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PLATONE (428-347 a.C.) - Verità e opinione: il mito della caverna

filosofia



PLATONE (428-347 a.C.)

1. Verità e opinione: il mito della caverna

Il nucleo principale del pensiero di Platone è la cosiddetta teoria delle idee contenuta nella Repubblica. Quanto questa teoria sia in realtà strutturata a vera e propria dottrina è ancora oggetto di dibattito e discussione, il dato di fatto è che vi è tutto un discorso, in Platone, che conduce a una determinata visione della realtà.

La filosofia di Platone nasce dall'esigenza di conciliare le conclusioni di Parmenide, il quale predicava la necessaria eternità e immutabilità di ogni cosa, con l'evidenza del divenire che si riscontra nella realtà sensibile.

Platone inizia con il definire chi è il vero filosofo: è colui che ama la verità (aletheia) e non insegue l'opinione (doxa). La verità è conoscenza suprema, la verità è nella conoscenza dei puri concetti; l'opinione, per contro, è quella conoscenza fallace che deriva dalla comprensione dei soli fenomeni sensibili, i quali sono soggettivi quando addirittura contraddittori (argomento già presente nella riflessione socratica). Vi è infatti una netta differenza tra un uomo che ama le cose belle (l'opinione) e un uomo che ama invece la bellezza in sé (la verità). Il primo non può che avere un'opinione della bellezza riferita ad una determinata contingenza, per cui la bellezza rimane per lui un'esperienza soggettiva, il secondo raggiunge la vera conoscenza del bello in quanto ne considera il concetto puro e universale, che conviene ad ogni caso particolare.



E' per illustrare questa teoria che Platone utilizza la metafora del mito, e uno dei miti più calzanti è senz'altro quello della caverna: Platone (attraverso Socrate) immagina gli uomini chiusi in una caverna, gambe e collo incatenati, impossibilitati a volgere lo sguardo indietro, dove arde un fuoco. Tra la luce del fuoco e gli uomini incatenati vi è una strada rialzata e un muricciolo, sopra la strada alcuni uomini parlano, portano oggetti, si affaccendano nella vita di tutti i giorni. Gli uomini incatenati non possono conoscere la vera esistenza degli uomini sulla strada poiché ne percepiscono solo l'ombra proiettata dal fuoco sulla parete di fronte a loro, e l'eco delle loro voci, che scambiano per la realtà. Se un uomo incatenato potesse finalmente liberarsi dalle catene potrebbe volgere lo sguardo e vedere finalmente il fuoco, venendo così a conoscenza dell'esistenza degli uomini sopra il muricciolo. In un primo momento, l'uomo liberato, verrebbe abbagliato dalla luce, la visione delle cose illuminate, e non solo della loro ombra, lo spiazzerebbe, ma avrebbe comunque il dovere di mettere al corrente i compagni incatenati. I compagni, in un primo momen 919c22j to, potrebbero ridere di lui, ma l'uomo liberato non può più tornare indietro e concepire il mondo come era prima, una volta venuto a conoscenza della verità non può più fingere di non sapere (ritorna il tema dell'intellettualismo etico socratico).

Nel mito della caverna la luce del fuoco rappresenta la conoscenza, gli uomini sul muricciolo le cose come realmente sono (la verità), mentre la loro ombra è la rappresentazione fallace e sensibile della realtà (l'opinione). Gli uomini incatenati rispecchiano la condizione naturale degli uomini, condannati a percepire l'ombra sensibile (l'opinione) dei concetti universali (la verità), ma Platone insegna come l'amore per la conoscenza (la filosofia) possa portare l'uomo a liberararsi delle gabbie incerte dell'esperienza e pervenire finalmente alla vera comprensione della realtà.

2. L'idea

Ogni cosa sensibile è opinione, in esse infatti non si scorge la perfezione dei concetti universali, le cose sensibili appaiono diverse da diversi punti di vista (sono opinioni) perché partecipano solo in parte alla perfezione dei concetti, in quanto le cose del mondo non sono il concetto stesso.

Esempio: esiste il concetto di grandezza, che non muta mai nel mutare di ogni cosa. Una città può partecipare nelle diverse epoche della sua storia al concetto di grandezza come a quello di piccolezza, essendo prima grande per poi ridiventare piccola, tuttavia, il concetto di grandezza in sé, non muterà mai, poiché identifica necessariamente solo uno stesso stato (non è possibile, infatti, che la grandezza sia allo stesso tempo grande e piccola).

Questo concetto che mai muta viene chiamato da Platone idea (da eidos=forma). L'idea di Platone vuole significare l'autentico apparire della verità, l'idea è la forma autentica della realtà, la sua forma certa e immutabile, quella forma di cui non si può dire per nessun motivo che sia errore e opinione.

L'idea platonica non coincide con il concetto universale di ogni cosa presente alla mente degli uomini, non è un semplice "oggetto mentale": nella scala platonica, prima viene l'idea, immutabile e abitante una sua propria dimensione ontologica, poi viene il concetto dell'idea che si forma nella mente (il concetto è il modo in cui l'idea viene percepita), solo dopo si collocano le cose sensibili. L'idea non è il semplice concetto, è un'entità dotata di esistenza autonoma, una sorta di "oggetto" eterno che vive eternamente al di fuori della coscienza degli uomini.

Fatto salvo l'essere che non muta (l'idea), Platone sostiene quindi che l'essere sensibile (le cose del mondo), diventa una realtà intermedia tra l'essere e il non essere. Le cose sensibili, infatti, sono corruttibili, mutano, divengono, si generano e si distruggono, hanno in sé parte dell'idea immutabile di cui sono la forma sensibile e parte del loro opposto (una cosa, ad esempio, è più o meno bella in quanto parte di essa partecipa, oltre che all'idea di bellezza, anche all'idea di bruttezza).


3. La molteplicità delle idee

Dunque, per ogni concetto rivelabile dall'intelletto come immutabile nella sua perpetua astrazione (l'idea in quanto concetto che si pone al di fuori della temporalità e della contingenza del mondo sensibile), esiste un'idea corrispondente, ovvero, esiste l'idea del cavallo, dell'animale, dell'uomo e di qualsiasi altro ente pensato. Queste idee, vere e proprie "matrici" eterne e perfettissime, vanno a concorrere in diversa misura alla creazione dell'ente terreno. Ad esempio nell'ente terreno "cavallo" entrano in gioco una molteplicità di idee, ovvero l'idea del cavallo, quella dell'animale, quella di quadrupede e quella di bellezza, in parti diverse per ciascun cavallo terreno.

La maggiore o minore bellezza di un cavallo, la sua maggiore o minore purezza di razza, la sua forza, la resistenza, la velocità, dipende quindi dalla maggiore o minore partecipazione del cavallo terreno alle idee assolute e perfette di bellezza, purezza, forza, resistenza e velocità.

Questo è il meccanismo di partecipazione alle idee perfette degli enti terreni, ogni cosa terrena è opinione proprio perché partecipa in diversa misura a quelle idee assolute che mai verranno a farne parte interamente, perché questo comporterebbe che un ente terreno sia perfetto quando l'idea, cosa impossibile, perché questo non permetterebbe alle cose terrene di mutare, così come accade in realtà nel mondo sensibile. Si pensi infatti a una cosa bella. Se essa fosse bellezza pura, non parteciperebbe a nessun altra idea che non sia la bellezza assoluta, quindi non potrebbe essere altro che pura bellezza. Questo è impossibile, perché la bellezza, nel mondo sensibile, fugge via e non permane, come ogni cosa nel mondo.


4. L'iperuranio: il mondo delle idee

Risulta chiaro, da queste premesse, che esistono due condizioni di esistenza, quella delle idee immutabili (il mondo intellegibile, percepibile dal puro intelletto) e quella degli enti sensibili (il mondo sensibile, percepito dai sensi).
Il mondo degli enti sensibili è il mondo che l'uomo ha davanti agli occhi quotidianamente, in cui gli enti, le cose esistenti, si generano e si distruggono, deperiscono; il mondo delle idee, chiamato da Platone Iperuranio (hyper=oltre; ouranos=volta celeste), è quindi il mondo in cui risiedono le idee eterne e immortali alle quali gli enti terreni e corruttibili partecipano in diversa misura. L'Iperuranio si trova al di là della volta celeste, in una regione da sempre esistente al di là del tempo e dello spazio, è il vero e proprio "caveau" delle matrici, la dimora dei concetti eterni e incorruttibili che rappresentano l'immagine perfetta delle cose terrene.

Platone risolve quindi il dilemma tra l'essere immutabile e l'essere diveniente creando due mondi separati: l'Iperuranio rappresenta l'aspetto autentico della realtà nella sua totalità (la verità); il mondo sensibile, rappresentante il mondo dell'incertezza, in cui nulla si può dire di certo che non sia opinione, è un mondo subordinato al primo, solo l'Iperuranio rappresenta infatti la verità, e la verità si pone in una posizione di superiorità rispetto all'opinione.

Ecco perché il vero filosofo, secondo Platone, è colui che si occupa della comprensione del mondo delle idee, il mondo sensibile non rappresenta la verità, e il filosofo, come primo dovere, ha quello di conoscere il vero.


4b. La struttura dell'Iperuranio

Dunque, per ogni cosa terrena esiste una molteplicità di idee iperuraniche che ne vanno a formare la realtà in diversa misura, ogni ente terreno partecipa in diversa misura alle diverse idee assolute.

Quindi non solo il mondo sensibile è caratterizzato dal molteplice (ovvero è formato di cose diverse e divise) ma anche l'Iperuranio è formato da idee immutabili diverse e divise tra loro. L'ordine necessario e immutabile in cui sono riunite le idee dell'Iperuranio è chiamato da Platone "dialettica". Essa è la struttura ordinata in cui si pongono in relazione tra loro le idee.

La struttura dell'Iperuranio è piramidale: alla sommità della piramide ci sono le idee partecipate dalle idee (e quindi anche dagli enti sensibili), quali, ad esempio, l'idea iperuranica che rappresenta il concetto delle idee iperuraniche, alla base si troveranno le idee che vengono partecipate solo dagli enti sensibili. Nelle posizioni intermedie si troveranno tutte quelle idee che in diversa misura sono partecipate dalle idee delle gerarchie a loro inferiori.

L'Iperuranio si viene a configurare, così, come una complessa struttura organizzata gerarchicamente. "Dialogo" è una parola che proviene dal verbo greco dialégo, che significa sia "raccolgo, unifico" che "distinguo, divido". La dialettica è allora la struttura unitaria della molteplicità delle idee eterne.

Se la dialettica è poi la struttura immutabile dell'Iperuranio, ovvero il modo in cui le idee sono autenticamente in rapporto tra loro, il sapiente, il quale vive nell'opinione delle cose sensibili, dovrà rivolgersi alla conoscenza della dialettica (alla "reminescenza" della dialettica,).


5. Il Demiurgo e la 'materia madre'

Ma chi e che cosa rende possibile la produzione del mondo sensibile in osservanza delle matrici iperuraniche?

Per permettere agli enti sensibili di partecipare all'intellegibile (permettere alle idee eterne di dare forma agli enti terreni) occorre che esista un dio creatore, il Demiurgo, ovvero una potenza che è causa del mondo sensibile e proprio per questo è a conoscenza della struttura stessa del mondo delle idee. Il Demiurgo è l'intelligenza che progetta il mondo.

Ma per plasmare il mondo, al Demiurgo occorre una materia che si lasci plasmare. In questo, Platone vede la necessità di separare l'intelligenza creatrice dalla creazione della stessa materia. Il Demiurgo non può far altro che intervenire sulla 'materia madre', ovvero una materia informe, eterna, non corruttibile e plasmabile, da sempre presente nell'universo. La materia madre è il principio femminile del cosmo, ciò che si lascia fecondare dall'azione creatrice del Demiurgo, Platone la chiama anche "chora" (=spazio) o Madre del Mondo.



6. L'immortalità dell'anima, la metempsicosi e il giogo corporeo

Anche l'anima è un'idea. L'anima è ciò che "rende vivo" ogni vivente, ogni vivente è vivo in quanto partecipa dell'idea della vita, e l'anima è l'idea delle cose che sono partecipate dalla vita. Anche l'anima abita l'Iperuranio, e, in quanto idea, è immortale e immutabile: non si può infatti parlare di anima morta, in quanto rappresenterebbe una contraddizione evidente, sarebbe come a dire bellezza brutta o luce buia. Quindi l'anima vive necessariamente, è ciò che vive necessariamente non può morire, quindi è eterna: ogni cosa eterna abita l'Iperuranio.

L'anima, essendo immortale, preesiste al corpo degli uomini, l'anima conosce il mondo eterno delle idee. Vivendo nel mondo delle idee, l'anima conosce la verità, ma quando l'anima si incarna in un corpo, in un ente terreno, essa non è più anima assoluta, ma è anima partecipante all'ente, ovvero è parte dell'anima assoluta. Per questo l'anima dell'uomo, giunta nel mondo sensibile, non è più in grado di ricordare la visione del mondo delle idee perché non è più se stessa interamente.

Platone fa dunque suo il concetto di trasmigrazione dell'anima (la metempsicosi): per Platone l'anima è un'idea eterna che continuamente si reincarna in diversi individui nel corso della sua esistenza. Le anime che durante il periodo intercorso tra una reincarnazione e l'altra hanno potuto più a lungo guardare il mondo delle idee sono, nel mondo terreno, le anime dei saggi; quelle che hanno potuto vedere il mondo delle idee per un periodo più breve sono, diversamente, le anime degli individui più gretti. Più l'anima ha contemplato le idee, più è saggia, meno le ha contemplate, più è gretta.

Nel Fedro, Platone si serve del mito della biga alata per spiegare il viaggio dell'anima: l'anima è come un auriga (la ragione) che guida una coppia di cavalli, uno è bianco e rappresenta la tensione verso il bene e la spiritualità, l'altro è nero e rappresenta la tensione verso il basso, verso gli istinti e le passioni degradanti e materiali. L'auriga, la ragione, è naturalmente portata a conoscere il bene e a farsi guidare dal cavallo bianco, ma il cavallo nero continuamente strattona il suo compagno per condurlo dalla parte opposta. Le anime che più si fanno guidare dal cavallo bianco, sono le anime che più si avvicinano alla verità. L'intero processo di reincarnazione comporta poi che l'anima sia continuamente influenzata dall'esperienza terrena precedente: le anime che maggiormente tendono al bene sono quelle che nell'esistenza terrena precedente sono appartenute a uomini eticamente validi. Ogni esperienza precedente trascina nella vita successiva il suo carico di virtù e di difetti.

L'anima può porre termine al ciclo di reincarnazioni quando trova la forza di liberarsi completamente da ogni giogo terreno: il corpo è per l'anima una gabbia, la tendenza naturale dell'anima, infatti, è quella di ascendere verso la spiritualità pura, il fine ultimo di ogni autentico sapiente (chiare analogie con il concetto di Nirvana). E' dunque palese come questa parte del pensiero platonico sia fortemente influenzata dalle filosofie e dalle religioni orientali (induismo e buddhismo), la cui influenza in Grecia si può riscontrare nell'Orfismo, una insieme di riti iniziatici misteriosi e fortemente impregnati di misticismo, ai quali già si ispirò Pitagora.


7. La reminescenza

Se l'anima dell'uomo ha dimenticato ogni cosa vista nell'Iperuranio, conoscere le cose del mondo significa riportare alla mente, ricordare, ridestare dalla memoria cose già conosciute: la reminescenza. Durante l'incarnazione dell'anima in un corpo, il trauma della nascita cancella la conoscenza delle idee, ma la loro memoria rimane comunque impressa nel profondo dell'anima. Il processo di crescita e di conoscenza di un individuo è quindi un riportare alla luce le idee dimenticate.

Quando infatti conosciamo qualcosa del mondo sensibile, ce ne facciamo un concetto, e il concetto che si forma nell'intelletto, proprio per la sua natura universale e la sua funzione di modello ideale, avrà sempre una maggiore perfezione rispetto alle cose sensibili. Questa precedenza dell'intellegibile rispetto al sensibile indica, secondo Platone, la precedenza dei concetti rispetto agli oggetti sensibili, per cui le idee dei concetti preesistono necessariamente alla loro realizzazione sensibile, conoscere non può che essere una attività di riconoscimento di questi concetti universali, i quali, proprio perché validi sempre e indipendentemente dai singoli casi concreti, sono eterni e salvi nell'Iperuranio sottoforma di idee, non potento partecipare alla corruttibilità degli enti sensibili.


8. Le facoltà dell'anima

L'anima non si distingue solamente per la possibilità di conoscere e di ragionare, in essa si distinguono tre facoltà: la facoltà razionale, quella appetitiva e quella passionale.

La facoltà razionale è la facoltà che permette all'uomo di ragionare oggettivamente seguendo le regole della logica. E' una facoltà molto importante, la reale conoscenza, infatti, non può prescindere da una sua corretta applicazione;

La facoltà appetitiva è la parte dell'anima più istintiva, la parte caotica e primordiale, indocile, fortemente autonoma e meno arrendevole all'azione della ragione;

La facoltà passionale è quella parte dell'anima che genera le passioni, le quali si distinguono dai puri appetiti perché si lasciano dominare più facilmente dalla ragione. Le passioni sono, ad esempio, i sentimenti umani che nascono dalle ingiustizie, dalllo sdegno e dall'ira.

L'uomo giusto è allora colui il quale con la ragione tiene a bada appetiti e passioni, in modo da permettere ad ogni essere umano di conoscere la verità del mondo delle idee senza lasciarsi sopraffare dal sonno della ragione indotto dalle passioni e dagli istinti.


9. Il parricidio: la soluzione platonica del contrasto tra il divenire e l'essere

Platone considera Parmenide tanto importante per la sua formazione da chiamarlo "padre": il maestro eleatico viene definito da Platone, "venerando e terribile" (nel Parmenide), tanto che quando si accingerà a formulare una nuova teoria dell'essere in polemica con il maestro, Platone definirà la sua posizione come un parricidio. In cosa consiste, dunque, questo parricidio?

Parmenide (per il quale l'essere è sempre, mentre il non-essere non è mai) afferma che le cose del mondo sensibile sono opinione e falsità, ovvero il loro mutare, il loro divenire, è un'illusione, poiché l'essere non può divenire e trasformarsi in cose diverse, questo infatti comporterebbe la possibilità che l'essere non sia più identico a se stesso, sia altro da sé (si veda il capitolo su Parmenide). Ma l'innegabile mutare delle cose del mondo, il loro divenire, è così evidente che per Platone occorre salvare questa evidenza e trovare un punto di incontro tra il divenire e l'essere immutabile parmenideo.

Per fare ciò, nel Sofista, Platone elabora il concetto di essere relativo, fatto salvo però anche il concetto di essere assoluto. Platone non può che essere d'accordo con Parmenide nel caso ci si riferisca all'essere assoluto: questi non potrà mai essere qualcosa diverso da sé, ovvero l'essere assoluto non muta e non diviene.
Ma nel caso dell'essere relativo il ragionamento di Platone è il seguente: una cosa può mutare dallo stato di essere una certa cosa a uno stato di non essere più quella certa cosa, essendone comunque un'altra. E' infatti impossibile che una cosa non sia: il non essere si riferisce allora solo al non essere più qualcosa che in realtà è comunque un'altra, con riferimento al mutare delle forme. In pratica, l'essere può mutare solo perché diventa un altro essere, non cade nel nulla ma cambia forma.
Nel concetto di essere relativo, l'esistenza del molteplice implica l'esistenza del non-essere non come opposto assoluto all'essere, ma come diverso dall'essere assoluto.

In sostanza, l'ontologia di Platone tende ad unificare il divenire e l'essere in un'unica teoria filosofica, anche se salva la dicotomia fra i due concetti. All'essere compete l'anima e il mondo delle idee, al divenire la doxa e il corpo. E' chiaro che all'essere attribuisce un valore di immutabilità e di archè, mentre al divenire attribuisce un valore di mutabilità, corruttibilità e fallacia.



10. La concezione dello Stato in Platone

Larga parte del lavoro di Platone è dedicata alla riflessione su una teoria politica destinata, nell'intenzione, ad essere applicata nella costruzione di uno stato ideale, uno stato che sia la realizzazione pratica di quel bene e di quella giustizia che sono così perfettamente rappresentati nell'Iperuranio. E' nella Repubblica che espone il suo progetto politico: l'idea è che se la verità deve guidare il sapiente e il giusto nella formazione dei suoi concetti, tale verità deve avere necessariamente anche un carattere pratico.

Tutto questo discorso conduce inevitabilmente all'affermazione platonica che la filosofia e i filosofi devono guidare lo Stato: se lo Stato deve infatti rappresentare la verità, solo i filosofi che si rivolgono alla verità dell'Iperuranio e non all'opinione del mondo sensibile possono mettersi alla guida delle istituzioni, in quanto, conoscendo meglio di altri la verità, possono realizzare concretamente e al meglio i concetti della pura giustizia e del bene comune. La Repubblica platonica è considerato il primo esempio di utopia politica, tra gli lo scopi dello stato platonico vi è quello di avvicinare alla conoscenza della verità delle idee la comunità dei cittadini.

Quella che segue è la descrizione per sommi capi della struttura dello Stato proposta da Platone.

Nella Repubblica ideale verrà necessariamente tenuto conto della diversa natura di ciascun uomo, l'anima di ciascun uomo è infatti partecipata in diversa misura da diverse idee che ne determinano l'originalità caratteriale: esistono quindi uomini tendenzialmente agricoltori, altri artigiani, altri ancora guerrieri e altri filosofi. Nello Stato ideale ciascuna tendenza naturale verrà distinta e raggruppata in classi immutabili, poiché se la natura di ciascuna anima è immutabile, sarà immutabile anche l'appartenenza degli uomini a una certa classe.

Le classi che devono guidare lo Stato sono, nell'ordine, i filosofi (coloro che posseggono più degli altri la verità) e i guerrieri (i militari che agiranno da garanti del volere dei filosofi e da difensori dai nemici esterni). Queste due classi governeranno le classi inferiori costituite dagli artigiani e dai contadini, le classi produttrici dei beni necessari alla comunità. Le classi dominanti, tuttavia, non dovranno preoccuparsi solo del proprio bene, ma del bene comune, cosicché verranno abolite tutte quelle occasioni che potranno invogliare i reggenti alla cupidigia (prima fra tutte, verrà abolità la proprietà privata, quindi la famiglia, le donne verranno messe in comune e l'educazione dei figli sarà pianificata dallo Stato secondo le diverse inclinazioni dei ragazzi).

La famiglia deve essere abolita in quanto ostacolo all'interesse comune, i padri e le madri, per amore dei figli, agirebbero arbitrariamente in loro favore (sarà abolito così il nepotismo). In uno Stato in cui non vi sono più nuclei familiari, il compito di generare figli spetterebbe quindi alle donne liberate da ogni legame, esse genereranno figli abbinate casualmente e periodicamente a uomini diversi, i figli stessi saranno, appena nati, espropriati ai genitori e cresciuti dall'intera comunità. Essi non verranno a sapere da chi sono nati e chiameranno padre e madre ogni uomo e ogni donna della comunità.

L'educazione dei ragazzi seguirà tappe precise: ad essi, come al resto della comunità, verranno proibiti i contatti con l'arte e con la poesia, colpevoli di proporre imitazioni fuorvianti del mondo delle idee (gli artisti imitano il bello allontanando gli uomini dal vero concetto del bello) e di condurre gli animi all'eccessiva contemplazione delle forme sensibili. I ragazzi saranno educati allo sviluppo del corpo e dell'anima, attraverso le discipline militari e quelle musicali (musica era chiamata ogni disciplina avente per oggetto la crescita dello spirito). Essi saranno poi atrribuiti alle classi secondo le proprie inclinazioni naturali.

Lo Stato di Platone è un'aristocrazia, un dominio dei migliori (e i migliori sono i filosofi). Se, a prima vista, la Repubblica platonica sembra avere i tratti dispotici dello stato spartano, Platone ci ricorda che non è così, in quanto lo stato spartano è una "timocrazia", ovvero il dominio dell'ambizione. Tale dominio porta all'oligarchia, al dominio di pochi, per poi essere destinata ad entrare in crisi e sfociare naturalmente nella democrazia, l'abolizione dei privilegi degli oligarchi e il ritorno alla partecipazione dei cittadini. Infine, sempre secondo Platone, la democrazia tenderà alla tirannide, ovvero l'arbitrio assoluto di un solo reggente che deciderà senza alcuna idea di verità circa la vita e la libertà dei suoi sudditi. Lo Stato platonico differisce dalle altre forme storiche di stato perché in esso le regole istituzionali sono espressione della struttura autentica della realtà: tutto, nello Stato platonico, tende a realizzare la vita in conformità alla verità iperuranica, specchio della struttura stessa del cosmo. Dunque la libertà consiste nell'essere liberati dall'ignoranza e nella vita in conformità alla legge della verità.




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