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Freud e la psicoanalisi - Definizione e campo della psicoanalisi

psicologia



Freud e la psicoanalisi

1. Definizione e campo della psicoanalisi

Il termine «psicoanalisi» compare per la prima volta nel 1896 in uno scritto di S. Freud

(L'ereditarietà e l'etiologia della nevrosi) e si sostituisce a una serie di altri termini - come «analisi

psichica», «analisi ipnotica» o, più semplicemente, «analisi» - impiegati precedentemente dallo

stesso Freud per designare un insieme di accorgimenti osservativi e terapeutici rivolti alla

conoscenza e al trattamento di determinati disturbi psichici.

Sulla base dell'osservazione dedicata ai fenomeni psicopatologici (isteria, nevrosi



ossessiva, fobie, ecc.) la psicoanalisi freudiana andò progressivamente saldando, nel tentativo di

costruire un modello teorico-esplicativo unitario, i fenomeni relativi ai quadri psicopatologici con

quelli riconducibili ai processi psichici normali, estendendo, nel contempo il proprio interesse a

diversi campi del sapere umano, quali la creazione artistica, la linguistica, l'antropologia, ecc.

Alla luce di queste considerazioni la psicoanalisi può essere intesa come:

a) un metodo rivolto, all'indagine, delle modalità in cui si svolgono, e si mani 838g64i festano i

processi psichici e basato sull'assunto che la nostra vita psichica in ogni sua manifestazione sia

prevalentemente interessata e caratterizzata da processi inconsci, non altrimenti affrontabili;

b) una tecnica terapeutica, che assumendo come quadro di riferimento l'impostazione del

punto a), intende analizzare il tipo di difese e le resistenze che il soggetto instaura nei confronti

dei propri desideri, pensieri e tendenze inconsci che sono alla base dei suoi disturbi;

c) un'impostazione teorica in cui confluiscono i risultati delle osservazioni sistematiche

compiute in sede psicoterapeutica e quelli derivati dall'impiego del metodo psicoanalitico in altri

campi (arte, religione, antropologia, linguistica, ecc).

È chiaro che l'aspetto teorico della psicoanalisi, nelle sue diverse angolazioni, è

strettamente connesso con l'osservazione empirica e quindi con i problemi inerenti alla tecnica

impiegata nei trattamenti psicoanalitici. In via generale, cioè, non è possibile disgiungere i due

momenti intendendoli come indifferenti l'uno all'altro. Secondo la psicoanalisi l'accadere psichico

è soggetto alle leggi dell'inconscio e quest'ultimo non va più considerato come una cieca forza

biologica e istintuale, bensì come un mondo dotato di senso, che si manifesta secondo una

determinata logica e che traspare, all'osservazione diretta e alla percezione cosciente, mediante un

insieme di fenomeni che si esprimono in codice e che richiedono quindi una chiave interpretativa.

L'aspetto propriamente inconscio e le sue innumerevoli modalità espressive vengono perciò

inferiti da ciò che è direttamente osservabile e cioè: intendibile nella verbalizzazione del soggetto,

osservabile nei suoi atti, nelle sue manifestazioni mimiche, ecc.

Questo capitolo è di Enzo Funari, Freud e la psicoanalisi, in Legrenzi P. (1980) Storia della psicologia, Il

Mulino, Bologna.


Quindi l'analista che intraprende e conduce un trattamento ha presente sullo sfondo

questo quadro generale in cui si inscrive la psicoanalisi. In particolare S. Freud, ha individuato, sin

dall'inizio, l'importanza che riveste anche nella vita adulta il mondo fantasmatico, rappresentativo

e simbolico che si anima sin dalla primissima infanzia: la teoria della sessualita infantile e il modo

in cui le prime relazioni oggettuali si innestano sui bisogni, le richieste e i desideri dell'individuo, a

partire dalla situazione neonatale, viene collegato al processo di rimozione, meccanismo difensivo

inconscio che allontana dalla coscienza o rende inaccessibili alla stessa pensieri, fantasie, desideri

ritenuti spiacevoli e pericolosi.

Ciò che interessa è un quadro - scrive Freud in Konstruktionen in der Analyse attendibile e

completo in tutti i suoi elementi essenziali degli anni dimenticati nella vita del paziente [ ... ]. Tutti

sappiamo che l'analizzato deve essere portato a ricordare qualcosa che egli stesso ha vissuto e

rimosso; ebbene, le condizioni dinamiche di questo processo sono talmente interessanti che in

compenso l'altra parte del lavoro, la prestazione dell'analista, è sospinta nel fondo. L'analista nulla

ha vissuto e nulla ha rimosso di ciò che è oggetto del nostro interesse [ ... ] e allora, qual è il suo

compito? L'analista deve scoprire o per essere più esatti costruire il materiale dimenticato dalle

tracce che quest'ultimo ha lasciato dietro di sé [Freud 1937].

Questo andamento del processo dell'analisi rivela anche un interesse tecnico

fondamentale: il terapeuta nulla può dare di suo; è il soggetto in analisi che, gradualmente, nel

rapporto che ha instaurato con l'analista, si riappropria delle parti e degli elementi dimenticati e

che pur tuttavia sono attivi e agiscono in lui. Questa riappropriazione graduale di un senso è

accompagnata nel soggetto dall'acquisizione di un dato paradossale: e che cioè egli è l'unico

depositario di una conoscenza che non sapeva di possedere. In altri termini, l'analista ha la

funzione di aiutare il soggetto in analisi a disvelare la natura dei processi e degli elementi che sono

in lui presenti, utilizzando il materiale fornito dallo stesso analizzando.

Il lavoro di costruzione [dell'analista] - prosegue Freud - o se si preferisce di ricostruzione, rivela

un'ampia concordanza con quello dell'archeologo che dissotterra una città distrutta e sepolta o un

antico edificio. I due lavori sarebbero in verità identici se non fosse che l'analista opera in

condizioni migliori, dispone di un materiale ausiliario più cospicuo sia perché si occupa di

qualcosa che è ancora in vita e non di un oggetto distrutto sia, forse, per un altro motivo ancora.

Ma proprio come l'archeologo ricostruisce i muri dell'edificio dai ruderi che si sono conservati,

determina il numero e la posizione delle colonne dalla cavità del terreno e ristabilisce le

decorazioni e i dipinti murali di un tempio dai resti trovati tra le rovine, così procede l'analista

quando trae le sue conclusioni dai frammenti di ricordi, dalle associazioni e dalle altre

manifestazioni dell'analizzato [ibidem

Nella situazione analitica, il paziente o analizzando, tende a trasferire sull'analista tutti

quegli stati emotivi, quegli affetti positivi e negativi che ha vissuto nella propria infanzia e che

ancora sono attivi nella vita adulta condizionando anche in gran parte il comportamento del

soggetto nelle relazioni che egli intrattiene nella sua vita quotidiana con gli altri. Questo

fenomeno che costituisce una delle scoperte base di Freud è il cosiddetto transfert o translazione

e consiste appunto nel ripetersi e nel riattivarsi di antiche situazioni affettive ed emotive infantili,

cariche di significati e di valori per il soggetto, che trovano nella relazione analitica il terreno

ideale per esprimersi. È appunto attraverso l'analisi della situazione transferale che, non solo si

può recuperare ciò che è stato dimenticato, dall'interessato, ma si può altresì procedere alla

liquidazione di quei sintomi (idee fisse, ansie, fobie per determinati oggetti o situazioni, ecc.) che

avevano la funzione di rappresentare, sostituire altri elementi non accettabili dalla coscienza e

quindi rimossi. Ciò che è accaduto sotto rimozione e ciò che viene significato dall'inconscio non


è, di norma, aggredibile in modo diretto: le resistenze che il soggetto inconsciamente attiva sono

indici di meccanismi di difesa di natura diversa.

E sono allora - come dice Freud - i frammenti di ricordi, le idee che emergono nel

soggetto senza un legame apparentemente logico, i sogni, determinate azioni involontarie ma

inconsciamente intenzionali, che costituiscono altrettante vie da esplorare e che fanno trapelare i

significati e i conflitti ad essi sottesi. L'analogia tra psicoanalisi e archeologia adottata da Freud

consente la visualizzazione di un apparato psichico - come veniva allora definito - caratterizzato

da una dinamica che pone in contraddizione affetti, pensieri e tendenze e che, in definitiva, indica

come la nostra psiche non vada intesa come una realtà unitaria, bensì come un insieme di

processi diversi e molto complessi. Ma l'analogia regge fino ad un certo punto, difatti:

Abbiamo detto che l'analista - precisa Freud - lavora in condizioni più favorevoli

[dell'archeologo] perché dispone altresì di un tipo di materiale che non ha corrispettivo negli

scavi archeologici; tale è, ad esempio, il ripetersi di reazioni che traggono da epoche remote e

tutto ciò che in merito a queste ripetizioni si evidenzia mediante la translazione. Inoltre c'è

comunque da tenere presente che chi effettua uno scavo ha a che fare con oggetti distrutti di cui

senza alcun dubbio pezzi grandi e importanti sono andati perduti a causa di forze meccaniche,

incendi o saccheggi [...]. La faccenda è diversa se si ha a che fare con l'oggetto psichico di cui

l'analista vuol fare emergere la storia passata. Qui si verifica invariabilmente ciò che per l'oggetto

archeologico è accaduto solo in circostanze eccezionali e fortunate [...]. Tutto l'essenziale si è

preservato, persino ciò che sembra completamente dimenticato è ancora presente in qualche

modo o in qualche parte, solo che è sepolto, reso indisponibile all'individuo [ibidem

Vanno qui fatte alcune considerazioni: esiste una indistruttibilità di ciò che appartiene alla

sfera inconscia, soprattutto se determinati elementi non hanno mai avuto la possibilità di entrare

nella sfera della coscienza e di venire così modificati, attenuati o liquidati; c'è la presenza attiva

degli stessi elementi in questione che possono infiltrarsi nel mondo della coscienza senza che

questa - per così dire - se ne accorga, influenzandola nelle più svariate maniere. Ciò che

appartiene al passato è presente nascostamente, ciò che - per seguire il modello della

stratificazione - appartiene ad uno strato inferiore (ad esempio, un elemento associato ad un

periodo della prima infanzia) può servirsi di elementi più recenti, collegati alla nostra esperienza

psichica successiva, per riformulare le proprie richieste. Così - per terminare con l'analogia

archeologica - anche l'analista deve stabilire, insieme all'analizzando, l'epoca a cui risalgono

determinati ricordi, con tutta la loro, tinta emotiva, così come talvolta resta da decidere se quel

determinato elemento «appartenga a quello strato o se sia giunto a quella profondità a causa di un

perturbamento avvenuto in seguito». Si ha così la possibilita di concettualizzare la realtà psichica e

di operare su di essa in una duplice prospettiva: in senso diacronico, tenendo cioè presente

l'evolversi della realtà psichica stessa del soggetto nel tempo, con i suoi richiami al mondo

dell'infanzia ancora presente nei pensieri e negli affetti dell'adulto; in senso sincronico, per cui la

realtà psichica si manifesta in modo tale da tenere compresenti i vari strati su cui è costruita ed in

cui ogni processo ed ogni evento che si produce e si modifica comporta una generale

modificazione del campo dello psichismo e del senso presente in esso.

Vedremo in seguito come questo secondo aspetto sia più ricco di implicazioni. I punti

che si sono sin qui stabiliti possono essere individuati come segue. La psicoanalisi è sia una

tecnica esplorativa, con scopi terapeutici, sia un modello interpretativo e teorico della vita

psichica umana. Essa si presenta come una psicologia del profondo e si contrappone ad ogni

altro tipo di psicologia che tenda a mantenere l'equivalenza psiche-coscienza. La psicoanalisi

tuttavia, sia sul piano della tecnica operativa sia su quello della teoria, pone l'accento sulla

dialettica, sullo scontro-incontro, che regola il rapporto tra inconscio e coscienza, non eliminando

quindi quest'ultima dalla propria osservazione, ma interpretandola nel rapporto che essa


difensivamente intrattiene con la sfera inconscia. Un altro punto da ribadire è che per la

psicoanalisi l'inconscio è costituito da quell'insieme di significati, di vissuti e di pensieri che il

soggetto porta dentro di sé e che, in ultima analisi, viene a condizionare la sua condotta; nella

concettualizzazione freudiana non viene designato quindi, con il termine inconscio, un mondo

istintuale e biologico bensì un campo di significazione che, pur ponendosi come rappresentante

del mondo dell'istintualità, evidenzia una propria natura simbolica e va affrontato mediante un

modello teorico autonomo rispetto alle scienze naturali e rivolto alla comprensione dei fenomeni

e dei processi psichici.

2. Le origini e il senso della psicoanalisi

Si tratta ora di individuare, per linee essenziali, il clima scientifico e culturale in cui è nata la

psicoanalisi: questo per meglio comprendere il significato della sua origine e della sua natura.

La vicenda - per così dire - la si può far cominciare quando Freud si iscrive alla facolta di

medicina di Vienna nel 1873. Qual era il clima scientifico di quel tempo? Lo stesso Freud entra

nel mondo accademico sulla spinta di un grande interesse per la dottrina di C. Darwin; il pensiero

evoluzionistico darwiniano forniva una spiegazione dell'origine e dell'evoluzione degli esseri

viventi, basata fondamentalmente sulla possibilita adattiva della specie e sugli esiti della lotta per

la sopravvivenza. Il riferimento di tipo «biologico» si voleva contrapporre ad ogni posizione

d'ordine speculativo-metafisico e ad ogni spiegazione non derivata dall'osservazione basata su

metodi di ricerca appartenenti alle scienze naturali. Il metodo darwiniano sembrava quindi offrire

agli studiosi un rigore scientifico al passo con le esigenze dei tempi. D'altra parte il messaggio,

dello stesso Darwin a Vienna, come del resto nell'Europa centrale, si innestava su altre correnti

che, per diverse vie, perseguivano obiettivi analoghi. Freud stesso, appena entrato all'universita,

seguì volontariamente due corsi non previsti dal suo piano di studi, a testimonianza del tipo di

interessi allora correnti: quello di Claus, zoologo e studioso di anatomia comparata, e quello di

Brücke, fisiologo. Claus si richiamava, appunto, alla dottrina darwiniana: il suo intento era quello

di confermare, mediante l'osservazione sistematica, l'ipotesi della continuità esistente tra le varie

specie animali, continuità governata dai processi di selezione naturale.

Brücke rappresentava a Vienna uno dei riferimenti più solidi del pensiero scientifico di quei

tempi: la Scuola fisica di Berlino. Lo stesso Brücke aveva fatto parte a Berlino di un gruppo di ricercatori

- tutti allievi del fisiologo J. Müller - noto per aver rivoluzionato, intorno agli anni '30, il



modo di impostare la ricerca in campo fisico e fisiologico sia sul piano della sperimentazione sia

sul piano della teoria.

Il gruppo di Berlino si era venuto progressivamente contrapponendo alla concezione allora

corrente che alla base dei fenomeni vitali (biologici), sia a livello di genesi sia di evoluzione, agisse

una forza vitale non meglio identificata ma solamente ipotizzata, la quale presiedeva sia alla

costituzione sia allo sviluppo degli organismi. Questa idea - contestata dal gruppo di Berlino

come concezione metafisica - non aveva naturalmente impedito che tra gli stessi sostenitori della

forza vitale si trovassero grossi ricercatori anche sul piano sperimentale come il medico Bichat in

Francia, il chimico Liebig e lo stesso fisiologo J. Müller, maestro dei componenti il gruppo di

contestazione. La Scuola fisica di Berlino, le cui figure principali erano - oltre a quella di Brücke -

Helmholtz, Du Bois-Reymond e Ludwig, tutti eminenti studiosi di fisica e fisiologia, si proponeva

quindi di abolire ogni residuo di pensiero non scientifico e di richiamarsi a una disciplina base,

l'unica che potesse garantire un rigore sul piano dell'osservazione sperimentale e dell'elaborazione

teorica: la fisica.

Il linguaggio della fisica veniva perciò posto come il linguaggio base per la spiegazione di tutti

i fenomeni - compresi quelli biologici, fisiologici e anche psichici. La fisiologia-fisica - come

veniva allora chiamata - nella sua lotta contro la fisica speculativa (vedi vitalismo e le posizioni


che si rifacevano alla filosofia della natura) giunse a comprendere in una visione che si richiamava

all'unità della scienza il comportamento umano nell'ambito dei fenomeni fisici.

L'uomo - cosi si può riassumere questo aspetto dell'elaborazione teorica dei berlinesi - è

come una macchina, funziona cioè secondo processi governati da forze fisiche che si

contrappongono si uniscono e si bilanciano. Gli stessi fenomeni psichici devono essere spiegati

quindi secondo questo modulo teorico. L'unica differenza tra le macchine e l'essere vivente è

determinata dal fatto che quest'ultimo è dotato di assimilazione. Naturalmente non tutti i

ricercatori della Scuola erano riconducibili o riducibili a questa impostazione radicale che - per

certi aspetti - può essere intesa come un richiamo alle posizioni materialistiche settecentesche; si

possono tuttavia riconoscere in essa i tratti fondamentali e più generali degli esiti a cui giunse la

contrapposizione alla teoria della forza vitale. Il termine «energia» (Energie) si andò sostituendo

progressivamente a quello di forza (Kraft): il concetto di energia più si adattava, per altro, alle

esigenze della mentalità sperimentale: controllo, ripetibilità del fenomeno, misurazione, ecc.

Come si vede, le prospettive avanzate dalla Scuola di Berlino facevano riferimento a una

impostazione razionalistica, basata sulla ricerca empirica e sulla osservazione sistematica e

sfociante, almeno in alcuni suoi rappresentanti, in posizioni radicali di tipo naturalistico e

meccanicistico (nel senso sopra esposto). Tutto ciò Brücke portò a Vienna quando ottenne la

cattedra di fisiologia presso l'università.

Si può inoltre notare come, per certi aspetti, le idee avanzate dai ricercatori berlinesi si

accostassero alle indicazioni ricavabili dalla concezione darwiniana, pur presentando quest'ultima

un campo teorico e un'articolazione di tipo diverso. Freud percorse il suo itinerario di studente

facendo riferimento a questo tipo di impostazioni; gli si prospettava, inizialmente, un futuro di

fisiologo e di neurologo, ma le cose non andarono in seguito così.

Dobbiamo qui tralasciare gli aspetti relativi ai motivi d'ordine strettamente personale che

spinsero Freud a modificare il proprio, itinerario successivo: troppo spazio sarebbe necessario per

fornire un quadro esauriente relativo a questo livello di problemi. Ci atterremo invece a quelle

direttive più generali, rintracciabili nel movimento scientifico e culturale di quel tempo, che

hanno avuto una decisiva influenza nello spingere Freud a rinunciare all'impostazione

meccanicistica e naturalistica dei suoi maestri.

Occorre anticipare che, negli anni immediatamente successivi alla sua laurea, Freud si era

andato convincendo che la pura fisiologia non era sufficiente a spiegare una serie di fenomeni

psicologici - normali e patologici - che sembravano sfuggire all'osservazione impostata secondo i

moduli assimilati, ad esempio, da Brücke. La decisione da parte di Freud di abbandonare la via fisiologica

non fu né subitanea né priva di conflitti personali.

Questo cambiamento progressivo, ma inesorabile, va ascritto a una serie di componenti

diverse - come si è detto - e assai complesse. Anzitutto, durante gli anni da studente e quelli successivi

da neo-laureato Freud aveva frequentato, oltre alle lezioni di Brücke, anche lo psichiatra T.

Meynert. Mentre Brücke si era sempre occupato del sistema nervoso periferico, Meynert svolgeva

le proprie ricerche sul sistema nervoso centrale, ed era già allora conosciuto come uno dei più

eminenti conoscitori della struttura e delle funzioni cerebrali. Ma T. Meynert presentava anche

un'altra particolarità: pur aderendo, ai dettami della fisiologia fisica, inseriva nel proprio modello

teorico, relativo alle spiegazioni dei fenomeni psico-fisiologici, le idee del filosofo J.F. Herbart.

Al contrario della Scuola di Berlino, J.F. Herbart sosteneva (principalmente nel suo scritto del

, Psychologie als Wissenschaft) la preminenza della psicologia sulla fisiologia, proponendo, per

la prima volta, un complesso modello di studio psicologico che faceva uso della quantificazione e

della misurazione degli eventi psichici.

Non solo, ma nella psicologia herbartiana riveste una grande importanza il concetto di

inconscio, e più precisamente di idee inconsce. La nostra vita psichica - secondo Herbart - è

costituita in minima parte da idee coscienti; al di sotto della soglia della coscienza rimangono


attive innumerevoli altre idee, pronte a precipitarsi nella sfera della coscienza, ogniqualvolta

particolari circostanze facilitino questo processo. Questo motivo viene parzialmente ripreso da

Meynert, il quale, accanto a studi e ricerche più particolari sulla struttura e sulla funzione del

cervello, si occupò di problemi più generali di sistemazione teorica relativamente ai processi

psichici. Nel suo libro Psychiatrie (1885) è rintracciabile infatti il tentativo di comporre le

concezioni della Scuola di Berlino con la posizione di Herbart.

Occorre anche tener presente che la psicologia di Herbart circolava, come posizione ufficiale,

anche nelle scuole secondade, e probabilmente Freud ebbe modo di conoscerla ed apprezzarla

prima del suo ingresso in universita.

Due elementi sono quindi traibili dalla lezione di Herbart e contrapponibili alla Scuola di

Berlino: la preminenza della psicologia sulla fisiologia; l'importanza dei meccanismi inconsci nella

determinazione dei processi psichici. Due elementi che tanta importanza avranno nella successiva

elaborazione della teoria psicoanalitica.

Si deve inoltre considerate che a Vienna negli anni '80 la posizione dei fisiologi veniva

contrastata dal fenomenologo Brentano, le cui lezioni all'università erano state seguite da Freud

per due semestri. Anche Brentano, pur con una impostazione molto diversa da quella di Herbart,

sosteneva il primato della psicologia, studiando in particolare i diversi modi di manifestarsi dei

fenomeni psichici, da quelli cognitivi (pensiero, percezione, memoria) a quelli affettivi

(sentimenti, emozioni, ecc.).

Si può quindi dire che già nel Freud seguace del materialismo meccanicistico di Brücke,

fossero compresenti - covassero per così dire - spinte non ortodosse che esperienze personali, ma

soprattutto eventi di più vasta portata, dovevano successivamente fare esplodere.

Infatti come la spinta all'innovazione della scienza fu determinata dalla fisica e dalla biologia a

partire dai primi decenni dell'Ottocento, cosi, verso la fine del secolo scorso, la crisi delle scienze

naturali diede l'avvio a un generale ripensamento relativamente a quelli che erano ritenuti i punti

saldi fino ad allora stabiliti. I modelli naturalistici che assegnavano regole immutabili alla base

dello stabilirsi dei fenomeni di ogni ordine e grado non erano più ritenuti sufficienti. In questo

clima di revisione, la fisiologia e la neurofisiologia incominciavano ad apparire, per alcuni

scienziati e ricercatori, insufficienti anche a spiegare i fenomeni psichici.

A Vienna, uno dei centri dove più si era consolidato il pensiero naturalistico, il gruppo

accademico sembrò ignorare per parecchio tempo gli scossoni che subivano gli ottimismi

suscitati dalle scienze naturali.

Freud, che, come si è visto, aveva per qualche tempo aderito al pensiero fisicalistico, fu uno di

quelli che cominciarono a dubitare delle certezze impiantate sulla riduzione della spiegazione di

tutti i fenomeni, in ultima istanza, al discorso fisico. Lo studio dei processi psicopatologici, in

particolare l'isteria - in cui si manifestavano disturbi anche a livello organico senza che fosse

rintracciabile alcuna alterazione a livello dei tessuti e degli organi corporei - cominciò a

indirizzare l'attenzione dello stesso Freud verso la possibilità di formulare un modello di

spiegazione diverso da quello dei suoi maestri e della tradizione berlinese e viennese.

Ora, ogni crisi del pensiero razionale e scientifico, genera spinte e fughe di tipo

irrazionalistico: «Quando la ragione dorme - si legge su un quadro di Goya - si svegliano i

mostri». Le scelte di Freud non si indirizzarono mai in questo senso. Il problema era quello di

trovare il modo di sostituire un impianto non più ritenuto idoneo con un nuovo tipo di approccio

centrato sullo studio del mondo psichico: si imponeva una nuova strategia sia d'ordine

epistemologico - basata quindi su assunti di base diversi - sia di ordine metodologico, articolata

con strumenti e modalità operative nuovi. Si trattava perciò di non abbandonare un'impostazione

di tipo razionale - frutto di secoli di riflessione e di ricerca - senza peraltro accogliere in modo

acritico e passivo una formulazione accademica che era andata via via perdendo di senso. L'area

in cui cominciò a muoversi il primo Freud, fu quindi in particolare un'accettazione delle


indicazioni ricavabili dalle scoperte scientifiche precedenti e del relativo richiamo al rigore

nell'osservazione e nei modelli di spiegazione; accettazione combinata con la trasposizione di tale

rigore nello studio dei fenomeni psichici.

Così l'insieme dei processi psicopatologici (isteria, nevrosi ossessive, fobie, psicosi, ecc.)

divenne un terreno strategico, sia sul piano della riflessione teorica che della pratica clinica, per

comprendere la fondamentale continuità esistente tra gli stessi fenomeni patologici e il cosiddetto

comportamento «normale». A prima vista può apparire paradossale come l'atteggiamento

scientifico e razionale di Freud stabilisse la propria identità sulla ferma convinzione che ogni

comportamento, ogni espressione della vita psichica fossero determinati da pia processi e da più

elementi appartenenti a una dimensione inconscia.

Tale impressione può essere tuttavia annullata se si pensa come il pensiero scientifico

prefreudiano, nel suo complesso, mentre prestava una grande attenzione ai fenomeni osservabili

della fisica, della biologia, ecc., richiamandosi continuamente all'esigenza di rigore, tendeva a

ignorare la possibilità di studiare in modo sistematico i processi psichici, e relegava una serie di

tali fenomeni nell'ambito delle stranezze, delle cose di poco conto ascrivibili al mondo della

casualità.

D'altro canto la crisi del pensiero tradizionale provocherà soluzioni diverse sul piano

dell'impostazione teorica: Freud ipotizza una dimensione inconscia, non più intesa come un

insieme di cieche forze, bensì come un mondo caratterizzato da un senso che rimane occultato

per la riflessione cosciente, pur influenzandola. Questa soluzione aggirava l'ostacolo della

normatività, secondo la quale si poteva parlare solo di ciò che è direttamente osservabile,

normatività che era sfociata in un vicolo cieco. Il tipo di soluzione freudiana che inferiva la

dimensione inconscia dagli effetti che essa determina sui fenomeni osservabili (sintomo, sogno,

ecc.) - è accostabile peraltro ad altre posizioni successive risposte alle crisi scientifiche del tempo.

In campo biologico: Weismann ipotizzera la linea germinale, a sostegno dei processi di

ereditarietà, rifacendosi al concetto di plasma germinale: e questo proprio dopo che, per una

malattia agli occhi, aveva dovuto abbandonare l'uso del microscopio! Il fisico Bohr anticiperà a

livello teorico il discorso sull'atomo, prefigurando la struttura atomica: le anticipazioni teoriche di

Bohr si riveleranno in seguito estremamente utili per la fisica atomica.

3. L'opera di Freud e il suo sviluppo

Abbiamo visto come il primato della fisiologia sulla psicologia veniva pertanto confermato, da

parte di tutti i ricercatori dell'Università di Vienna. Freud crebbe scientificamente all'interno di

questa Scuola e, durante il primo periodo della sua attività di ricercatore, aderì a questo tipo di

impostazione. Ora la costante osservazione di alcuni disturbi - quali ad esempio i fenomeni

isterici - andò convincendo Freud che alla base di determinate alterazioni funzionali (cecità

temporanee, anestesie parziali, convulsioni, ecc.) non era riscontrabile un'alterazione organica e

quindi si affacciò in Freud l'ipotesi di un'origine ideogena dell'isteria, vale a dire un processo

causale di origine psichica, mentale e non somatica. Il passaggio di Freud da una posizione come

quella dei neurofisiologi viennesi a un tipo di spiegazione che affrontava il problema della

malattia mentale da un punto di vista prettamente psichico, fu facilitato da molteplici fattori. Alla

fine dell'Ottocento si era verificata una crisi diffusa della scienza fisica e di quei modelli scientifici



che si rifacevano al linguaggio fisico: gli accademici viennesi non sembrarono accorgersi

tempestivamente di questo processo secondo il quale le certezze accumulate sulla conoscenza di

particolari fenomeni sembravano dissolversi. Freud nel campo specifico della sua attivita, ebbe il

sentore che la vita psichica non è semplicemente riducibile a una serie di energie biofisiologiche


che la regolano, combinandosi e contrastandosi tra loro, ma che lo psichismo nasconde una

maggiore complessità ordinantesi sulla dimensione affettivo-ideativa che si manifesta in modo

simbolico. Questa convinzione veniva corroborata dalle teorie di Charcot, un medico francese

assai noto in quel tempo, che a Parigi conduceva ricerche nel carnpo dell'ipnosi e, in particolare,

dell'ipnosi applicata alla cura dell'isteria. Freud frequentò nel 1885, le lezioni di Charcot ed ebbe

modo di incrementare la propria convinzione circa le ipotesi che lo avevano reso dubbioso

relativamente al fisiologismo dei suoi maestri viennesi.

Tomato a Vienna nel 1886, mise in pratica ciò che aveva appreso alla scuola di Charcot.

Quest'ultimo riteneva che l'isteria avesse una base psichica (ideogena) e che si originasse in

rapporto a determinati traumi psichici che si tradurrebbero successivamente in manifestazioni

sintomatiche a livello organico. L'ipnosi, e cioè una particolare tecnica suggestiva che pone il

soggetto ipnotizzato in uno stato simile al sonno, permetteva di far scomparire i sintomi isterici,

cosi come consentiva di farli ricomparire una volta assenti. Freud intraprese quindi l'uso

dell'ipnosi per curare i soggetti afflitti da questi particolari disturbi (conversione somatica da

trauma psichico). Ben presto tuttavia si rese conto che un tale metodo incideva semplicemente

sul sintomo, senza interessare minimamente le probabili cause del sintomo stesso, cause peraltro

associate a qualche esperienza traumatica psichica verificatasi nel passato del soggetto. Negli anni

tra il 1886 e il 1894, Freud insieme a J. Breuer, un medico più anziano di lui e assistente presso

l'istituto di fisiologia di Brücke, adottò una variante del metodo ipnotico, consistente sempre nel

mettere in stato ipnotico il soggetto sofferente, ma invitandolo contemporaneamente a ricordare

quelle particolari esperienze dolorose che venivano ipotizzate come la causa dei sintomi nevrotici.

Questo metodo detto «catartico», costituì il primo passo verso la futura tecnica psicoanalitica. In

queste condizioni il soggetto riusciva a far riemergere particolari ricordi penosi e, verbalizzandoli,

riusciva a rivivere determinate esperienze passate con una forte partecipazione emotiva. L'applicazione

del metodo catartico (catarsi = liberazione, scarica emotiva) consentì a Breuer e Freud

di giungere a due risultati molto importanti. Anzitutto alla rilevazione che i sintomi isterici sono i

sostituti di processi psichici normali. Si stabilì pertanto che il sintomo isterico si origina allorché

di fronte a una determinata situazione traumatica non si verifica per ragioni soggettive ed

oggettive una reazione affettiva ed emotiva adeguata e quindi gli effetti psichici di tale trauma,

non venendo liquidati al momento opportuno, rimangono per così dire incapsulati all'interno

dell'apparato psichico: il sintomo isterico quindi è il sostituto di una reazione psichica normale

non verificatasi e nel contempo, una reminiscenza del motivo che l'ha originata. Un altro aspetto

messo in luce dal metodo catartico, e di grande portata sia teorica che operativa, era costituito

dall'emergere di un senso sconosciuto, di un collegamento simbolico e dinamico fra i sintomi e i

ricordi traumatici rimossi i quali, riattivandosi nella coscienza, consentivano la scornparsa o

l'attenuazione dei sintomi stessi.

Ma il metodo catartico, che fu alla base della collaborazione tra Breuer e Freud, sfociata nella

pubblicazione di Studi sull'istetia (1895), doveva ben presto presentare dei punti deboli. I sintomi

scomparivano per un certo periodo, per fare poi la loro ricomparsa una volta che la cura veniva

sospesa e inoltre si verificava una forte dipendenza da parte dei pazienti nei confronti della figura

del terapeuta. Sul piano teorico invece, i due autori si trovarono sempre più in disaccordo. Breuer

riteneva che gli elementi psichici alla base dei sintomi fossero patogeni in quanto originati in una

situazione, definita da Breuer stesso, come «stato ipnoide», uno stato in cui cadrebbe

spontaneamente il soggetto e riducibile ad una predisposizione organica; stato inoltre in cui le

facoltà e le prestazioni psichiche subirebbero, una forte riduzione. Freud invece era sempre più

convinto che gli elementi psichici (rappresentazioni) all'origine dei disturbi, fossero patogeni in

quanto il loro significato e i loro contenuti si contrapponevano alle tendenze dominanti della vita

psichica, alla coscienza, sì da indurre una difesa da parte del soggetto. Non più una spiegazione di

tipo organico quindi, bensi un riferimento ad una dinamica e a significati dello psichismo. Ma un


altro punto venne a dividere i due autori in forma definitiva: Freud accertò che l'incompatibilita

di determinati pensieri, tendenze, desideri, con la vita cosciente dipendeva dal fatto che essi erano

fortemente associati a significati della vita sessuale, e in particolare con vissuti, ricordi e affetti

riconducibili a esperienze originatesi nell'infanzia e ancora presenti nella vita dell'adulto.

Breuer reagì, come reagì del resto in quel periodo la scienza ufficiale, negativamente: rifiutò

sia l'impostazione di metodo di Freud, sia il riferimento alla sessualità infantile e alla teoria

emergente della libido, concettualizzata da Freud come una energia psichica che presiede sia alle

vicende autoerotiche sia ad ogni tipo di relazione oggettuale che il soggetto imposta e intrattiene,

a partire dal suo iniziale rapporto con la figura materna e i suoi sostituti.

Il distacco da Breuer assunse quindi un valore emblematico e il pedodo che va dal 1895 al

vide sempre più acuirsi le difficoltà di Freud nei confronti dell'ambiente scientifico ufficiale

e in particolare medico e psichiatrico. Lo studio dei fenomeni nevrotici aveva condotto Freud

sulla soglia di una nuova soluzione relativa alla spiegazione dei processi psichici. Esiste un mondo

psichico sconosciuto alla dimensione cosciente: esso non solo si manifesta in maniera evidente

nei sintomi della nevrosi, ma è individuabile nella condotta psichica normale attraverso l'analisi

dei sogni, dei lapsus e del motto di spirito. Questi ultimi fenomeni, che sono universali e

appartengono alla normalità, risultano l'effetto - come il sintomo della condotta patologica - di

un compromesso tra tendenze perturbanti, non accettabili dalla coscienza del soggetto, e le forze

rimoventi dell'io, che ne vuole negare l'esistenza.

Negli anni immediatamente precedenti il 1900, Freud formulò la sua celebre concezione

dell'attività onirica: il sogno è l'appagamento allucinatorio di un desiderio infantile. L'analisi dei sogni, con

il metodo delle cosiddette associazioni libere, diventò il cardine dell'interpretazione psicoanalitica.

Nel novembre del 1899 comparve L'interpretazione dei sogni, l'opera più celebre di Freud. In essa

viene impostato il primo modello della psicoanalisi, al quale modello è dedicato, in particolare, il

settimo capitolo del volume; sempre in ques'opera, è presentata la tecnica interpretativa tendente

ad aggirare l'ostacolo, presentato dalle resistenze del soggetto ad accettare, a ricordare ciòche

opera in esso inconsciamente. L'analisi dei sogni, unitamente a tutti quei pensieri, anche

apparentemente sconnessi, che si affacciano alla mente del soggetto, i ricordi formatisi nella vita

passata, costituiscono altrettanti anelli di una lunga catena che consente al soggetto stesso di

riappropriarsi dei significati, dei valori e delle tendenze desideranti che gli appartengono. La

rinuncia a ogni atteggiamento critico da parte del soggetto - pur difficile a mettere in opera -

costituisce la base del metodo delle associazioni libere e consente l'individuazione di quelle

lunghe e complesse serie di nessi la cui graduale scoperta è indispensabile alla comprensione della

vita psichica. Tutto ciò che era stato considerato casuale e insignificante negli atti psichici degli

uomini, diviene quindi per la psicoanalisi oggetto di attento studio. Il sogno era diventato un

prezioso strumento per la conoscenza della vita psichica inconscia.

La forza motrice che presiede alla formazione della scena onirica è costituita da

un'aspirazione inconscia, veicolante desideri e tendenze rimossi durante la veglia, i quali, entrando

in contatto con i resti diurni (i residui di pensieri, propositi, tendenze; agenti durante lo stato di

veglia stessa), pone le condizioni per l'appagamento dei desideri inconsci. Ciò che il soggetto

reputa, inconsapevolmente come vietato a se stesso, porta all'animarsi di questo processo di

appagamento il quale si unisce alla funzione di preservare lo stato di sonno e di soddisfare quindi

anche l'esigenza di dormire. I pensieri onirici latenti che agiscono, per così dire, al di sotto della

scena manifesta (ciò che il dormiente effettivamente vede mentre sogna) vengono trasformati in

una diversa modalità espressiva (appunto in un susseguirsi di immagini e scene spesso strane e

incomprensibili) dal lavoro onirico che presiede alla manipolazione dei pensieri rimossi e dei

significati ad essi connessi. A questo processo di trasformazione concorre anche un'istanza critica

- la censura - che, in forma attenuata continua l'opera di arginamento delle aspirazioni inconsce,

opera svolta, allo stato di veglia, dalla rimozione. La scena onirica quindi nasconde in sé una serie


di significati non direttamente accettati da parte del dormiente. Il materiale onirico inoltre

subisce, sin dal momento in cui si origina, una elaborazione secondaria, la quale ha lo scopo di

rendere il sogno più coerente e comprensibile; l'elaborazione secondaria, inoltre, aumenta la

propria incidenza man mano che ci si avvicina al risveglio ed opera decisamente quando ad

esempio si racconta il sogno.

L'analisi dei sogni, la teoria dinamica della formazione del sogno e il metodo delle

associazioni libere, vanno considerati quindi i capisaldi della tecnica interpretativa psicoanalitica.

Essi si saldano alla teoria della sessualità infantile [Freud 1905] la quale, congiuntamente alla

scoperta della dinamica della translazione [Freud 1912] e della sua funzione nel trattamento

psicoanalitico, forma alcuni dei temi centrali della dottrina freudiana.

Si era precedentemente accennato allo studio rivolto da Freud [1901] ad altri fenomeni - oltre

che al sogno - della vita psichica: i cosiddetti atti mancanti e le azioni casuali.

Scrive Freud in una breve presentazione della sua dottrina:

Fu un trionfo per l'arte interpretativa della psicoanalisi quando riuscì a dimostrare che certi

frequenti atti psichici dell'uomo normale, per i quali sino allora non si era presa in considerazione

una spiegazione psicologica, sono da intendere allo stesso modo dei sintomi nevrotici, ovvero

hanno un significato ignoto al soggetto ma facilmente rintracciabile mediante l'analisi. I fenomeni

in questione, la dimenticanza temporanea di parole e nomi, per altro ben noti, le dimenticanze di

propositi, i frequenti lapsus verbali di lettura e di scrittura, la perdita e lo smarrimento di oggettti,

alcuni tipi di errori, atti di auto-lesione apparentemente accidentali, e infine movimenti che si

eseguono d'abitudine, senza intenzione e come giocando, melodie che si canticchiano

«soprappensiero» e altro ancora, tutto ciò fu sottratto alla spiegazione fisiologica, se mai questa

era stata tentata, e dichiarato rigorosamente determinato, nonché riconosciuto come espressione

di intenzioni rimosse della persona e come conseguenza dell'interferire di due intenzioni, una

delle quali precedentemente e permanentemente inconscia [Freud 1922].

Il campo dell'osservazione psicoanalitica si allarga così enormemente, venendo ad abbracciare

tutti gli accadimenti della vita psichica e del comportamento, in una concezione unitaria che, nel

contempo, tendeva a colmare la distanza - sostenuta dal pensiero psichiatrico tradizionale - tra

mondo psichico normale e patologico.

Secondo tale concezione, inoltre, ogni atto, manifestazione, siano essi «normali» o

«patologici», sono il risultato del confluire di più fattori che, unificandosi, danno luogo al

fenomeno insorgente. La psicoanalisi pertanto non fa ricorso ad una teoria strettamente

deterministica, bensì rivendica, nel manifestarsi di un fenomeno, il concorso di più cause e di più

fattori che vanno stabiliti contestualmente, di volta in volta; inoltre i processi che sottendono

l'insorgere dei fenomeni sono dotati di senso, si esprimono, per così dire, come un linguaggio che

va decifrato.

La vicenda culturale e scientifica, iniziata con l'apparizione dell'Interpretazione dei sogni ha avuto

un decorso ricco di implicazioni teoriche e operative.

Sono molteplici gli argomenti presenti nell'opera freudiana e in quella del movimento

psicoanalitico nella sua generalità, tali cioè da non consentire qui un'adeguata e soddisfacente

trattazione. Soltanto in Freud - che rimane ancor oggi il punto di riferimento più valido del

pensiero psicoanalitico - sono diversi i punti degni di trattazione. Il complesso edipico e la sua

incidenza nella vita infantile e adulta, la teoria delle pulsioni libidiche e distruttive, le due successive

concettualizzazioni dello psichismo (Conscio - Preconscio - Inconscio/Es - Io - Super-io), il tema

del narcisismo, il confronto tra principio del piacere e principio della realtà, l'estensione dell'indagine

psicoanalitica alla creazione artistica, alla religione, alle scienze sociali, ecc., sono altrettanti




momenti significativi del pensiero freudiano, ripresi peraltro in innumerevoli lavori di altri

studiosi ed operatori della psicoanalisi.

Nel decennio che va dall'inizio del secolo al 1910, la dottrina psicoanalitica uscì

dall'isolamento e cominciò a suscitare un forte interesse che si concretizzò nel costituirsi di un

primo gruppo di psicoanalisti che fondarono la Società Psicoanalitica di Vienna. Nel 1908 si

tenne a Salisburgo il primo Congresso Intemazionale di Psicoanalisi e questo segnò l'uscita dai

confini fino allora limitati della nuova teoria di Freud. Nel 1910 venne fondata, al secondo

Congresso Internazionale di Psicoanalisi di Norimberga, l'Associazione Psicoanalitica

Internazionale.

Nel movimento psicoanalitico si sono verificate successivamente alcune scissioni: sono note

quelle di C. G. Jung e di A. Adler, che fondarono rispettivamente due movimenti assai diversi per

impostazione teorica e per soluzioni tecniche. Inoltre, nell'arco di settant'anni, a partire dalla

comparsa dell'Interpretazione dei sogni sono emersi, all'interno della psicoanalisi che si richiama a

Freud, alcuni indirizzi con propri tratti caratteristici: si possono qui ricordare la cosiddetta «scuola

kleiniana» (dal nome della psicoanalista di origine ungherese Melanie Klein), la corrente che si rifà

a W. Reich e la più recente École freudienne de Paris, fondata dallo psicoanalista francese J.

Lacan. Non è compito di questo scritto entrare nel merito del significato e della portata di tali

fenomeni di revisioni e di cambiamento; per questo si rimanda alle opere dei singoli autori, in

particolare Klein [1957; 1978] e Lacan [1970].

4. Il messaggio psicoanalitico

Al di là degli aspetti che sono andati via via arricchendo il sapere psicoanalitico, rendendolo

sempre più complesso e problematico, occorre stabilire qual è il significato fondamentale presente

nella dottrina freudiana e, in questo senso, il richiamo a Freud va visto come un espediente

metodologico volto a definire l'asse portante del messaggio scientifico e culturale della

psicoanalisi.

La costruzione di un metodo esplorativo e di una teoria che mettessero in rilievo l'incidenza,

in ogni forma di atto psichico e di condotta, di una dimensione inconscia, ebbe luogo nel momento

in cui si riproponevano - e non per la prima volta nella storia del pensiero - due tipi di

soluzione contrapposti. Da un lato una scienza ufficiale in crisi, che si rivolgeva sempre di più a

una concezione naturalistica dell'uomo, ripetendo moduli esplicativi di tipo riduttivo; dall'altro,

proprio in contrapposizione e in relazione a questa crisi, l'emergere di soluzioni e di teorie di tipo

metafisico o spiritualistico, come puntuale reazione ad un'opprimente insistenza di concezioni

naturalistiche svuotate da ogni fermento creativo ed innovativo. Freud individuò la possibilità di

rifiutare la soluzione spiritualistica e nel contempo di superare la crisi della ragione, mettendo in

luce la connessione dialettica esistente tra ciò che apparentemente non è logico (il mondo della

significazione inconscia) e il mondo della coscienza e della ragione. Veniva così ribaltato il cogito

cartesiano: la ragione, per essere veramente tale, doveva cessare di negare l'esistenza al proprio

interno di un insieme di fenomeni, di tendenze, di significati che fino allora non avevano avuto

diritto di cittadinanza. L'inconscio freudiano - fin dalla sua prima concettualizzazione - si palesò

come una dimensione dotata di una sottile logica e di senso. La psicoanalisi quindi trovò

difficoltà di accoglimento sia da parte delle tendenze irrazionalistiche sia da parte del pensiero

razionale di tipo tradizionale.

Se si riconduce peraltro questo discorso generale al piano riguardante la cura psicoanalitica si

rintraccia una perfetta coincidenza dei due livelli, quello teorico e quello operativo. Nello stato

ipnotico e in qualsiasi situazione di suggestione, usati come tecniche terapeutiche, il soggetto

diviene passivo ricettacolo di processi ai quali non partecipa coscientemente oppure non è nel

pieno delle sue facolta critiche; d'altro canto in una psicoterapia condotta allo stato di veglia, dove


il terapeuta consiglia, interviene criticamente, esprime giudizi, ecc., e dove le condizioni generali

della situazione non offrono la possibilità al soggetto di prendere contatto con stati profondi della

propria psiche, necessariamente tende a prevalere l'aspetto indiscriminatamente critico e

difensivo. Nella situazione analitica invece il soggetto, da sveglio - e quindi in possesso di tutte le

armi critiche e di controllo - si pone nella condizione di far emergere (attraverso le associazioni

libere, il racconto dei propri sogni, le sensazioni che prova e che comunica nel momento in cui si

svolge la terapia, ecc.) una serie di elementi di fronte ai quali mette continuamente in atto i propri

meccanismi difensivi e le resistenze che li accompagnano. Nella situazione di translazione

affettiva, che è al servizio della resistenza e che consente il riattivarsi di ciò che è stato rimosso o

comunque disturba il soggetto, l'analizzando partecipa attivamente ai conflitti che si scatenano tra

l'apparato difensivo e i significati che tendono a emergere nella comunicazione. Non si trova cioè

né nel discorso del delirio non codificabile, né nella sfera della coscienza critica che tutto vuol

controllare e negare; è in una zona, per così dire, intermedia, dove conscio e inconscio si

affrontano per dirimere ciascuno i propri diritti.

La psicoanalisi, lo si è detto già, è una psicologia del profondo ma, occorre aggiungere, nella

misura in cui serve a far sì che L'Io del soggetto si riappropri, almeno in parte, di ciò che è stato

rimosso e che gli appartiene, e comprenda (nel senso di «prendere con sé», di «accogliere») ciò

che lo determina inconsapevolmente. La parte critica del conscio, che a sua volta si avvale di

difese inconsce, deve dar luogo all'assunzione dell'esistenza di parti in cui essa non si riconosce.

Alla luce di queste considerazioni, la psicoanalisi, cioè la psicologia dell'inconscio, è tale nel

momento in cui fa partecipativo del suo discorso anche l'aspetto cosciente.

A uno psicoanalista che osservava come «l'inconscio non ha uno sbocco per le sue tensioni e

i suoi desideri, sia che ci si ricordi dei sogni, oppure no» - Freud rispose: «È la mente cosciente

ad avere queste tensioni».

Si è iniziato ricordando un passo di Freud tratto da Costruzioni nell'analisi; come si è visto, in

questo scritto compariva il termine di costruzione e, più precisamente, di ricostruzione. Secondo tale

concetto, utilizzando il materiale fomito dal soggetto materiale che si esprime sia in forma logica,

sia in modalità non immediatamente chiare alla comprensione (per cui occorre attendere il

delinearsi di un senso che colleghi i vari momenti della comunicazione, di per sé incomprensibili)

- l'analista procede appunto a una ricostruzione di quanto è venuto emergendo e ripropone al

soggetto stesso il messaggio che gli è stato indirizzato e che l'analizzando, nel momento in cui

l'ha espresso in analisi, ha proposto a se stesso. Col termine «ricostruzione» Freud indicava quindi

un lavoro di ricomposizione in cui il linguaggio dell'inconscio, apparentemente sconnesso, si fa

significativo e, nel contempo, con questo concetto si sostituiva quello di interpretazione usato sino

ad allora. L'opportunità di questa modificazione concettuale e terminologica poggiava

fondamentalmente sulla considerazione che nel lavoro interpretativo si può verificare

maggiormente il pericolo che l'interprete possa confondere i propri problemi con quelli

dell'analizzando. E noto infatti il meccanismo inconscio della proiezione - messo in luce dalla

dottrina psicoanalitica - secondo il quale si tende ad espellere fuori di noi e ad attribuire agli altri

una serie di tendenze, di affetti, di pensieri e di fantasie che ci appartengono: è in questo senso

che l'interpretazione - laddove l'analista non riesca a porsi al servizio del processo che si snoda

nella relazione terapeutica calandosi, per cosi dire, in essa - può diventare la sede appunto di

proiezioni nei confronti del soggetto.

C'è inoltre un altro aspetto messo in luce in modo chiaro da C. L. Musatti:

Le prime interpretazioni effettuate da Freud presentavano veramente il carattere di ricostruzioni

razionali. Ma a mano a mano che l'attività interpretativa veniva sviluppandosi, il pensiero latente

ad esempio dei sogni risultava sempre meno conforme nella sua struttura a quello del

comune pensiero cosciente, e rivelava invece una propria struttura di tipo diverso [Musatti 1974].


In questo senso l'ipotesi della razionalità, nel senso comune, del pensiero latente e quindi

inconscio, doveva essere abbandonata per riconoscere ai processi inconsci una modalità

espressiva affatto diversa. Questo portò gradualmente Freud, e successivamente il pensiero

psicoanalitico, alla constatazione che anche il passato storico del soggetto non sempre mantiene una

importanza decisiva per comprendere ciò che sta verificandosi nel soggetto stesso. All'inizio della

sua attività psicoanalitica, Freud aveva ipotizzato, alla base delle nevrosi, la presenza di un trauma

infantile specifico, connesso in particolare con un'aggressione sessuale subita da parte degli adulti

e in particolare dai genitori. Questa ipotesi (teoria del trauma specifico) si dimostrò ben presto decisamente

erronea: nella maggior parte dei casi, i pazienti portavano delle fantasie, fornendo loro il

carattere di un ricordo, che non corrispondevano ad alcuna realtà se non a quella costituita da

desideri e da vissuti infantili inconsci. La teoria del trauma specifico, inoltre, sembrava più

rispondere ad un bisogno iniziale di Freud - legato per certi aspetti alla mentalita positivistica del

tempo - di individuare un elemento nascosto la cui scoperta non solo avrebbe tutto spiegato ma

avrebbe condotto all'eliminazione del quadro sintomatico.

La psicoanalisi quindi, per trovare il rapporto tra logica dell'inconscio e logica del pensiero

cosciente, deve stabilire i collegamenti tra questi due piani strettamente intrecciati e l'analista deve

mantenere, nel rapporto con l'analizzando, un'mpostazione che gli consenta, da un lato di

partecipare al mondo fantasmatico e delirante dell'inconscio e, dall'altro, di decodificarlo

continuamente, secondo le regole della comunicazione cosciente.

L'analista per effettuare il proprio lavoro deve anzitutto familiarizzarsi con la logica dei processi

primari [inconsci], cogliendo tale logica nella propria personale attività inconscia. Deve cioè

ascoltare il proprio inconscio e cercare di reagire con esso ai messaggi che gli vengono trasmessi

dal paziente abbandonando quell'esigenza di razionalità a cui, nelle comunicazioni interpersonali

dei normali rapporti sociali, siamo costretti ad obbedire. O per dire meglio, mentre l'analista, nei

suoi stessi rapporti col paziente, da un lato procede sul piano di comunicazione di tipo razionale,

dall'altro intrattiene con lui un colloquio che si svolge invece fuori degli schemi della ragione [ ...

]. Si giunge così ad una conclusione strana. Il colloquio tra paziente ed analista, quando è

effettivamente attuata la situazione analitica, è un colloquio delirante: un colloquio cioè che si

mantiene fuori degli schemi della logica ordinaria [ibidem

Si può aggiungere che è proprio questa possibilità di penetrare e di compartecipare

all'apparente stranezza di ciò che emerge nel comportamento e nella verbalizzazione del soggetto,

che consente poi di procedere ad una decodificazione, a un livello diverso, dei vari significati in

gioco. Ma questo tipo di razionalità non è più quella costruita sulla negazione rivolta alla presenza

di significati inconsci, ma acquista un valore diverso, in quanto - per così dire - consente una

lettura e una comprensione della compresenza di due piani diversi e interconnessi. Questo ci dice

che, se è vero che la psicoanalisi può essere uno strumento estremamente utile per meglio

comprendere anche fenomeni di tipo sociale, artistico, antropologico, ecc. - consentendo di

individuare, ad esempio, sul piano negativo, l'origine della distruttività e dell'ostilità o, su un piano

più generale, il senso dei legami affettivi, dei rapporti intersoggettivi e della produttività umana -

è pur vero che la psicoanalisi stessa richiede contemporaneamente un continuo esercizio nel

disciplinare l'attività dell'interprete sui due piani sopra accennati, senza che questi si abbandoni

all'uno o all'altro (al delirio pieno o alla razionalizzazione difensiva e occultante).

Rimane da osservare che il passaggio dall'interpretazione alla ricostruzione, non elimina

l'aspetto interpretativo, il quale rimane comunque uno dei fattori più significativi dell'indagine

psicoanalitica, sia presentandosi come uno dei particolari momenti intuitivi, che aprono

improvvisi orizzonti di comprensione in situazioni molto complesse, sia conservando il valore di

ipotesi di lavoro, in attesa di ulteriori verifiche. Intesa in queste due accezioni, l'interpretazione è

recuperata all'interno del più vasto e articolato lavoro ricostruttivo, che vede impegnati, sul piano


terapeutico, l'analista e l'analizzando o, su un piano più generale, l'indagine psicoanalitica e il

campo dei fenomeni studiati.

È in tale prospettiva che il concetto di ricostruzione nasconde l'ambizione di una obbiettività

che, lungi dall'essere raggiunta e realizzata, va intesa come meta da perseguire e quindi come una

sorta di ideale della ragione.

Freud, a questo proposito, aveva osservato maliziosamente: Deuten, Das ist ein garstiges Wort!

(Interpretare, che brutta parola!).







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