Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

Il processo di convergenza tra paesi industrializzati e p.v.s.

economia politica



5168-ECONOMIA POLITICA (corso monografico), a.a. 2006/2007

Povertà, disuguaglianza e distribuzione del reddito.

Prof.sa Renata Targetti Lenti


17/11 Lezione 8, La diseguaglianza a livello mondiale con particolare riferimento ai paesi in via di sviluppo.


Testi di riferimento.

Baldini M., Toso S., Diseguaglianza, povertà e politiche pubbliche, Bologna, Il Mulino, 2004, cap.5, pagg. 171-183.




Letture di approfondimento

- Cornia Giovanni A., Changes in the distribution of income over the last two decades: extent, sources and possible causes, Rivista Italiana degli Economisti, n.3, 2004, pagg.349-387.

- Cornia Giovanni Andrea., Cornia G. Andrea, Policy Reform and Income Distribution, DESA Working Paper No. 3, ST/ESA/2005/DWP/3,October 2005, https://www.un.org/esa/desa/papers/2005/wp3_2005.pdf

Cornia Giovanni A. Court J., Ineqality, growth and poverty in an era of liberalization and globalization, Wider. https://www.wider.unu.edu/publications/pb4.pdf

- Cornia Giovanni A., The distribution of income over the last twenty iears in the developing and transitional economies., https://www.sie.univpm.it/incontri/rsa44/papers/REL-C01.pdf



1. Il processo di convergenza tra paesi industrializzati e p.v.s.


Una delle domande che appare sempre più frequentemente nel dibattito internazionale e che immediatamente si pone osservando l'evidenza empirica è la seguente: il divario tra paesi industrializzati ed in via di sviluppo è aumentato o diminuito? Il processo di integrazione internazionale (globalizzazione) ha accelerato o frenato un processo di convergenza e/o di riduzione nei divari tra i vari paesi con riferimento non solo al reddito pro-capite ma anche alle strutture produttive (peso dei vari settori, tecnologie, tasso d'accumulazione, produttività del lavoro).

Questo processo sembra essersi verificato solo in alcuni periodi e con riferimento ad alcuni gruppi di paesi. Nel periodo tra le due guerre i Paesi del Nord Africa, dell'America Latina, e dell'Unione Sovietica sembravano avere ridotto il gap con i paesi industrializzati (tabella 3). Nel periodo post-bellico questo processo ha subito un rallentamento (paesi dell'Est, Paesi della parte Sud dell'America Latina, paesi africani) e si è rafforzato invece all'interno di altre aree come i paesi OCDE (compreso il Giappone), il Sud-Est Asiatico e più recentemente la Cina e l'India. Contrariamente alle aspettative l'intensificarsi degli scambi internazionali (di fattori, dei beni e dei servizi) è stato accompagnato da un processo di «divergenza» invece che di «convergenza» tra paesi. Queste divergenze sembrano essere ancora più marcate in termini di benessere, di sviluppo umano e di condizioni sociali e demografiche (istruzione, salute, aspettativa di vita).

La relazione tra globalizzazione, sviluppo e povertà è una delle tematiche più importanti sollevate nel recente dibattito politico ed economico. Le condizioni di arretratezza dei paesi in via di sviluppo (PVS) vengono attribuite in larga misura allo sfruttamento da parte dei paesi sviluppati, ed in particolare da parte delle imprese multinazionali. La globalizzazione, ed in particolare quella dei flussi finanziari, ha prodotto instabilità e crisi ricorrenti. La responsabilità per una diseguale distribuzione delle risorse a livello mondiale e per il mancato decollo di molte aree viene attribuita anche alla scarsa capacità di "governance" ed a veri e propri fallimenti delle politiche suggerite dalle Istituzioni Economiche Internazionali. Le recenti crisi finanziarie del Sud Est asiatico e dell'Argentina hanno rivelato l'inadeguatezza di Istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca Mondiale (WB) nell'individuare e adottare politiche che avrebbero potuto attutirne gli effetti negativi. L'Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) appare impotente di fronte a fenomeni quali lo sfruttamento del lavoro minorile, la garanzia di minimi d'igiene e di sicurezza sul lavoro nei PVS, la produzione di farmaci salvavita nei PVS, il rispetto dell'ambiente.  

Non vi è dubbio che esistano distorsioni nei flussi internazionali di capitali e di tecnologie. Questi si dirigono prevalentemente verso altri paesi ricchi e, all'interno del mondo dei paesi poveri, verso un ristretto numero di paesi emergenti meglio dotati già in partenza di capitale umano (manodopera relativamente istruita) e di infrastrutture di base, oltre che di risorse naturali. Ciò concorre ad allargare i divari all'interno del gruppo dei paesi in via di sviluppo e ad impedire che si attenui il divario tra paesi sviluppati ed in via di sviluppo.


Il modello neoclassico standard (Solow) prediceva che in assenza di progresso tecnico il processo di crescita economica (misurato dall'aumento del reddito del pro-capite) dei paesi industrializzati fosse destinato ad arrestarsi una volta raggiunto lo stato stazionario. E' noto che tale conclusione di Solow dipende dall'ipotesi di rendimenti marginali decrescenti del capitale. Quantità addizionali di capitale contribuiscono in misura via via inferiore all'aumento della produttività del capitale stesso. Questa è la ragione per cui, secondo Solow, la crescita persistente del reddito pro capite, 858b15i può essere spiegata soltanto dal progresso tecnico esogeno e cioè dal fatto che si rendono disponibili non tanto nuove unità di beni capitali ma beni capitali di migliore qualità.

L'ipotesi di rendimenti marginali decrescenti del capitale è all'origine di un'altra conclusione forte del modello di Solow, quella relativa alla cosiddetta "convergenza". In presenza di rendimenti marginali decrescenti del capitale l'incremento di produzione dovuto all'introduzione di una unità aggiuntiva di capitale (a parità di lavoro impiegato) è tanto più piccolo quanto maggiore è la quantità di capitale di cui già si dispone. I paesi poveri, caratterizzati da una bassa dotazione di capitale tenderanno perciò, a parità di ogni altra condizione (tasso di risparmio, tasso di crescita della popolazione, tasso di deprezzamento del capitale) a presentare rendimenti del capitale più elevati e tenderanno a crescere più dei paesi ricchi in seguito al processo di accumulazione. Questa ipotesi teorica, detta della "convergenza condizionale" (convergenza, perché se fosse vera i paesi poveri prima o poi convergerebbero allo stesso reddito pro capite di quelli ricchi; condizionale, perché vera a condizione che i parametri delle economie siano gli stessi), non sembra essere confermata dai dati, o perlomeno lo è in modo ambiguo e controverso. Le regressioni econometriche non individuano una chiara tendenza dei paesi poveri a crescere più rapidamente di quelli ricchi, se non in alcune eccezioni come quella dei paesi del Sud Est asiatico.

Si possono individuare almeno quattro spiegazioni per la mancata convergenza:


I parametri (tasso di risparmio, tasso di crescita della popolazione, tasso di deprezzamento del capitale) delle economie sono sempre stati molto diversi tra i diversi paesi. Non sono le uniche variabili che contano. In realtà il processo di convergenza si è verificato solo all'interno dell'area OCSE e cioè di paesi caratterizzati da istituzioni socio-politiche simili (democrazia, sistema di mercato misto, liberalizzazione degli scambi).


I risultati sono spesso ambigui e dipendono dalle ipotesi introdotte per rendere confrontabili i valori monetari del reddito e cioè calcolati a parità di potere d'acquisto.


I rendimenti marginali del capitale nei paesi industrializzati non sono decrescenti a livello dell'intero sistema economico (teoria della crescita endogena). L'ipotesi che i rendimenti marginali del capitale siano decrescenti vale per le singole imprese ma non per l'economia nel suo complesso. I rendimenti marginali del capitale possono essere costanti o addirittura crescenti. Il punto centrale di questa teoria, evidenziato in particolare da Roemer (1986), è che il "capitale" non sia solo capitale fisico ma anche capitale immateriale (Knowledge). La conoscenza, nella sua qualità di input produttivo, non si esaurisce nel corso del singolo processo produttivo. La produzione di conoscenza genera esternalità positive. In generale si può affermare che la produzione di ciascuna impresa dipenda a) dal capitale fisico, b) dal lavoro, c) dalla conoscenza pagata (spese in Ricerca e Sviluppo) e d) dalla conoscenza non pagata, quella di cui si beneficia grazie al meccanismo dell'esternalità appena messo in luce. Per Roemer e per i teorici della crescita endogena i rendimenti marginali del capitale sono costanti al livello dell'intera economia, benché non lo siano per le imprese che ne fanno parte, a causa del fatto che esistono esternalità positive nella produzione di conoscenza. La principale conclusione è che lo Stato deve intervenire per finanziare progetti di investimento in Ricerca e Sviluppo. Oggi la Banca Mondiale finanzia molti più progetti di istruzione e formazione di quanto non facesse vent'anni fa.


La globalizzazione - intesa qui come progressiva integrazione dei mercati reali, dei beni e dei servizi - ha in sé, "costitutivamente", il germe della divergenza piuttosto che della convergenza, giacché favorisce una divisione internazionale del lavoro nella quale i paesi arretrati si specializzano nella produzione di quei beni per i quali i potenziali di learning by doing e crescita della produttività del lavoro sono più limitati. Infine vi sono punti di vista teorici dai quali emerge una visione più sfumata e complessa della globalizzazione - processo che può favorire il trasferimento di tecnologie dalle economie ricche a quelle arretrate ma anche il movimento in direzione contraria della forza lavoro qualificata - ed in virtù dei quali dobbiamo ritenere che la mancata convergenza derivi non dalla globalizzazione in sé, ma da politiche economiche internazionali che non hanno saputo far prevalere le forze progressive su quelle regressive. La globalizzazione può essere considerata una fonte di utilissime opportunità per promuovere la convergenza tra paesi, ma sarebbe necessario che i mercati dei capitali fossero effettivamente integrati (globali), che non vi fossero barriere legali o tecnologiche che impediscano ai capitali di muoversi dalle regioni ricche verso quelle povere al fine di favorire quel processo di convergenza previsto dalla teoria e cioè che i capitali si muovessero davvero verso i paesi a più elevata redditività del capitale. Ciò che potenzialmente potrebbe accadere effettivamente non accade a causa dell'esistenza di asimmetrie informative e/o l'esistenza di uno stock di debito pregresso tali per cui o i capitali si muovono in misura insufficiente o addirittura nella direzione sbagliata.



La diseguaglianza nei paesi (within) e tra paesi (between). (Si veda Baldini, Toso, cap.5)


La diseguaglianza globale (in un paese od in qualsiasi altro contesto territoriale) può essere ricondotta a due componenti: la diseguaglianza all'interno dei gruppi di popolazione (within) che compongono quella totale e la diseguaglianza tra i gruppi di popolazione (between). La prima è generalmente misurata aggregando gli indici di diseguaglianza calcolati all'interno d'ogni gruppo, la seconda è misurata come divario tra i redditi medi dei diversi gruppi (varianza). Questi redditi possono essere o meno ponderati con la popolazione.


A livello internazionale l'analisi sulla dinamica della diseguaglianza globale, e sulla sua scomposizione, viene effettuata con riferimento ai diversi paesi. I risultati e le interpretazioni che se ne possono trarre sono spesso contrastanti in relazione alle caratteristiche (metodologiche, unità di riferimento, natura dell'indagine, indici per misurare la diseguaglianza) dei dati, al numero di paesi inclusi, al periodo considerato. A causa della scarsa disponibilità di indagini campionarie sui bilanci delle famiglie, buona parte degli studi finora pubblicati sulla diseguaglianza nel mondo ha fatto ricorso a fonti campionarie secondarie e meno attendibili. Ad esempio si sono confrontati i paesi sulla base semplicemente dei redditi medi pro-capite. Alcuni lavori più recenti cercano invece di sfruttare la ricchezza di informazioni contenute nelle survey sui bilanci familiari.





In generale si possono distinguere tre impostazioni allo studio della diseguaglianza e della povertà su scala mondiale:


1) Studi basati sui redditi medi pro-capite.

Gli studi basati sui redditi medi pro-capite dei vari paesi, non pesati per la diversa numerosità della popolazione di ciascun paese concordano nel segnalare un andamento ad U della diseguaglianza mondiale negli ultimi 50 anni: una riduzione dagli anni '50 agli anni '80 ed un aumento nell'ultimo ventennio. In particolare, se si calcola l'andamento dei redditi medi pro-capite di diverse aree in percentuale del reddito medio pro-capite degli abitanti dell'emisfero Nord, si nota in particolare il crollo dei redditi relativi dell'America Latina e dell'Africa, ed il forte aumento per la Cina e l'intero continente asiatico. Nel complesso dell'ultimo cinquantennio, comunque, il reddito relativo degli abitanti dell'emisfero meridionale si è ridotto di circa un quarto, e solo negli ultimi 20 anni questo trend si è interrotto (Fig.1). Questi risultati sono attribuiti da molti autori alle politiche neo-liberiste del FMI e della World Bank.

La globalizzazione, dunque, sembra aver prodotto instabilità e crisi invece che convergenza. L'evidenza empirica mostra che il divario tra paesi ricchi e poveri era di 30 a 1 nel 1960, era superiore a 60 ad 1 nel 1990 ed ancora di 74 a 1 nel 1997 (divario misurato in termini di reddito pro-capite a parità di poteri di acquisto). L'UNDP (1999) in uno dei suoi ultimi rapporti afferma: "Poverty is everywhere. Gaps between the poorest and the richest people and countries have continued to widen. In 1960, the 20% of the world's people in the richest countries had 30 times the income of the poorest 20% In 1997, 74 times as much. This continues the trend of nearly two centuries. Some have predicted convergence, but the past decade has shown increasing concentration of income among people, corporations and countries


2) studi basati sui redditi medi pro-capite, pesati per la diversa numerosità della popolazione;

Se ciascun paese viene pesato con la propria dimensione demografica il risultato appena evidenziato si inverte. La diseguaglianza tra paesi sembra essersi ridotta negli ultimi 20 anni. Secondo Maddison ad esempio, l'indice di Gini dei redditi pro-capite dei paesi del mondo, pesati per le rispettive popolazioni, presenta un andamento a campana: crescente dal 1960 al 1980 (da 0,535 a 0,562), decrescente negli ultimi 20 anni, fino ad un livello pari a 0,533 nel 2000. Anche la Banca Mondiale applicando lo stesso metodo. concorda su una riduzione della diseguaglianza nell'ultimo ventennio.

Questo risultato è interamente dovuto alla Cina (1.2 billioni di individui) ed India (1 billione di individui). In questi paesi il reddito medio pro-capite è aumentato non solo più della media mondiale, ma anche ad un tasso superiore rispetto ai paesi ricchi. Più precisamente il saggio di crescita del reddito pro-capite in Cina è stato nell'ultimo ventennio del 8% circa, in India del 3.7%. In Cina l'aspettativa di vita nel 1960 era di 36 anni, nel 1999 era di 70 anni. Il tasso di alfabetizzazione è cresciuto dal 50% a più dell'80%. La povertà è diminuita anche se rimane elevata nelle regioni all'interno del paese. Se si esclude la Cina, l'indice di Gini dei redditi medi pro-capite passa da 0,535 nel 1960 a 0,57 nel 2000. 2) questo risultato è indipendente dalla dinamica della diseguaglianza interna a ciascun paese. Sempre nel caso della Cina, ad esempio, il grado di diseguaglianza è aumentato in relazione al crescente divario tra il reddito medio delle campagne e quello delle zone urbane. Se il calcolo relativo alla scomposizione dell'indice di diseguaglianza venisse effettuato considerando la distribuzione del reddito tra ciascun individuo, e non solo i redditi medi, il risultato si potrebbe invertire, in relazione alla crescita della diseguaglianza interna (within) dei paesi (e della Cina in particolare).



3) studi basati su indagini campionarie.

Solo questa metodologia che si basa sulle indagini campionarie permette di studiare in modo corretto la dinamica della diseguaglianza a livello mondiale, poiché non considera gli abitanti di uno stesso paese come se avessero uguale reddito, pari a quello medio nazionale pro-capite, ma tiene conto anche della diseguaglianza interna ad ogni paese. Per far ciò, tuttavia, occorre avere a disposizione dati sulla distribuzione dei redditi in ciascuno stato, un requisito difficilmente realizzabile fino a pochi anni fa, e che solo ora può essere soddisfatto grazie alla produzione di indagini campionarie sui redditi familiari nei vari paesi. All'interno di questo impostazione, si possono distinguere due metodi di analisi:

a)   alcuni lavori fanno uso delle survey campionarie solo per ottenere informazioni sulla distribuzione relativa del reddito (in genere quote spettanti ai vari quintili o decili, o indici di diseguaglianza), mentre i livelli medi dei redditi o dei consumi vengono imputati sulla base della contabilità nazionale;

b)   altri lavori invece, forse più coerentemente, utilizzano solo indagini campionarie sui redditi familiari, sia per la diseguaglianza che per i livelli medi delle variabili economiche di interesse. Questa differenza è importante.


Il dibattito sulla convergenza o divergenza, sulla crescita o meno della diseguaglianza a livello mondiale è stato recentemente ripreso da Sala-i-Martin (2002) che critica le affermazioni dell'UNDP e fornisce nuova evidenza empirica. Questo autore si concentra sugli ultimi 30 anni, dal 1970 al 2000. La fonte dei dati micro è il data set costruito da Deininger e Squire, pubblicamente disponibile nel sito della Banca Mondiale; si tratta di una vasta raccolta di dati sulla distribuzione del reddito nei vari paesi, principalmente sotto forma di quote spettanti ai vari quintili. I dati di contabilità nazionale usati per passare dalle quote distributive ai livelli del reddito di ciascun quintile in ogni paese provengono dalle Penn World Tables, che raccolgono informazioni su una vasta serie di grandezze macroeconomiche di moltissimi paesi per gli ultimi 50 anni circa. Di ogni distribuzione, l'autore conosce solo cinque punti (le quote dei vari quintili), e da questi risale alla forma dell'intera distribuzione del reddito con metodi non parametrici; forse però cinque punti sono pochi per inferire la forma dell'intera distribuzione del reddito, soprattutto nelle code della distribuzione. Pochi sono anche i paesi per i quali esiste, nel periodo considerato, un numero significativo di surveys. Per gli anni mancanti, si ipotizza che la diseguaglianza non sia cambiata rispetto all'anno più vicino per il quale c'è una indagine disponibile. Nel campione non vengono inserite la Russia e molte altre economie post-sovietiche, che negli anni '90 hanno assistito a fortissimi aumenti della diseguaglianza.

In particolare Sala-I-Martin critica i tre passaggi che hanno condotto ai risultati a sostegno della tesi dell'UNDP affermando:

1) L'evidenza empirica secondo la quale la diseguaglianza all'interno dei paesi sia aumentata è basata su dati parziali. Sono esclusi proprio i paesi (Turchia, Messico, Corea e altri paesi europei in cui la diseguaglianza è rimasta stabile o è diminuita);

2) Il risultato è stato ottenuto calcolando i redditi a tassi di cambio nominali. Se si calcolano a PPP il risultato cambia ed il rapporto sale dal 11,3% nel 1960 al 15,9 nel 1980 al 15,09 nel 1998. Il rapporto è calcolato dividendo il reddito pro-capite medio dei paesi nei quali vive il 20% della popolazione più ricca e quello del 20% più poveri. Se si calcola la varianza dei redditi pro-capite dei 125 paesi questa aumenta in modo significativo. Tuttavia se la varianza viene calcolata su redditi pesati con la quota di popolazione il risultato cambia drasticamente. La varianza è diminuita (fig.2).

3) L'UNDP inferisce dalla dinamica della diseguaglianza within e across che anche la diseguaglianza a livello globale sia cresciuta. La conclusione è errata dal momento che la prima (within) si riferisce agli individui e la seconda (across) a paesi che sono diversamente popolati.

Tutti gli indici calcolati con questi nuovi dati mostrano una riduzione nella diseguaglianza a livello globale tra il 1980 ed il 1998. Il rapporto di Gini globale passa da un valore pari a 0.633 nel 1970 e nel 1990 ad un valore pari a 0.609 nel 1998. Il lieve aumento del livello di diseguaglianza all'interno dei paesi (da 0,186 nel 70 a 0,203 nel 98) è stato contrastato dalla diminuzione della diseguaglianza nei redditi pro-capite tra paesi (da 0,856 a 0,513). Grazie alle nuove stime questo autore giunge a conclusioni molto nette: la diseguaglianza è diminuita, anche se di poco, e la quota di persone che dispongono di meno di un dollaro al giorno si è drasticamente ridotta nel periodo, fino a raggiungere il 5% nel 2000, corrispondente a circa 300 milioni di persone. La funzione di densità stimata come risultante delle funzioni di densità di ogni paese presenta nel tempo uno spostamento verso destra ad indicare un progressivo arricchimento a livello mondiale. Nel 1970 la moda era elevata e vicina alla linea della povertà di $1, negli anni successivi la moda si riduce e si allontana dalla linea della povertà. Dalla funzione di densità globale si ricava la quota dei poveri collocati al disotto di una linea di $1 e $2 al giorno. La quota dei poveri al di sotto di $1 è diminuita dal 20% nel 1970 al 5% nel 1998, la quota dei poveri al di sotto di $2 al giorno è diminuita dal 20% al 5% (figura 3).


La tesi di Sala-I-Martin è stata contrastata da Rodrik che afferma: "it might be so, but this is hardly a confirmation of the thesis that globalization -- i.e. free trade and capital flows -- is an engine of convergence. Chinese per capita income has increased relative to Western countries, despite the fact (or maybe because of it) that the Communist government has steadfastly refused to adopt IMF-style liberalization of capital movements cum privatization of the state sector, while practicing protectionism until very recently . Fino all'anno scorso (adesione al WTO) l'economia cinese era tra le più protette. Il sistema finanziario era completamente chiuso. Il dibattito si sposta dal tema della convergenza e/o divergenza a quello delle relazioni tra globalizzazione, integrazione internazionale, crescita e riduzione della povertà. I sostenitori della globalizzazione affermano che i cosidetti globalizers  sono quelli che hanno sperimentato elevati tassi di crescita e di riduzione della povertà. Non vi è dubbio che exports and foreign investment have played an important role in China's development. By selling its products on world markets, China has been able to purchase the capital equipment and inputs needed for its modernization. And the surge in foreign investment has brought much-needed managerial and technical expertise. The regions of China that have grown fastest are those that took the greatest advantage of foreign trade and investment


Il lavoro di Bourguignon e Morrisson è un interessante ed ambizioso tentativo di ricostruire l'andamento di diseguaglianza e povertà tra i cittadini del mondo tra il 1820 ed il 1990, assemblando dati sui redditi pro-capite da fonti di contabilità nazionale ... e dati sulle quote distributive da una vasta pluralità di fonti micro disponibili. I risultati, esposti in tab. 2, sono molto eloquenti: la diseguaglianza tra i redditi dei cittadini del mondo ha subito un drastico aumento nel periodo che va dal 1820 al 1950 circa, poi il suo tasso di crescita è sensibilmente diminuito, fino ad arrestarsi nell'ultimo periodo. Malgrado questo andamento della diseguaglianza, la povertà assoluta è diminuita, grazie al forte aumento del reddito reale. La linea di povertà è costituita dalla soglia di 1 dollaro al giorno a parità di potere d'acquisto e a prezzi 1985.

La scomposizione dell'indice di Theil tra la sua componente within e quella between mostra in modo molto chiaro che all'origine del forte incremento della diseguaglianza nel primo secolo considerato ci sono i diversi tassi di crescita delle varie aree del mondo: all'inizio dell'800, i redditi medi dei diversi paesi non erano molto diversi, cosicché gran parte della diseguaglianza tra i cittadini del pianeta consisteva in diseguaglianza interna ai vari stati, non tra i redditi medi delle diverse nazioni. Nei 130 anni successivi, l'ampliarsi del divario tra paesi diversi ha provocato un incremento molto forte del contributo della componente between alla diseguaglianza complessiva, dal 12% al 60%, e una simmetrica riduzione del ruolo della componente interna ai paesi. Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale, tuttavia, i pesi delle due componenti sembrano essersi stabilizzati". La povertà assoluta è diminuita grazie all'aumento del reddito reale.


Chen e Ravallion hanno recentemente completato un aggiornamento della ricerca che li vede ormai da anni impegnati ad assemblare un grande numero di surveys nazionali, per studiare diffusione e gravità della povertà tra i cittadini dei paesi in via di sviluppo. Il loro lavoro rappresenta la più recente fonte disponibile sulle tendenze della povertà ufficialmente riconosciute dalla Banca Mondiale. L'unità di analisi è l'individuo, e la variabile economica di riferimento è il consumo familiare, reso equivalente con la divisione per il numero dei componenti. La linea di povertà è fissata convenzionalmente in modo da riflettere le linee tipicamente applicate nei paesi più poveri del mondo. Questa linea è pari a circa 1,08 dollari al giorno a valori 1993, e viene adattata ai prezzi vigenti nei vari paesi attraverso la sua moltiplicazione per una serie di coefficienti (calcolati dalla stessa Banca Mondiale), uno per ciascun paese, per realizzare la parità di potere d'acquisto in tutti i paesi, e aggiornata successivamente con l'indice dei prezzi al consumo di ogni nazione. .. La tab. 3 presenta, per l'anno iniziale e finale del periodo considerato, l'indice di diffusione e (tra parentesi) il numero assoluto dei poveri, sia per la linea posta ad un dollaro al giorno che per quella uguale a circa due dollari al giorno. Consideriamo anzitutto l'ultima riga. La quota di individui che vivono con meno di un dollaro al giorno si è quasi dimezzata nel periodo, passando dal 40,3% al 21,3%; si tratta di un miglioramento enorme, che però non impedisce che oggi ancora circa un miliardo e cento milioni di persone si trovino al di sotto di questa soglia, che è comunque estremamente bassa. Anche secondo l'altra definizione di povertà c'è stato un miglioramento, tuttavia meno evidente: più della metà della popolazione dei paesi in via di sviluppo vive con meno di due dollari al giorno. I dati aggregati celano importanti differenze tra gli andamenti del numero dei poveri nelle varie parti del pianeta. Emerge soprattutto la performance della Cina, che da sola spiega il calo della diffusione della povertà estrema (soglia più bassa): se escludiamo il dato cinese, il numero dei poveri estremi sarebbe addirittura aumentato, a causa soprattutto del dato relativo all'Africa sub-sahariana, anche se la numerosità assoluta dei poveri è cresciuta anche in America Latina e in Europa orientale. Inoltre, mentre il numero delle persone con meno di un dollaro al giorno è diminuito di quasi 400 milioni in 20 anni, quello delle persone con meno di due dollari al giorno è invece aumentato di circa 300 milioni. Ciò implica che il tenore di vita di chi si trovava in prossimità della soglia dei due dollari non è cambiato in modo significativo nel periodo. Gli autori sostengono comunque che, se il trend di riduzione della povertà continuerà ai ritmi degli ultimi anni, l'obiettivo che le Nazioni Unite si sono date nel 2001 di dimezzare la povertà dal 1990 entro il 2015 potrà essere raggiunto.

Chen e Ravallion stimano valori della povertà superiori a quelli riportati da Sala-i-Martin. Secondo gli autori, la causa fondamentale della divergenza consiste nel fatto che mentre essi traggono dalle indagini campionarie non solo informazioni sulla diseguaglianza, ma anche sui valori assoluti del consumo o del reddito, Sala-i-Martin desume i valori assoluti da fonti di contabilità nazionale che, come noto, presentano valori medi di reddito e consumo (quasi) sempre superiori a quelli ottenuti tramite indagini campionarie. Le ragioni di queste sistematiche differenze sono numerose: 1) I dati di contabilità nazionale contengono alcune grandezze che non possono essere rilevate nelle indagini sulle famiglie, ad esempio gli investimenti privati, ed il valore dei consumi pubblici, soprattutto sanità e istruzione; 2) si ritiene che la propensione ad dichiarare correttamente reddito e consumo decresca all'aumentare del benessere familiare. I ricchi hanno poco tempo da perdere con le interviste, temono di essere perseguiti se evasori, o in alcuni casi vivono in zone semplicemente non accessibili dagli intervistatori; ... Confrontando i suoi dati rivalutati sulla base della contabilità nazionale con una linea di povertà assoluta fissata ad un dollaro, Sala-i-Martin non può che ottenere indici di diffusione più bassi. Chen e Ravallion concludono che in effetti i due articoli presentano un uguale andamento dell'indice di diffusione. Il messaggio politico che si trae dalla lettura dei due lavori è molto diverso. Per Sala-i-Martin si è semplicemente esagerata la gravità del fenomeno, mentre per Chen e Ravallion, pur in un contesto di generale miglioramento degli indici, il numero dei poveri resta ancora molto elevato. Non è esattamente la stessa cosa sostenere che al mondo ci sono 300 milioni di persone che vivono con meno di 1 dollaro al giorno, o che invece ce ne sono quasi quattro volte tanto.



Milanovic utilizza dati in buona parte simili a quelli del lavoro appena illustrato. Egli considera due soli anni, il 1988 e il 1993, per i quali esistono indagini campionarie relative alla grande maggioranza della popolazione mondiale. A partire da queste, ottiene per ciascun paese le quote distributive ed i redditi medi per decili della popolazione. L'unità di analisi è l'individuo; a ciascuna persona viene attribuito un livello di benessere uguale al reddito pro-capite (o al consumo, a seconda dell'indagine considerata) della famiglia di appartenenza. Data la curva di Lorenz, è possibile stimare l'indice di Gini dell'intera distribuzione, per ciascun paese o gruppo di paesi. L'autore considera come se fossero paesi diversi anche le aree rurali e quelle urbane di alcune nazioni molto grandi, in particolare suddivide in due "paesi" la Cina, l'India ed il Bangladesh. Si tratta di un aspetto metodologico molto importante, perché se è vero che si è verificato un incremento della diseguaglianza tra aree rurali che sono rimaste indietro ed aree urbane in fase di netta crescita, allora la considerazione separata di queste zone permette di far emergere una parte importante della diseguaglianza within, che altrimenti sarebbe trascurata. L'indice di Gini della distribuzione mondiale del reddito è pari a 0,628 nel 1988, e a 0,66 nel 1993. Si tratta di un valore molto elevato, e straordinariamente vicino a quelli calcolati da Bourguignon e Morrisson e Sala-i-Martin, con metodi diversi. La diseguaglianza, però, secondo Milanovic, sarebbe aumentata nel periodo considerato. La tabella 1 riporta gli indici di Gini relativi ad alcune macro-regioni del mondo, nei due anni.

Le due aree più diseguali del pianeta risultano essere l'Asia ed il Sud America. Si noti anche la fortissima crescita della diseguaglianza nei paesi dell'ex blocco comunista, e la bassa diseguaglianza prevalente nei paesi più economicamente sviluppati. Milanovic scompone la diseguaglianza complessiva nella componente within ed in quella between groups usando sia l'indice di Gini che quello di Theil. Tre quarti della diseguaglianza complessiva derivano da diseguaglianza tra i paesi, mentre solo un quarto è diseguaglianza interna ai vari paesi. Insomma, la differenza nel livello medio di reddito tra le parti ricche e quelle povere del pianeta è così elevata che buona parte della diseguaglianza mondiale dipende da essa, mentre un ruolo marginale, anche se significativo, è giocato dalla diseguaglianza interna ai vari paesi. Il lavoro di Milanovic riporta anche altri dati di grande interesse: ad esempio, l'1% più ricco della popolazione mondiale (50 milioni di persone) ha un reddito totale pari a quello del 57% più povero (2,7 miliardi di individui), e il 25% della popolazione mondiale riceve il 75% del reddito totale prodotto in un anno.


3. The impact of liberalisation and globalisation on income inequality in developing and transitional economies (Cornia).


In sintesi gli studi appena presentati mostrano, in estrema sintesi, che negli ultimi 20 anni la diseguaglianza interna ai vari paesi è aumentata, sia nel mondo ricco che in quello in via di sviluppo. La diseguaglianza globale tra tutte gli abitanti del pianeta non è cambiata molto (per alcuni studiosi è diminuita, per altri è aumentata, ma comunque non ha presentato grosse variazioni) a causa della riduzione della sua componente between, cioè tra i redditi medi delle diverse nazioni, grazie soprattutto al forte sviluppo di nazioni molto popolose come Cina e India.


Un recente lavoro di Cornia che utilizza il data set messo a punto dallo Wider giunge a conclusioni analoghe. Esso analizza i mutamenti intervenuti nella diseguaglianza mondiale (between-country and within-country) in un periodo piuttosto lungo e cioè tra il 1980 ed il 2000 onfrontando queste dinamiche con quanto avvenuto nella "prima ondata" di globalizzazione e cioè tra il 1870 ed il 1914. Cornia, in particolare, tenta di identificare le principali cause di questi mutamenti sottolineando i legami tra liberalizzazione, globalizzazione e distribuzione del reddito. Osserva come le ipotesi della teoria standard degli efffetti del commercio internazionale non riescano a spiegare i trends più recenti poiché: 1) i trends migratori non hanno avuto il ruolo esercitato in passato; 2) sono intervenuti altri fattori che spiegano la crescita della diseguglianza all'interno dei diversi paesi.

In sintesi l'autore afferma che: "the predictions of standard theory about the inequality impact of international trade and capital flows explain more easily the changes observed during the globalisation of last century than during the last twenty years. Indeed, most of the recent evidence on the inequality impact of globalisation contradicts the predictions of standard theory which is unable to capture the effect of other factors such as domestic institutional weaknesses, the complexity of trade and finance in a multi-country multi-goods world. While a strongly asymmetric expansion of trade and capital flows characterised both periods, international migration plaid a key role in equalising wages and incomes during the first globalisation but not during the recent one due to the growing restrictions of migration policies in developed countries. Conversely, technology appears to have had a greater impact during the current globalisation than last century. Finally, the impact of current capital flows to emerging and developing countries - dominated by highly unstable and disequalizing portfolio flows - appears to be far more pronounced now than during the first globalisation.

The claims about the favourable effects of globalisation and liberalisation on income inequality and poverty are assessed against a statistical evidence richer than in the past. Analyses of time trends of global inequality (decomposed into the between-country and the within-country distribution of income) over the last twenty (grouped in three sets of studies) are presented in the paper. The results of the studies are summarised in a table and suggest the following tentative conclusions: between the early 1980s and 1993 (no analysis extends beyond that year) global inequality increased - if at a slower pace than during the first wave of globalisation -because of a moderate rise in between-country (accounts for most of global inequality and its evolution over the last two decades). In turn, within-country inequality has clearly risen in many countries but its overall impact on global inequality seems to have been less pronounced. The latter conclusion is, however, influenced by the inequality index used. The increase in global inequality was probably more pronounced in the 1990s, a period during which the US and other high-income economies expanded rapidly while rural incomes in India and - to some extent - China grew slowly. In contrast, during the 1980s, fast agricultural growth in China and India and recession in the OECD countries - caused quasi-stagnation in global inequality in relation to the 1970s. Of course the measurement of the level of global inequality and of the direction of its change over the last two decades is influenced by a number of statistical choices concerning the indicators used and the number of countries and years surveyed.


The paper also claims that, from a policy perspective, within-country inequality is likely to be more important, that it is much more observable and perceivable and that exerts a greater influence on the behaviours of the economic agents. In this regard, the paper analyses changes in within-country inequality since the end of World War II - and particularly over the last 20 years - in the main non-developed regions (tabelle 5,6). The review suggests that, during the last two decades, inequality increased within most of the countries analysed and that such rise often represented a reversal of the inequality decline observed during the first two-three decades of the post World War II period. Such result conflicts however with the findings of prior research in this area that has pointed to the broad stability of within-country inequality over the 1950-1990 period. The paper suggests that this was due to the weak statistical methodology followed in the prior studies. Trying to overcome the limitations of this literature Cornia and Kiiski extract from the November 1998 version of WIDER's World Income Inequality Database (WIID) 770 "reliable observations" of Gini coefficients for 73 countries that account for 80 and 91 percent of the world population and GDP-PPP. The results reported in the paper broadly confirm the previous conclusions: inequality was found to have risen in 48 of the 73 countries analysed, including in large economies such as China, several large Latin American nations, the USA and Russia.

The paper suggests (without testing formally) that the traditional causes of income inequality (land concentration, unequal access to education, urban-rural gap, and so on) are unlikely to explain its rise over the last two decades. Such an increase is more likely to be related to shifts towards skill-intensive technologies and, even more so, to the adoption of the unfettered liberalisation of domestic and international markets. Easy generalisations are obviously not possible, as the impact in each nation depends on specific policy mixes and country circumstances. Yet, recurrent factors associated with the recent increase in inequality include: the decline in the labour share during structural adjustment; the 'financialization' of the economy and the rise in the financial rent between 1982-96; erroneous approaches to the privatisation of state assets; changes in labour institutions (reduced regulation, erosion of the minimum wage and of the trade unions, and higher labour mobility) (tabella 7); and, in some countries, the erosion of the redistributive role of the state following the changes introduced over the last twenty years in the tax and transfer systems. Trade liberalisation was found to have no clear effect on inequality while privatisation of state farms was found to have - in most cases - beneficial effects, as in China, Vietnam and the Caucasus.

The paper concludes that the decline of poverty in the years ahead depends also on trends in income inequality, a fact which still attracts little concern by the policymakers. Much of the recent rise in income inequality must thus be viewed with alarm, as it may well prove to be incompatible with poverty reduction objectives.


4. I fattori esplicativi della dinamica della diseguaglianza.

Cornia osserva come le tradizionali cause di diseguaglianza (concentrazione della proprietà della terra, accesso diseguale all'istruzione, divario urbano rurale) non siano da ritenersi sufficienti a spiegarne la crescita. Occorre, invece, individuare altri fattori come:

Progresso tecnologico.

Liberalizzazione dei mercati dei beni e dei capitali (globalizzazione).

Aumento dell'importanza del settore dei servizi.

Cambiamenti nella struttura istituzionale del mercato del lavoro.

Variazioni negli effetti redistributivi delle politiche pubbliche.

Cambiamenti nella struttura demografica e delle famiglie.

Cambiamenti nelle "norme sociali" verso la diseguaglianza.



Progresso tecnologico

Secondo molti studiosi, il fattore che maggiormente spiega l'aumento della diseguaglianza all'interno dei singoli paesi, in particolar modo negli Stati Uniti, è costituito dal fenomeno noto, in inglese, con l'espressione skill-biased technological change: il progresso tecnologico ha prodotto, nel mercato del lavoro, un aumento della domanda per lavoratori ad alta qualificazione professionale e ad elevata istruzione, mentre ha depresso la domanda per lavoratori poco qualificati. Le prospettive economiche dei lavoratori poco qualificati dei settori tradizionali sono state compromesse anche dal trasferimento verso i paesi in via di sviluppo delle parti più tradizionali e a basso contenuto tecnologico della filiera produttiva, motivato dal costo del lavoro molto inferiore. Interi settori, come il tessile, o in parte il metalmeccanico, sono entrati in crisi perché le imprese dei paesi avanzati non investono più nei paesi di origine, ma in quelli in via di sviluppo .

La tesi del progresso tecnologico e quella della globalizzazione convergono su un punto fondamentale: nei paesi ricchi si sarebbe verificata una riduzione della domanda, da parte delle imprese, per i lavoratori poco qualificati. I paesi che hanno cercato di opporsi alla tendenza verso la riduzione del salario relativo dei lavoratori a bassa qualificazione di fatto hanno finito per provocare un aumento della disoccupazione. In presenza di un calo della domanda di lavoro, se i sindacati riescono ad imporre il mantenimento del salario ad un livello superiore a quello del nuovo equilibrio, la conseguenza è un aumento della disoccupazione.

Questa tesi non riesce però a dare conto di una evidenza empirica ormai consolidata: rispetto agli anni '80, nel decennio successivo il tasso di incremento della diseguaglianza è, in molti paesi, rallentato, mentre non sembra che siano rallentati né il progresso tecnologico né il processo di apertura dei mercati dei beni. Inoltre, dove la diseguaglianza ha continuato a crescere, ciò è stato soprattutto determinato da un forte incremento dei redditi più alti rispetto a quelli mediani, e non ad un calo relativo del redditi più bassi, come previsto da entrambe le teorie.

La trasformazione radicale delle tecnologie produttive, d'altra parte, è un fenomeno comune a tutti i paesi ad elevato sviluppo economico, e se quindi può dar conto di almeno parte dell'incremento della diseguaglianza, non può spiegare, da sola, come mai la diseguaglianza sia aumentata molto in alcuni paesi, e poco in altri.

Questa tesi inoltre non riesce a spiegare perché la diseguaglianza è decisamente aumentata anche all'interno di gruppi sociali omogenei quanto ad esperienza e livello di istruzione. Anche all'interno del gruppo dei laureati, infatti, i redditi sono oggi distribuiti in modo più diseguale rispetto a trent'anni fa.


Liberalizzazione dei mercati dei beni e dei capitali (globalizzazione)

Assieme al progresso tecnologico, la globalizzazione è l'altro fenomeno frequentemente citato per spiegare l'incremento della diseguaglianza, soprattutto nei paesi ricchi. Uno degli aspetti più rilevanti del processo di globalizzazione concerne la liberalizzazione dei mercati dei capitali. L'esperienza degli anni '90 ha mostrato che l'apertura indiscriminata dei mercati finanziari ha prodotto soprattutto crisi valutarie e finanziarie ed alta instabilità, con effetti spesso negativi anche sulle economie reali ed effetti redistributivi avversi e difficilmente controllabili.



Aumento dell'importanza del settore dei servizi

Nel corso degli ultimi 30 anni si è assistito, in tutte le economie avanzate, ad un notevole ridimensionamento del contributo dell'industria alla formazione della ricchezza nazionale, ed al contestuale forte incremento del peso del settore dei servizi.

Il settore industriale è caratterizzato dalla presenza di alcune figure tipiche, che rappresentano buona parte dell'intera forza lavoro impiegata, ad esempio operai, impiegati, dirigenti; i redditi medi di queste categorie sono molto diversi, ma all'interno di ciascuna tipologia la variabilità dei redditi non è tipicamente molto elevata. La presenza dei sindacati e della contrattazione collettiva garantisce infatti una certa omogeneità nel trattamento economico di un gran numero di lavoratori.

Il settore dei servizi, invece, comprende un insieme di figure professionali dalle caratteristiche estremamente eterogenee: dalla donna delle pulizie all'avvocato, dall'assistente di persone non autosufficienti al consulente informatico. Le procedure di contrattazione collettiva sono meno diffuse o, per certi lavori, del tutto assenti. L'adesione ai sindacati è bassa. Alcune aree sono interessate dalla diffusa presenza del lavoro nero, con salari molto ridotti e scarsa o nessuna tutela delle condizioni di lavoro. Tutto ciò favorisce una elevata dispersione delle retribuzioni.



Cambiamenti nella struttura istituzionale del mercato del lavoro.

Le differenze negli andamenti della diseguaglianza nei vari paesi sono spiegate anche dalla presenza di forti eterogeneità nei meccanismi istituzionali che regolano, nei vari paesi, il funzionamento del mercato del lavoro. Due aspetti sono a questo riguardo di particolare rilevanza: il diverso potere contrattuale dei sindacati, e il sistema della contrattazione salariale. Nel corso degli anni '80 e '90 queste istituzioni che regolano il mercato del lavoro hanno subito importanti cambiamenti, tutti nel segno di un minore intervento pubblico a difesa delle parti più deboli del mercato del lavoro. In Italia, ad esempio, è stata abolita la scala mobile, un meccanismo che, difendendo il potere d'acquisto dei salari dall'inflazione e garantendo uguali incrementi assoluti (e non relativi) a diversi livelli salariali, finiva per avere un effetto perequativo sulla distribuzione dei livelli di salario. Nella maggioranza dei paesi, il potere dei sindacati è stato indebolito dalla riduzione dei tassi di iscrizione dei lavoratori e da alcune importanti sconfitte politiche, come quella del sindacato dei minatori inglesi contro il governo Thatcher, o quella del sindacato italiano nel referendum sulla scala mobile del 1984.



Variazioni negli effetti redistributivi delle politiche pubbliche

Il cambiamento nel livello della diseguaglianza del reddito familiare può essere stato provocato anche da mutamenti nell'impostazione delle politiche pubbliche di tassazione e trasferimento. Da una parte si sono ridotte le aliquote marginali sui redditi più elevati. Dall'altra, acausa della sempre maggiore integrazione dei mercati finanziari, i redditi da capitale, molto mobili, sono tassati con aliquote più basse rispetto a quelli da lavoro, per cercare di impedirne la fuga verso paradisi fiscali. Visto che i redditi da capitale sono percepiti soprattutto dalle classi a reddito complessivo medio-alto, il permanere di questa tendenza, comune a tutti i paesi, non può che accrescere la diseguaglianza complessiva.

Molti paesi ricchi, poi, nel corso dell'ultimo ventennio, hanno modificato in senso restrittivo la struttura dei trasferimenti a favore dei disoccupati. Tutti i fenomeni descritti vanno nel segno di una minore capacità delle politiche pubbliche di operare redistribuzione a favore delle classi meno ricche, e quindi possono spiegare almeno parte dell'incremento della diseguaglianza.



Cambiamenti nella struttura demografica e delle famiglie

Negli ultimi decenni sono in costante diffusione mutamenti strutturali nelle caratteristiche delle famiglie, che possono provocare un aumento della diseguaglianza dei redditi familiari equivalenti: ad esempio i tassi di dissoluzione dei nuclei familiari stanno aumentando così come è in crescita il fenomeno delle adolescenti madri, prive di lavoro e di partner. L'aumento della partecipazione femminile al mercato del lavoro è un altro dei fenomeni economico-sociali che può avere provocato un incremento della diseguaglianza, se sono soprattutto le mogli di individui a reddito medio-alto ad entrare nella forza lavoro.


Cambiamenti nelle "norme sociali" verso la diseguaglianza

I cambiamenti nell'atteggiamento verso la diseguaglianza che la società è disposta a tollerare o a ritenere giustificabile sono lenti a manifestarsi, ma possono svolgere un ruolo molto importante nello spiegare l'andamento di lungo periodo della diseguaglianza effettiva. A sostegno dell'importanza delle norme sociali sta il fatto che nell'ultimo trentennio i redditi relativi delle poche persone molto ricche sono aumentati molto in alcuni paesi (USA, UK) e poco in altri (ad esempio in Francia): è plausibile che solo nei primi la società sia disponibile a "premiare" con ulteriori aumenti di reddito chi già percepisce redditi elevati.

Cambiamenti nella forma della funzione del benessere sociale si manifestano ad esempio nell'alternanza degli schieramenti politici al governo: un governo di impostazione liberale sarà maggiormente propenso a tollerare un elevato livello di diseguaglianza rispetto ad un governo socialdemocratico. E' certo che nel corso degli ultimi 20 anni il pendolo della politica si sia spostato un po' in tutti i paesi più a destra, dopo il crollo dei regimi comunisti e l'esempio dei lunghi governi di Reagan e della Thatcher.

Paesi diversi vedono inoltre prevalere norme sociali anche molto diverse: tipico è, non a caso, il confronto tra Stati Uniti da un lato e paesi dell'Europa continentale dall'altro. La società americana è percepita, anche dagli stessi americani, come maggiormente diseguale, ma anche come maggiormente efficiente e meritocratica. Molti sociologi ed economisti sostengono che l'americano medio sia disposto ad accettare di vivere in una società caratterizzata da un elevato livello di diseguaglianza perché spera, in futuro, di entrare a far parte del gruppo dei ricchi. In un recente sondaggio svolto negli Usa, il 20% dei rispondenti ha dichiarato di ritenere (evidentemente sbagliando) di far parte dell'1% più ricco della popolazione, ed un altro 20% ha dichiarato di avere la speranza di poter entrare, nel corso della propria vita, nel gruppo dell'1% più ricco. In una società che, quantomeno, si percepisce come così altamente mobile, è difficile che facciano presa argomenti a favore di politiche pubbliche di impostazione redistributiva .

La Cina fornisce un esempio estremo dell'importanza delle norme sociali: nel corso degli ultimi due decenni l'atteggiamento nei confronti dell'economia di mercato, a tutti i livelli della società, è radicalmente mutato, e contemporaneamente la diseguaglianza interna a questo paese è significativamente aumentata.


Tab. 1. Indici di Gini per alcune macro-aree del pianeta



Africa



Asia



America Latina



Europa dell'Est



Europa occ., Usa, Oceania



Mondo



Fonte: Milanovic [2002]



Fig.1, Reddito medio pro-capite di diverse aree del mondo in percentuale del reddito medio pro-capite degli abitanti dell'emisfero settentrionale

Fonte: Baldini, Toso (2004) da Sutcliffe [2004]


Fig.2


Fig. 3


Tab.2 Diseguaglianza e povertà nella distribuzione mondiale del reddito nel lungo periodo


Gini

Theil

% Theil Within

% Theil Between

Diffusione povertà (linea pov. costante a  1 $ PPP 1985)

Reddito medio mondiale (PPP $ 1990)

























































Fonte: Bourguignon e Morrisson [2002]


Tab.3 Indice di diffusione e numero (tra parentesi, in milioni) dei poveri nel mondo nel 1981 e nel 2001


Linea povertà: 1.08 $ al giorno

Linea povertà: 2.15 $ al giorno




Variazione



Variazione

Asia orientale













di cui Cina













Europa orientale e Asia centrale













America Latina e Caraibi













Medio Oriente e Nord Africa













Asia Meridionale













di cui India













Africa Sub-sahariana













Totale













Nota: il campione non comprende l'Europa occidentale, l'America settentrionale e l'Australia.

Fonte: Chen e Ravallion [2004]



Table 4. Evolution of the global distribution of income and of the distribution of within- and between-country inequality, 1970-98







Gini Coefficient (global inequality)












Theil Coefficient






Inequality within country groups






Inequality between country groups






Total (global) inequality












Mean logarithmic deviation






Inequality within country groups






Inequality between country groups






Total (global) inequality












Squared coefficient of variation






Inequality within country groups






Inequality between country groups






Total (global) inequality






Source: derived from Sala-i-Martin (2002)






Tabella 5. Trends in income inequality from the 1950s to the mid 1990s for 73 developed, developing and transitional countries.


Sample countries in each group

Developed

Sample countries in each group


Developing

Sample countries in each group


Transitional

Sample countries in each group


Total

Share of population

of total sample countries

Share of

GDP-PPP

of total

sample countries

Rising inequality of which:







U shaped







Constant inequality







Falling inequality







Total







Source: author's calculations on the November 1998 version of WIDER's WIID.


Table 6. Gini coefficients of the distribution of income in

the rural, urban and overall economy

Country

Year

Rural

Urban

Overall

Cote d'Ivoire


1970

1985

1995

..


..

0.53

0.39

0.37

Kenya


1982


0.40

0.49

...


0.52 ('76)

0.58 ('84)

Mauritius

1986

1991

..

...

0.40

0.37

Ethiopia


1989


0.41

0.46



Tanzania


1983

1991

0.53

0.76



Nigeria

1986

1993

..

...

0.37

0.42

Uganda


1989


1998

..

0.33

0.32

..

0.43

0.37

0.33

0.38

0.36

Zambia


1991

1996

1998

0.56

0.49

0.52

0.45

0.47

0.48

0.56

0.52

0.51

Source: WIID, UNU/WIDER, Helsinki (www.wider.unu.edu),

Kayizzi-Mugerwa (2000), Bigsten (2000), Mc Culloch et al (2000)


Table 7. Poverty incidence before, during and after a few major financial crises (percentages).

-------- ----- ------ -------- ----- ------ -------- ----- ------ ----- ----- --------------

before during after

-------- ----- ------ -------- ----- ------ ----- ----- ----

Argentina (87-90)   25.2 47.3 33.7

Argentina (93-7) 16.8 24.8 26.0

Jordan (86-92)   3.0 .. 14.9

Mexico 36.0 .. 43.0

-------- ----- ------ -------- ----- ------ -------- ----- ------ ----- ----- --------------

Source: World Bank (2000)





Privacy




Articolo informazione


Hits: 3756
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024