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Relazione di Antonio De Bellis
La tipologia di testo usata è il "saggio". Le ragioni di questa scelta vanno riscontrate nel fatto che questo saggio è la rielaborazione del testo di una conferenza tenuta a Cambridge nell'estate del 1953, nell'ambito di un corso sugli sviluppi e sulle tendenze della filosofia britannica contemporanea.Il destinatario,logicamente, è il pubblico presente alla conferenza, e le scelte stilistiche sono state elaborate in riferimento al contesto dell'opera.Il linguaggio,infatti, è abbastanza semplice e colloquiale e anche la struttura non è particolarmente complessa, c'è una suddivisione in 10 capitoli e nell'opera c'è la totale assenza di personaggi agenti .Il contenuto è espresso dallo stesso autore che dichiara che presenterà una sintesi dei suoi lavori sulla filosofia della scienza a partire dal 1919. Allora, giovane studente a Vienna,ha cercato di dare risposta al seguente problema: "esiste un criterio per determinare il carattere scientifico di una teoria?" Se esiste un simile criterio, su questa base si potrà "stabilire una linea di demarcazione fra scienza e pseudoscienza".
Epistemologia:Filosofia della scienza
Verificazione:metodo che cerca conferme per affermare la scientificità di una teoria
Falsificazione:metodo che sancisce la scientificità di una teoria in base alla possibilità che questa ha di poter essere controllata dunque falsificata.
Induzione:metodo che dall'osservazione di un fenomeno particolare formula una teoria universalmente valida.
Dunque, ciò di cui si discute è il problema della demarcazione tra una teoria scientifica e una che non lo è?A questo punto Popper analizza i problemi e le divergenze delle teorie più importanti del suo tempo, riferendosi alla psicoanalisi e al marxismo , oltre che all'ultima novità della Fisica, la teoria della relatività elaborata da Einstein tra il 1905 e il 1915.Dette teorie scientifiche erano diverse nei seguenti punti:
1)la teoria della relatività faceva predizioni sul comportamento della natura che, se non fossero state confermate, avrebbero mostrato che la teoria era in tutto o in parte sbagliata; ebbene, nel corso dell'eclisse del 1919 si poté misurare la curvatura della luce di una stella per effetto della gravitazione del Sole, curvatura esattamente prevista da Einstein; se l'osservazione avesse dato risultati diversi, la teoria di Einstein avrebbe dovuto essere abbandonata;
2)la psicoanalisi e il marxismo non facevano alcuna previsione di questo genere; non erano teorie "a rischio" nel senso che qualsiasi cosa fosse accaduta nel loro campo di studio queste teorie avrebbero potuto interpretarla in modo da salvare la teoria stessa. Avevano un enorme potere esplicativo, ma questo era in realtà soltanto apparente: lo studio di queste teorie "sembrava avere l'effetto di una conversione o rivelazione intellettuale, che consentiva di levare gli occhi su una nuova verità, preclusa ai non iniziati. Una volta dischiusi in questo modo gli occhi, si scorgevano ovunque delle conferme: il mondo pullulava di verifiche della teoria".
La
differenza è evidente: nel caso della teoria della relatività "la cosa che
impressiona è il rischio implicito nella previsione". Negli altri due casi
è la facilità con cui si ottengono conferme, a patto di interpretare i dati
alla luce della teoria (la chiave in questo caso è il concetto di
interpretazione di un fatto). Da qui la tesi: "il criterio dello stato
scientifico di una teoria è la sua falsificabilità, confutabilità, o
controllabilità". Dunque la psicoanalisi e il marxismo non fanno parte
della scienza, sono al di là della demarcazione (il che non significa che non
siano utili o che non contengano verità: significa solo che non rispettano un
criterio necessario per essere definite scienze. Naturalmente anche se una
teoria è confutabile, ed è quindi scientifica, di fronte a dati che la
confutano vi è chi tenta di salvarla: in questi casi c'è chi mette in atto una
"reinterpretazione ad hoc della teoria, in modo da sottrarla alla
confutazione. Una procedura del genere è sempre possibile, ma essa può salvare
la teoria solo al prezzo di pregiudicare il suo stato scientifico". Popper
chiama tale operazione di salvataggio "mossa o stratagemma
convenzionalistico".Sulla base del suo criterio di falsificabilità per la
soluzione del problema della demarcazione, Popper prende posizione contro
Wittgenstein. Questi nel Tractatus logico-philosophicus (1921) sostiene che le
proposizioni filosofiche e metafisiche sono del tutto prive di significato, e
quindi non hanno senso. Infatti per Wittgenstein tutte le proposizioni dotate
di senso rimandano a fatti d'esperienza. Dunque appartengono alla scienza
soltanto le proposizioni (e quindi le teorie) che possono essere dedotte da
fatti osservati. Popper ne conclude che per Wittgenstein il carattere
scientifico è dato da un "rozzo criterio di demarcazione basato sulla
verificabilità". In discussione è qui che cosa significa che una
proposizione ha o non ha un significato; per Wittgenstein nel Tractatus ha
significato e senso solo se fondata sulla esperienza. Popper nota che al tempo
delle discussioni all'interno del Circolo di Vienna la sua posizione contraria
a Wittgenstein era stata mal compresa. "Il mio contributo venne
interpretato dai membri del Circolo come una proposta per sostituire al
criterio del significato come verificabilità un criterio del significato come
falsificabilità". In realtà, Popper dice di non porsi il problema del
significato ("mi è apparso sempre un problema verbale, un tipico
pseudoproblema"), ma di essersi posto un problema diverso, appunto quello
della demarcazione. Anche i problemi filosofici e metafisici, a suo avviso,
hanno pieno significato, anche se non possono rientrare nel criterio di
falsificabilità e quindi non sono problemi scientifici. Popper rifiuta quindi
l'idea di Wittgenstein che il senso di una proposizione, e quindi di un
problema, dipenda dal suo rimando all'esperienza. Popper passa poi ad esaminare
il problema dell'induzione. E' il problema con cui si è confrontato Hume: come si
passa da una molteplicità di osservazioni ad una teoria che permette di
prevedere il comportamento della natura? E' corretto e scientificamente
affidabile il procedimento induttivo (che permette di passare da tanti casi
particolari ad un enunciato generale)? L'esempio tipico di Hume era questo:
come possiamo essere certi che domani sorgerà il Sole sulla base del fatto che
ogni giorno l'esperienza passata ci ha insegnato che il Sole è sorto? La
risposta di Hume era scettica; tuttavia l'uomo è portato a "credere" nell'induzione
perché guidato dall'abitudine. Ciò che ho visto molte volte accadere mi porta
alla credenza che lo rivedrò ancora accadere. Popper nota che si tratta di una
spiegazione psicologica poco convincente. "Come ammette lo stesso Hume,
anche una singola osservazione rilevante può bastare a creare una credenza o
un'aspettazione". E questo vale anche per gli animali: "Una sigaretta
accesa fu avvicinata al naso dei cuccioli. Essi l'annusarono subito, ma
scapparono e nulla li avrebbe più indotti ad riavvicinarsi alla sorgente
dell'odore e ad annusarla ancora. Pochi giorni dopo reagirono alla sola vista
di una sigaretta. O anche di un pezzo di carta bianca arrotolata, scappando via
e starnutendo". Hume, secondo Popper, ha torto: l'idea centrale di Hume è
che noi osserviamo delle somiglianze, notiamo la ripetizione e creiamo quindi
una abitudine ("assumiamo le situazioni come simili, le interpretiamo come
ripetizioni. (.) Dunque si tratta di ripetizioni soltanto da un certo punto di
vista. Ciò che è per me una ripetizione, può non apparire tale a un ragno. Ma
ciò significa che deve (.) esserci sempre un punto di vista prima che possa
darsi una qualsiasi ripetizione.") Dobbiamo dunque "sostituire
all'idea primitiva di elementi che sono simili la concezione di eventi cui noi
reagiamo interpretandoli come simili". Allora l'interpretazione dei fatti
osservati con cui costruiamo una teoria non è il prodotto di una costruzione
basata sull'esperienza (induzione) ma una vera e propria invenzione: una
congettura, un lanciarsi in avanti a prevedere il futuro, ma una congettura
rischiosa, nel senso che l'esperienza successiva si incaricherà di confutarla o
convalidarla. Certo, a monte c'è ancora l'esperienza: lo scienziato elabora la
sua teoria come risposta creativa ai problemi. Che cosa c'è quindi prima delle
prime esperienze? Troveremo idee innate che stanno a fondamento del pensiero
dell'uomo? Popper lo nega. Ma qualcosa di innato che spieghi l'origine del
meccanismo della congettura e della confutazione deve pur esserci. Un regresso
all'infinito non è accettabile. Questo qualcosa di innato sono le reazioni o
risposte innate: non certo consapevoli, ma al modo del bambino appena nato che
"si aspetta di essere nutrito e, potremmo sostenere, di essere protetto e
amato". "Siamo nati con delle aspettazioni", con una
"conoscenza psicologicamente o geneticamente a priori, precedente, cioè a
qualsiasi esperienza osservativa. Una delle più importanti tra queste
aspettazioni è quella per cui ci attendiamo di trovare [nella natura] una
qualche regolarità.". Su questo punto Popper richiama Kant
e la
sua concezione della causalità come forma a priori. Kant avrebbe ragione nel
proporre questa teoria per dare una soluzione non scettica alle ricerche di
Hume. Ma Kant "volle dimostrare troppo. Nel tentativo di illustrare come è
possibile la conoscenza, propose una teoria che aveva la conseguenza
inevitabile di stabilire che la nostra esigenza di conoscere è sempre sicuramente
soddisfatta, il che evidentemente non è esatto." Popper propone quindi di
distinguere due diversi atteggiamenti dell'uomo: l'atteggiamento dogmatico,
naturale nell'uomo e utile alla costruzione delle teorie (e alla loro difesa
contro apparenti confutazioni o piccoli errori della teoria, che va quindi solo
modificata): è proprio di chi ha credenze forti, di chi vede regolarità anche
dove non ve ne sono; el'atteggiamento
critico, proprio di chi è disponibile a modificare le proprie convinzioni. Naturalmente
l'atteggiamento dello scienziato è il secondo. Ma quello dogmatico, non
scientifico o pseudoscientifico, è anche in realtà semplicemente
pre-scientifico, nel senso che è più antico: "l'atteggiamento critico,
infatti, non è tanto opposto a quello dogmatico, quanto sovrapposto ad esso: la
critica deve essere diretta contro credenze esistenti e influenti, bisognose di
revisione critica - in altre parole contro le credenze dogmatiche." Le
credenze dogmatiche sono quindi la "materia prima" dell'atteggiamento
critico. Naturalmente la logica ha un'importanza notevole per l'atteggiamento
critico, perché i punti deboli di una teoria "si trovano generalmente solo
nelle conseguenze logiche più remote che se ne possono derivare". Il
procedimento per congetture e confutazioni è dunque razionale perché la nostra
accettazione delle congetture è sempre provvisoria. E "neppure c'è
alcunché di irrazionale nel fare affidamento, a scopi pratici, su teorie ben
controllate, giacché non ci è consentita nessuna condotta più razionale (.) del
procedimento per congetture e confutazioni, che consiste: nell'audace
formulazione di teorie, nel tentativo
di mostrare che tali teorie sono erronee ;e nella loro provvisoria accettazione
se i nostri sforzi critici non hanno successo." Le ultime pagine sono
dedicate all'esame di problemi specifici legati alla teoria dell'induzione, ad
esempio al tema della probabilità: c'è chi sostiene che, se anche l'induzione
non ci permette di raggiungere conoscenze scientificamente certe, ci permette
almeno conoscenze altamente probabili. Ma, rileva Popper, ogni enunciato
interessante e potente deve avere una bassa probabilità; e, viceversa,
un'asserzione con un'elevata probabilità sarà scientificamente priva
d'interesse, perché dice poco e non ha alcun potere di spiegazione".
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