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Fu in Inghilterra che l'evoluzionismo in biologia ebbe la sua sistemazione scientifica ad opera di Charles Darwin (18091882), autore di varie pubblicazioni relative alla botanica e alla zoologia, ma soprattutto delle opere Origine delle specie, Le variazioni degli animali e delle piante allo stato domestico, L'origine dell'uomo e la selezione sessuale, Espressione dei sentimenti nell'uomo e negli animali. Da giovane compí un viaggio per il mondo, come naturalista. Da questo viaggio tornò con molti appunti e con la convinzione che in campo biologico c'è stata evoluzione delle specie nel corso del tempo: questo solo poteva spiegare la successione delle forme viventi in uno stesso luogo, documentata dall'esistenza di fossili, e la distribuzione attuale delle specie viventi. Ma tale convinzione doveva essere argomentata a dovere: bisognava studiare soprattutto la riproduzione e le leggi dell'adattamento all'ambiente da parte degli organismi viventi. Continuò cosí in patria la sua osservazione e procedette a varie sperimentazioni.
Evidentemente fatti come questi (cioè
quelli osservati durante il viaggio) e molti altri si potevano spiegare
supponendo che le specie si modificassero gradualmente; e questo pensiero mi
ossessionava. Ma era ugualmente evidente che né l'azione delle condizioni
ambientali, né la volontà degli organismi (specialmente nel caso delle piante)
potevano servire a spiegare tutti quegli innumerevoli casi di organismi di ogni
tipo mirabilmente adattati alle condizioni di vita...
Questi adattamenti mi avevano sempre vivamente colpito, e mi sembrava che
finché essi non fossero stati spiegati sarebbe stato inutile cercare di
dimostrare con prove indirette che le specie si sono modificate.
Dopo il mio ritorno in Inghilterra pensai che se avessi lavorato come aveva
fatto Lyell nel campo della geologia, cioè
raccogliendo tutti i fatti che hanno avuto relazione con la variazione degli
animali e delle piante sia allo stato domestico sia in natura, avrei potuto portare
qualche luce sull'argomento.
Lavorai secondo i principi baconiani, e, senza
seguire alcuna teoria raccolsi quanti piú fatti mi fu
possibile, specialmente quelli relativi alle forme domestiche, mandando
formulari stampati, conver 151b15b sando con i piú abili
giardinieri e allevatori di animali, e documentandomi con ampie letture.
(Autobiografia)
E proprio la documentazione relativa alle forme viventi domestiche gli fece balenare in mente la possibile soluzione. Giardinieri e allevatori ottengono variazioni nelle forme biologiche con la selezione artificiale; forse allora le variazioni verificatesi, nel corso del tempo, in natura sono dovute ad una selezione naturale.
Non tardai a rendermi conto che la
selezione era la chiave con cui l'uomo era riuscito ad ottenere razze utili di
animali e piante. Ma per qualche tempo mi rimase incomprensibile come la
selezione si potesse applicare ad organismi viventi in natura.
(Autobiografia)
La conferma teorica del fatto che in natura agisce una legge generale di selezione naturale gli venne dalla lettura di un'opera che non rientrava immediatamente nell'orizzonte dei suoi interessi scientifici.
Nell'ottobre 1838 ... lessi per diletto il
libro di Malthus sulla Popolazione, e poiché, date le mie lunghe osservazioni sulle
abitudini degli animali e delle piante, mi trovavo nella buona disposizione
mentale per valutare la lotta per l'esistenza cui ogni essere è sottoposto, fui
subito colpito dall'idea che, in tali condizioni, le variazioni vantaggiose
tendessero ad essere conservate, e quelle sfavorevoli ad essere distrutte. Il
risultato poteva essere la formazione di specie nuove. Avevo dunque ormai una
teoria su cui lavorare.
(Autobiografia)
Sicché, riordinando le informazioni ch'egli aveva parzialmente raccolto e catalogato, arrivò alle seguenti conclusioni: la variazione delle condizioni ambientali e l'accrescimento numerico degli individui di una stessa specie pongono agli organismi viventi «problemi di adattamento»; essi vivono una vera «lotta per l'esistenza»; quelli che riescono a produrre in sé le variazioni (nella loro organizzazione biologica e nelle loro funzioni) adatte alle nuove condizioni, sopravvivono; quelli che non vi riescono arrivano fino all'estinzione; in quelli che sopravvivono i nuovi caratteri acquisiti, stabilizzatisi, si trasmettono «per ereditarietà»; quando essi sono stati acquisiti in modo irreversibile, possono costituire una trasformazione anche tanto radicale da rappresentare una vera mutazione della stessa specie, cioè essi possono dare «origine ad una nuova specie».
Con ciò Darwin aveva spiegato la selezione naturale e aveva dato un fondamento all'evoluzionismo; ma non tutti i quesiti erano risolti:
In quel tempo però non afferrai un
problema molto importante ... Mi riferisco alla tendenza degli organismi
discendenti da uno stesso ceppo a divergere nei loro caratteri, quando si
modificano. Che essi si siano molto differenziati è provato dal fatto che le
specie di tutti i tipi possono essere riunite in generi, i generi in famiglie,
le famiglie in sottordini, e cosí via... La soluzione
secondo me consiste nel fatto che la discendenza modificata delle forme
dominanti e in via di sviluppo tende ad adattarsi a parecchi luoghi che hanno
caratteristiche molto diverse nell'economia della natura.
(Autobiografia)
Era dunque spiegata, con la stessa teoria. anche la diversificazione, la differenziazione nell'ambito della stessa specie.
Tutto questo Darwin scrisse nell'opera Origine delle specie, libro che ebbe subito un notevole successo di vendite, e trovò fortuna anche all'estero, tanto che in breve tempo fu tradotto in molte lingue. Tra l'altro Darwin osserva con divertito stupore:
Ne è comparso anche un saggio in ebraico,
in cui si dimostra che la mia teoria è contenuta nel Vecchio Testamento!
(Autobiografia)
Ma quel libro trovò anche irriducibili avversari. Infatti esso poneva il problema della collocazione dell'uomo nella natura. Tale problema «scoppiò» soprattutto quando THOMAS HUXLEY (1825-1895) fece una strenua difesa dell'evoluzionismo; biologo, uomo di ingegno e di cultura, buon oratore, dotato ugualmente di senso dell'ironia e di spirito battagliero, Huxley sostenne senza mezzi termini che l'uomo derivava dalle scimmie; tale affermazione fu all'origine di un vivace scontro col vescovo anglicano S. WILBERFORCE. Infatti l'evoluzionismo sembrava a molti la negazione dell'origine divina dell'uomo, dell'immortalità dell'anima, e di ogni fondamento della vita morale. Questa convinzione alimentava le discussioni non solo nell'ambito della chiesa anglicana, ma anche nei circoli borghesi e conservatori inglesi, stretti nella difesa della posizione «aristocratica» dell'uomo nella realtà naturale; difesa che trovò una formula efficace nell'affermazione di Disraeli che, fra le scimmie e gli angeli, egli preferiva come antenati gli angeli.
Lo stesso Darwin si rendeva conto che la sua teoria sollevava problemi d'ordine morale, religioso, teologico, ... ed anche politico. Infatti anche Marx ed Engels scesero in campo manifestando il loro entusiasmo per il darwinismo, che a loro avviso poteva essere esteso alla concezione della storia e della società; infatti i concetti di selezione naturale e di evoluzione potevano costituire la spiegazione «naturale» dello sfruttamento, della lotta di classe, e, in generale, la base di tutto il materialismo storico-dialettico, smentendo quella che essi definirono «la falsa legge di Malthus», che spiegava la lotta tra gli uomini, semplicisticamente, con la sproporzione tra l'incremento della popolazione e quello dei beni di sussistenza.
Di fronte all'enorme cumulo di questi problemi, proposti da ammiratori e denigratori, Darwin conservò un atteggiamento di serietà scientifica, cercando di ribadire e confermare la validità della sua teoria limitatamente al campo biologico (col che, evidentemente, raffreddò gli entusiasmi di Marx).
Nell'opera L'origine dell'uomo, egli infatti sostenne:
La conclusione principale a cui siamo
giunti qui... è che l'uomo è disceso da qualche forma meno altamente
organizzata. Le basi di questa conclusione non saranno mai scosse, data la
intima somiglianza tra l'uomo e gli animali inferiori, nello sviluppo
embrionale ed in infiniti punti di struttura e di costituzione, sia di grande
che di lieve importanza; i rudimenti che l'uomo conserva e le anormali reversioni
a cui è occasionalmente soggetto, son tutti fatti che
non si possono confutare. Essi sono noti da lungo tempo, ma fino a poco fa non
ci dicevano niente sull'origine dell'uomo. Ma ora, visti alla luce delle nostre
conoscenze di tutto il mondo dei viventi, il loro significato non può sfuggire.
Il grande principio dell'evoluzione domina chiaro e fermo, quando questi gruppi
di fatti son considerati in rapporto con altri, quali
le affinità reciproche dei membri dello stesso gruppo, la loro distribuzione
geografica nel passato e nel presente, e la loro successione geologica. Non si
può assolutamente pensare che tutti questi fatti dicano il falso. Chi non si
accontenta di pensare (come un selvaggio) che i fenomeni naturali non sono
collegati, non può credere che l'uomo sia opera di un atto separato di
creazione. Egli sarà costretto ad ammettere che l'intima rassomiglianza
dell'embrione umano con quello, ad esempio, di un cane, la struttura del
cranio, delle membra, dell'intera forma somatica dell'uomo ripete lo stesso
modello di quella degli altri mammiferi (indipendentemente dall'uso a cui le
singole parti sono destinate), la ricomparsa occasionale di varie strutture,
per esempio, di parecchi muscoli che normalmente non sono presenti nell'uomo,
ma che sono normali nei quadrumani, ed una quantità di fatti analoghi, tutti
portano nella maniera piú evidente alla conclusione
che l'uomo discende da un progenitore comune agli altri mammiferi.
(L'origine dell'uomo)
Pertanto, come nei regni vegetale ed animale, cosí anche in quello degli organismi umani dominano le leggi dell'ereditarietà, della lotta per l'esistenza e della selezione naturale.
Abbiamo visto che l'uomo presenta
continuamente differenze individuali in tutte le parti del corpo e nelle
facoltà mentali. Queste differenze o variazioni dipendono dalle stesse cause
generali e obbediscono alle stesse leggi che negli animali inferiori. In
entrambi i casi valgono le stesse leggi dell'eredità. L'uomo tende a
moltiplicarsi molto al di là dei suoi mezzi di sussistenza, e di conseguenza è
soggetto occasionalmente ad una grave lotta per l'esistenza e la selezione
naturale agisce su tutto ciò che è nel suo campo d'azione. Non è affatto
necessaria una successione di variazioni molto spiccate di natura simile, piccole,
fluttuanti differenze individuali bastano per l'azione della selezione
naturale; non vi è ragione di pensare che nella stessa specie tutte le parti
dell'organizzazione tendano a variare nello stesso grado. Possiamo esser certi
che gli effetti ereditari del continuo uso o disuso di parti agiscono
intensamente nella stessa direzione della selezione naturale. Modificazioni
dapprima importanti, anche quando non servono piú in
qualche funzione particolare, rimangono per lungo tempo ereditarie. Quando una
parte si modifica, altre parti cambiano per principio di correlazione, di cui
abbiamo esempi in molti strani casi di mostruosità correlative. Si può
attribuire qualche effetto all'azione diretta e definita delle condizioni
ambientali, come l'abbondanza di cibo, il caldo o l'umidità; infine molti
caratteri di leggera importanza fisiologica ed alcuni invece di notevole valore
sono stati acquisiti per selezione sessuale.
(L'origine dell'uomo)
Anzi, proprio in virtù delle leggi generali dell'evoluzione è possibile spiegare le differenze tra le diverse razze umane, e ricondurre queste ad un unico ceppo.
Mediante i mezzi prima detti e con l'aiuto
forse di altri non ancora scoperti, l'uomo si è elevato al suo stato attuale. E
dal momento in cui ha raggiunto il suo posto di uomo, si è distinto in razze,
o, come si possono chiamare piú propriamente,
sotto-specie differenti. Alcune di queste, come i negri e gli Europei, sono cosí diverse tra di loro, che se si portassero ad un
naturalista degli esemplari, senza nessun'altra notizia, egli le giudicherebbe
senza dubbio come specie differenti. Nondimeno tutte le razze umane concordano
in tanti insignificanti dettagli strutturali e in tante particolarità mentali,
da poterle soltanto attribuire all'eredità da un comune progenitore; un
progenitore con queste caratteristiche avrebbe probabilmente meritato il posto
di uomo.
(L'origine dell'uomo)
Ed è possibile pure individuare gli «antenati» prossimi e remoti dando loro una collocazione nella «serie zoologica». zoologica
Se consideriamo la struttura embriologica
dell'uomo, le analogie con gli animali inferiori, i rudimenti che conserva, e
la reversione cui è soggetto, possiamo in parte immaginare la condizione
primitiva dei nostri progenitori e possiamo approssimativamente collocarli in
un posto appropriato nella sene zoologica. Impariamo cosí
che l'uomo è disceso da un quadrupede peloso, provvisto di coda, probabilmente
con l'abitudine di vivere sugli alberi e che abitava il Vecchio Continente. Se
un naturalista avesse esaminato l'intera struttura di questo essere l'avrebbe
classificato tra i Quadrumani, con la stessa sicurezza con cui avrebbe
classificato l'ancora piú antico progenitore delle
scimmie del Vecchio e del Nuovo Continente. I quadrumani e tutti i mammiferi piú elevati derivano probabilmente da qualche antico
marsupiale e questo, attraverso una lunga discendenza di forme che andavano
divergendo, da qualche creatura simile agli Anfibi, e questi ancora da qualche
animale simile ai pesci. Nella profonda oscurità del passato, possiamo
intravedere che il primo progenitore di tutti i Vertebrati deve essere stato un
animale acquatico, provvisto di branchie, coi due sessi riuniti nello stesso
individuo e con la maggior parte degli organi piú
importanti (come il cervello e il cuore) imperfettamente o per nulla
sviluppati. Questi animali dovevano esser piú simili
alle attuali ascidie di mare che a qualsiasi altra forma conosciuta.
(L'origine dell'uomo)
Certo, restano da «spiegare» le qualità intellettuali e morali, e le attitudini e capacità ad esse connesse, che sembrano essere caratteristiche specifiche ed esclusive dell'uomo. Ma Darwin non si sottrasse a questo compito. Egli infatti sostenne che le qualità morali sono espressione matura di istinti sociali propri anche degli animali, di quegli istinti per i quali gli animali si aggregano, ad esempio, secondo «vincoli familiari». E quanto alle facoltà intellettuali superiori (raziocinio, astrazione, autocoscienza), esse sono l'esito del miglioramento di quelle facoltà mentali che anche gli animali mostrano di possedere attraverso il linguaggio e l'arte con cui organizzano la loro vita.
Dopo essere giunti a questa conclusione
sull'origine dell'uomo, la piú grande difficoltà che
si presenta rimane l'alto livello delle nostre facoltà intellettuali e morali.
Chiunque ammetta l'evoluzione sa che le facoltà mentali degli animali
superiori, le quali sono della stessa specie di quelle dell'uomo, sebbene di
grado cosí differente, sono suscettibili di
progredire. Cosí il divario tra le facoltà mentali di
una delle scimmie piú elevate e quelle di un pesce,
oppure quelle di una formica e di un coccus, è
immenso; inoltre il loro sviluppo non offre nessuna speciale difficoltà,
infatti negli animali domestici le facoltà mentali sono variabili e le variazioni
sono ereditarie. Nessuno dubita che le facoltà mentali sono della massima
importanza per gli animali allo stato naturale. Vi sono quindi tutte le
condizioni per il loro sviluppo mediante la selezione naturale. La stessa
conclusione si può estendere all'uomo: l'intelletto deve essere stato molto
importante per lui anche in un periodo molto remoto, perché gli ha permesso di
inventare e usare il linguaggio, di costruire armi, utensili, trappole, ecc.,
in modo che con l'aiuto della sua abitudine di vivere in società, egli molto
tempo fa riuscí a dominare tutti gli esseri viventi.
Un grande passo nello sviluppo dell'intelletto si ebbe non appena entrò in uso
il linguaggio, per metà arte e per metà istinto; infatti il continuo uso del
linguaggio deve aver agito sul cervello e determinato un effetto ereditario; e
questo a sua volta ha agito sul miglioramento del linguaggio. La grandezza del
cervello dell'uomo, relativamente al corpo, in confronto agli animali
inferiori, può attribuirsi in massima parte ad un primitivo uso di una semplice
forma di linguaggio, quel congegno meraviglioso che assegna parole ad ogni
sorta di oggetti e di qualità, e suscita una serie di pensieri che non
sorgerebbero mai dalla pura impressione dei sensi, o anche se si formassero non
avrebbero alcun seguito. Le facoltà intellettuali piú
elevate dell'uomo, come il ragionamento, l'astrazione, e la coscienza,
probabilmente derivarono dal continuo miglioramento ed esercizio delle facoltà
mentali.
(L'origine dell'uomo)
L'uomo dunque, per Darwin, è un essere «superiore», ma le sue origini biologiche sono animalesche; il che non deve procurar vergogna; anzi egli rappresenta proprio la punta piú avanzata dell'evoluzione naturale.
Per parte mia vorrei piuttosto esser disceso
da quella piccola eroica scimmietta che sfidò il suo
terribile nemico per salvare la vita del proprio guardiano, o da quel vecchio babuino che, discendendo dalle montagne, portò via
trionfante un suo giovane compagno da una torma di cani stupiti, piuttosto che
da un selvaggio che trae diletto a torturare i nemici, consuma sacrifici di
sangue, pratica l'infanticidio senza rimorso, considera le mogli come schiave,
non conosce il pudore ed è tormentato dalle piú
grossolane superstizioni.
(L'origine dell'uomo)
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