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La nascita della psicologia sperimentale

psicologia



La nascita della psicologia sperimentale

Non fu solo la filosofia a fornire le basi per la costruzione del nuovo edificio scientifico,

quando Wundt fondò il primo laboratorio a Lipsia nel 1879, la sua opera fu il frutto della

confluenza di apporti provenienti da molte vie differenti. Vediamo quali.

La psicofisica

Le scoperte del fisiologo E. Weber (1795-1878) - fisiologo, anatomista e psicologo

tedesco - hanno fatto compiere alle conoscenze nel campo della fisiologia un passo in avanti

decisivo per la psicologia. Weber riprese una legge studiata da Bouguer nel 1729 (Essai

d'optique), che misura la quantità di cambiamenti, di uno stimolo, percepibile dal soggetto e



l'intensità dello stimolo.

I x K

Secondo tale formula, il rapporto tra il valore dello stimolo fisico I e la soglia differenziale ( ),

ovvero la quantità di cambiamento dello stimolo necessaria per produrre una differenza

avvertibile dal sogge 121d31b tto il 50% delle volte, è costante (K).


Tale formula però non poteva essere applicata per misure troppo piccole e per misure troppo

grandi, non era precisa negli estremi. La costante non sarebbe realmente "costante" perché se i

valori aumentano o diminuiscono oltre una certa gamma, K non corrisponde più.

È questa relazione che Fechner (1860) modificò, includendo nella formula il logaritmo.

Secondo Fechner l'intensità della sensazione che il soggetto ha dello stimolo è proporzionale al

logaritmo (log) della grandezza fisica dello stimolo stesso. Pertanto, sebbene sia vero ciò che

afferma Weber, che la grandezza della soglia differenziale aumenta quando cresce la grandezza

dello stimolo standard, la funzione non è lineare. Ogni soglia differenziale richiede un aumento

sempre maggiore dello stimolo man mano che cresce la grandezza dello standard.

Gustav Theodor Fechner (1801-1887) psicologo e filosofo tedesco. Fisico di un certo valore,

aveva dovuto abbandonare la ricerca per una grave infermità agli occhi ancora in giovane età,

cominciando

«ad occuparsi di problemi filosofici, con una curiosa venatura mistica impregnata tra l'altro di

influssi orientali, e nello stesso tempo, contradditto-riamente, orientato a dare una risposta

materialistica ai problemi scientifici. [.] siamo nel periodo in cui in Germania è aperta la

cosiddetta «questione materialistica», che vede in posizioni contrapposte da un lato a difesa del

vitalismo i grandi scienziati accademici, portavoce della scienza ufficiale, in primo luogo il

fisiologo Müller e il chimico Liebig; e dall'altro soprattutto alcuni giovani fisiologi, quali

Helmholtz e Du Bois-Reymond che sosterranno la necessità di considerare anche gli esseri viventi

soggetti alle stesse leggi valide per il resto della natura.

Tale controversia, come è ovvio, non poteva non essere di grande rilievo ai fini della nascita della

psicologia. La posizione di Fechner nella controversia è abbastanza insolita. A ben guardare, il suo

materialismo è abbastanza radicale, anche se appare continuamente smentito dall'affermazione

dell'esistenza dell'anima. Ma l'anima, lo spirito, per Fechner è qualcosa di ben diverso da quello

che è per i vitalisti. Lo spirito è infatti non altro che una proprietà della materia, inerente alla sua

organizzazione in atomi. E ogni materia, non solo quindi gli uomini, ma gli animali, le piante,

anche la sostanza inorganica, la terra, le pietre, i corpi celesti, ogni materia dunque, in quanto

composta di atomi, è dotata di anima. E tale anima è tanto più complessa, quanto più complessa è

la struttura della materia a cui inerisce [Fechner 1851].

Spirito e materia, infatti, a ben guardare, non sono altro che due facce della stessa medaglia, due

aspetti derivanti da modi di osservazione distinti della stessa realtà, ontologicamente unitaria.

Possiamo, auto-osservandoci, essere consapevoli dei nostri pensieri, delle nostre sensazioni, delle

nostre emozioni; tale osservazione ci mette, sul piano della più semplice esperienza, a diretto

contatto con l'anima. Ma l'anima, e i suoi prodotti, non sono che effetto di processi che

avvengono nella materia che compone il nostro corpo, il nostro sistema nervoso. Tale modo di

osservazione non riesce quindi a farci constatare i processi che avvengono nella materia e che

determinano tali fatti nell'anima.

Allo stesso modo, tuttavia, cambiando tipo di osservazione, la scienza ci consente di determinare

quali sono i processi che si svolgono nella materia, e che causano tali effetti nell'anima. Potremo

quindi vedere cosa avviene nel cervello, ad esempio, a livello fisico, chimico, fisiologico. Ma una

volta che ben abbiamo fatto queste osservazioni, ci sfuggirà completamente cosa avviene

nell'anima. In altri termini, abbiamo i modi di rilevare cosa avviene nell'anima, ma ciò non ci

consente di rilevare cosa avviene nella materia; e di converso, abbiamo i modi di rilevare cosa avviene

nella materia, ma il loro uso non ci consente di rilevare cosa avviene nell'anima. Ma

quest'ultima [.] non è altro che una proprietà dell'organizzazione atomica della prima.

Il ponte che Fechner getta per unire corpo e anima, spirito e materia, è quello della psicofìsica

[1860]. Attraverso questa nuova scienza è possibile determinare in modo unitario e attraverso una

precisa relazione matematica la relazione che intercorre tra questi due aspetti di un'unica realtà»

(Legrenzi, 1980).


Bouguer, Weber e Fechner volevano capire il rapporto fra stimolo e reazione, seppur in una

logica positivistica, volevano capire la parte "individuale". Un autore che si accorse meglio di

questa differenza fu Helmholtz. Attraverso i tempi di reazione si accorse delle differenze

individuali delle percezioni, stabilendo che vi è una variabilità anche nello stesso individuo se

varia la parte dello stimolo. Non esiste, dunque, una percezione uguale per tutti.

Anche gli astronomi diedero il proprio contributo alla nascita della psicologia scientifica.

Il problema, posto all'inizio del secolo dall'astronomo tedesco Bessel, non riguardava tanto

questioni relative all'oggetto dell'astronomia, ma contingenti e legate alle modalità di osservazione

astronomica allora in uso. Come ci spiega Legrenzi:

«fin verso la metà del secolo scorso, la velocità di spostamento dei corpi celesti veniva misurata in

questo modo. Al telescopio veniva applicato un reticolo; l'astronomo, osservando il ciclo attraverso

il reticolo, udiva contemporaneamente il suono di un orologio. Quando il corpo celeste di cui si

voleva misurare la velocità entrava nel reticolo, l'astronomo cominciava a contare i battiti

dell'orologio, e rilevava quindi il numero di tali battiti nel passare del corpo celeste da un posto ad

un altro prefissato del reticolo.

Tale metodo non aveva mai dato apparentemente luogo ad inconvenienti, almeno fino al 1796,

anno in cui il regio astronomo di Greenwich Maskelyne licenziò il suo assistente Kinnerbrook,

poiché da qualche anno le rilevazioni fatte da questi si erano dimostrate errate, con scarti che erano

andati aumentando con il passare del tempo sino ad assumere un rilievo clamoroso. L'episodio,

annotato negli annali dell'osservatorio di Greenwich, cadde circa venti anni più tardi sotto gli occhi

di Bessel, astronomo di Königsberg. Questi rimase sorpreso dall'entità dell'errore, e si chiese se in

realtà ciò non fosse dovuto più che a negligenza, a differenze individuali esistenti tra le persone

chiamate a svolgere questi tipi di compiti. Confrontò quindi i propri tempi di osservazione con

quelli ottenuti da altri illustri astronomi, e poté rilevare l'esistenza di differenze abbastanza

sistematiche tra le varie persone nella rilevazione dei tempi.

Le osservazioni di Bessel suscitarono un enorme interesse nel mondo dell'astronomia. Si ritenne

che ricerche appropriate avrebbero consentito di determinare la cosiddetta «equazione personale» di

ogni osservatore. Si pensava cioè che si sarebbe potuto stabilire per ogni osservatore il tipo di

errore sistematico che compiva, e in tal modo si sarebbero potute depurare le osservazioni da tali

errori individuali.

Nasceva così la problematica dei tempi di reazione (nome che fu dato solo nel 1871 a questo

fenomeno dal fisiologo Exner; allora si parlava di «tempi fisiologici»): lo studio, cioè, del tempo,

necessario perché una persona risponda alla presentazione di uno stimolo. Per cercare di ridurre i

margini di errore, infatti, verso il 1840 si cominciarono a studiare altri metodi di osservazione. Si

ritenne, così, che l'errore potesse essere dovuto all'insieme di operazioni tutt'altro che semplici che

l'astronomo doveva compiere nel corso dell'osservazione. Egli infatti doveva rilevare due stimoli

visivi (il passaggio del corpo celeste all'ingresso e all'uscita del reticolo), degli stimoli uditivi (il

battito dell'orologio), e contemporaneamente compiere l'operazione di contare.

Si pensò che l'osservazione potesse essere resa più semplice con l'uso di apparecchiature, dette

variamente tachigrafo, chimografo, ecc. Queste consistevano sostanzialmente in un cilindro con

attorno della carta, imperniate su motore rotante, e con a contatto una penna scrivente fissa. Nel

momento in cui il corpo celeste penetrava nel reticolo, l'osservatore doveva premere un pulsante,

che metteva in moto il motore. Una seconda pressione sul pulsante, all'uscita dal reticolo del corpo

celeste, avrebbe arrestato il motore. Essendo nota la velocità del motore dalla lunghezza della

traccia lasciata dalla penna sul cilindro si poteva risalire al tempo trascorso tra le due pressioni sul

pulsante, e quindi alla velocità del corpo celeste» (Legrenzi, 1980).

Tempi di reazione e metodo sottrattivo di Donders


Una volta che a metà ottocento furono introdotti in astronomia metodi di rilevazione

fotografica si perse ogni interesse per l'argomento. La psicologia riceveva però in eredità il

metodo dei tempi di reazione, che fu utilizzato, tra il 1860 e il 1867 dal fisiologo olandese, Frans

Cornelis Donders.

Nelle sue ricerche Donders si era ispirato ad un utilizzo dei "tempi di reazione" escogitato da

Helmholtz per rilevare la velocità di conduzione delle fibre nervose. Helmholtz nel suo

esperimento somministrava ad un soggetto uno stimolo, ad esempio un lieve shock elettrico, in

un punto di un arto, e il soggetto doveva premere un pulsante non appena riceveva tale stimolo.

In questo primo passaggio veniva misurato il tempo di reazione. Successivamente Helmholtz

somministrava un altro stimolo in un punto diverso dello stesso arto, registrando un secondo

tempo di reazione. Se il primo stimolo era applicato alla base dell'arto, e il secondo all'estremità

opposta, il secondo tempo di reazione risultava più lungo del primo. La differenza tra i due

quindi un indice del tempo occorrente allo stimolo per giungere dall'estremità dell'arto alla sua

radice.

Secondo Helmholtz era sufficiente calcolare il rapporto tra la differenza della lunghezza tra i

due punti di applicazione e la differenza tra i due tempi di reazione, per determinare la velocità

dell'impulso nervoso. Anche se il ragionamento di Helmholtz era valido sul piano logico, in realtà

egli non teneva conto di molti fattori. Uno dei quali è che la velocità di un impulso nervoso

dipende anche dal diametro della fibra e non ha un valore assoluto.

Donders riprese dall'esperimento di Helmholtz l'impiego del metodo sottrattivo tra tempi di

reazione. Secondo Donders, un fisiologo (oltre che oculista), ciò che impediva alla psicologia di

diventare scienza era l'impossibilità di dare delle misurazioni oggettive, secondo parametri fisici,

dei processi mentali. Per superare tale difficoltà pensò di avvalersi della rilevazione dei tempi di

durata dei processi mentali e del metodo sottrattivo. Donders voleva scoprire se, al di là

dell'osservazione fisiologica, nella mente avviene un processo che richiede del tempo; dimostrare

ciò significava contemporaneamente dimostrare l'esistenza del processo stesso.

Donders e il suo allievo, De Jaager, attuarono un esperimento (1868-1869) applicando il

metodo sottrattivo alla misurazione di tempi di reazione in tre condizioni.

Come esemplificato nello schema seguente, la prima condizione (a) comprendeva uno stimolo

a cui doveva essere data una risposta; la seconda condizione (b) comprendeva più stimoli, a

ognuno dei quali corrispondeva una risposta diversa ed infine la terza condizione (c)

comprendeva più stimoli, ma solo ad uno di essi doveva essere data risposta, mentre agli altri il

soggetto non doveva rispondere.

Donders poté così constatare che i tempi a erano i più brevi di tutti, seguivano i tempi c, i più

lunghi erano i tempi b

Secondo Donders, la differenza tra i tempi c - a indicava il tempo occorrente al soggetto per

discriminare tra gli stimoli, e scegliere quindi quello a cui occorreva rispondere; e la differenza b -

c indicava invece il tempo necessario al soggetto per discriminare tra le risposte.


Schema dell'esperimento di Donders (1868-1869)

Condizione a)

Stimolo 1 --> Risposta 1 Tempo di reazione semplice

Condizione b)

Stimolo 1 --> Risposta 1

Stimolo 2 --> Risposta 2 Il soggetto deve discriminare fra gli stimoli

Stimolo 3 --> Risposta 3

Condizione c)

Stimolo 1 --> Nessuna risposta

Stimolo 2 --> Nessuna risposta Il soggetto deve discriminare fra le risposte

Stimolo 3 --> Risposta esatta oltre che tra gli stimoli

Attraverso la differenza tra i tempi di re azi one, Donders intendeva misurare

i tempi dei processi psicologici di scelta:

c - a = discriminazione fra stimoli

b - c = discriminazione fra le risposte

Tali tempi di discriminazione corrispondevano appunto a quei processi puramente psicologici

di scelta a cui veniva finalmente fatto corrispondere un indice di misurazione fisico.

Il metodo sottrattivo di Donders suscitò un notevole entusiasmo e venne tra l'altro

ampiamente impiegato da Wundt, nel suo laboratorio di Lipsia. Wundt sperava, attraverso

compiti più complessi, di poter dimostrare tramite la sottrazione dei tempi di reazione, l'esistenza

delle fasi in cui riteneva si articolassero i processi mentali, ma il suo programma non ebbe

successo e le critiche rivoltegli dai contemporanei portarono all'oblio anche il contributo di

Donders, già nei primi decenni del novecento.

La fisiologia

La fisiologia è stata la scienza che forse ha più contribuito alla nascita della psicologia

scientifica: non partiremo dalle scoperte fisiologiche di Harvey della circolazione sanguigna, che

consentirono nel XVII secolo di concepire l'uomo come meccanismo, ma vedremo però i

principali contributi dati dai fisiologi alla nascita della psicologia scientifica.

L'arco riflesso

Che cos'è il riflesso? Stimolando determinati recettori sensoriali, si provocano

automaticamente (e cioè senza intervento della volontà del soggetto) delle risposte automatiche.

Si parla di «arco riflesso», in quanto il substrato nervoso è composto di una parte «afferente» (il

recettore sensoriale, e il nervo sensoriale che dal recettore porta l'impulso nervoso al centro) e di

un ramo «efferente» (la fibra motoria che dal centro conduce agli effettori periferici). Al centro

(ad esempio, nel midollo spinale) ramo afferente ed efferente sono a contatto più o meno diretto,

di modo che l'impulso nervoso proveniente dalla stimolazione sensoriale sì scarica direttamente


sul ramo efferente, senza dover passare a livelli più elevati che coinvolgano la volontà

dell'individuo. Ad esempio, è questo il meccanismo del riflesso rotuleo, per cui la stimolazione

della rotula con il martelletto provoca per via riflessa la contrazione del quadricipite femorale, con

conseguente estensione della gamba. (Legrenzi, 1980)

Legge di Bell e Magendie

La legge di Bell e Magendie prende il nome dagli autori, l'inglese Charles Bell e il francese

François Magendie che all'inizio del XIX secolo arrivarono separatamente a dimostrare

l'indipendenza delle vie sensoriali dalle vie motorie.

Infatti, ogni nervo che origina dal midollo spinale ha due radici; recidendo quella anteriore

viene interrotta la possibilità di movimento del segmento corporeo innervato, mentre si conserva

la sensibilità; il contrario avviene se si recide la radice posteriore.

Tale legge ebbe una notevole importanza perché si dimostrava per la prima volta che al di là

dell'apparente unitarietà del sistema nervoso, in esso vi erano invece delle funzioni

sostanzialmente distinte (Legrenzi, 1980).

Legge dell'energia nervosa specifica

Un'altra legge che segna un passo di notevole importanza verso la psicologia sperimentale fu

la legge dell'energia nervosa specifica, che consentì di ampliare gli studi della specificità di

funzioni nel sistema nervoso in un ambito rilevante anche per gli studi psicologici: gli organi di

senso.

La legge dell'energia nervosa specifica viene attribuita di solito a Johannes Müller, che ne diede

la formulazione più estesa, e ne intravide con maggiore lucidità le conseguenze (1834-1840) ma fu

successivamente ampliata e specificata da Helmholtz (1867), allievo di Müller. Eppure le origini di

tale legge si possono rintracciare fino nella filosofia greca, un principio analogo era stato poi

enunciato da La Mettrie ed infine lo stesso Müller ne attribuiva la scoperta a Marshall Hall, un

fisiologo inglese suo contemporaneo, autore di ricerche fondamentali sui riflessi.

Secondo tale legge, la qualità delle sensazioni che riceviamo non dipende dal tipo di

stimolazione che viene esercitata sugli organi di senso, ma dal tipo di organi di senso che

vengono eccitati. Se noi, ad esempio, esercitiamo una pressione sul nervo ottico tale da

stimolarlo, la sensazione che riceveremo non sarà tattile-pressoria, ma visiva. Lo stesso stimolo,

quindi, produce sensazioni diverse a seconda dei diversi nervi che stimola.

Tale principio assunse una importanza così grande che Helmholtz lo pose addirittura alla base

di ogni teoria scientifica delle percezioni sensoriali, perché permetteva finalmente di distinguere

tra rappresentazione e cosa rappresentata, tra caratteristica, cioè, dello stimolo, e percezione.

In tal senso viene troncato definitivamente ogni elemento metafisico nello studio della

percezione, che può così venire a essere studiata su basi rigorosamente scientifiche, ponendosi

come autentico fondamento di una psicologia come scienza autonoma. In altri termini, non vi era

più possibilità di confusione tra soggetto che percepisce (e che può quindi essere studiato, sul

piano della percezione soggettiva, su base scientifica) e cosa percepita.

E il principio originale di Müller poteva essere ulteriormente esteso, compito che si assunse,

come si è detto, Helmholtz. Così, all'interno dello stesso sistema visivo, si potevano individuare

ad esempio tre tipi di fibre nervose differenziate per la percezione di differenti colori; così nel

nervo acustico si potevano differenziare diverse fibre nervose deputate a trasmettere stimoli

corrispondenti a differenti altezze tonali.

Di particolare rilievo, nella concezione della percezione di Helmholtz era il concetto di

«inferenza inconscia», secondo cui il sistema percettivo corregge, all'insaputa del soggetto, i valori

della percezione, sulla base dell'esperienza passata. Per fare un esempio, è noto il fenomeno,

detto della costanza di grandezza, secondo cui un oggetto lontano rispetto ad un oggetto di


uguale grandezza vicino, viene visto sempre della stessa grandezza, e ciò malgrado il fatto che

l'immagine che proietta sulla retina sia di dimensioni inferiori a quelle dell'oggetto vicino.

Secondo Helmholtz, ciò potrebbe spiegarsi ricorrendo appunto all'inferenza inconscia: sulla base

dell'esperienza passata, è noto al soggetto che allontanandosi l'immagine retinica rimpicciolisce,

anche se l'oggetto rimane di dimensioni costanti. Tale esperienza fa sì che inconsciamente il

soggetto corregga la percezione della dimensione di un oggetto lontano, sopravvalutandola

malgrado la piccolezza dell'immagine retinica, sulla base della distanza percepita (Legrenzi, 1980).

Darwin e l'evoluzionismo

Alla base della teoria di Darwin vi sono i concetti di "selezione naturale" e di "adattamento".

Secondo questi due principi, le specie che non riescono ad adattarsi all'ambiente finiscono con lo

scomparire, ed anche all'interno delle stesse specie sopravvivono gli individui portatori di

caratteristiche che meglio si adattano all'ambiente. Nel tempo si può assistere a un processo di

evoluzione, con una progressiva modificazione delle specie, poiché gli individui che sopravvivono,

accoppiandosi tra di loro, trasmetteranno i propri caratteri "forti" ad una discendenza, che, a

sua volta, presenterà in modo sempre più accentuato i caratteri adattativi, con una progressiva

scomparsa dei caratteri che non permettono tale adattamento.

Famoso nella teoria darwiniana è l'esempio delle giraffe: le giraffe vivono in un ambiente in

cui è necessario mangiare le foglie dagli alberi. Le giraffe con il collo più lungo si adatteranno

meglio a tale ambiente, perché con il diradarsi delle foglie negli alberi dovuto al progressivo

consumo da parte delle altre giraffe queste riusciranno ad arrivare ai rami più alti dove ancora vi è

cibo. Le giraffe con il collo corto, non riuscendo ad adattarsi e non riuscendo ad arrivare ai rami

più alti, finiranno invece con lo scomparire. Le giraffe con il collo lungo trasmetteranno tale loro

carattere anche ai loro discendenti. L'evoluzione della specie porterà quindi con il tempo alla

selezione di una specie di giraffe tutte con il collo lungo.

È importante qui sottolineare che tale principio si applicava, secondo Darwin, non solo ai caratteri

somatici, ma anche a quelli psichici. Questa riflessione portò, da un lato, un cugino di

Darwin, Francis Galton, allo studio delle caratteristiche psicologiche individuali e della loro

trasmissione erediaria e dall'altro i funzionalismi allo studio dei caratteri psichici in quanto mezzi

a disposizione dell'uomo per adattarsi all'ambiente.

La dottrina evoluzionistica portò però anche alla nascita dello strutturalismo wundtiano -

attraverso Herbart, gli associazionisti, i fisiologi come Helmholtz - ed infine introdusse l'idea che

l'uomo era frutto di una duplice evoluzione: quella filogenetica, che ha portato al costituirsi della

specie umana, e quella ontogenetica, che porta all'evoluzione del singolo individuo dalla nascita

all'età adulta. Non può esserci comprensione completa se non vengono studiati l'uomo nel suo

ciclo evolutivo, da un lato, e le specie animali, dall'altro lato.




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