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Tesina relativa "I principi di regolazione dello scambio sociale"

economia politica



Tesina relativa "I principi di regolazione dello scambio sociale"


L'interrogativo fondamentale su cui si è discute attualmente è la possibilità di individuare o meno un altro mondo economico finalizzato alla ricerca di un benessere sociale.

Le prospettive e le visioni riguardanti questo tema appaiono numerose e diversificate.

Al fine di una maggior comprensione è necessario iniziare il discorso riprendendo i principi indiscutibili attorno a cui ruotano gli economisti.

Il più semplice dei concetti è cosa si intende normalmente nelle scienze politiche, economiche e sociali con la definizione di homo oeconomicus. Storicamente la razionalità dell'homo oeconomicus consiste nelle forme di azione che consentono all'individuo di perseguire gli obiettivi che apportano benefici minimizzando i costi delle sue azioni. L'homo oeconomicus agisce quindi in maniera razionale e massimizzante. Questa logica economica è stata la protagonista di un grande processo di rivoluzione nei paesi o 515b19f ccidentali: la rivoluzione francese prima, a seguire quella inglese e quella americana. Tali eventi hanno abbattuto sistemi sociali e politiche tradizionali rendendo possibili il dominio e l'affermazione della borghesia.



E' questa la nascita della modernità. L'economia ha segnato e accompagnato il percorso di tante società da tradizionali a moderne. Il principio del conseguimento dell'utile personale, ossia il vantaggio monetario che frutta da un'attività economica, è proprio dell'Illuminismo, in contrapposizione alla tradizionale visione oscurantista.

La visione tradizionale sostenuta fino al 1700 indicava agli individui le "vie della rassegnazione", partendo dal concetto che qualsiasi cambiamento sarebbe avvenuto all'interno di quelli che oggi definiremo giochi a somma zero. Ad esempio un'impresa aumenta la quota di mercato nella stessa misura in cui risulta diminuita quella delle imprese concorrenti. Date ricchezze stagnanti in tali società, risultava conveniente per coloro che detenevano il potere mantenere l'ordine sostenendo che se qualcuno avesse voluto stare meglio, qualcuno sarebbe stato peggio, tenendo costante il Prodotto Interno Lordo. A fine 1700, l'innovazione tecnologica e il fenomeno dello spostamento dalle campagne alle città, innescarono un processo di crescita economica improntato sulla visione illuminista. Illuminista, vs oscurantista, è colui che afferma che se ciascuno punta a stare meglio, non necessariamente qualcun'altro starà peggio, anzi, si attiverà un meccanismo sinergico in cui ogni individuo, perseguendo un utile, darà vita a un utile e miglioramento complessivo. E' il messaggio dell'utilitarismo, strettamente connesso all'illuminismo e alla rivoluzione borghese: se ciascuno, persegue il proprio utile e starà meglio, tutti alla fine staranno meglio. I fondamenti del pensiero utilitarista sono:

-le scelte e il comportamento razionale dei soggetti economici tendono inevitabilmente a massimizzare i benefici e minimizzare i costi

-il benessere sociale è dato dalla somma delle utilità individuali, definite come la differenza tra i benefici e i costi.

Se tale messaggio è valido per alcuni ambiti, non è detto che lo sia per tutti.

Avere più reddito può essere vero per tutti , ma diventare dirigente di una fabbrica non è per tutti. Quindi, partendo dall'osservazione che non sempre dalla massimizzazione del benessere individuale consegue quella del benessere dell'intera collettività, si giunge alla distinzione tra l'agire utilitaristico come ricerca della massima utilità individuale - act utilitarism -, e l'agire utilitaristico come ricerca della massima utilità sociale - rule utilitarism -. Se l'agire secondo la prima regola è un atto spontaneo per tutti gli individui, il secondo comportamento deve essere assicurato dall'operatore pubblico il

cui compito è appunto quello di perseguire il massimo benessere sociale, intervenendo laddove la ricerca della massima utilità individuale si contrasterebbe con le esigenze della società. C'è quindi una semplificazione ed una contraddizione nel discorso, che ha portato a conseguenze disastrose nell'800 inclinando gli stessi interessi della borghesia.

E' in questo contesto che si colloca la presenza dell'economia, il cui ruolo è coniugare la crescita economica con l'ordine sociale. Le leggi finalizzate al buon ordinamento devono regolare non solo il perseguimento dell'utile individuale, ma anche quello del libero mercato: la domanda dei consumatori orienta i produttori che a loro volta producono beni, e questi ultimi saranno scambiati attraverso il meccanismo della domanda-offerta, ossia il sistema dei prezzi che rappresenta la possibilità di coniugare la crescita economica con il perseguimento adeguato dell'ordine. Lo scambio di merci deve essere libero orientato a merci di egual valore in relazione alle ore di lavoro.

Il Liberismo, sostenendo il principio della libera concorrenza, si oppone all'intervento dello Stato in economia. Secondo tale teoria, l'offerta crea la propria domanda e il sistema economico, lasciato a se stesso, tende automaticamente all'allocazione ottimale delle risorse. Tuttavia di fronte a casi di evidente "fallimento del mercato", ovvero situazioni nelle quali il mercato non fornisce allocazioni efficienti, emerge l'intervento pubblico nell'economia. Infatti, nell'Occidente vi sono state crisi che il mercato non ha contenuto e che non è riuscito ad evitare.

Un primo momento è legato alla fine dell'800 con l'industrializzazione, quando si è   riscontrata, nei registri di leva, una forte flessione degli iscritti attribuita ai ritmi violenti della crescita del liberal-capitalismo: non esistevano limiti all'orario di lavoro, al lavoro minorile e alla tutela sindacale. Questo insieme di fattori presenta un paradosso: lo sfruttamento senza limiti della manodopera è coerente con l'accumulazione di utili da parte del singolo capitalista, ma è contrario alla massimizzazione del profitto perché il profitto è proporzionale alla manodopera utilizzata, per cui la flessione di forza lavoro implica una caduta dei profitti dell'impresa. Quindi l'alta mortalità della classe operaia è "producente" per il capitalista singolo, ma è controproducente per il capitalismo complessivo. Ecco allora che interviene lo Stato nel capitalismo, istituzione che si accompagna al liberal-capitalismo e che interviene a salvaguardia del sistema capitalista ridistribuendo costi e benefici al mercato il cui primo momento chiave è la riduzione delle ore lavorative.

Secondo momento chiave è la crisi del 1929, evento che mostra i limiti di riequilibrio automatico del sistema. Il capitalismo ha l'imperativo di aumentare la produzione, ma giunge il momento in cui la produzione crescente diventa sovrapproduzione e dalla quale deriva il sottoconsumo. Con l'avvento della politica del New Deal l'intervento dello stato nel sistema economico divenne sempre più importante in quanto unico elemento in grado di garantire un equilibrato sviluppo economico.

Le leve del sistema politico, infatti, consentirono di ridistribuire ricchezza al fine di aumentare i consumi e uscire dalla crisi recessiva. Esiste una curva di propensione marginale al consumo collegata al reddito. Essa esprime la relazione tra variazioni del consumo e variazioni del reddito ed è data dal rapporto tra aumento del consumo presente e aumento del reddito. Dato che la crisi è recessiva, è necessario distribuire ricchezza ha chi presenta un'alta propensione al consumo. L'iniziativa del presidente Roosvelt fu esemplificata nello slogan "spend five dollar every week", è questo il principio di redistribuzione che viene giocato dal sistema politico come correttivo al mercato basato sul libero scambio.

Il dibattito è se dare lo spazio al mercato - libero scambio - o allo Stato -redistribuzione-. Tuttavia un libero scambio puro non esiste.


Ciò che rimane puro sono i principi di scambio in cui il principio di redistribuzione delle ricchezze non solo esiste, ma assume un ruolo centrale. A questi due fondamenti, scambio e redistribuzione, se ne aggiunge un terzo: il principio della reciprocità, ossia qualcosa di cui noi vediamo traccia nella società ma con un'importanza residuale.

Dal principio della reciprocità, Marcel Mauss ne ha derivato il meccanismo del dono: il dono innesca, secondo schemi sinergici, una scambio sociale che ha valenza economica ma diversa dalle altre; permette infatti di costruire la relazione sociale.

Nel meccanismo del dono il perseguimento della leadership richiede di donare in misura maggiore rispetto ad altri, acquisendo così una ricchezza superiore configurabile nelle relazioni sociali. E' questa la creazione del capitale sociale, inteso come una rete di legami e relazioni che conferiscono ricchezza non misurabile. Tale meccanismo va in crisi nelle società del libero mercato che vedono come fondamento la mobilità dei soggetti. La mobilità eleva i rischi e dà l'immagine di un principio di reciprocità presente nelle società stagnanti. Il principio di reciprocità è inversamente proporzionale alla crescita economica: è per questo motivo che era considerato residuale e tradizionale. La ragione di ciò consiste nel fatto che la moderna società di mercato si è andata costituendo attraverso una separazione radicale degli aspetti economici dal più ampio tessuto sociale. Già a partire da Adam Smith si iniziò a pensare che nel campo economico il motore della ricchezza fosse l'interesse individuale. Ai fini del benessere economico collettivo non conterebbe la solidarietà o l'altruismo, quanto quell'armonia naturale degli interessi che agisce come una "mano invisibile" dando forma al bene comune.

Oggi siamo abituati a pensare alla società come qualcosa che si risolve essenzialmente nelle sue dimensioni economiche e materiali e al bene sociale come qualcosa di connesso alla crescita e allo sviluppo. Lo stesso benessere degli individui è misurato in termini economici e monetari proprio perché le persone sono concepite come individui privati di ogni caratteristica sociale. Oggi non siamo abituati a chiederci, da questo punto di vista, se la prosperità individuale, raggiunta a prezzo del degrado sociale generale, sia in sé un fatto positivo o socialmente accettabile. Quello che la modernità ci ha consegnato è un'idea di prosperità che è al contempo materiale, economica e utilitaristica. L'Utilitarismo, secondo Alain Caillé, principale animatore del MAUSS (movimento antiutilitarista delle scienze sociali) non rappresenta un sistema filosofico o una componente fra le altre dell'immaginario dominante nelle società moderne.

Piuttosto esso è diventato quello stesso immaginario, al punto che, per i moderni, è in larga misura incomprensibile e inaccettabile ciò che non può essere tradotto in termini di utilità e di efficacia strumentale. Nel migliore dei casi, quel che appartiene al campo del non utilitario è pensato come superfluo e nell'ideale inaccessibile, perché non di questo mondo. Eppure Marcel Mauss sottolineava già da molto tempo la centralità del dono e della reciprocità in alcune società. Mauss, prima ancora di Polany, sosteneva che l'idea dell'uomo come "animale economico" era in realtà un'invenzione recente e tipica delle società occidentali, ovvero che l'homo oeconomicus non è iscritto nella storia o nell'antropologia, ma è una creazione artificiale. E, soprattutto, il perseguimento brutale degli scopi individualistici nuoce al benessere dell'insieme e "di rimbalzo" all'individuo stesso, e che la logica del dono è ancora presente nella nostra società.

L'essenza del dono ha a che fare con l'uscire da se stessi, e si basa su una triplice obbligazione: l'obbligo di dare, l'obbligo di ricevere e l'obbligo di ricambiare.

Il dono è un circolo, è il filo che tesse la relazione, che costruisce il legame sociale perché "obbliga" nel tempo, rende costantemente dipendenti gli uni dagli altri.

Nella società moderna ogni forma di gesto gratuito ha in sé un egoismo mascherato, oppure qualcosa di eccezionale come parziale trasgressione alla normalità degli scambi


basati generalmente sul principio di utilità. Sarebbe facile concludere, dunque, che il dono non è altro che un residuo di una mentalità del passato, di un modo di concepire le cose adeguato a società tradizionali e oggi del tutto anacronistico nell'epoca della globalizzazione e del flussi finanziari. Da questo punto di vista si pongono immediatamente due questioni. la prima questione fondamentale è dunque comprendere se una società può tenersi insieme solamente grazie al perseguimento di obiettivi economici privati ed individualistici di imprenditori, lavoratori e consumatori, oppure se l'erosione della concezione sociale sottostante ad ogni società, non coincida, in qualche modo, con l'erosione della società stessa e delle possibilità di una reale convivenza.

La seconda questione, strettamente connessa alla precedente, è se effettivamente il dono sarebbe residuo destinato via via ad esaurirsi man mano che si diffonde l'economicizzazione del mondo. O piuttosto, se il principio del dono rappresenta un altro senso delle cose, un altro spirito che continua ad essere presente, anche se scarsamente riconosciuto, e qualcosa, per giunta, che continua a riprodursi e a confrontarsi dialetticamente con altre forme di scambio.

Si deve quindi ritenere che il dono, ossia ogni prestazione effettuata senza garanzia di restituzione al fine di creare il legame sociale, non concerne soltanto momenti isolati e discontinui dell'esistenza sociale, ma la sua stessa totalità. Pertanto, parallelamente all'importanza del dono nei paesi sottosviluppati come forma di resistenza all'imperialismo economico e del mercato, è interessante analizzare la riscoperta del dono in occidente. E' evidente che il dominio dell'economia rende opaca la presenza del dono; esso non solo è presente nelle società moderne, ma lo è molto di più rispetto a quanto noi pensiamo. Occorre, quindi, individuare la presenza del dono nella modernità.

Da questo punto di vista, la sfida è rompere lo schermo dell'utile, dell'interesse come criterio di riconoscimento, interpretazione, valorizzazione della realtà ambientale e sociale, e della definizione delle priorità politiche e sociali. E' importante portare alla luce le dimensioni dello scambio sociale e dell'azione individuale e sociale non dettate principalmente dall'interesse. Si tratta infatti di un passaggio fondamentale nel tentativo di limitare e contrastare il dominio dei criteri di profitto e della competizione economica. Emerge quindi un'economia articolata su tre poli: il mercato, lo stato e il dono. Questi poli corrispondono ai differenti principi di organizzazione della società: il principio di mercato, il principio di redistribuzione e il principio di reciprocità. E' il loro riconoscimento ed è la loro ibridazione a permettere di pensare la nozione di economia plurale in opposizione al principio di unicità del mercato.

Con l'avvento del capitalismo, l'insieme della vita sociale è sottoposta alla legge economica. In problema, però, non consiste in un eccesso di crescita economica, che si tratterebbe di ricondurre a giuste proporzioni mediante la costruzione di corpi intermedi tra mercato e stato, come il cosiddetto terzo settore o economia plurale, ma è la forma stessa della società che diventa economica. L'economia non si sviluppa contro o fuori dalla società. Essa piuttosto la ingloba e procede alla sua riorganizzazione secondo la logica dell'efficienza. In tal senso, la possibilità di reincorporare l'economico nel sociale resta problematica fin tanto che si resta nell'immaginario economico.

Il problema centrale è proprio una questione di "immaginario": esiste una contraddizione insormontabile tra l'immaginario economico in cui siamo immersi e l'immaginario che implica l'espansione di un'autentica economia plurale.

Si tratta allora di pensare la compatibilità tra i tre poli della triade di scambio, redistribuzione e reciprocità.

Il principio della reciprocità sociale oggi sta emergendo e si sta affermando. Esso è ritenuto valido in quanto capitale sociale e fiducia reciproca.

Esiste un costume condiviso: la morale , l'etica; capisaldi senza i quali il liberal -

capitalismo degenererebbe.

Il mercato, in assenza di fiducia, degenera perché lo scambio si realizza peggio.

Le fondamentali forme di integrazione fra economia e società saranno allora la reciprocità ( dono), la redistribuzione (stato) e lo scambio (mercato).

Sahlins, partendo dalla teoria di Polany, sostenne tre tipi di reciprocità: generalizzata, bilanciata e negativa. La reciprocità generalizzata nasce da un rapporto istituzionale basato su valori di cooperazione e solidarietà (per esempio i doveri familiari, il dono, l'ospitalità). La reciprocità bilanciata riguarda scambi simultanei di beni della stessa categoria, è una reciprocità equilibrata, centrale rispetto al continuum di atti di scambio. Sancisce e deriva da relazioni sociali. La reciprocità negativa è costituita da uno scambio finalizzato ad ottenere un utile (ad esempio un baratto vantaggioso). È la forma più impersonale di scambio, è il tentativo di ottenere impunemente qualcosa.

La reciprocità, in generale, avviene fra istituzioni simmetriche e sta ad indicare movimenti tra punti correlati di gruppi simmetrici.

La redistribuzione indica movimenti appropriativi in direzione di un centro e successivamente proveniente da esso. La redistribuzione è un movimento di beni in condizione di simmetria istituzionale. Di norma si tratta di un centro che distribuisce risorse a gruppi o istituzioni periferici.

Lo scambio si riferisce a movimenti bilaterali che si svolgono tra due "mani" in un sistema di mercato autoregolato fra soggetti diversi, dove per mercato autoregolato si intende che i prezzi eguagliano la domanda e l'offerta di beni, la moneta è un bene fungibile di uso generalizzato, tutti i beni diventano merci e possiedono un loro mercato, occorrono mutamenti politici e culturali che rendono possibile il funzionamento del mercato: "la grande trasformazione".

Se nella reciprocità c'è una simmetria e nella redistribuzione una centralità, invece nello scambio i soggetti sono liberi. Sono chiare le necessità istituzionali delle diverse forme: la reciprocità richiede gruppi organizzati in forma simmetrica (ritrovabili nella comunità tradizionale ma anche nelle associazioni di volontariato), la redistribuzione necessita di qualche forma di centralizzazione o di autorità centrale ( fornita di norma dalle strutture dello stato), lo scambio richiede l'operare di mercati autoregolati dai prezzi e dai corrispondenti vincoli istituzionali. Sono queste le tre grandi forme pure che ritroviamo nella storia, ma anche nella contemporaneità.

Polany ritiene che l'area istituzionale, che comprende gli scambi collegati al commercio, il mercato e la moneta, sia un sistema composto da una terna di parti connesse e indiscindibili. Ciò ci deve far considerare l'importanza delle istituzioni che sottendono il mercato, il quale non è affatto qualcosa di spontaneo.

Entro questo modello, il mercato appare come una forma con ben pochi caratteri di naturalità, e con all'opposto forti tratti di artificialità, derivanti proprio dalla creazione istituzionale e legislativa in primo luogo. Un modello di questo tipo rende possibile la identificazione dei diversi tipi di sanzioni istituzionali (sociali, politiche, economiche) che regolano i rapporti tra i soggetti partecipanti alle transazioni, colpendo le devianze o gli opportunismi. Nella forma della reciprocità le sanzioni invadono la vita sociale nella sua interezza, derivando da aspettative generali diffuse di comportamento imposte dal sistema parentale, dalle reti di solidarietà, dai vincoli associativi. Nella forma della redistribuzione (o politica) le sanzioni, specifiche, sono derivate da regole formali (legislative) emesse dall'autorità e finalizzate al raggiungimento dell'ordine politico. Nel mercato il motivo dei comportamenti è l'interesse individuale, i conflitti sono risolti soprattutto dal movimento dei prezzi sul mercato, le sanzioni sono specifiche e attengono in prevalenza alla sfera economica. Le sanzioni possono essere lette dal lato degli incentivi negativi che esse permettono nei confronti degli attori delle transazioni

economiche. Le sanzioni di natura pubblica, ad esempio, non sono in molti casi ritenute adeguate per scoraggiare gli opportunismi dei managers. Gli incentivi permessi dallo scambio di mercato sono ritenuti talvolta ben più efficaci nel tenere sotto controllo questi comportamenti opportunistici. È questa una ragione sottostante a molte decisioni di privatizzazione negli ultimi anni, in svariati contesti nazionali.

Per capire il perché della necessità del terzo settore e del commercio equo e solidale, è bene guardare al prezzo delle materie prime: cereali, coloniali, petrolio, cotone.

Indici come il Nasdaq, il Nikkei e il Mibtel rappresentano non solo il potenziale andamento economico di coloro che hanno investito in borsa, ma anche di come l'economia si riflette sulle transazioni. Sarebbe opportuno che tutti sapessero che il prezzo del petrolio si basa sulle scommesse, giustificate e ufficiali, le quali hanno trasformato il petrolio da materia prima a prodotto finanziario.

I meccanismi per cui i valori finanziari sono sottoposti alla quotazione e allo scambio non rappresentano un danno, ma una garanzia perché tanti operatori rischiano danaro al fine di convergere ad una formazione trasparente dei prezzi.

Probabilmente una grande impresa potrebbe manipolare meglio i prezzi ma potrebbe farlo in modo opportunistico. E' quindi preferibile l'attuale situazione, dove il prezzo si forma con il concorso di molti più soggetti.

In riferimento ad un altro esempio, i lavoratori coinvolti nella coltivazione del cotone nel Sud del mondo sono circa 300 milioni. Anche negli Stati Uniti viene coltivato il cotone. Confrontando le due situazioni emerge una sostanziale differenza: lo stato interviene negli Stati Uniti a supportare tali lavorazioni attraverso un sostegno: sostegno che è di molto superiore all'ammontare complessivo del guadagno dei lavoratori del Sud del mondo.

Esiste nel mondo una disuguaglianza tra paesi: il 20% più ricco della popolazione mondiale consuma l'80% delle risorse. La critica che viene fatta è che tali paesi producono tanto: questi paesi sono ricchi perché capaci di produrre, c'è la capacità produttiva adeguata alla producibilità, per cui il problema è costituito dall'aiutare i paesi rimanenti arretrati sulla scala della crescita a svilupparsi. Altro dato scarsamente conosciuto è che il 20% più ricco della popolazione mondiale ottiene il 94% del credito totale erogato nel mondo, dove il credito è il sostegno, il motore necessario per la produzione. La relazione tra credito e reddito è riconducibile al fatto che il 20% della popolazione mondiale ha molto reddito e quasi tutto il credito.

Leggendo tale relazione da un altro lato, emerge un problema: se l'80% della popolazione mondiale produce il 20% del prodotto mondiale, non gli è stato fatto credito quasi per niente, dove il credito è l'anticipazione necessaria per la produzione.

Allo stesso tempo la disponibilità di credito per quel 20% della popolazione totale è molto più alta rispetto alla necessità.

Tuttavia si dimostra che nell'80% povero della popolazione mondiale esistono attività imprenditoriali ed economiche. Non solo esistono attività d'impresa, ma sono anche caratterizzate da una loro specificità: non quella della razionalità economica, ma quella tra il dono e il mercato. E' in questo ambito che si colloca il commercio equo e solidale, gente che lavora, produce e con pieno diritto ad avere credito dal momento che esiste una ricchezza imprenditoriale vera.

Esiste una situazione in cui il mondo a basso reddito dispone di imprese sottovalutate e ignorate dal sistema finanziario. Si tratta di un'economia informale, dove l'economia e la tecnica sono confluite nel sociale e dove lo scambio si basa più sul dono che sul mercato. Il ricorso al dono in tali società appare come una forma di resistenza al potere esterno, a un potere che vuole realizzare la distruzione di ogni quadro sociale estraneo al mercato in quanto produttori o consumatori, isolati, atomizzati e concorrenti all'interno di un ordine omologante.

Tutta l'economia solidale e l'economia cosiddetta plurale si inseriscono nella riscoperta dello spirito del dono. Sono comprese nella definizione di "altra economia" , intesa come diversa e alternativa da quella oggi dominante, tutte le attività economiche che non perseguono le finalità del sistema economico di natura capitalistica e di ispirazione liberista. Le attività di "altra economia" perseguono il soddisfacimento del maggior benessere possibile per il maggior numero di persone e hanno come finalità primaria la valorizzazione delle capacità di tutti. Esse attribuiscono particolare attenzione a quanto viene realizzato nei paesi poveri in modo da contribuire a compensare il più rapidamente possibile gli squilibri oggi esistenti. E' necessario dare una chance a queste microimprese. L'economia solidale intrattiene un rapporto sia con il settore privato tramite la vendita, sia con il settore pubblico tramite le sovvenzioni e con la società civile. E' in questo contesto che si colloca il commercio equo e solidale, il cui obiettivo è il benessere dei produttori e le regole del meccanismo di mercato.

Il commercio equo e solidale può essere definito come impresa sociale solo parzialmente: in esso coesistono forme di lavoro, di economia e di volontariato.

Dal punto di vista pratico si propone come attività economica, come modo diverso di produrre e vendere prodotti caratterizzato da nuove dinamiche di scambio economico.

Le imprese dell'economia alternativa si pongono in atteggiamento cooperativo e solidale tra loro. Sono orientate alla creazione di lavoro qualificato ed equamente ridistribuito e tutto il maggior valore creato, in quanto contributo delle capacità umane utilizzate nella produzione, viene reinvestito nelle attività di economia alternativa.

Tali attività rispondono a norme di trasparenza in una logica di relazioni improntate allo scambio solidale.

Il criterio caratterizzante e vincolante il commercio equo e solidale consiste nel pagamento del 50% del valore della merce nel momento stesso in cui viene ordinata. Questa "anticipazione" costituisce un sostegno, è il credito. Allo stesso tempo l'ammontare dei pagamenti viene deciso all'inizio, si tratta di prezzi fissi e trasparenti, indipendenti dal prezzo delle materie prime.

Tale meccanismo sta in piedi attraverso la finanza etica: l'attività commerciale del commercio equo e solidale dipende da strutture che gestiscono risparmi e lo investono in tali attività. La finanza etica è tesa a rispondere alla "domanda" di credito che proviene dalle fasce deboli e sottosviluppate della popolazione. Possono essere individuate tre diverse concezioni di finanza etica: la prima include intermediari finanziari che utilizzano in beneficenza una parte dei rendimenti ottenuti dagli investimenti sui mercati ; la seconda si riferisce agli intermediari finanziari che nei consigli di amministrazione orientano i componenti delle aziende verso una maggiore responsabilità sociale; l'ultima comprende gli intermediari finanziari che non investono in aziende che abbiano violato criteri etici o sociali. I risparmi, quindi, consentono di garantire ai lavoratori di materie prime un prefinanziamento.

Il commercio equo e solidale è caratterizzato da prezzi fissi, equi e trasparenti, da relazioni di lungo termine e dal not for profit: è questo l'aspetto determinante, il "non a scopo di lucro", gli utili sono reinvestiti nello scopo sociale.

Nell'economia solidale c'è un meccanismo di redistribuzione, ma soprattutto la logica è diversa perché vale il principio di reciprocità, per cui si instaura un vero e proprio meccanismo nuovo. Nel rapporto tra sostenibilità economica e sostenibilità sociale, l'economia solidale, in quanto produttore di beni relazionali, si pone come l'unica sostenibile nel lungo periodo. I suoi sono prodotti in cui l'utilizzo di materie prime ed energie è minimo. Essa produce sostanzialmente valore. Il valore nell'economia solidale si produce in valore, e ciò non coincide con la produzione dei beni fisici ,a principalmente nei beni relazionali. Nell'economia solidale, inserendo nel prodotto una qualità relazionale, si rende il bene unico.

Esso infatti contiene il sapere, la storia del suo percorso e tutto ciò fa la differenza.

Dunque, lo scambio sociale consiste nella relazione di ego verso alter, finalizzata alla solidarietà del noi, al legame sociale, alla comunicazione. La dimensione umana della reciprocità instaura un nuovo settore sociale: quello della spontaneità e del dono.

Non si vuole soppiantare lo stato o il mercato, ma si cerca di immettere nel sistema sociale un'innovazione basata sui fondamenti antropologici e culturali del dono.

Per avere una visione completa è bene considerare che in questi anni si sono sviluppate molte realtà che possono dar vita all'economia sociale: strutture che cercano di dare risposte non propriamente economiche ai bisogni emersi. Sono quelle che vengono identificate come terzo settore di attività di impresa, ovvero organizzazioni che non hanno finalità di lucro ma che vedono come obiettivo la finalità sociale: cooperative sociali, onlus, commercio equo e solidale, comitati e fondazioni e varie organizzazioni non governative. Si tratta di un settore, un tempo di nicchia, che sta avendo una crescita e un'espansione, per cui non è più possibile sottovalutarlo.

In riferimento alle cooperative sociali, sorte intorno agli anni '70, è possibile individuare cooperative di tipo A o B. Rientrano nel tipo A, i servizi sociali in campo assistenziale e nel campo della formazione. Appartengono al tipo B quelle attività che coinvolgono come lavoratori, almeno il 30% del loro organico: disabili, detenuti, tossicodipendenti. La dimensione imprenditoriale di queste attività si colloca in un indebolimento dei sistemi di Welfare. Il sistema derivante dalla combinazione di mercato, inteso come luogo in cui gli individui uti singuli perseguono i loro scopi privati, e dello stato, inteso come detentore monopolistico dell'azione collettiva, non risulta più funzionante. Sia che si consideri l'estensione dei mercati come soluzione a mali sociali, sia che all'opposto si ritenga l'impresa come un agente anti sociale, la globalizzazione ha messo in crisi il modello su cui si era costruito il paradigma per cui le imprese producono secondo un'ottica di efficienza e poi lo stato ridistribuisce secondo criteri di equità. Enti pubblici hanno quindi esternalizzato e dato in appalto la gestione di alcuni servizi e attività gestite poi da cooperative sociali e da volontariato.

Più del 50% del fatturato delle cooperative sociali viene dall'affidamento di gestione di servizi pubblici. Lo sviluppo delle cooperative sociali è legato molto alla crisi del Welfare. Esse nascono sulla base di una spinta a far crescere la partecipazione ad attività in cui la dimensione imprenditoriale è connessa alla dimensione sociale.

E' interessante notare come questa spinta si è modificata sia rispetto al Welfare, sia rispetto all'evoluzione interna del paese. Storicamente il 1991 è un anno chiave in quanto vengono approvate due leggi che inquadrano le "nuove" tipologie organizzative. Nel 1997 viene approvato il decreto legislativo sulle onlus. Nel 2000 vi sono altre due leggi importanti: una sulle associazioni che svolgono attività di rilievo sociale e l'altra in materia di riordino di servizi sociali. Queste leggi testimoniano l'interesse della politica verso forme di terzo settore. Questo mondo ha davanti a sé due rischi: rischio di diventare parastato: per cui alcune di queste esperienze rischiano di essere una "supplenza" allo stato che non riesce a pagarle, rischiando di giungere ad uno strumento subalterno allo stato con qualità sempre più bassa; rischio di diventare paramercato, con una logica di competizione per acquisire il cliente distogliendo l'attenzione dal valore aggiunto caratteristico di tali organizzazioni.

Le imprese sociali, caratterizzate da una logica no profit, devono puntare molto sul valore aggiunto che il nome rappresenta: il sociale identifica la caratteristica e la qualifica principale. Esse costituiscono una parte di un'economia diversa.

E' quindi necessario pensare alle imprese sociali non più come strumento per colmare le carenze del Welfare State, ma come paradigma per cambiare il modo d'essere delle istituzioni economiche.

Nelle attuali condizioni storiche, la missione specifica e fondamentale delle imprese sociali è quella di costituire un punto di riferimento obbligato per la propagazione nelle nostre società della logica della gratuità e dell'etica del bene comune. Se invece queste attività si accontenteranno di svolgere meri ruoli di supplenza oppure si limiteranno a presidiare la nicchia conquistata fino ad oggi, allora sarà difficile evitarne una decadenza. La sfida che le imprese sociali devono accogliere è quella di dispiegare nella sfera pubblica il principio della gratuità. La gratuità, che è essenzialmente una virtù, postula una precisa disposizione d'animo. I soggetti coinvolti in questa attività presentano una motivazione intrinseca gratuita perché libera. Infatti solo dove alberga la libertà c'è gratuità e solo la gratuità è pienamente libera. La forza del dono gratuito non sta nella cosa donata o nel quantum donato, ma nella speciale cifra che il dono rappresenta per il fatto di costituire una relazione tra persone.

Il dono gratuito, per sua natura, provoca sempre l'attivazione del rapporto intersoggettivo per eccellenza che è quello di reciprocità. E' solo con la reciprocità che si attua il riconoscimento reciproco che è precisamente ciò di cui si alimenta il rispetto di sé, ovvero il self esteem di cui già parlava Adam Smith. Il riconoscimento è il fenomeno con cui un soggetto viene accolto e fatto esistere nel mondo di altri.

E' in ciò, come si può ben comprendere, il principio genetico della socialità. L'essere umano si scopre nel rapporto interpersonale e dunque il suo bisogno fondamentale è quello di reciprocità. Due sono le fonti che generano e alimentano la reciprocità: il dono gratuito e lo scambio di equivalenti, cioè il contratto.

Nella reciprocità che nasce dal dono, l'apertura all'altro - una apertura che può assumere le forme più varie, dall'aiuto materiale a quello spirituale - determina una modificazione dell'io che, nel suo rientro verso la propria interiorità, si trova più ricco per l'incontro avvenuto. Non così invece nella reciprocità che nasce dal contratto, il cui principio fondativo è piuttosto la perfetta simmetria tra ciò che si dà e ciò che si può pretendere di ottenere un cambio. Tanto è vero che è a causa di tale proprietà che la forza della legge può sempre intervenire per dare esecutorietà alle obbligazioni nate per via contrattuale. La differenza tra dono gratuito e scambio di equivalenti sta proprio nell'assenza del contratto, cioè nell'assenza di garanzia a favore del donatore. E' questa assenza che, presupponendo un'apertura di credito verso l'altro, è capace di generare legami di fiducia nella società. Ebbene, l'identità propria del sociale è nel dono gratuito che genera reciprocità. L'uscita dell'io verso un tu di cui sempre si ha bisogno è allora ciò che definisce la gratuità dell'azione sociale.

Il dono gratuito non è un atto finito in se stesso, ma rappresenta l'inizio di una relazione, di una catena di atti reciproci: il dono come reciprocità. Tuttavia la relazione di reciprocità continua ad essere confusa con quella di scambio di equivalenti. Questo perché la nostra cultura è talmente intrisa di economicismo che ogni qualvolta si sente parlare di relazione biunivoca tra soggetti si è portati a leggere un sottostante rapporto di scambio di equivalenti.

La cultura dominante vede il dono come una sorta di assoluto, che proprio perché tale, essa dichiara impossibile attuare. E' la questione della "sospettabilità" del dono quale gesto che pretenderebbe di essere gratuito e che tuttavia appare costantemente attraversato da elementi di interesse che ne inquinano la purezza. La nostra società ha bisogno di far posto a soggetti che fanno della relazionalità la loro ragione di esistere. Si badi che, una volta prodotto, il bene relazionale entra, come input specifico in tutte le strutture istituzionali in cui si anticipa la società, comprese le imprese for profit.

In questo senso si può dire che le imprese sociali concorrono a ricostruire la società civile perché concorrono a "sostenere" un assetto istituzionale.

Se questa è la situazione, come tanti segnali ormai ci confermano, si tratta di pensare al mercato non solo come meccanismo di allocazione delle risorse, ma anche come metodo vitale al quale chiedere l'assolvimento di tre funzioni tra loro interrelate.

In primo luogo, quella di essere una istituzione capace non solo di produrre ricchezza in modo efficiente, ma anche di ridistribuirla secondo un qualche canone di equità.

Secondo, il mercato come luogo in cui possono operare, in modo autonomo e indipendente e con pari dignità, anche soggetti economici che, pur non avendo il fine del profitto, sono capaci di generare valore. Terzo, la funzione del mercato come spazio nel quale il consumatore è portatore di diritti nei confronti non solo della qualità del prodotto, ma anche del processo, bene o servizio che sia. Ciò che l'agente sceglie non necessariamente è ciò che preferisce. E questo accade non tanto a causa dei ben noti fenomeni di informazione asimmetrica o a causa di errori di valutazione o di calcolo, ma anche perché le scelte sono guidate oltre che dalle preferenze dai valori, filtrati dalla coscienza del soggetto e dalle norme sociali della società di cui egli è parte.

Per consentire al mercato di essere un mezzo per rafforzare il vincolo sociale, è necessario che possa affermarsi al suo interno, e non fuori o accanto, uno spazio economico formato da soggetti il cui agire sia ispirato al principio del dono come reciprocità. L'aspetto essenziale della relazione di reciprocità è che i trasferimenti che essa genera sono indissociabili dai rapporti umani: gli oggetti delle transazioni non sono separabili da coloro che li pongono in essere, quanto a dire che nella reciprocità lo scambio cessa di essere anonimo e impersonale come invece accade con lo scambio di equivalenti. Nell'attuale contesto di mercato, organizzazioni il cui modus operandi è fondato sul principio della reciprocità devono riuscire non solo ad emergere, ma anche a durare nel tempo. Al riguardo, Polany afferma che gli agenti economici, intervenendo sul mercato retto dal principio dello scambio di equivalenti, sono indotti ad adottare modi di deliberazione esclusivamente autointeressati. Con l'andar del tempo, essi tenderanno a trasferire questi modi ad altri ambiti sociali, anche a quelli in cui il conseguimento dell'interesse pubblico esigerebbe l'adozione di atti intrinseci all'interesse pubblico. E' questa la tesi del contagio, sostenuta da Polany: "il mercato avanza sulla desertificazione della società". Quanto più ci si affida a istituzioni il cui funzionamento è legato al principio dello scambio di equivalenti, tanto più i tratti culturali e le norme sociali di comportamento della società saranno congruenti a quel principio. Tuttavia la situazione non è così critica come potrebbe apparire a prima vista.

Se la tesi di Polany fosse vera, non si riuscirebbe a spiegare perché nelle condizioni storiche attuali caratterizzate dalla dominanza di istituzioni che "economizzano la virtù" si assiste ad una fioritura delle organizzazioni di terzo settore. Questo accade perché la natura di ciò che induce l'attore a scegliere di comportarsi in modo virtuoso è rilevante e tale comportamento scaturisce dalle motivazioni intrinseche del soggetto.

In un contesto in cui sono dominanti le istituzioni economiche basate sullo scambio di equivalenti, solo le imprese sociali possono rendere manifesta la possibilità di un agire virtuoso. Pertanto l'assetto istituzionale della società deve essere tale da favorire la diffusione fra i cittadini delle virtù civiche. Gli agenti economici devono accogliere già nella loro struttura di preferenze determinati valori. Per l'etica delle virtù, infatti, l'esecutorietà delle norme dipende in primo luogo dalla costituzione morale delle persone, cioè dalla loro struttura motivazionale interna, prima ancora che da sistemi esogeni. Questo perché vi sono soggetti che hanno preferenze etiche, che attribuiscono cioè valore al fatto che l'impresa pratichi equità e si adoperi per il rispetto della dignità delle persone, indipendentemente dal vantaggio materiale che ad essi può derivarne.

Poiché le istituzioni influenzano le performance economiche è necessario intervenire sull'assetto istituzionale della società in modo che questo incoraggi e non penalizza la diffusione delle attività sociali. L'essenza delle attività sociali è nella dimensione del gratuito in qualunque momento dell'esperienza umana, e dunque anche in quella economica, che non è certamente l'unica, ma neppure quella secondaria.

La gratuità deve caratterizzare il modo di essere dell'economicità: portare ad unità i diversi momenti della condizione umana e far comprendere come sia possibile "stare nel mercato" senza recidere il rapporto con l'altro è il grande contributo del terzo settore.

E' una logica della gratuità che una volta posta all'inizio di ogni rapporto interpersonale, anche quello di natura economica, riesce a far stare insieme efficienza, equità e reciprocità. La sfida è dunque quella di produrre un asseto teorico e sociale che riesca a tenere insieme i tre diversi principi di redistribuzione, su cui si è edificata l'azione statuale di reciprocità, che ispira l'agire negli ambiti in cui esso ha trovato applicazione, su cui si è costruito lo scambio mercantile.

E' necessario incanalare il lavoro "liberato" dal settore privato dell'economia verso attività che producono quei beni che il mercato privato, per sua stessa natura, non è in grado o non avrà mai interesse a produrre: beni relazionali ai quali non è pensabile di applicare la logica dello scambio di equivalenti, in modo da consentire la transizione da un Welfare statalista ad uno civile, in cui cioè le organizzazioni della società civile possano diventare partner attivi nel processo di programmazione degli interventi e e nell'adozione delle conseguenti scelte strategiche.

L'azione dell'economia civile deve essere libera perché solo così il bene o servizio che ne deriva può rappresentare un bene o servizio relazionale, cioè tale che soddisfa simultaneamente un bisogno di chi compie l'adozione quanto di colui che ne è destinatario. L'azione volontaria può nascere solo in una società emancipata dai bisogni materiali in cui l'occupazione disponibile sia ripartita in modo da evitare chi lavori troppo e chi non lavori affatto. Lo stato solo può assicurare che in tutti i tempi i bisogni insoddisfatti rappresentino un potere d'acquisto e il modo di trasformarli in effettiva domanda di merci e di servizi, poiché lo stato è o può essere padrone del denaro, mentre in una economia capitalistica tutti gli individui sono controllati dal denaro.

C'è dunque un programma per la piena occupazione dietro la possibilità di un'azione volontaria, un programma in cui lo stato è pur sempre garante sia pure nella forma della "socializzazione della domanda" piuttosto che della "socializzazione della produzione".

Sul buon funzionamento del mercato incidono non solo le disposizioni legislative, ma anche le disposizioni informali tratte dalle tradizioni culturali ed etiche.

Le istituzioni sono dunque necessarie proprio perché nella realtà economica il mercato non permette di per sé una perfetta conoscenza delle transazioni senza attriti e imperfezioni. L'efficienza dei mercati dipenderà allora non tanto dalle loro caratteristiche intrinseche presupposte dalla teoria economica (ovvero l'esistenza sul mercato di un prezzo di equilibrio che permette alle transazioni effettuate di massimizzare le utilità degli operatori) quanto dalle capacità delle istituzioni di ridurre le asimmetrie informative e le altre incertezze connesse agli scambi con costi di transazioni possibilmente non elevati.

L'economista antiutilitarista constata quindi che il mercato assoluto non esiste. In altri termini il fondamento dello scambio sociale non è e non può essere il mercato. Fondamentalmente il rapporto sociale non si basa e non può basarsi sulla legge della domanda e dell'offerta. Ciò che interessa all'economista critico non è dimostrare che il dono e la gratuità esistono, ma al contrario è mostrare che l'interesse, nel senso stesso del calcolo economico, non è né esclusivo, né onnipresente.

Dunque per l'affermazione di "mercati di qualità sociale" abbiamo bisogno di una nuova creazione immaginaria. Una creazione che ponga al centro della vita umana significati diversi dall'espansione, dalla produzione e dal consumo.

Questa è l'immensa difficoltà che ci troviamo a fronteggiare: dovremmo volere una sociale in cui i valori economici non siano più centrali o unici, dove l'economia sia messa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo.

Una società in cui si rinunci dunque a questa folle corsa verso un consumo sempre crescente. E' quindi in questo processo di liberazione dall'economicismo che si inseriscono esperienze di economia civile che fanno ben sperare nel futuro della nostra società. Come sostiene Marcel Mauss: "le società hanno progredito nella misura in cui esse stesse, i loro sottogruppi e infine i loro individui hanno saputo rendere stabili i loro rapporti, donare, ricevere e infine ricambiare.




Silvia Alonzo

Matricola: 0000155857

CLEM

olasilvi@tin.it




































BIBLIOGRAFIA:

"La grande trasformazione" Karl Polany Torino, Einaudi 1981

"Gratuità e sistema economico: il ruolo del volontariato" Convegno Nazionale Museo del Corso, Roma 1-2 ottobre 2004

"La sussistenza della felicità pubblica" Stefano Zamagni e Luigino Bruni, il manifesto 14 agosto 2004

"L'innovazione di Schumpeter, nel nome del caffè", Luigi Cavallaro, il manifesto 17 dicembre 2004











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