differenze individuali, dello sviluppo
infantile, del comportamento animale, e abituano lo psicologo a considerare con minore diffidenza
l'ambito delle applicazioni psicologiche. Né bisogna dimenticare che proprio a Chicago insegnò a
lungo George H. Mead, uno dei padri della moderna psicologia sociale».
La polemica fra strutturalisti e funzionalismi
«Intorno al 1910 la psicologia americana conobbe un ampio dibattito fra Titchener e i suoi allievi
(soprattutto Ruckmick e Dallenbach) da un lato, e i rappresentanti della Scuola di Chicago d'altro
lato. Alcuni storiografi americani (per esempio, D. Schultz) lo hanno ricostruito in termini di
«rivoluzione funzionalistica» contro lo strutturalismo; ma si tratta di un'esagerazione - dettata forse
da un certo nazionalismo culturale - che non rispetta l'effettiva natura del dibattito. L'unica vera
«rivoluzione» psicologica americana è il comportamentismo watsoniano degli anni '20, il quale,
liquidando fino in fondo la soggettività e sostituendola con il comportamento oggettivo, scardina la
premessa fondamentale tanto dello strutturalismo quanto del funzionalismo.
Strutturalisti e funzionalisti, pur polemizzando fra loro, sanno di appartenere alla medesima grande
famiglia soggettivistica: Titchener non scomunica il funzionalismo come poi invece scomunicherà il
comportamentismo, e d'altro lato Angell e Carr riconoscono alla coscienza lo status di oggetto
fondamentale della ricerca psicologica, limitandosi ad affermare che di essa intendono studiare non
solo e non tanto i contenuti, quanto piuttosto le funzioni.
Al funzionalismo Titchener rivolge soprattutto due critiche. In primo luogo, egli contrappone il
proprio sperimentalismo sistematico alle componenti filosofiche o aprioristiche presenti negli scritti
della Scuola di Chicago, componenti che, a suo avviso, tendono a riportare la psicologia al periodo
prescientifico. In particolare, egli stigmatizza l'entusiasmo di molti funzionalisti (come J. M.
Baldwin) per gli aspetti più totalizzanti e metafisici dell'evoluzionismo spenceriano, e, in nome
dell'unica tradizione scientifica, quella meccanicistica, attacca duramente il vitalismo finalistico o
teleologistico (il concetto di «cause finali») che i funzionalisti, influenzati dalle nuove speculazioni
evoluzionistiche, vanno applicando alla psicologia. In secondo luogo, Titchener, pur riconoscendo
scientificamente legittimo lo studio delle funzioni mentali, sostiene che esso deve essere preceduto
dallo studio esaustivo dei contenuti mentali: non ha senso cercare dì capire cosa «fanno» per
l'organismo i processi coscienti, se prima non si è capito cosa essi «sono», così come non ha senso
cercare di capire l'operazione del «vedere» se prima non si è perfettamente conosciuta la struttura
anatomica dell'occhio.
Quanto ai funzionalisti, la loro critica principale allo strutturalismo è quella secondo cui i «momenti
di coscienza» rilevati mediante introspezione sono transitori ed evanescenti, cessano dì esistere non
appena trascorsi; mentre le funzioni mentali, come quelle fisiologiche, sono persistenti e
continuative, e, rimanendo identiche a se stesse, possono essere svolte da strutture di volta in volta
diverse.
Della polemica fra strutturalisti e funzionalisti va infine ricordato un altro aspetto, che è rimasto
problematico anche nella odierna riflessione psicologica: quello relativo all'«utilità» o meno della
psicologia. Da un lato, Titchener si erige a difensore di una scienza psicologica pura, disinteressata,
circoscritta al laboratorio accademico, gestita con lo stesso rigore impersonale che caratterizza il
procedere del fisico. Una scienza psicologica avente per oggetto i fatti e non i valori della coscienza
umana, tesa a «conoscere» la mente dell'Uomo Generalizzato, non ad «agire» sulle menti dei singoli
individui impegnati nella loro vita quotidiana per migliorarle, aiutarle o comunque modificarle.
D'altro lato, attirandosi l'accusa titcheneriana di tecnologismo, i funzionalisti operano una scelta
radicalmente opposta: influenzati dalla filosofia pragmatistica, che identifica il «vero» con l'«utile»,
essi in ultima analisi giustificano la scienza psicologica sulla base del valore sociale dei suoi risultati.
Non intendono cioè aggiungere una psicologia applicata alla tradizionale psicologia pura, o far
derivare la prima dalla seconda, bensì ritengono che fin dal suo momento iniziale la ricerca
psicologica - sia essa sperimentale, o sul campo, o di qualsivoglia altro tipo - debba caratterizzarsi
in senso sociale, focalizzandosi soprattutto sulle differenze interindividuali (nella percezione,
nell'apprendimento, nella motivazione...), che tanta importanza hanno nella vita di tutti i giorni. Di
conseguenza, il funzionalismo ha preparato egregiamente il terreno al grande sviluppo del
movimento nordamericano dei test, nell'ambito dell'intelligenza, della personalità e delle attitudini».
Un bilancio storico dello strutturalismo e del funzionalismo
Le ragioni della scomparsa dello strutturalismo titcheneriano dalla scena psicologica sono
molteplici. In primo luogo, esso si autolimitava allo studio dell'uomo bianco, adulto, psichicamente
normale, «generalizzato»: mentre dagli anni '20 in poi la psicologia si è sempre più interessala allo
studio delle variabili antropologico-culturali, dello sviluppo intellettivo e affettivo, della patologia
mentale, degli individui concreti nei loro gruppi sociali, del comportamento animale. In secondo
luogo, l'elementismo titcheneriano è stato messo irreversibilmente in crisi dal globalismo fenomenologico
della psicologia della Gestalt. In terzo luogo, il descrittivismo statico dell'analisi
strutturalistica è stato superato dall'esplicazionismo delle nuove psicologie dinamiche. In quarto
luogo, l'introspezionismo titcheneriano è crollato tanto sul piano metodologico quanto sul piano
contenutistico. Sul piano metodologico, perché gli esperimenti condotti mediante introspezione,
per quanto possa essere rigoroso il controllo delle variabili, non sono mai esattamente replicabili
con soggetti diversi. Sul piano contenutistico, perché all'analisi della coscienza sfuggono per
definizione tutti quei contenuti mentali che coscienti non sono, e la cui determinante esistenza è
stata provata in modo convincente dall'indagine psicoanalitica e dal movimento cognitivista.
Malgrado ciò, lo strutturalismo ha dato un contributo prezioso allo sviluppo della psicologia
scientifica. Anzitutto, per almeno quarant'anni (che costituiscono un terzo dell'età complessiva della
psicologia moderna) esso è stato il sistema psicologico più organico e rigoroso, e come tale ha
rappresentato il punto di riferimento obbligatorio di quasi tutte le altre concettualizzazioni psicologiche,
svolgendo così un utilissimo ruolo dialettico. Fossero funzionalisti, o comportamentisti,
o altro, gli psicologi non potevano non confrontare le proprie posizioni con l'opera sistematica di
Titchener, perciò stesso chiarificandole e arricchendole. In secondo luogo, in misura assai maggiore
rispetto al funzionalismo, rimasto in parte ancorato alla tradizione filosofica, lo strutturalismo ha
contribuito al riconoscimento della psicologia come scienza indipendente, utilizzando a tale scopo
gli unici strumenti concettuali possibili nel contesto culturale della fine Ottocento inizio Novecento:
il drastico rifiuto dell'apriorismo filosofìco e il ricorso al solo metodo sperimentale.
In terzo luogo, la psicologia odierna, accettando di studiare nuovamente la coscienza dopo il lungo
intermezzo comportamentistico, da in qualche modo ragione all'introspezionismo di Titchener e di
Külpe. E, in particolare, l'introspezionismo külpiano riecheggia negli odierni studi cognitivisti sui
contenuti complessi della mente, quali le strategie di soluzione dei problemi. Il volume di Osvald
Külpe Grundiss der Psychologie (1893), e più in generale tutte le ricerche della Scuola di Wùrzburg,
possono essere senz'altro considerati una significativa anticipazione dell'odierna psicologia
cognitivista, come ha messo in luce Blumenthal [1975].
Sullo strutturalismo, oggi spesso poco conosciuto, esistono alcuni luoghi comuni, il principale dei
quali lo vorrebbe come l'esatto negativo del comportamentisrno watsoniano. Il giudizio
comparativo, in realtà, è molto più articolato. È vero che l'oggettivismo watsoniano è l'antitesi del
soggettivismo titcheneriano, che l'interesse watsoniano per la psicologia animale si contrappone
all'antropocentrismo titcheneriano, che il tecnologismo watsoniano è l'opposto del «purismo»
titcheneriano. Ma è altrettanto vero che il comportamentismo watsoniano eredita immutate diverse
componenti epistemologiche e metodologiche del sistema titcheneriano. In primo luogo,
l'avversione per la «metafisica», intesa in senso molto ampio come «tutto ciò che non è sottoponibile
alla ricerca di laboratorio». In secondo luogo, il criterio asso-ciazionistìco, che è quello stesso
della tradizione empiristica anglosassone. In terzo luogo, il descrittivismo elementistico, esasperato
fino alla condanna senza appello di qualsivoglia approccio psicologico globalistico, definito in
partenza «tautologico e mistico». Quando Skinner, in Cumulative Record del 1961, presenta senza
commento 40.000 singoli items comportamentali, non possono non tornare alla mente le 44.000
singole qualità sensoriali che più di sessant'anni prima Titchener si era fatto vanto di aver registrato.
Infine, strutturalismo e comportamentismo nutrono la medesima profonda diffidenza per le
interpretazioni del cosiddetto «senso comune»: parlando di esso come di un nemico che la
psicologia scientifica deve battere, Titchener e Skinner usano addirittura le stesse parole.
Mentre lo strutturalismo si identificava con la Scuola di Cornell, il funzionalismo nordamericano è
sempre stato un movimento più ampio, più fluido, meno definito e delimitato rispetto alle posizioni
sistematiche (esse stesse poco articolate) degli esponenti della Scuola di Chicago. Di conseguenza,
estintasi la Scuola di Chicago si è estinto lo strutturalismo. Estintasi invece la Scuola di Chicago, il
movimento funzionalistico è in qualche modo sopravvissuto, fino ad influenzare la psicologia di
oggi.
La Scuola di Chicago cominciò a tramontare in coincidenza e a causa dell'ascesa dell'astro
comportamentistico, subito dopo il celebre manifesto watsoniano del 1913. Da un lato, difatti, i
comportamentisti si appropriarono con decisione, inserendole in una prospettiva oggettivistica
radicalmente nuova, delle tematiche più originali del funzionalismo, quali lo studio dell'apprendi
mento e l'istanza utilitaristica; essi le svilupparono e le articolarono fino a ottenere un sistema
unitario e coerente assai più suggestivo rispetto alle non coordinate concettualizzazioni
funzionalistiche. D'altro lato, in nome dello sperimentalismo, carta vincente nella psicologia del
primo Novecento, essi denunciarono con intransigenza e con successo le numerose e rilevanti
componenti filosofiche o comunque prescientifiche del funzionalismo, quali lo studio della
«volontà» o la disquisizione puramente astratta sui processi cognitivi superiori. Il bersaglio era facile,
scoperto, perché i funzionalisti non avevano mai fatto mistero dei loro convincimenti: i Principii di
James si erano posti intenzionalmente come «teoria della conoscenza» anziché come «teoria specificamente
psicologica», la Psychology di Dewey aveva dato molto spazio alle antiche tematiche di
origine filolofica, e soprattutto Angell non aveva perso un'occasione per «tranquillizzare» - parola
che è egli stesso ad usare - coloro i quali temevano che egli avrebbe rotto i rapporti con la
filosofia di sempre, affermando per esempio che filosofia e psicologia sono consanguinee, che la
ricerca psicologica è intrinsecamente legata alle istanze normative della logica e dell'etica, e che gli
psicologi non possono esimersi dall affrontare il classico problema filosofia) del rapporto mentecorpo.
Tuttavia, alcune componenti prettamente psicologiche del funzionalismo sfuggirono tanto
all'assimilazione quanto alla liquidazione comportamentistica, e si inserirono nel panorama complessivo
della psicologia, dagli anni '20 fino ad oggi. Il concetto di «funzione», in particolare, risultò
compatibile o addirittura necessario ad alcuni nuovi e importanti orientamenti non comportamentistici,
in quanto globalistico, esso si armonizzava con il crescente interesse per i processi
cognitivi superiori - dal gestaltismo alla psicologia cognitivista del problem solving - intesi in senso
diametralmente opposto al riduttivismo elementistico titcheneriano; in quanto relativo non già a
una entità psichica pura, a una «mente isolata dal corpo», bensì a una inscindibile unità psicofisica,
esso giustificava il successivo sviluppo della psicofisiologia; in quanto relativo non già alla sola
coscienza, bensì alla totalità dei processi mentali, esso non si contrapponeva alla nozione di «attività
mentale inconscia» introdotta dai sistemi psicoanalitici. Più in generale, l'orientamento biologizzante
del funzionalismo ha lasciato il segno nella psicologia odierna, la quale, seppur con accentuazioni
diverse, ha fatto proprio il concetto di «adattamento dell'organismo all'ambiente», e comunemente
definisce con il termine «funzioni» i propri oggetti di ricerca (apprendimento, memoria, percezione,
motivazione, intelligenza, ecc.).
Inoltre, alcune tendenze della psicologia contemporanea sono inequivocabilmente
neofunzionalistiche, cioè derivano in modo chiaro e preciso dal funzionalismo classico. In primo
luogo, sul piano dei settori di ricerca. Si pensi a Egon Brunswik con il suo «funzionalismo
probabilistico» fra gli anni '40 e '50 nell'Università della California, o alle ricerche sulla percezione
condotte da studiosi come A. Ames, W.H, Ittelson, H. Cantril; in esse viene sottolineato il ruolo
dell'apprendimento, dell'aspettativa, della motivazione e dei fattori affettivi in generale,
polemizzando con la percettologia fenomenologica dei gestaltisti e riallacciandosi alle concezioni di
Carr. In secondo luogo, sul piano della metodologia della ricerca psicologica: i ricercatori che oggi
denunciano l'artificiosità della situazione di laboratorio, e prediligono l'indagine sul campo o nel
contesto naturale dell'organismo vivente (come gli etologi), si ricollegano all'antica tiepidezza (a
cominciare da James) dei funzionalisti nei confronti della sperimentazione. In terzo luogo, sul piano
delle «applicazioni» psicologiche (anche se i neofunzionalisti non userebbero questo termine, perché
secondo loro, proprio come secondo i funzionalisti classici, non esiste distinzione fra psicologia
«pura» e psicologia «applicala»): in campo psicopedagogico, i ricercatori che si sono dedicati allo
studio dell'apprendimento verbale (A.W. Melton, J.A. Geoch, A.L. Irion, J, Deese, e altri) hanno
continuato il lavoro dei primi funzionalisti, i quali, al contrario dei comportamentisti, si
interessavano assai più dell'apprendimento umano che non di quello animale.
Infine, l'ispirazione funzionalistica rivive oggi - in una versione assai più articolata, documentata e
specifica nella «psicologia evoluzionistica».
Il funzionalismo è stato il primo orientamento psicologico importato dall'America in Europa (si
pensi all'opera del ginevrino Claparède, di cui fu allievo Piaget, anch'egli conoscitore ed estimatore
dì W. James). Più dello strutturalismo, esso ha avuto una precisa influenza anche nella non ricca
storia della psicologia italiana; filtrato attraverso il suo più ampio contenitore filosofico, il
pragmatismo (che ebbe nei nostri Vailati e Calderoni due esponenti di rilievo internazionale), il
pensiero funzionalistico fin dai primi anni del secolo venne conosciuto e apprezzato dagli psicologi
italiani, soprattutto dopo la traduzione e la pubblicazione nel 1901, ad opera di Giulio Cesare
Ferrari, dei Principii di psicologìa di William James».
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