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LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA - Percorso storico nella filosofia contemporanea

filosofia



PONTIFICIA FACOLTA' TEOLOGICA

DELL'ITALIA MERIDIONALE


Seminario Maggiore di Basilicata


Potenza


Storia della filosofia II








LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA

Percorso storico nella filosofia contemporanea






INTRODUZIONE


Dovendo realizzare un elaborato scritto di storia della filosofia, ho ritenuto opportuno rifarmi ad una tematica dominante nel pensiero moderno e contemporaneo: le relazioni tra filosofia e scienza. Ho scelto questo tema perché credo che sia ancora centrale nel dibattito filosofico contemporaneo. Il modo di pensare, di vedere il mondo e di considerare le cose è ancora fossilizzato su una concezione di scienza quasi onnipotente, depositaria dell'unico dogma di verità e di definitività. È un dato di fatto che nella nostra società, all'espressione "è scientifico!", tutti tacciono come di fronte ad un dogma di fede.

Questa presunzione era penetrata anche nel pensiero filosofico del secolo scorso, quando, prima con la Filosofia analitica in Gran Bretagna, poi con i pensatori del Circolo di Vienna nell'Europa continentale, si era delineato un concetto di scienza onnicomprensivo che negava ogni spazio a qualsiasi altro punto di vista del pensiero filosofico, particolarmente alla metafisica.

Di fronte a questo monopolio della scienza, l'unico che rivide il concetto di scienza, dandole il posto che le spettava all'interno del sapere umano, fu Karl Popper, che con la sua teoria della "falsificabilità" mise in discussione questo dogmatismo, riaprendo gli orizzonti del sapere anche alla metafisica, sebbene con un ruolo completamente diverso: da regina scientiarum, quale era nel Medioevo, ad ancilla scientiae, oggi.

Il lavoro si articola in quattro sezioni distinte. Nella prima prenderò in esame i contributi che la scienza contemporanea ha dato al dibattito filosofico, nella seconda analizzerò il pensiero dei filosofi della tradizione analitica, nella terza quello dei pensatori del Circolo di Vienna e infine nella 212f55c quarta quello del grande epistemologo Karl Popper.











LA FILOSOFIA DELLA SCIENZA


Tra la fine dell'800 e gli inizi del '900 si sono verificate scoperte tali da sconvolgere quasi totalmente il mondo della scienza.[1]

In estrema sintesi possiamo affermare che la fisica deterministica e meccanicistica classica è stata soppiantata dall'indeterminazione, in particolare il fisico Heisenberg sostenne che le leggi scientifiche non sono altro che formulazioni statistiche dei fenomeni osservati, con un esito solo probabile, non solo a causa dei limiti dell'osservatore, ma anche per le modificazioni imprevedibili che in ogni processo di osservazione interessano la realtà osservata. Con l'elaborazione della teoria della relatività di Einstein si ha il superamento totale della fisica classica: viene negata l'assolutezza dello spazio e del tempo, a causa della loro dipendenza da un sistema (relatività), l'assolutezza delle dimensioni di un corpo e l'assolutezza della massa. Viene affermata l'identità tra materia ed energia e si ritiene superflua l'ipotesi newtoniana di una forza di gravità che spieghi la gravitazione universale. Max Planck elaborò la teoria quantistica secondo la quale, l'energia non viene trasmessa in modo continuo, ma per quanta, cioè come a fiotti di quantità minime, secondo multipli del quantum.

All'interno delle discipline geometriche, ad opera del russo Nicolaj Lobačevskij, vengono elaborate le cosiddette geometrie non-euclidee, che sembrano superare definitivamente i postulati di Euclide, in particolare il V, che afferma: per un punto esterno ad una retta si può condurre una ed una sola retta ad essa parallela. Esso viene superato dimostrando che da un punto possono passare non una, ma anche due, o infinite o nessuna retta parallela.

La logica matematica vede un grande sviluppo, in particolare grazie a tre personalità: l'italiano Giuseppe Peano, l'inglese George Boole e il tedesco Gottlob Frege.

Accanto ad essi si collocano studiosi del calibro di George Edward Moore, Bertrand Russel, Alfred Whitehead che, come logici, diedero vita alla corrente detta filosofia analitica, che si sviluppò soprattutto nell'area anglosassone e si interessò di problematiche relative al linguaggio, come fondamento della scienza e della filosofia.

Accanto a questo pensiero filosofico, nell'Europa continentale nacque il cosiddetto Circolo di Vienna. Alcuni studiosi di materie scientifiche, fino agli anni '30 diedero vita ad una serie di iniziative di discussione sulle tematiche linguistiche, logiche e scientifiche in Austria e Germania per poi emigrare negli Stati Uniti. I paradigmi di questo pensiero filosofico furono definitivamente messi in discussione dal grande Karl Popper, che col suo razionalismo critico fu il più grande oppositore del pensiero dei cosiddetti viennesi.


LA TRADIZIONE ANALITICA


La filosofia analitica, anche detta filosofia del linguaggio, nacque in due centri culturali inglesi: Oxford e Cambridge. Più che essere una scuola, essa fu un movimento, infatti il pensiero degli analitici fu molto variegato. Ciò che essi condivisero fu una visione strumentale della filosofia, come luogo dove costruire il linguaggio, affinchè il mondo apparisse maggiormente chiaro. Essi condivisero "una specie di mestiere, una mentalità, un tipo di lavoro, che si esercita sulla lingua".[2]

I massimi esponenti della prima fase di questa tradizione furono G. E. Moore, L. Wittgenstein, B. Russel, tutti legati all'ateneo di Cambridge.

Nella seconda fase, quella di Oxford, troviamo figure come G. Ryle, J. L. Austin, oltre che A. J. Ayer, R. M. Hare e tanti altri, che operarono soprattutto nel secondo dopoguerra.

In questa nostra breve trattazione ci soffermeremo soltanto sulla tradizione analitica di Cambridge, nella quale troviamo una trattazione linguistica più generale, tralasciando quella della fase di Oxford, nella quale si attuò uno studio del linguaggio più settoriale (politica, etica, diritto, etc).


George Edward Moore

G. E. Moore (1873-1958) è unanimamente considerato il caposcuola della filosofia analitica, fu colui che insegnò a fare analisi linguistica. Egli, non fu molto attratto dalla scienza, ma soprattutto dalle affermazioni dei filosofi, ritenuti interpreti dell'universo: sua principale occupazione fu quella di interpretare queste asserzioni dei filosofi per scoprirne i nessi linguistici. Il suo pensiero partì da un rifiuto dell'Idealismo, destinato a promuovere una nuova ondata di realismo, con il saggio La confutazione dell'Idealismo (1903). Sebbene quest'opera, a quanto dicano i critici, non abbia una grande valenza storiografica, contiene in sé quello che è il metodo dell'analisi filosofica, attraverso il quale egli cerca di interpretare tutte le nozioni e le problematiche filosofiche.[3] Una delle applicazioni più note che egli fa del metodo analitico è quella che avviene nei confronti dell'etica: in Principia Ethica del 1903 egli afferma che non è possibile definire la nozione di "buono", base dell'etica, in quanto si tratta di un oggetto semplice, come "giallo". Non esiste linguisticamente qualcosa che sia in grado di definire un oggetto semplice. Soltanto oggetti complessi possono essere definiti tramite oggetti più semplici. Soltanto ciò che viene ritenuto tramite il "senso comune" può aiutarci nella spiegazione di tanti concetti semplici, non linguisticamente definibili, come appunto quello di "bene" (La difesa del senso comune, 1925).


Bertrand Russell

Bertrand Arthur William Russell (1872-1970) frequentò le lezioni presso il Trinity College di Cambridge. Dopo una prima fase idealista, grazie all'influenza di Moore, Russell abbracciò le tesi analitiche, dando grande valore al senso comune. Sempre al Trinity College, Russell ebbe tra i suoi studenti anche il filosofo Wittgenstein.

Tra il 1899 e il 1900 egli opera un cambiamento radicale nel suo modo di pensare e vedere le cose. Entra in contatto con le teorie logiche di Gottlob Frege e di Giuseppe Peano, il cosiddetto atomismo logico, secondo il quale si ha una "simbiosi tra un empirismo radicale ed una logica scaltrita. La logica offre le forme standard del corretto ragionare e l'empirismo le premesse che sono o proposizioni atomiche o proposizioni complesse costruite a partire dalle prime".[5]

Nel 1903 pubblica l'opera I principi della matematica dove identifica la matematica con la logica simbolica delle classi, pensiero che, alcuni anni dopo, confluisce nell'opera grandiosa Principia Mathematica composta fra il 1910 e il 1913 in collaborazione col filosofo Whitehead.

La teoria delle classi, partendo dall'asserto che la logica e la matematica siano identiche, è finalizzata allo studio dei numeri sotto forma di classi, ossia di insiemi, all'interno dei quali non necessariamente si devono contare gli elementi presenti, qualcosa di simile alla cosiddetta teoria degli insiemi.

Un'altra teoria che Russell affrontò fu la distinzione tra descrizioni ambigue o indefinite (come "un uomo", "uno che cammina", etc.) e descrizioni definite ("Il primo re di Roma", "Il così e così"). Attraverso questa distinzione voleva porre fine ai paradossi metafisici di esistenza e non esistenza e rilevare l'incompletezza delle definizioni denotanti dai nomi propri, gli unici che posseggono un significato indipendentemente dal contesto nel quale sono collocati.

Russell, da attento analista del linguaggio quale fu, sottopose ogni espressione filosofica al vaglio della logica, ma non sposò del tutto la teoria del senso comune, sostenendone l'insufficienza nel definire concetti puramente filosofici e criticando l'eccessiva sterilità di questo genere di ricerca, legata solamente all'uso delle parole.

Infine, facciamo un accenno a quello che fu il pensiero morale di Russell. Egli fu un sostenitore della libertà ad ogni costo, pacifista coerente, intellettuale sensibile alle ingiustizie sociali, critico nei confronti del Cristianesimo, in quanto portatore di una morale sterile ed oscurantista (Perché non sono cristiano, 1927), fu anche un uomo dalla vita molto libera moralmente, si sposò quattro volte, divorziò tre volte e fu sostenitore dell'amore  libero. Basando tutto il suo pensiero su asserzioni tautologiche di carattere matematico e scientifico, non sostenne mai alcuna fede, né alcuna visione metafisica o religiosa.


Ludwig Wittgenstein

Ludwig Wittgenstein (1889-1951) studiò dapprima ingegneria in Germania, poi a Manchester, quindi su consiglio di G. Frege a Cambridge dove apprese i fondamenti della matematica sotto la guida di B. Russell. Arruolatosi nell'esercito durante la Prima Guerra Mondiale, fu prigioniero degli italiani a Cassino, fino al 1919. Nel 1921 compose il suo capolavoro, il Tractatus logico-phiosophicus. Per alcuni anni fu maestro elementare e nel 1939 ricoprì la cattedra di filosofia a Cambridge, succedendo al maestro G. E. Moore. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu a Londra come portaferiti, poi alcuni anni dopo, precisamente nel 1951, scoprì di essere ammalato di cancro e si spense a Cambridge.

Il Tractatus logico-philosophicus prende avvio da alcune proposizioni di partenza che offrono la base alla comprensione dell'intero suo edificio filosofico.

In sintesi, le proposizioni principali si possono riassumere in questo modo:


"1 Il mondo è tutto ciò che accade. [.] 2 Ciò che accade, il fatto, è l'esistenza dei fatti atomici. [.] 3 La raffigurazione logica dei fatti è il pensiero. [.] 4 Il pensiero è la proposizione esatta. [.] 5 La proposizione è una funzione di verità delle proposizioni elementari. [.] 6 La forma generale della funzione di verità è: [ρ, ξ, N (ξ)]. Questa è la forma generale della proposizione. [.] 7 Di ciò di cui non si può parlare si deve tacere".[6]



Da queste proposizioni emerge immediatamente che Wittgenstein, col suo Tractatus, vuole proporre una visione del mondo. Egli desidera soffermarsi sui fatti, su ciò che accade e che a sua volta è divisibile nei cosiddetti fatti atomici.

Dopo questo inizio ontologico troviamo un passaggio ulteriore. Egli, dopo aver esaminato i fatti, passa alla rappresentazione di essi: il pensiero. Esso si costruisce mediante il linguaggio che è la raffigurazione proiettiva della realtà. "Ad ogni elemento costitutivo del reale ne corrisponde un altro nel pensiero".[7] Come per i fatti, anche le proposizioni linguistiche complesse (molecolari) sono divisibili in proposizioni atomiche (elementari), non ulteriormente divisibili.

Il fatto atomico, dunque, è ciò che rende vera una proposizione atomica, il fatto molecolare, ciò che rende vera una proposizione molecolare.

Accanto a questi concetti prettamente logici, nel Tractatus si coglie anche una parte "mistica". La scienza in realtà rappresenta proiettivamente il mondo, ma al di là di essa vi è qualcosa di ulteriore: l'inesprimibile. Le parole dell'autore ci chiariscono senza difficoltà questa questione:


"6.44 Non come il mondo è, è il mistico, ma che esso è. [.] Noi sentiamo che, anche una volta che tutte le possibili domande scientifiche hanno avuto risposta, i nostri problemi vitali non sono ancora neppure toccati. Certo allora non resta più domanda alcuna; e appunto questa è la risposta. [.] 6.522 V'è davvero dell'ineffabile. Esso mostra sé, è il mistico".[8]



Questa opera filosofica ebbe un successo non comune nei primi decenni del XX secolo. Essa fu considerata come una sorta di "Bibbia Neopositivista". I pensatori del Circolo di Vienna, infatti, scorsero in essa il germe del cosiddetto principio di verificazione, di cui parleremo più avanti e uno stretto rigore antimetafisico. Wittgenstein, in realtà, non è mai stato un Neopositivista, né il suo intendo di esplicazione linguistica ha molto a che vedere con quello dei pensatori viennesi. Egli vuole giungere proprio a quello che la scienza non può dire, aprendosi a quanto per gli uomini è più importante: l'etica e la religione.

Dal 1929, dopo alcuni anni di insegnamento alle scuole elementari, Wittgenstein ritorna a Cambridge. In questo periodo il pensiero del nostro autore subisce una notevole evoluzione. Nella sua seconda opera più importante, Le Ricerche filosofiche, elaborata tra il 1945 e il 1948, il filosofo abbraccia alcune nuove tesi.

Nel Tractatus il linguaggio aveva la funzione essenziale di proiettare i fatti nel pensiero, quindi essenzialmente quella di denominare. In questa seconda fase, l'autore si rende conto come la denominazione è solo una delle funzioni del linguaggio: attraverso di esso, infatti, noi preghiamo, imprechiamo, cantiamo, imitiamo, descriviamo, inventiamo storie, raccontiamo barzellette, etc.

Siamo nella cosiddetta teoria dei giochi linguistici: come la matematica evolve con nuove teorie, così i giochi linguistici sono innumerevoli ed aumentano sempre di più.

Ciò che conta molto nell'uso del linguaggio, è il significato delle parole, che, a sua volta, deriva proprio dal loro uso. A volte capita che l'uso delle parole avvenga erroneamente, per cui si rende necessaria una loro analisi descrittiva. Questo genere di operazione è ciò a cui è chiamata la filosofia. Essa non è altro che una "terapia linguistica".


IL CIRCOLO DI VIENNA


Contemporaneamente alla tradizione analitica, nell'Europa continentale, si sviluppa una nuova tendenza filosofica: il cosiddetto Neopositivismo. Si tratta del pensiero filosofico del Circolo di Vienna (Wiener Kreis), un sodalizio intellettuale nato tra le due guerre mondiali attorno all'ateneo viennese.

Nel 1922 il filosofo e matematico Moritz Schlik (1882-1936) da Kiel si trasferisce all'Università di Vienna. Qui, già dagli anni '14-'18, un gruppo di giovani dottori in filosofia si riuniva per discutere di problematiche legate alla scienza. Dal 1924 però inizia l'attività vera e propria del Circolo, quando Herbert Feigl e Friedrich Waismann proposero a Schlik di fare un gruppo di discussione, così iniziarono le "riunioni del venerdì sera".

I membri di questo circolo, oltre ai già citati, furono Otto Neurath, Hans Hahn, Rudolph Carnap, Felix Kaufmann, Victor Kraft e altri.

Nel 1929 il Wiener Kreis pubblicò il suo manifesto programmatico: La concezione scientifica del mondo firmato da Neurath, Hahn e Carnap. In quest'opera vennero delineate le principali finalità della ricerca del gruppo:

la formulazione di una scienza unificata, con tutte le conoscenze della fisica, della matematica e delle scienze naturali;

il metodo usato per tale scienza unificata doveva essere quello della logica di Frege, Peano e Russel;

l'eliminazione della metafisica e la chiarificazione delle teorie della scienza empirica e dei fondamenti della matematica.

Partendo dallo studio dell'opera di Wittgenstein, il Tractatus logico-philosophicus, i Neopositivisti colsero in esso un netto rifiuto di tutto ciò che ha a che vedere con la metafisica. In un passaggio della sua opera, Wittgenstein aveva affermato l'impossibilità dell'affrontare questioni metafisiche in modo esaustivo. Sia Schlick che Carnap, attaccano la metafisica come portatrice di proposizioni prive di senso. In particolare Carnap si esprime in modo molto forte: "Né Iddio, né alcun diavolo potranno mai darci una metafisica.[.] I metafisici sono musicisti senza talento musicale".[9]

Dopo questa parte introduttiva ci soffermeremo brevemente sui contributi dei singoli pensatori del Circolo di Vienna, prendendo in esame le loro particolari posizioni.


Moritz Schlick

L'iniziatore del Circolo di Vienna fu, come abbiamo detto sopra, il filosofo e matematico Moritz Schlick (1882-1936). Fu proprio lui a teorizzare il cosiddetto principio di verificazione, attraverso il quale è possibile stabilire se una proposizione è vera oppure no. Ciò che conta, secondo Schlick, è il significato di una proposizione attraverso il quale si può stabilire la sua veridicità. Il criterio di verificazione di una proposizione consiste nel fatto che, sotto determinate condizioni, alcuni eventi si danno oppure no.

Attraverso tale principio è possibile separare gli asserti sensati delle scienze empiriche da quelli insensati delle metafisiche o delle fedi religiose. Dire che sono insensate però, non significa dire che sono false.

Gli asserti metafisici ("Dio esite", "Dio non esiste", "l'anima è immortale", etc.), secondo i Neopositivisti sono insensati, perché non verificabili.

Come abbiamo già sottolineato prima, Wittgenstein non approvò questa tesi, superandola attraverso la teoria dell'uso e dei giochi di lingua. Così anche Popper, che criticò il principio di verificazione, affermando al suo posto un principio di falsificabilità, attraverso il quale distinguere la scienza dalla non-scienza, invece del linguaggio sensato da quello insensato.


Otto Neurath

Già poco tempo dopo la sua formulazione, il principio di verificazione venne criticato dagli stessi Neopositivisti. Si andò comprendendo pian piano che sotto la falsa pretesa di evitare gli errori dei metafisici, il principio stesso assumeva un valore dogmatico.

Proprio per superare tali difficoltà Otto Neurath (1882-1945) diede una svolta alla ricerca dei Neopositivisti, assumendo un criterio non più semantico, come era avvenuto con Schlick, ma sintattico, o meglio fisicalista.

Questa svolta fu caratterizzata da un'analisi linguistica non più legata al significato delle parole, ma al loro valore fisico. Il linguaggio non è più proiezione di fatti reali, ma soltanto un fatto fisico. Ciò che conta nella verità delle cose, è la coerenza tra diverse proposizioni.


Rudolf Carnap

Una delle personalità più influenti del Circolo di Vienna fu senz'altro Rudolf Carnap (1891-1970). Egli, rifacendosi al fisicalismo di Neurath, non accetta la riduzione del linguaggio ad un fatto fisico e non sembra affatto rigettare la funzione simbolica del linguaggio.

Nella pars destruens del suo pensiero egli evidenzia come all'interno delle proposizioni, soltanto due tipologie possono essere assunte come dotate di senso: o le formule logico-matematiche, che possiedono una certa correttezza formale, oppure le proposizioni empiriche che possono essere verificate in maniera empirica.[10] Tutte le altre proposizioni, soprattutto quelle di carattere religioso e metafisico, sono prive di senso.

La pars costruens, espressa soprattutto nell'opera La costruzione logica del mondo, prevede la creazione di un linguaggio formalmente ineccepibile capace di sostenere i contenuti delle scienze, mediante l'apporto strumentale della filosofia. Il tipo di filosofia che Carnap desidera, però, è assolutamente immune dalla "peste metafisica", ma capace di stabilire giuste regole sintattiche.

Nell'opera Sintassi logica del linguaggio, infine, il nostro autore teorizza il cosiddetto principio di tolleranza, attraverso il quale sottolinea l'impossibilità a porre limiti nella creazione del linguaggio. Non esiste pertanto un unico linguaggio o un linguaggio privilegiato, ma soltanto regole determinate, proprie di ogni singolo linguaggio.[11]


Conclusioni circa il Neopositivismo

Con la Seconda Guerra Mondiale molti degli studiosi del Circolo di Vienna si trasferirono negli Stati Uniti d'America, trapiantando il loro modo di pensare negli atenei oltre atlantici. In questa nuova fase i pensatori diedero una maggiore importanza allo studio del significato e non della sintassi.

Non appena Wittgenstein pubblicò le sue Ricerche filosofiche, avvenne il superamento del pensiero secondo cui il senso di una proposizione era il metodo della sua verifica e venne fuori la nuova teoria dell'uso, secondo la quale il significato di una parola deriva dall'uso che di essa viene realizzato.

Ciò, insieme alla critica di Karl Popper, influì non poco nella critica al principio di verificazione, secondo la quale esso non è altro che una verità cripto-metafisica, un principio auto contraddittorio, incapace di render conto delle leggi universali delle leggi empiriche. Tale principio, inoltre, non sembrò più all'altezza di tener conto della scienza per due motivi: le proposizioni empiriche non sono controvertibili, in quanto soggette ad una visione singolare, una serie di osservazioni analoghe reiterate non fonda le leggi universali della scienza.


KARL POPPER E IL RAZIONALISMO CRITICO

La parte conclusiva del nostro breve lavoro si soffermerà sul pensiero di Karl Raimund Popper. Vedremo come questa grande personalità abbia influito sul mutamento degli orientamenti della filosofia della scienza, col superamento del principio di verificazione.

Karl Popper nacque a Vienna nel 1902. Dopo gli studi di filosofia, fisica e matematica in Austria, si diede all'insegnamento della matematica e della fisica nelle scuole secondarie, finché nel 1937, essendo di origini ebraiche, fu costretto a lasciare l'Austria alla volta della Nuova Zelanda. Alla fine della guerra si recò in Inghilterra dove continuò la sua carriera accademica dedicandosi a ricerche filosofiche di carattere epistemologico. Dopo la pubblicazione di un gran numero di scritti e con riconoscimenti di ogni genere si spense in Inghilterra nel 1994.

Le principali opere di Karl Popper sono sicuramente Logica della scoperta scientifica, La miseria dello storicismo, Società aperta, Congetture e confutazioni, Conoscenza oggettiva e l'Autobiografia.

Popper, sebbene spesso si dica il contrario, non fu mai un Neopositivista. Fu invece l'"oppositore ufficiale del Circolo", come affermò Neurath e, come egli stesso afferma nell'Autobiografia, fu proprio il responsabile della fine del Neopositivismo.[12] Egli, inoltre, non risparmiò critiche alla tradizione analitica, scagliandosi contro il riduzionismo linguistico di questi pensatori.

Egli cominciò la sua analisi scientifica criticando l'induzione. Essa veniva intesa in un duplice modo: sia come induzione per ripetizione (enumerazione), sia come induzione per eliminazione. In Scienza e filosofia Popper, riferendosi alla enumerazione, afferma:


"La mancanza di validità di questo ragionamento è ovvia: nessun numero di osservazioni di cigni riesce a stabilire che tutti i cigni sono bianchi (o che la probabilità di trovare un cigno che non sia bianco è piccola). Allo stesso modo, per quanti spettri di atomi di idrogeno osserviamo, non potremo mai stabilire che tutti gli atomi di idrogeno emettono spettri dello stesso genere [.]. Dunque l'induzione per enumerazione è fuori causa: non può fondare nulla"[13].


Allo stesso modo, Popper non risparmia critiche all'inferenza induttiva per eliminazione, sostenendo che neppure eliminando tutte le teorie false può mai emergere quella vera, a causa dell'infinito numero di combinazioni che possono darsi. L'inferenza induttiva non è logicamente valida. Nessuna routine può portare a conclusioni universali. Il principio di induzione così inteso, non farebbe altro che portare ad un regresso infinito.

Il punto sul quale Popper criticò maggiormente il Neopositivismo fu senz'altro il principio di verificazione. Il nostro filosofo sostenne che una teoria può considerarsi scientifica soltanto se soddisfa due condizioni:

È falsificabile, ossia può venir smentita o contraddetta in linea di principio;

Non è stata ancora trovata falsa di fatto.

Si tratta del cosiddetto principio di falsificabilità, secondo il quale viene distinta la scienza dalla non scienza. Quindi, non il principio di verificabilità è finalizzato a distinguerle, ma la loro falsificabilità. Una legge scientifica, infatti, non potrà mai essere verificata del tutto, mentre invece può essere falsificata totalmente. [15] Tra la verificazione e la falsificazione esista una asimmetria logica: miliardi e miliardi di conferme non rendono verificata una teoria, mentre una sola negazione la rende logicamente falsa. Ad esempio, se affermiamo che "tutti i pezzi di legno galleggiano in acqua", miliardi di casi confermano tale teoria, se invece prendiamo un pezzo di ebano ci rendiamo conto come esso non conferma la teoria ma la nega, in quanto non galleggia.

Ciò permette di costruire teorie scientifiche più esatte, in quanto prima se ne trova l'errore e prima si può procedere a formulare una teoria scientifica migliore della precedente. In base a ciò Popper non vuole costruire un criterio di significanza con il quale distinguere ciò che è sensato da ciò che è insensato, ma soltanto differenziare gli asserti empirici (falsificabili) da quelli che empirici non sono, come nel caso delle proposizioni metafisiche. Scrivendo al direttore della rivista Erkenntnis del Neopositivismo, Popper afferma che il criterio di falsificazione è "un criterio di demarcazione destinato a demarcare sistemi di asserzioni scientifiche da sistemi perfettamente significanti di asserzioni metafisiche".

Si evince con molta chiarezza il grande passaggio che Popper propone col suo principio di falsificabilità: la metafisica non è priva di senso, come volevano gli esponenti del Wiener Kreis, al contrario essa può ancora dire qualcosa alla scienza. Dal punto di vista psicologico, infatti, la ricerca scientifica è impossibile senza idee metafisiche, così come è altrettanto chiaro come dal punto di vista storico, accanto a idee metafisiche che hanno ostacolato la scienza, ne esistano altre che hanno dato man forte alla ricerca. Molte metafisiche col crescere del sapere di fondo si sono poi trasformate in scienza. È il caso dell'atomismo di Democrito, che nell'antica Grecia era solo una dottrina metafisica, ma che oggi è diventato qualcosa di riconosciuto a livello universale come teoria fisico-chimica. Questa verità storica allora ci fa affermare come, dal punto di vista logico, l'ambito del vero non si identifica con quello del controllabile.

Le teorie scientifiche allora sono controllabili e falsificabili, mentre quelle metafisiche non sono empiricamente controllabili, ma sono invece criticabili. Ciò è possibile in virtù del fatto che queste teorie non sono isolate da tutto e da tutti. Può capitare infatti che esse siano incompatibili con nuove scoperte della scienza o che siano legate a visioni contingenti relative all'epoca nella quale vengono elaborate, alla caduta delle quali, le stesse teorie metafisiche associate devono necessariamente essere messe in discussione. È il caso del determinismo kantiano il quale si fondava sulla visione newtoniana del mondo-orologio. Nel momento in cui questa teoria scientifica è stata superata dalla fisica contemporanea, che ha previsto un margine di indeterminazione, anche la teoria filosofica corrispondente al determinismo è stata criticata.
















OSSERVAZIONI CONCLUSIVE

A conclusione di questa breve trattazione desidero soltanto ribadire ciò che la storia del pensiero contemporaneo ci sta insegnando a proposito del valore della scienza. L'analisi di un filosofo alla stregua di Karl Popper ci ha insegnato che non tutto ciò che non è empiricamente verificabile è automaticamente falso, ma che anche le teorie filosofiche possono avere in sé stesse una verità.

Ciò che conta è la collaborazione tra i diversi ambiti del sapere, che mai deve intaccare la loro autonomia, né può tantomeno causare una totale indifferenza tra questi ambiti. Sia la scienza che la filosofia vogliono indagare la verità sulle cose, sul mondo e sull'uomo, ciascuna però nel proprio ambito specifico: l'una cerca di indagare il come dei fenomeni, l'altra il perché.

L'uomo tuttavia non può fare a meno né dell'una, né dell'altra, proprio perché queste domande nascono dal profondo del suo essere. Non esiste un uomo che possa rinunciare a chiedersi il come a favore del perché, né che possa chiedersi il come, rinunciando al perché. È questa la più grande apertura della ragione umana!


















BIBLIOGRAFIA




ABBAGNANO N. - FORNERO G., Protagonisti e Testi della Filosofia, vol. D, Paravia, Milano 2000.


ADORNO F. - GREGORY T. - VERRA V., Manuale di storia della filosofia 3, Edizioni Laterza, Bari 2004.



DA RE A., Filosofia morale. Storia, teorie, argomenti, Bruno Mondadori, Milano 2003.


MONDIN B., Manuale di filosofia sistematica, Vol. 2, Epistemologia e Cosmologia, ESD, Bologna 1999.



PONZALLI E., Storia della filosofia occidentale, vol. III, Borla, Roma 1984.


POPPER K., Scienza e filosofia (citato in G. REALE - D. ANTISERI, op. cit.).



REALE G. - ANTISERI D., Storia della filosofia, vol. III, La Scuola, Brescia 1998.


WITTGENSTEIN L., Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino1979 (citato in G. REALE - D. ANTISERI, op. cit.).




Cf E. PONZALLI, Storia della filosofia occidentale, vol. III, Borla, Roma 1984, pp.282-287.

G. REALE - D. ANTISERI, Storia della filosofia, vol. III, La Scuola, Brescia 1998, p. 698.

Cf F. ADORNO - T. GREGORY - V. VERRA, Manuale di storia della filosofia 3, Edizioni Laterza, Bari 2004, p. 345.

Cf A. DA RE, Filosofia morale. Storia, teorie, argomenti, Bruno Mondadori, Milano 2003, p. 132.

Cf G. REALE - D. ANTISERI, Storia della filosofia, vol. III, La Scuola, Brescia 1998, p. 673.

L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino1979 (citato in G. REALE - D. ANTISERI, op. cit., pp.691-692).

Cf G. REALE - D. ANTISERI, op. cit., p.685.

L. WITTGENSTEIN, Tractatus logico-philosophicus e Quaderni 1914-1916, Einaudi, Torino1979 (citato in G. REALE - D. ANTISERI, op. cit., pp.693).

Cf G. REALE - D. ANTISERI, op. cit., p. 985.

Cf  F. ADORNO - T. GREGORY - V. VERRA, Manuale di storia della filosofia 3, Edizioni Laterza, Bari 2004, p.348-349.

Cf N. ABBANANO - G. FORNERO, Protagonisti e Testi della Filosofia, Paravia, Milano 2000, vol. D, pp.370-371.

Cf G. REALE - D. ANTISERI, op. cit., p. 1011.

K. POPPER, Scienza e filosofia, citato in G. REALE - D. ANTISERI, op. cit., p. 1011.

Cf G. REALE - D. ANTISERI, op. cit., p. 1012.

Cf B. MONDIN, Manuale di filosofia sistematica, Vol. 2, Epistemologia e Cosmologia, ESD, Bologna 1999, pp. 32-33.

G. REALE - D. ANTISERI, op. cit., p. 1016.




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