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MACROECONOMIA - LA CONTABILITà NAZIONALE

economia politica



MACROECONOMIA


CAPITOLO 1 LA CONTABILITà NAZIONALE


PARAGRAFO 1- IL PRODOTTO

Il valore complessivo della produzione dei beni e servizi finali di un paese in un dato periodo viene definito come il prodotto interno di quel paese meglio conosciuto come prodotto interno lordo(PIL) e cioè la produzione complessiva del paese, comprensiva degli ammortamenti(=costo di produzione dovuto al logoramento del capitale) e perciò detta lorda. Sottraendo gli ammortamenti dal PIL si ottiene il PIN, il prodotto interno netto.Il pil di un certo paese in un dato anno è costituito dalla somma di tutti i beni e servizi prodotti in quell’anno in quel paese al lordo degli ammortamenti.

Poiché i beni e i servizi non possono essere espressi in una unità di misura fisica comune, ma possiedono ciascuno una propria unità l’unico modo per ottenere una tale somma è quello di moltiplicare ciascuna quantità fisica prodotta per il corrispondente prezzo di mercato. Ciò comporta che il PIL possa variare per effetto dei cambiamenti che interessano sia le quantità sia i prezzi. Il problema è che mentre le quantità sono un indicatore del benessere raggiunto, i prezzi non lo sono(un valore del pil maggiore per effetto di prezzi alti non è sinonimo di benessere per la popolazione del paese).



Si parla di PIL REALE, quando la sua espressione è stata corretta per eliminare gli effetti prodotti dalle pure e semplici variazioni dei prezzi, e di un PIL NOMINALE quando la sua espressione contiene ancora tali effetti al suo interno.

La quantità di beni e servizi di cui è composto il prodotto interno(lordo o netto) di un paese rappresenta un’indicazione del benessere del paese stesso: disporre di più beni è meglio che disporre di meno beni. Poter calcolare questa grandezza ci permette di farci un’idea delle possibilità materiali di un paese e di effettuare confronti fra diversi paesi. In linea di principio, qualunque prodotto finale dell’attività economica deve entrare come componente nel calcolo del PIL. Vi sono molti beni che saremmo senza dubbio inclini a considerare parte del benessere di un paese, anche se non possiedono un prezzo di mercato e per questo motivo non possono essere inclusi nel PIL. Vi sono poi beni di mercato a tutti gli effetti i quali non vengono inclusi nel PIL perché per varie ragioni non vengono censiti dalle statistiche. Sono:

A)  beni extra-mercato:- esternalità(sono effetti esterni al mercato come per esempio le industrie che con le loro emissioni provocano la morte delle foreste senza essere tenute a pagare alcun indennizzo; oppure l’agricoltore che disinfestando il suo campo produce un beneficio anche agli agricoltori vicini e non ne viene compensato.Gli effetti esterni possono essere positivi o negativi. in tutti i casi di esternalità qualcuno viene a godere di un beneficio, oppure subisce un danno, senza che vi sia passaggio di denaro). Vi sono cose che vengono prodotte e che contribuiscono al benessere della collettività, pur essendo prive di prezzo. Le esternalità hanno valore economico ma non hanno prezzo.

-beni comuni e beni di nessuno:beni che compongono il benessere collettivo ma che non possiedono

un prezzo.(piante animali . )

-il tempo libero

B) beni non rilevati statisticamente:- Lavoro domestico e simili.

-L’economia sommersa: comprende tutta quella produzione che non viene dichiarata ufficialmente,

generalmente per evitare il pagamento di imposte.

-L’economia criminale: attività non dichiarate in quanto illecite(prostituzione, traffico di droga..)


Il prodotto pro-capite è il pil diviso il numero degli abitanti di un paese.


Vi sono metodi diversi per calcolare il PIL:

1)la somma del valore dei prodotti finali: un primo metodo corretto consiste nel sommare tra di loro soltanto il valore dei beni finali.

2)il calcolo de valore aggiunto: sommando il valore aggiunto di tutte le produzioni otterremo automaticamente il valore del PIL, depurato dai doppi conteggi:

valore aggiunto=salari+stipendi+interessi+profitti

ogni impresa aggiunge ulteriore valore, dato dal contributo dei suoi lavoratori, delle sue macchine e dell’imprenditore.

3)la somma del reddito dei fattori: si comprende che un modo perfettamente analogo al precedente per calcolare il PIL di un paese consiste nel sommare tra di loro il valore delle remunerazioni dei vari fattori a tutti gli stadi del processo produttivo. In ultima analisi, il PIL è costituito dalla somma di(salari+profitti+interessi+stipendi). Ma questi non sono altro che i redditi percepiti dai fattori della produzione. La conseguenza di tutto ciò è che il PIL è per definizione eguale alla somma dei redditi percepiti in un’economia in un dato luogo.


Il prodotto nazionale di un paese misura il valore dei beni e servizi prodotti dai cittadini di quel paese e quindi verosimilmente includerà anche il valore della produzione realizzata all’estero dai cittadini del paese mentre non includerà il valore della produzione realizzata materialmente all’interno del paese, ma da cittadini stranieri.(il concetto di prodotto nazionale è basato quindi su un criterio di cittadinanza)

Il prodotto interno comprende il valore di tutta la produzione realizzata all’interno del paese, non importa se da cittadini di quel paese.

Il PNL è quindi uguale al PIL, più il valore aggiunto dei fattori nazionali operanti all’estero, e meno il valore aggiunto dei fattori stranieri operanti nel paese.


PARAGRAFO 2- IL REDDITO

In corrispondenza della vendita di qualunque bene o servizio, l’acquirente di quel bene o servizio paga al suo produttore il relativo prezzo, il quale costituisce un reddito per il produttore stesso. Quindi, il valore della produzione globale e il valore dei redditi percepiti in uno stesso anno dai produttori coincidono. Vi sono però due avvertenze da tenere presenti:

-quella di considerare la misura netta del prodotto, cioè il prodotto al netto degli ammortamenti;

-quella di sottrarre dal valore del PIL le imposte indirette e i redditi ricevuti dall’estero.

Se consideriamo la somma dei redditi di un paese in un anno, parliamo di REDDITO NAZIONALE.

Il reddito personale disponibile si distingue dal RN essenzialmente perché non comprende i profitti delle imprese e non comprende le imposte pagate da famiglie e singoli, mentre comprende i trasferimenti dallo stato a questi ultimi, come ad es. assegni di famiglia o sussidi di disoccupazione.

Tutto ciò che non viene consumato viene necessariamente risparmiato.


PARAGRAFO 3- LA SPESA

I beni e servizi che costituiscono il PIL possono essere acquistati da quattro categorie di compratori: famiglie-imprese- pubblica amministrazione- soggetti esterni al paese in questione. Le vendite effettuate a questi ultimi, se considerate dal punto di vista del paese che stiamo considerando, prendono il nome di esportazioni. A un certo ammontare di prodotto corrisponde un eguale ammontare di spesa da parte di coloro che acquistano il prodotto. Si può dire che la spesa di un qualunque paese consiste nella somma di:

-consumi delle famiglie;

-investimenti delle imprese;

-consumi e investimenti della pubblica amministrazione;

-esportazioni nette.

I CONSUMI consistono nell’acquisto di beni deperibili, mentre gli INVESTIMENTI consistono nell’acquisto di beni durevoli, destinati ad accrescere le capacità produttive.


PARAGRAFO 4- LA PRODUZIONE DI REDDITO COME PROCESSO CIRCOLARE

Il reddito generato dalla vendita del prodotto serve per acquistare altro prodotto. Vi è quindi una relazione circolare tra produzione e reddito: la produzione genera reddito, il reddito acquista ulteriore produzione, la quale genera altro reddito,e così via..

Se l’economia procedesse sempre attraverso una catena di effetti d questo tipo dovremo avere una situazione molto stabile nel tempo: produzione e reddito dovrebbero rimanere pressoché costanti. In effetti, non è così. Una delle grandi scoperte del pensiero economico moderno è costituita proprio dall’elaborazione di un concetto che svolge un ruolo fondamentale interponendosi tra reddito e produzione. Questo elemento è costituito dalla domanda. Perché il reddito dia luogo a una nuova produzione, deve prendere la forma di domanda di beni o servizi. Ora, la domanda è generata dal reddito, e ovviamente ne è anche condizionata(=è difficile domandare beni quando non si possiede un reddito).

REDDITO

 

REDDITO


I consumatori e gli investitori cioè i gruppi di soggetti danno luogo alla domanda totale(domanda aggregata), potrebbero non essere disposti a spendere tutto il reddito ricevuto in precedenza(se cambio l’auto nel 2005 e l’auto che possiedo ora mi soddisfa è difficile pensare di acquistare una nuova auto nel 2006). Naturalmente perché questi comportamenti abbiano un impatto avvertibile al livello dell’economia nel suo complesso, non è sufficiente che alcuni individui o alcune famiglie soltanto riducano le loro spese: in corrispondenza del mancato acquisto dell’auto nel 2006 vi saranno di norma altri consumatori che effettueranno acquisti. Tuttavia è possibile che un numero sufficiente di soggetti decida contemporaneamente di ridurre le proprie spese. Si tratterà verosimilmente dell’effetto di cause di natura psicologica.

Quanto più alta risulterà la domanda tanto più alto risulterà il reddito generato. Una condizione per avere una domanda elevata è un atteggiamento ottimistico da parte dei soggetti nel senso che, per richiedere merci, i soggetti devono disporre di un reddito, ma soprattutto pensare che ne disporranno in un prossimo futuro, e che non si verificheranno fatti tali da rendere necessario l’uso del loro denaro per altri scopi. L’ottimismo è prodotto dalle aspettative.

Caratteristiche e conseguenze del circuito del reddito:

1.L’esistenza di stimoli alla domanda è di importanza cruciale. In un’economia avanzata, questi stimoli proverranno soltanto in minima parte da bisogni essenziali.

2.Le innovazioni possono stimolare fortemente la domanda.

3.il fatto che la domanda si concentri su beni troppo durevoli non è positivo. I beni devono essere sostituiti spesso per assicurare una certa domanda anche in periodi di scarsa propensione alla spesa.

4. A volte l’ottimismo può essere indotto: per esempio, la facilità nel reperire denaro può abbassare i freni inibitori nei confronti della spesa

5. I fenomeni di disoccupazione derivano dalla mancanza o insufficienza di domanda.


PARAGRAFO 5-LA DOMANDA DI CONSUMI

Le circostanze che possono influire sulla domanda complessiva dell’economia o della domanda aggregata soo numerose. Consideriamo per ora il solo settore privato dell’economia( famiglia+imprese ), assumendo che il settore pubblico abbia soltanto funzioni sociali, e si astenga dal volere influire sull’andamento della produzione dei beni e su quello del reddito. Per definizione la domanda di consumo proviene dalle famiglie. In termini generali i consumi delle famiglie dipendono dal reddito. Può succedere che il consumo di una famiglia superi il reddito della stessa.

Chiamiamo propensione marginale del consumo(PMC) di un soggetto la quota percentuale di reddito che vene consumata dal soggetto stesso. Se tale propensione è, ad es. del 60%, la propensione marginale di risparmio(PMR) sarà evidentemente del 40%.





PARAGRAFO 6-LA DOMANDA DI INVESTIMENTI

Gli investimenti hanno una natura particolare. Si tratta infatti di decisioni che vengono prese guardando più al futuro che al presente. L’imprenditore che investe è un soggetto che fiuta la possibilità di allargarsi su un nuovo mercato. Keynes avrebbe detto che gli investimenti sono determinati dall’istinto degli imprenditori. Se adottassimo la sua visione, dovremmo considerare gli investimenti come non dipendenti dal reddito: ad es. come una certa somma costante in quanto indipendente dal livello del reddito, che va ad aggiungersi ai consumi, determinando uno slittamento parallelo verso l’alto della funzione di domanda. A questo punto, la funzione di domanda prende il nome di funzione di domanda aggregata, in quanto risulta dalla somma di due componenti, consumi più investimenti.



PARAGRAFO 7/8-LA DETERMINAZIONE DELLA PRODUZIONE(REDDITO) DI EQUILIBRIO

La domanda aggregata tuttavia potrebbe non essere uguale all’offerta aggregata. Introduciamo una piccola modificazione nel nostro grafico, in modo tale da poter distinguere tra i punti della funzione DA che corrispondono a funzioni di equilibrio da quelli che non corrispondono a tali condizioni.


Le ascisse portano i valori tanto del reddito-inteso come redito disponibile- quanto della produzione, cioè del PIL. Quindi sulle ascisse è rappresentata l’offerta totale. Fatto ciò tracciamo una linea inclinata di 45°, la bisettrice, i cui punti sono caratterizzati tutti dall’uguaglianza tra reddito, produzione e domanda aggregata. Quindi se l’economia si trova sulla bisettrice ciò vuol dire che tutto ciò che viene prodotto viene anche domandato. Per livelli di produzione bassi, la domanda sarà superiore alla produzione, perché non totalmente condizionata dal reddito che la produzione genera. Per livelli di produzione alti, la produzione tenderà a essere superiore alla domanda. Soltanto in corrispondenza di E la domanda aggr. È uguale alla produzione e al reddito.

 






DA=C+I


E



45°

reddito, produzione






Il punto di E indica quindi la condizione di uguaglianza tra domanda totale e offerta totale dell’economia. Indica la condizione nella quale tutto ciò che viene prodotto viene acquistato e non viene domandata nessuna quantità in più d questa.E’ possibile che in una situazione come questa vi siano lavoratori o impianti inutilizzati?Si. Domanda e offerta potrebbero incontrarsi in corrispondenza di un livello qualsiasi di produzione: se l’offerta è molto bassa, tanto da non comportare l’utilizzazione di una parte di macchine e manodopera, è sempre possibile che la domanda sia a sua volta tanto bassa da eguagliare l’offerta. Ma ciò non significa che si tratti di un equilibrio desiderabile: in effetti esso si verifica in presenza di una certa quale disoccupazione dei fattori. La disoccupazione del fattore-capitale significa che i capitalisti non percepiranno i redditi derivanti dalla messa a disposizione di tali capitali, mentre la disoccupazione del fattore-lavoro significherà che molti individui non avranno un reddito su cui contare.

Il problema dell’ equilibrio di piena occupazione:quando la spesa è soltanto privata: Il livello di produzione che permette di occupare tutto il lavoro e tutto il capitale è OB. Tuttavia, domanda e offerta si eguagliano in corrispondenza di OA. La differenza tra A e B è indicata con gap (=divario), che sta a indicare che nell’economia in questione vi è appunto un divario tra la produzione necessaria per la piena occupazione e quella di equilibrio. Una posizione come B potrebbe assicurare la piena occupazione dei fattori, ma per raggiungere un livello di produzione come B, la produzione dovrebbe essere spinta su livelli molto elevati. Ma la domanda aggregata non potrebbe aumentare nella misura richiesta, perché la propensione a spendere non aumenta nella stessa proporzione della produzione e quindi, quando la produzione raggiunge valori elevati( superiori ad A), il divario tra produzione e spesa incomincia a farsi evidente, come dimostrato dal crescente divario tra domanda e produzione a mano a mano che ci si sposta verso destra.

 





E’


E DA=C+I





A B reddito, produzione





Si comprende che per ottenere un punto di equilibrio che fosse al tempo stesso di piena occupazione, la funzione DA dovrebbe essere collocata più in alto nella posizione DA’, in modo tale da passare pe 535i84f r il punto E’ anziché per E. Ma cosa potrebbe portare la domanda a un tale livello? La pubblica amministrazione.



Il problema dell’equilibrio d i piena occupazione: il ruolo della spesa pubblica.

 


DA=C+ I + G

E’

DA=C + I


E

G




A B reddito, produzione


La pubblica amministrazione spende nell’acquisto dei beni né più né meno di una famiglia o impresa. G simboleggia la spesa da parte di P.A.

L’economia funziona secondo questa sequenza:

domanda Produzione Reddito Domanda Produzione Reddito . .

Un aumento di 100 nella DA farà si che le imprese mettano sul mercato beni e servizi aggiuntivi per 100, il che genera reddito per 100. Ma questo reddito genererà un ulteriore spesa che andrà a sommarsi alla spesa pubblica iniziale G. Questa spesa privata sarà fonte di reddito per altri soggetti, i quali verosimilmente spenderanno il reddito così ottenuto in altri in vari modi.

Si può dire quindi che la spesa ha un effetto moltiplicativo. La relazione che lega la spesa all’incremento di reddito che ne risulta viene definita MOLTIPLICATORE DELLA SPESA.


1

PMR

Dove PMR è la propensione media o marginale al risparmio. Un valore basso di pmr comporta un valore elevato del moltiplicatore, e viceversa. Una diminuzione di DA ha normalmente un effetto de-moltiplicativo, cioè determina una riduzione del reddito disponibile della popolazione.

Il valore assunto dal moltiplicatore dipende dall’entità degli effetti che si producono entro il periodo considerato e altresì dalla proporzione di reddito che rimane all’interno dei confini del paese considerato: se alcuni di coloro che ricevono i pagamenti nei diversi round sono cittadini stranieri, l’incremento del reddito nazionale sarà minore di quanto calcolato inizialmente.

Le imposte sottraggono alla domanda una quota proporzionale al reddito( ci si riferisce alle imposte dirette). Per effetto di tali imposte la funzione DA’ ruota intorno alla sua origine verso il basso nella nuova posizione DAt (DA’= C + I + G – T), dove T sono le imposte. Il punto di equilibrio che si determina corrisponde quindi a un reddito e a una produzione minori di quelli che si sarebbero avuti se non si fossero tenute in considerazione le imposte( B’ anziché B). Formalmente, la presenza della tassazione significa che l’espressione 1 si modifica nell’espressione 1


PMR PMR + T



Gli effetti della tassazione sul moltiplicatore

 


DA’


DA



K



Fino a questo momento abbiamo ragionato come se l’economia fosse completamente chiusa verso l’esterno. Correggiamo questa lacuna introducendo le esportazioni (X). Esse rappresentano vendite di beni e di servizi a stranieri, e come tali vanno ad aggiungersi alle altre componenti della domanda aggregata. Facendo aumentare il reddito, le esportazioni faranno verosimilmente aumentare anche quella parte di reddito che viene spesa nell’acquisto di beni e di servizi esteri, vale a dire, le importazioni(M). Se tali importazioni rappresentano una percentuale relativamente stabile del reddito, esse costituiranno una sottrazione della DA del paese considerato, nello stesso modo in cui lo sono i risparmi. Se quindi teniamo conto della propensione ad importare come di un valore costante, la formula del moltiplicatore risulterà modificata:

1

PMR+T-(PMX- PMI)

Dove:PMR rappr. La propensione marginale al risparmio

T rappr. L’aliquota media della tassazione

PMX rappr. La propensione marginale alle esportazioni

PMI rappr. La propensione marginale alle importazioni

Il moltiplicatore nell’economia aperta

 
Se (X-I) è una grandezza positiva la DA subisce una traslazione verso l’alto





DA’’=C+ I+ G-T +X-M


DA’=C+ I+ G-T



X-M


reddito, produzione




CAPITOLO 2 IL BILANCIO STATALE E LA POLITICA FISCALE


PARAGRAFO 1- IL BILANCIO DELLO STATO

Il bilancio dello stato è un documento in cui vengono descritte le entrate e le uscite dello stato relativamente a un dato anno.

Se in un dato anno le entrate superano le uscite, si genera un attivo( detto anche avanzo o surplus) di bilancio. Se invece le uscite superano le entrate si determina un passivo( detto anche disavanzo o deficit).

Lo Stato può spendere denaro nella forma di acquisti di beni e servizi per la difesa militare, per la costruzione e la manutenzione di opere pubbliche, per le forniture degli ospedali, per pagare le pensioni agi anziani, le indennità degli invalidi, ecc . .

In sintesi possiamo distinguere tra le seguenti voci di spesa:

A) SPESA PUBBLICA CORRENTE, che a sua volta si distingue in:

-spesa per beni di consumo o servizi;

-spesa per trasferimenti pubblici

B)SPESA PER INVESTIMENTI PUBBLICI

La differenza è che nel secondo caso lo scopo consiste nell’aumentare la dotazione pubblica di beni durevoli.

La spesa per trasferimenti, che comprende tutte le prestazioni sociali(pensioni, indennità per invalidità..)in cambio delle quali lo stato non riceve nessun bene o servizio dai cittadini, include anche le somme che vengono spese ogni anno per pagare gli interessi sul debito pubblico(DP), cioè sui titoli che i cittadini acquistano dallo stato stesso, effettuando in tal modo un vero e proprio prestito a favore di quest’ultimo. I titoli di stato, detti anche titoli del DP, in Italia comprendono:

-i Buoni Ordinari del Tesoro (BOT),   certificati che attestano un prestito fatto dallo Stato

-i Buoni Poliennali del Tesoro (BTP), da parte dei cittadini

-i Certificati di Credito del Tesoro (CCT)     titoli a scadenza media o lunga che rendono un interesse variabile


Tutte queste voci costituiscono la spesa pubblica di un dato anno. Per consentire l’effettuazione di tali spese, lo Stato deve ovviamente procurarsi delle entrate:

- il modo più facile per farlo consiste nell’esigere dai cittadini pagamenti nella forma di imposte,che si dividono in dirette( quelle che colpiscono il reddito prodotto da individui e imprese,l’IRPEF) e indirette( quelle che gravano sugli scambi, l’IVA),e di tasse, che rappresentano il corrispettivo di servizi forniti dallo Stato.

- vi sono altre fonti di possibili entrate come la produzione di beni o servizi destinati alla vendita, come servizi di trasporto pubblico.

- Lo Stato riceve entrate anche sotto forma di contributi sociali.

- Infine può ricevere entrate dalla vendita di beni propri.


PARAGRAFO 2-GLI EFFETTI DELLA SPESA PUBBLICA SULLA DOMANDA AGGREGATA

La spesa pubblica è una componente della domanda aggregata. Un suo aumento potenzialmente fa aumentare la produzione e il reddito. Tuttavia, le diverse componenti della spesa pubblica operano in modo diversi: la spesa per beni e servizi e la spesa per investimenti agiscono direttamente sulla DA, perché si tratta di spesa effettuata sul mercato, mentre la spesa per trasferimenti opera sul livello del reddito disponibile. Analogamente, una riduzione delle imposte può stimolare la DA ma soltanto la riduzione delle imposte indirette agisce direttamente sulla DA, se e nella misura in cui fa abbassare i prezzi delle merci, mentre la riduzione delle imposte dirette opera in modo indiretto, in quanto fa aumentare il reddito disponibile. Per questi motivi, un aumento della spesa pubblica coperto da un pari aumento delle imposte ha effetti che dipenderanno dal tipo di imposte applicato: se un aumento di spesa di 1000 è finanziato da 1000 di nuove imposte indirette, l’effetto di stimolo sulla DA sarà nullo, perché ogni euro di imposte indirette sottrae un euro di spesa al circuito del reddito, mentre se lo stesso aumento di spesa venisse finanziato da 1000 di nuove imposte dirette, l’effetto dello stimolo dovrebbe essere positivo, anche se il bilancio dello stato rimane in pareggio. La ragione sta nel fatto che le imposte dirette sottraggono ai cittadini reddito.


Quando si tratta di imposte dirette, queste hanno l’effetto di sottrarre reddito disponibile al settore privato dell’economia.

PARAGRAFO 3- LE POLITCHE FISCALI: ESPANSIVE E RESTRITTIVE

Le decisioni relative alle entrate e quelle relative alle uscite del settore pubblico sono indicate con il termine di politiche fiscali. Si parla di politiche fiscali espansive quando viene aumentata la spesa anche al di là del limite rappresentato dalle entrate(determinando così un disavanzo di bilancio) e di politiche fiscali restrittive nel caso opposto. Analogamente si avranno politiche fiscali espansive quando si riducono le imposte e politiche fiscali restrittive quando si aumentano.


PARAGRAFO 4- IL DEBITO PUBBLICO

Il debito pubblico(DP) non è altro che la somma dei disavanzi dei diversi anni. Come tale cresce negli anni in cui si registra un disavanzo pubico e si riduce negli anni in cui si registra un avanzo. Ma poiché qualunque debito produce interessi a carico del debitore, alla somma dei disavanzi devono essere aggiunti anche gli interessi che si accumulano sul debito esistente. Si parla di disavanzo primario per riferirsi al disavanzo prodotto in un dato anno, al netto degli interessi maturati sul debito preesistente.

Per ridurre il debito in assoluto sono necessari avanzi di bilancio tali da ripagare gli interessi maturati e ripagare almeno in parte il debito accumulato fino quel momento. Perché il DP incomincia a diminuire è necessario che il disavanzo primario non soltanto sia nullo, ma che sia rimpiazzato da un avanzo superiore(=DISAVANZO NEGATIVO) all’ammontare degli interessi di ciascun anno.

Una relazione tra DP e mercato esiste. Non si deve dimenticare che i titoli del DP sono acquistati come alternativa all’acquisti di titoli del settore privato. Presi insieme, essi costituiscono un unico mercato, sottoposto alla legge della domanda e dell’offerta, su cui le imprese fanno a gara per procurarsi il denaro messo a disposizione dai risparmiatori. Pertanto,la maggior offerta di titoli pubblici sul mercato fa diminuire il prezzo dei titoli già presenti,inclusi quelli privati, e ne fa aumentare l’interesse. Dunque, tra il prezzo e il rendimento dei titoli esiste una relazione inversa. Ma allora, il tentativo dello Stato di finanziare la propria spesa mediante l’emissione di nuovi titoli renderà a fare diminuire i prezzi dei titoli pubblici esistenti, ma anche quelli degli altri titoli privati offerti sul mercato. Di conseguenza, il costo del finanziamento che le imprese private cercano di ottenere tramite l’emissione di titoli aumenterà, le imprese avranno meno risorse a disposizione e, in particolare, tenderanno a investire di meno.

Parlando della crescita del DP, oltre agli effetti sul mercato dei titoli, devono essere considerate le conseguenze sullo sviluppo dell’economia. L’immissione di titoli del DP contiene un pericolo di riduzione degli investimenti privati( c.d. piazzamento dell’investimento privato). Un governo che non volesse accrescere i problemi di finanziamento del settore privato, e che allo stesso tempo volesse continuare a finanziare il proprio disavanzo, dovrebbe primo o poi cercare altre fonti, come ad es. maggiori imposte o, nella peggiore delle ipotesi, stampa moneta.

Un DP elevato non è necessariamente fonte di preoccupazioni gravi. Ma, data la sua natura, si comprende che esso genererà interessi crescenti: ciò di per se stesso provocherà un aumento del debito.

L’esistenza di un certo ammontare di DP è una caratteristica generale delle economie contemporanee, e rappresenta una logica conseguenza della tendenza, a praticare politiche fiscali espansive che comportano deficit.



Ci sono varie possibilità per il DP:

a)il DP viene annullato mediante uno o più avanzi di bilancio;

b)il DP cresce ogni anno;

c)il DP rimane costante nel tempo.

La prima ipotesi è quella preferibile, ma non è detto che il governo sia propenso a realizzarla, soprattutto se per farlo dovesse assumere iniziative impopolari, come maggiori imposte.

La seconda può verificarsi anche in assenza di successivi disavanzi: l’accumularsi di interessi sul debito esistente sarebbe sufficiente di per se stesso a causare un continuo aumento dell’entità del debito, se non si provvedesse a realizzare avanzi sufficienti almeno a ripagare gli interessi.

La terza ipotesi sembra essere quella preferita da molti governi: se il debito viene mantenuto entro dimensioni accettabili, gli effetti peggiori sono scongiurati. Si parla allora di DP sostenibile.Ma quali sono queste dimensioni? Un modo ragionevole per esprimersi può essere quello di far riferimento al rapporto tra debito e PIL: se questo rapporto è basso, ciò significa che nell’economia si producono ogni anno risorse sufficienti per onorare il debito contratto dallo Stato. Non vi sono regole che stabiliscono quanto può crescere il rapporto DP/PIL( anche se recentemente il trattato di Maastricht ha fissato nel 60% tale valore).

Le 4 possibili vie di uscita da una situazione di DP eccessivo sono:

a)aumento delle entrate: per eliminare un DP troppo alto è necessario registrare un certo numero di avanzi di bilancio. Questo risultato tuttavia è reso problematico dalla necessità di aumentare le imposte e/o di ridurre la spesa pubblica. Entrambe le misure possono avere un effetto controproducente, in quanto determinino una riduzione del PlL. Questa spiegazione da sola permette di comprendere perché i governi siano piuttosto restii a imboccare risolutamente la strada delle misure volte all’eliminazione del debito. L’aumento delle imposte è quasi certamente destinato a colpire le categorie che meno di altre riescono a sottrarsi al loro pagamento e non vi è ragione di credere che si tratti degli stessi soggetti che ricevono i benefici derivanti dagli interessi sul DP. Pertanto non è probabile che vi possa essere un consenso generale sul tipo di politiche che il governo dovrebbe adottare per realizzare il risanamento.

b)combinazione tra risanamento e sviluppo

c)consolidamento forzato: consiste nella trasformazione per legge del debito da debito a breve termine in debito a lungo termine. Si tratta evidentemente di una decisione che ha per i cittadini l’effetto di rendere non più esigibile il credito e come tale compromette drasticamente le possibilità del governo che l’assume di ottenere ulteriore denaro in prestito dal pubblico.

d)inflazione:alla possibilità dell’inflazione come mezzo per ridurre la progressione del DP, essa deriva dal fatto che, i condizione di inflazione, i debiti rimangono fissi in termini nominali e pertanto si riducono in termini reali(=la stessa quantità di denaro corrisponde a quantità di beni sempre minori). Tale effetto si produrrà anche per i debiti dello Stato.


















CAPITOLO 3 IL MERCATO DEL LAVORO E LA DISOCCUPAZIONE


PARAGRAFO 1-IL MERCATO DEL LAVORO

Il mercato del lavoro è caratterizzato da una domanda ed una offerta, in questo caso di forza-lavoro. Per forza lavoro intendiamo servizi produttivi forniti dalle persone. Può essere misurata in termini di unità di uomini o donne, o in altre forme(es. ore di lavoro). La domanda proviene dalle imprese e si riferisce alla domanda di queste per i servizi lavorativi necessari alla produzione di beni e /o servizi; l’offerta invece proviene dagli individui attraverso la disponibilità a ricoprire incarichi lavorativi in attività imprenditoriali autonome o alle dipendenze altrui.

Un mercato di lavoro ideale dovrebbe determinare un prezzo della foza-lavoro tale da permettere a domanda e offerta di eguagliarsi, eliminando qualunque discrepanza. E’ noto invece che in molti contesti la domanda tende a risultare inferiore all’offerta: questa è la condizione che definiamo di disoccupazione.

La disoccupazione oggi può assumere aspetti socialmente preoccupanti a causa della sua struttura e della sua distribuzione:

impossibilita di produrre un reddito, a favore proprio e della eventuale famiglia, con le relative conseguenze;

degrado delle condizioni di vita dei disoccupati, dovuto al basso reddito e alle caratteristiche della vita personale;

perdita di produzione potenziale.


PARAGRAFO 2-LA DOMANDA DI LAVORO

Diversi sono i fattori che influiscono sulla domanda di lavoro da parte di una singola impresa, in quanto possono influire sul prodotto marginale del lavoro. La domanda di lavoro che proviene dalle imprese, una volta determinati la domanda del proprio output e il prezzo dei servizi lavorativi, dipende dal confronto tra quanto una unità aggiuntiva di lavoro può produrre, e il costo di tale unità. La prima grandezza è quella che abbiamo imparato a chiamare prodotto marginale del lavoro e che può essere espressa come:

AY =variazione produzione imprese

AL variazione numero lavoratori

Questo a sua volta deve essere moltiplicato per il corrispondente prezzo( p) per esprimere il prodotto in valore

AY x p (=PML)=w

AL condizione di equilibrio per il mercato del lavoro.

W= è il salario nominale che viene corrisposto al lavoratore.

Perché l’azienda possa aumentare il numero di lavoratori occorre che il prodotto PML x p sia superiore al salario (w). L’impresa non riterrà conveniente utilizzare un nuovo lavoratore o retribuire un’ulteriore ora di lavoro se il valore del prodotto marginale corrispondente non ne copre il salario. La quantità di lavoro domandata dalle imprese potrà aumentare soltanto se w, il salario, si abbasserà e viceversa.

curva di domanda di lavoro di impresa o di industria

 

occupazione(L)








PARAGRAFO 3-L’OFFERTA DI LAVORO

L’offerta di lavoro proviene dagli individui o dalle famiglie. Se esaminate a livello individuale, le motivazione che spingono ad offrire servizi lavorativi presentano alcune peculiarità che possono causare effetti ambigui sull’offerta di lavoro: da un lato è ragionevole aspettarsi che ad un maggior salario si accompagni un maggior incentivo al lavoro, dall’altro ad un reddito crescente- che consegue ad un salario maggiore- si dovrebbe accompagnare un maggior desiderio di godere del tempo libero e quindi di ridurre il tempo di lavoro. Il prevalere di uno o dell’altro effetto darà luogo ad un andamento crescente o decrescente della curva di offerta individuale

Salario w

Curva di offerta di lavoro individuale la curva parte da un livello di salario non nullo (w) chiamato salario di riserva al di sotto del quale l’individuo non sarà disposto a lavorare. Per bassi livelli di salario è ragionevole supporre che, in corrispondenza di aumenti del salario, prevalga l’incentivo a lavorare di più(quindi la curva di offerta sarà inizialmente crescente), mentre per livelli di reddito oltre un certo livello (w1)è ragionevole supporre che prevalga l’incentivo a godere di maggior tempo libero(quindi oltre tale livello la curva di offerta potrebbe piegarsi all’indietro e risultare decrescente.

 


w1




w


ore di lavoro



Il mercato di lavoro è in equilibrio quando il livello del salario reale è tale da eguagliare la domanda di lavoro e l’offerta di lavoro. Tutti coloro che offrono forza-lavoro troveranno qualcuno disposto ad assumerli, e non vi sarà disoccupazione. Chi pretende di avere salari superiori al livello di equilibrio non potrà essere occupato, e andrà a costituire la quota dei disoccupati volontari dell’economia. Keynes sostenne che l’equilibrio economico del sistema produttivo era compatibile, almeno nel breve-medio periodo, con l’esistenza di disoccupazione: si trattava di disoccupazione involontaria, nel senso che non dipendeva affatto dalle pretese salariali degli individui.


saggio di salario


l’equilibrio del mercato di lavoro:dis. involontaria

quando il salario è a un livello di equilibrio (w) la disoccupazione esistente è soltanto quella involontaria determinata da un livello di attività insufficiente a dare lavoro anche alle persone non occupate fuori dal mercato(HB). (OH) rappresenta una situazione di piena occupazione. Ma un saggio di salario più alto (es. w1) determinerebbe uno squilibrio tra domanda e offerta di lavoro ,e di conseguenza, disoccupazione:al salario w1, HB lavoratori in più entrerebbero nel mercato, ma soltanto OA potrebbe trovare lavoro. Quindi, AB risulterebbero disoccupati.

 
SL

w1

E

w


DL


0 A H B occupazione




La piena occupazione è un concetto relativo: in ogni momento, anche un’economia in grande espansione presenterebbe un certo numero di disoccupati. Ma uno dei problemi principali dell’economie e delle società moderne è quello di spiegare e possibilmente combattere questo fenomeno.

Nell’approccio neoclassico al mercato del lavoro le forze della domanda e dell’offerta garantirebbero la piena occupazione: la disoccupazione può essere solamente di tipo volontario e può sorgere soltanto se vi sono forze che impediscono al salario reale di scendere al suo livello di equilibrio. Reciprocamente, il salario dovrebbe poter variare in modo tale da riequilibrare domanda e offerta di lavoro ogniqualvolta vi fosse un divario tra le due.

Empiricamente, invece, si constata una sostanziale mancanza di correlazione tra salario e disoccupazione, cioè l’assenza di un legame statistico evidente tra le due cose. Vi sono infatti numerosi e importanti casi in cui i salari non diminuiscono, pur in presenza di disoccupazione crescente(c.d. viscosità dei salari). In periodi di recessione, le imprese tendono a diminuire la loro domanda di forza-lavoro, ma i salari non diminuiscono.

Trattenere i lavoratori alle proprie dipendenze, anche la domanda è in flessione, avrebbe un senso: tant’è vero che tutti i paesi moderni conoscono forme più o meno complesse di ammortizzatori sociali la cui funzione è proprio quella di ridurre il costo, per datori e lavoratori, dei periodi di crisi: in virtù di questi istituti, lo Stato si accolla parte del pagamento dei salari per una certo tempo, in modo da ridurre i costi per le imprese e da evitare ai lavoratori di rimanere disoccupati o di dover cercare un altro lavoro.

Di fronte a una caduta della domanda, licenziare il personale è a volte più costoso che non ridurre il numero di ore lavorate. Per ragioni analoghe, nel caso di un aumento della domanda dei loro beni, le imprese non procederanno automaticamente ad assumere nuovi lavoratori, perché ciò comporterebbe dei costi aggiuntivi, ma tenderanno a chiedere ai lavoratori già alle loro dipendenze un numero maggiore di ore di lavoro o uno sforzo più intenso a parità di ore lavorate, o una combinazione dei due.

Dunque, nel breve periodo, si ha ragione di ritenere che i salari e la stessa occupazione complessiva non siano particolarmente sensibili alle variazioni nella domanda: gli aggiustamenti necessari hanno luogo essenzialmente in termini del numero di ore lavorate: di qui il ricorso agli ammortizzatori sociali.

Le imprese possono decidere di pagare un salario superiore a quello che i lavoratori ritengono il minimo accettabile per rendersi disponibili. Le imprese potrebbero fare questo , al fine di rendere i lavoratori più produttivi( teoria del salario-efficienza ).

Un salario relativamente alto:

a)permette i lavoratori migliori di offrirsi;

b)evita che i lavoratori più produttivi abbandonino l’impresa per accettare un impiego presso un’impresa concorrente,

c)riduce il turnover(=avvicendamento dei lavoratori, determinato dal saldo tra coloro che escono dall’azienda e coloro che vi entrano);

d)induce i lavoratori a lavorare con più attenzione e quindi con maggiore produttività, al fine di non perdere un lavoro ben retribuito.

Nel lungo periodo, invece, i salari dovrebbero risultare flessibili: nel caso di una diminuzione persistente di domanda, gli ammortizzatori sociali finiranno con l’essere revocati, e una parte dei lavoratori sarà sostituita da altri, disposti ad accontentarsi di salari più bassi. Nel caso di aumento di domanda, i datori non potranno continuare a pagare indefinitamente ore di lavoro straordinario, e penseranno piuttosto di accrescere la loro capacità produttiva assumendo nuovi dipendenti, e per fare ciò saranno disposti a pagare salari più alti


PARAGRAFO 4- LA TERMINOLOGIA DELLA DISOCCUPAZIONE

Quando le uniche cause di disoccupazione che operano solo quelle considerate ineliminabili, in quanto dovute a comportamenti volontari dagli individui o a circostanze oggettive presenti nell’economia, si parta di disoccupazione naturale.

Le forme della disoccupazione sono 4:

1)la disoccupazione strutturale, si ha quando la struttura dell’economia muta nel tempo comportando un aumento dell’occupazione in alcuni settori e una diminuzione in altri; ciò può avvenire fondamentalmente a causa di una variazione della domanda dei beni o di una variazione delle tecniche di produzione. Se alcune imprese o alcuni settori industriali registrano una diminuzione della domanda dei loro prodotti a causa di mutamenti dei gusti dei consumatori o a causa della concorrenza da parte di altre imprese o di altri settori, si genera disoccupazione strutturale;

2)la disoccupazione tecnologica. Nuovi metodi di produzione ottenuti grazie ad innovazioni tecnologiche permettono molto spesso di ottenere lo stesso livello di prodotto impiegando meno lavoratori. La disoccupazione strutturale può risultare a volte da cause tecnologiche, e la disoccupazione tecnologica è sempre disoccupazione strutturale;

3)la disoccupazione frizionale: la condizione che si manifesta nella fase in cui individuo cerca un nuovo lavoro, dopo avere abbandonato volontariamente il lavoro precedente. Si tratta evidentemente di una condizione destinata a terminare, e che pertanto, anche se esteriormente risulta di non-lavoro, non può essere assimilata a quella in cui il lavoratore non riesce a trovare occupazione.

4)disoccupazione stagionale quando la domanda per alcuni tipi di beni o servizi fluttua nel corso dell’anno. Questo tipo di disoccupazione può essere particolarmente rilevante nelle aree turistiche e nelle aree agricole.


PARAGRAFO 5-LA MISURA DELL’OCCUPAZIONE

Coloro che compongono la popolazione di un paese possono appartenere:

A) alle forze di lavoro, che a loro volta si dividono in:

-occupati, popolazione attiva

-persone in cerca di lavoro,

oppure

B)alle non forze di lavoro  popolazione passiva


persone in cerca

 

occupati

 

forze di lavoro(attivi)

 

non forze di

lavoro

(inattivi)

 

popolazione totale = non forze di lavoro + forze di lavoro

 
Queste ultime comprendono le persone in età non lavorativa con meno dell’età minima prevista dalla legge per essere assunti, o più dell’età massima prevista per il pensionamento, le persone che hanno dichiarato di non aver svolto alcun attività lavorativa né di aver cercato lavoro nella settimana di riferimento e di essere in una delle seguenti condizioni: casalinga, studente, ritirato dal lavoro, inabile, servizio di leva, altra persona non appartenente alle forze di lavoro.








Popolazione = coloro che sono in condi- -- coloro che si sono riti-

attiva zione di lavorare rati volontariamente


Popolazione = occupati + persone in cerca di lavoro

attiva (a) (b)


(a) vengono considerate occupate le persone che hanno almeno 15 anni di età e che dichiarano di possedere un occupazione oppure che dichiarano di avere almeno lavorato un ora nella settimana di riferimento

(b) per essere classificato come persona in cerca di lavoro, un individuo deve essere attivamente in cerca di lavoro. Tale condizione presuppone una volontà di lavorare. Vengono dunque considerate persone in cerca di lavoro le persone che hanno compiuto 15 anni di età che non si dichiarano occupate e che si dichiarano in cerca di occupazione. In particolare le persone in cerca di lavoro si dividono in:

- licenziati e dimessi;

- persone in cerca di prima occupazione;

- altre persone in cerca di lavoro.

Definiamo a questo punto un importante indicatore:

il tasso di occupazione = totale occupati tasso di disoccupazione = persone in cerca di lavoro

forza lavoro forza lavoro


PARAGRAFO 6- POLITICHE PER L’OCCUPAZIONE

Abbiamo visto come lo sviluppo economico dei paesi moderni si sia basato su un circolo virtuoso che prevedeva grandi miglioramenti nella produttività del lavoro, ma , allo stesso tempo, permetteva l’ingresso nel mercato del lavoro di un numero crescente di soggetti. Il legame tra queste due fondamentali leve era costituito dal continuo aumento della domanda dei beni. Ora siamo in condizione di intuire che quest’ultima condizione si realizza quando le retribuzioni dei lavoratori non diminuiscono e l’occupazione aumenta. Ma perché ciò possa verificarsi sarà necessario che le imprese non considerino la riduzione dei salari come uno strumento essenziale della competizione economica. Attualmente, in un mondo nel quale la crescita delle retribuzioni è resa problematica proprio dall’intensa competizione globale nella quale le imprese sono coinvolte, la possibilità di u circolo virtuoso come quello accennato è assai minore che in passato. Si comprende pertanto come in quasi tutti i paesi, anziché pensare ad aumenti della popolazione occupata, ci si concentri su una redistribuzione delle opportunità di lavoro esistenti all’interno della popolazione, più che su un effettivo aumento dell’occupazione.

Per questa ragione negli ultimi anni si stanno intensificando le politiche volte a favorire il lavoro part-time, il quale, ad esempio, favorirebbe l’impiego delle donne con impegni familiari, che in assenza di tali politiche preferirebbero non entrare nel mercato del lavoro, e la riduzione del numero di ore di cui consta la giornata lavorativa tipica dei lavoratori dipendenti. Si comprende infatti che, riducendo il numero di ore fornito da ciascun lavoratore, aumenti il numero dei possibili occupati. Tuttavia si tratterà di occupati a salario ridotto.


La determinazione dei salari dei lavoratori avviene normalmente mediante contratti collettivi fra sindacati e imprese. Solitamente, si afferma che i salari dipendono dalle condizioni prevalenti sul mercato del lavoro poiché, quanto più basso è il tasso di disoccupazione, tanto maggiori sono i salari. Vi sono tuttavia interpretazioni diverse che riguardano la determinazione dei salari: da un lato, alcuni economisti sottolineano che anche in assenza di contrattazione collettiva, i lavoratori hanno una certa forza contrattuale che usano per indurre le imprese a pagare salari più elevati; dall’altro lato si è osservato che le imprese stesse, per ragioni varie, possono voler pagare salari superiori al salario di riserva. Entrambe le cause determinano una certa quale rigidità dei salari, i quali non tendono a scendere nemmeno in presenza di disoccupazione.

Fra le cause di disoccupazione viene posta molta attenzione sulla rigidità del lavoro. Tale concetto è visto in contrapposizione a quello di flessibilità, termine a sua volta soggetto a numerose interpretazioni.

L’esigenza di flessibilità è riferita soprattutto al comportamento delle imprese o delle unità produttive in genere. Distinguiamo due tipi di flessibilità:

  1. flessibilità salariale: la mancanza di flessibilità di salari verso il basso viene indicata fra le possibili cause di disoccupazione involontaria. Secondo tale visione, sarebbe possibile diminuire la disoccupazione nei paesi occidentali attraverso una maggiore flessibilità salariale, conseguibile mediante l’allentamento dei vincoli che sono all’origine di tale rigidità. Le cause di rigidità possono risiedere:

-nel ricorso da parte delle imprese a forme di salario-efficienza;

-nell’atteggiamento dei sindacati dei lavoratori, che si oppongono a riduzioni del salario anche quando ciò significa limitare le possibilità di nuove assunzioni;

-in norme di legge che impongono un salario minimo.

  1. la flessibilità in termini di modalità di lavoro

-la flessibilità intesa come maggiore facilità,per le imprese, di assumere e/o licenziare i lavoratori.

Le innovazioni più recenti sono consistite nell’introduzione di contratti a tempo determinato, che

evitano alle imprese i costi relativi alle procedure di licenziamento;

-la flessibilità del tempo di lavoro può essere vista come finalizzata a favorire l’aumento della

produttività media del lavoro nell’impresa, ma anche a migliorare le condizioni di lavoro e di vita dei

lavoratori

-il lavoro part-time cioè la riduzione dell’orario dei lavoratori occupati.













CAPITOLO 4 MONETA E BANCHE


PARAGRAFO 1-FUNZIONI DELLA MONETA

In una economia moderna è assolutamente necessario poter contare su qualcosa che si sia disposti ad accettare in pagamento in cambio di qualunque merce prodotta, e che possa essere utilizzata per acquistare qualunque altra cosa in un qualsiasi momento. E’ difficile immaginare che lo sviluppo economico avrebbe potuto avere luogo senza questa fondamentale innovazione. Il “qualcosa” di cui si parla, per svolgere tale funzione, dovrà tuttavia avere alcune caratteristiche:

1)dovrà essere accettato dal numero maggiore possibile di acquirenti e venditori;

2)dovrà avere un valore facilmente determinabile e non troppo volatile;

3)dovrà prendere la forma di un “supporto” non facilmente alterabile, duplicabile o deperibile, e capace di concentrare un valore relativamente elevato in un volume e in un peso ridotti, per poter essere trasportato facilmente.

Molti metalli possiedono queste caratteristiche. In particolare, l’oro, oltre a tutte queste ne possiede altre, funzionali( è malleabile, non scurisce col tempo)e simboliche, che ne hanno fatto un metallo particolare presso la maggior parte delle civiltà umane. Le monete d’oro, al pari di quelle di altri metalli, si prestano a essere limate, e con la polvere ottenuta è possibile creare altre monete: in tal modo, viene meno la condizione numero 3. E’ possibile avviare a questo problema introducendo sul bordo della moneta una filettature che ne segnali le eventuali manomissioni. Infine se l’oro è il valore, rubarlo assicura l’acquisto del valore. Le monete d’oro hanno dunque molti vantaggi, ma nessuno desidera conservare presso di sé grandi quantità di oro, o intraprendere viaggi più o meno lunghi portando con se oro in quantità ragguardevoli. Nonostante questo limite l’oro si è affermato come la forma per eccellenza di moneta presso un numero sterminato di popoli.

Mezzi di pagamento come l’oro coniato in forma di moneta presentano almeno due caratteristiche essenziali:

quella di essere strumenti di scambio

quella di essere riserve di valore di beni che non perdono valore e che quindi possono essere accettati oggi e conservati nel tempo

infine la moneta possiede normalmente, nel mondo moderno, la funzione di unità di conto nella quale vengono espressi i prezzi e redatti i bilanci.

In conclusione moneta è tutto ciò che:

-svolge una funzione di mezzo di pagamento;

-può svolgere da contenitore di valore;

-può svolgere la funzione di unità di conto.


PARAGRAFO 2-LA NASCITA DELLE BANCHE MODERNE

Una nozione moderna di moneta si sviluppò per la prima volta quando alcuni soggetti, verosimilmente ricchi commercianti, in un’età che possiamo collocare tra il XIV e il XV sec, incominciarono a rilasciare certificati, in cambio delle monete metalliche che altri commercianti depositavano presso di loro, a scopo di custodia, ma anche per facilitare i pagamenti che avevano luogo tra soggetti distanti. In questo modo potevano evitare di tenere presso di sé quantità ingenti di monete d’oro: infatti, potevano limitarsi a detenere lo stretto indispensabile per la vita di tutti i giorni e conservare i certificati che attestavano l’esistenza di quel denaro lasciato in custodia. Tali certificati rappresentano il prototipo della lettera di cambio(cambiale), vale a dire, della promesse di pagamento che chi riceve denaro in prestito rilascia a chi ha prestato il denaro. I commercianti che svolgevano questa attività erano i precursori dei moderni banchieri.

La lettera rilasciata dal banchiere a chi ha depositato il denaro può a sua volta essere negoziata, vale a dire, può essere utilizzata per effettuare acquisti, ne più ne meno si quanto si sarebbe potuto fare con le monete depositate. Per chi riceve questa lettera in cambio di una vendita di merci, la lettera è denaro, e in particolare è denaro che può essere depositato presso il proprio banchiere.

Il banchiere che riceve denaro metallico e rilascia certificati verrà a disporre di quantità ingenti di denaro. Egli potrà pertanto prestare questo denaro a terzi, e normalmente lo farà, perché ciò gli consentirà di farsi pagare degli interessi, che andranno ad aggiungersi ai guadagni derivanti dall’attività di custodia.

il banchiere potrà quindi prestare denaro ad altri soggetti trattenendo presso di sé soltanto una quota di questi depositi: questa quota è detta riserva del banchiere.

Attraverso questi passaggi si verifica una vera e propria creazione di moneta, nel senso che aumenta la quantità di moneta in circolazione. Ciascun banchiere può concedere prestiti a terzi con l’unica avvertenza di salvaguardare il limite minimo di riserve. Il risultato finale sarà la creazione di mezzi di pagamento per un multiplo del valore dei depositi realmente effettuati dai clienti delle banche.


PARAGRAFO 3-LO STOCK DI MONETA

La moneta esistente è costituita non soltanto da pezzi metallici in circolazione, ma anche dai certificati di deposito e dalle banconote( gli assegni costituiscono la versione odierna degli antichi certificati).

Il c.d. stock di moneta dell’economia è la quantità di moneta esistente in un dato momento nell’economia, ed è costituito dall’insieme di mezzi di pagamento accettati nell’economia.

Se le banche non rispettano l’obbligo della riserva, una situazione in cui alcune di esse fallissero rischierebbe facilmente di scatenare una corsa al ritiro dei depositi e quindi al fallimento effettivo di una serie di altre banche. Il rapporto tra queste riserve( dette appunto obbligatorie, in quanto imposte dalla legge) e i depositi complessivi di una banca viene definito quoziente di riserva. Nelle economie moderne, le riserve obbligatorie delle banche sono a loro volta depositate presso il “controllore” che è la Banca Centrale.

Le banche ricevono dunque depositi e pagano un interesse ai depositanti, i quali in tal modo, oltre a trovare comodo affidare il loro denaro contante a qualcuno che ne assuma la custodia e faciliti i pagamenti tra soggetti lontani, sono così ancora più incentivati a effettuare depositi. Il denaro ricevuto viene prestato a soggetti che e abbiano necessità, ma a un tasso di interessi più alto. La differenza tra i c.d. tassi attivi e tassi passivi dà luogo al profitto delle banche, le quali sono imprese a tutti gli effetti.

Lo stock di moneta di un paese moderno è costituito da:

-monete metalliche la somma di queste due costi-

-banconote tuisce il c.d. circolante le tre componenti danno luogo alla c.d. moneta M1

-depositi


In questo quadro l’oro non compare più. L’oro venne sostituito da metalli meno nobili o da leghe di vari metalli, di cui i banchieri assicuravano il valore. L’oro non ha perduto tutto il suo ruolo, in quanto ancora oggi costituisce la riserva di ultima istanza delle banche centrali, vale a dire, l’ultima linea di difesa a cui la Banca Centrale può ricorrere in caso di crisi che colpisca la moneta nazionale minacciandone il deprezzamento.

Il metallo o la carta di cui sono fatte le monete circolanti vale normalmente meno di quanto dichiarato sulla moneta o sulla banconota. Il metallo contenuto in una moneta da 1€, se fosse fuso varrebbe tanto. Nelle economie evolute il valore intrinseco delle une e delle altre è inferiore al corrispondente valore nominale. Diciamo che la circolazione della moneta oggi è di tipo fiduciario, nel senso che avviene tramite mezzi di pagamento il cui valore deriva dalla garanzia fornita dallo Stato, e non dal valore intrinseco dei mezzi stessi.

Esistono altre definizioni di stock. La M2 comprende, oltre alle voci già incluse nella M1, anche i depositi a risparmio e i certificati di credito.

Infine la M3, oltre a tutte le componenti già citate, comprende i Buoni del Tesoro( BOT e BPT).

Le componenti incluse in M2 e M3 costituiscono la c.d. quasi- moneta . Dal punto di vista dei possessori, la quasi-moneta non presenta caratteristiche sostanzialmente diverse dalla moneta, nel senso che può essere trasformata con relativa facilità in M1. (le carte di credito non sono assimilabili alle altre componenti dello stock di moneta, perché sono semplici modi per anticipare pagamenti, ma non possono circolare e non possono essere depositati in banca.



PARAGRAFO 4- LA BANCA CENTRALE

La Banca Centrale di un paese è un organismo pubblico. La BC, oltre a determinare l’entità dell’obbligo di riserva delle banche, esercita il proprio controllo sulla quantità di moneta attraverso altri due strumenti fondamentali:

-la manovra del tasso di sconto;

-le operazioni di mercato aperto.


A) il tasso di sconto è il tasso a cui la BC effettua prestiti alle altre banche del sistema. Si può dire che è “il prezzo ufficiale del denaro”, nel senso che è il prezzo pagato per ottenere denaro da chi quel denaro lo produce. Le altre banche utilizzeranno i prestiti della BC per e loro operazioni, ad es. per prestare denaro ai clienti, ma lo faranno evidentemente ad un tasso più alto di quello di sconto. Per questa ragione si può dire che il tasso di sconto è il tasso base del sistema.

B)Le operazioni di mercato aperto consistono nell’acquisto o nella vendita di titoli di Stato da parte della BC. La BC in altre parole, acquista titoli di Stato dal pubblico, e versa in cambio denaro, che il pubblico verserà nelle banche, oppure vende i titoli di Stato al pubblico, ricevendone denaro che verrà sottratto dalle disponibilità delle banche. In questo modo la BC aumenta o stock di moneta presente nell’economia quando acquista titoli, che non sono moneta M1, o lo riduce(=vendendo titoli) a seconda delle esigenze. Queste esigenze sono legate all’obiettivo di impedire che lo stock stesso aumenti o diminuisca oltre i livelli predeterminati.

La diminuzione complessiva prodotta nello stock di moneta dalle operazione di mercato aperto è il risultato di una sorta di processo a catena, in cui l’elemento determinante è costituito dall’entità dell’obbligo di riserva: diciamo che la variazione nello stock di moneta è misurabile attraverso una sorta di moltiplicatore, chiamato appunto moltiplicatore monetario . ( es.: un valore del moltiplicatore di 1,5 significa che per ogni 1000 dollari di titoli acquistati o venduti dalla BC, lo stock di moneta varia di 1500 dollari). Il valore del moltiplicatore monetario dipende: (1)dall’entità dell’obbligo di riserva, (2)dalla propensione del pubblico a depositare denaro nelle banche. Poiché le operazioni di mercato aperto possono essere effettuate dalla BC attraverso il circolante o i depositi accesi dalle banche commerciai presso la BC stessa, e poiché circolante e depositi hanno l’effetto di fare variare più che proporzionalmente l’offerta di moneta, essi, presi insieme, vengono definiti moneta ad alto potenziale o base monetaria. Si può quindi affermare che lo stock di moneta di un’economia risulta dalla seguente moltiplicazione:

(base monetaria) x (moltiplicatore monetario)


Acquistando titoli di Stato, la BC in sostanza fa aumentare lo stock di moneta. La cosa non è diversa dallo stampare nuova moneta, il che costituirebbe per lo Stato un modo semplice per finanziare il proprio disavanzo. Se l’immissione di nuova moneta nell’economia avviene in una situazione di pieno utilizzo delle risorse esistenti, lo stimolo sull’attività può essere positivo. Ma vi è un concreto pericolo che l’economia non reagisca allo stimolo, in quanto tutti i fattori sono già pienamente utilizzati. In tal caso l’effetto non potrebbe essere che quello di far aumentare i prezzi. Il risultato sarà un ondata di inflazione.


PARAGRAFO 5-LA POLITICA MONETARIA

domanda di moneta

Il pubblico utilizza la moneta per fare acquisti e ha bisogno di “avere in tasca” soltanto lo stretto necessario. Ciascuno di noi può tenere la ricchezza che supera questo stretto necessario in altre forme che hanno il vantaggio di fruttare un interesse(es. investire acquistando attività finanziaria:fondi di investimento, depositi vincolanti . ). Detenere moneta presenta il vantaggio di evitare la fatica e la preoccupazione di controllare l’andamento dei proprio investimenti, fosse anche semplicemente il saldo del conto bancario.

Detenere la moneta anziché con essa acquistare attività finanziarie comporta quindi un costo-opportunità, pari all’interesse al quale si rinuncia. Se io tengo i miei risparmi nel cassetto della scrivania mentre potrei acquistare BOT che mi darebbero un interesse del 5% all’anno, io sto in effetti pagando un costo-opportunità del 5% all’anno sul totale dei miei risparmi. Maggiore è il tasso, maggiore è il costo-opportunità di detenere moneta.

La propensione a detenere moneta in forma liquida( cioè, disponibile a essere spesa immediatamente) è detta domanda di moneta. Secondo i Keynesiani, la domanda di moneta dipende in primo luogo dal tasso d’interesse. Mentre l’esistenza di un costo-opportunità connesso con la detenzione di moneta è un dato di fatto, la dipendenza della domanda di moneta del tasso è un’ipotesi, che come tale può essere confermata o smentita dai fatti.

Ponendoci nella prospettiva keyseniana, possiamo assumere che la quantità ottimale di moneta detenuta dal pubblico venga determinata dal confronto fra costi e benefici marginali della detenzione stessa.


determinazione della quantità ottimale di moneta detenuta la quantità ottimale di moneta detenuta è rappr. dal punto K. Il costo marginale della detenzione di moneta, dato dal tasso di interesse al quale si rinuncia, è indipendente dalla quantità di moneta detenuta da ciascun soggetto, in quanto dipende dal gioco della domanda e dell’offerta complessive di moneta. Pertanto la curva del costo marginale è una linea orizzontale. Un aumento del tasso di interesse farebbe aumentare il costo marginale del detenere moneta, e ciò provocherebbe uno slittamento della corrispondente curva verso l’alto, con la conseguenza di far spostare il punto di equilibrio a sinistra rispetto a K in K’.

 





costi marginali

k j



benefici marginali con reddito Z (Z>Y)



benefici marginali con reddito Y


quantità di moneta detenuta



La domanda di moneta è influenzata dal reddito degli individui e dalla loro propensione a effettuare acquisti. La quantità di moneta domandata dal pubblico dipende altresì dai prezzi medi vigenti nell’economia. SE i prezzi mediamente si innalzano, sarà necessaria una quantità maggiore di moneta per effettuare il normale volume di acquisti di ciascuno. Si può dire quindi che la propensione del pubblico a detenere moneta dipende dal costo reale delle merci: se i prezzi medi aumentano, aumenterà anche la domanda nominale di moneta e quindi la domanda reale rimarrà invariate. Invece, un aumento del tasso di interesse riduce la domanda di liquidità reale.

Un aumento del reddito reale, in quanto faccia aumentare la domanda dei beni, farà slittare verso destra la curva dei benefici marginali della detenzione di moneta, determinando un nuovo punto di equilibrio (J).

La domanda di moneta può essere influenzata anche da altri fattori,ad es. l’introduzione di nuove attività finanziarie, che inducano nel pubblico una maggiore propensione all’investimento e un minore desiderio di detenere moneta. In questa visione, la relazione tra domanda di moneta e tasso di interesse è negativa: se aumenta il tasso, diminuisce la domanda di liquidità (Figura sotto).



Domanda di liquidità reale

 
tasso di interesse






domanda di liquidità







liquidità reale


Offerta di moneta

L’ offerta di moneta può considerarsi sotto il controllo della BC, la quale governa la moneta ad alto potenziale. Attraverso operazioni di mercato aperto, la BC influisce sull’offerta di liquidità, la quale evidentemente è indipendente dal tasso di interesse. E’ rappresentabile attraverso una linea verticale.




offerta di liquidità reale

la domanda e l’offerta di liquidità reale: Se l’equilibrio tra domanda e offerta di moneta si verifica in E, il tasso di sconto dovrà essere fissato in i. il ruolo della BC consiste quindi nel definire il livello del tasso di sconto in maniera tale da assicurare l’uguaglianza di domanda e offerta di moneta. Se non lo facesse, si verificherebbe un divario tra domanda e offerta di moneta.

 



E

i domanda di liquidità reale







liquidità reale



Se lo stock di moneta venisse accresciuto( ad es., come effetto di acquisto di titoli di stato da parte della BC sul mercato aperto), i dovrà diminuire: il pubblico sarà disponibile a detenere questa maggiore quantità di moneta soltanto in presenza di un tasso più basso.



offerta di liquidità reale



E



domanda di liquidità reale






Relazione fra tasso d’interesse e gli investimenti

La spesa per investimenti (I) componente della domanda aggregata (DA), possiede una relazione con il livello di tasso d’interesse (i). Questa relazione può essere spiegata nei seguenti termini: gli investimenti possono consistere nell’acquisto di nuove macchine o impianti, nella costruzione di fabbricati a scopo produttivo .

Tutte queste decisioni comportano costi (C) e corrispondenti benefici (B). Il confronto fra questi costi e benefici dà luogo al c.d. saggio di rendimento interno della decisione di investimento (r):

r = B -- C

C


la domanda di investimenti

 
tasso di interesse





funzione di investimento (I)






domanda di investimenti



Gli investimenti aumentano in corrispondenza di una riduzione del tasso di interesse, e diminuiscono in corrispondenza di un suo aumento. Se la BC farà aumentare lo stock di moneta, dovrà anche abbassare il tasso di sconto, in modo tale da rendere la domanda di moneta compatibile con l’offerta. Ma, con un costo del denaro più basso, la domanda di investimenti aumenterà, facendo slittare verso l’alto la curva DA nela posizione DA’, e il reddito nazionale e il PIL di equilibrio da A a B.





E’ DA’

DA

E


I





A B reddito, produzione


Per effetto di questo aumento del reddito, vi sarà un effetto di “rimbalzo”, rappresentato da un nuovo aumento della domanda di moneta, che era diminuita, e un conseguente aumento del tasso i. Gli investimenti ne risulteranno quindi ridimensionati. L’effetto netto di tutti questi cambiamenti andrà sempre nella direzione indicata, anche se alla fine il volume degli investimenti risulterà minore, e quindi l’aumento nella DA risulterà un po’ più basso rispetto a quello che si sarebbe avuto senza l’effetto di rimbalzo.

Vi sono tuttavia situazione in cui-secondo keynes- tutto quello che si è detto fin qui potrebbe non accadere.

La prima situazione è quella in cui la curva di domanda e di moneta è molto piatta, situazione nota in letteratura come “trappola della liquidità”: in tali condizioni il tasso i non è molto sensibile alla variazione nell’offerta. Secondo keynes questo potrebbe essere il caso di una economia in una fase di profonda recessione, in cui, anche se le autorità aumentano l’offerta di moneta, l’unico effetto è quello di fare aumentare la quantità di moneta che il pubblico intende trattenere presso di sé.


tasso di interesse offerta di liquidità reale





E

i’ E’

i


domanda di liquidità reale



liquidità reale



La seconda situazione in cui la politica monetaria potrebbe rivelarsi inefficace è quella in cui, anche se gli investimenti vengono incentivati dall’abbassamento del tasso i, la domanda aggregata si scontra con un’offerta rigida, per effetto di una condizione di piena occupazione, e produce come unico effetto un aumento del livello medio dei prezzi.Supponiamo che la BC aumenti lo stock nominale di moneta. I tassi d’interesse diminuiscono e, attraverso gli effetti sugli investimenti, la domanda aggregata aumenta (da DA a DA’). La produzione tuttavia non è aumentata. Ma un eccesso di domanda fa aumentare i prezzi. In effetti, il nuovo equilibrio si determinerà in corrispondenza del nuovo e più alto livello di prezzi P’. L’aumento dei prezzi continuerà fino a quando la liquidità reale sarà tornata al livello iniziale. A questo punto, anche i tassi d’interesse risaliranno al livello originario. Dunque, l’aumento nello stock nominale di moneta non ha prodotto effetti sul tasso d’interesse, e la produzione a sua volta è rimasta immutata.

livello dei prezzi OA

effetti dell’aumento dello stock di moneta sull’equilibrio macroeconomico:secondo K. un aumento dello stock nominale di moneta avrebbe portato a un’ espansione permanente della produzione. Ma k. implicitamente si riferiva agli effetti di breve periodo, mentre quest’ultima analisi proiettandosi nel lungo periodo, assume che i prezzi abbiano il tempo di adeguarsi ai cambiamenti intervenuti.

 

P’



P



DA’


DA


produzione

CAPITOLO 5 IL MODELLO KEYNESIANO E IL MODELLO CLASSICO


Nel modello keynesiano, la produzione è determinata soltanto dalla domanda. Pertanto, una politica monetaria espansiva o una politica fiscale espansiva non possono determinare altro che un aumento della produzione e dell’occupazione. Tale modello raggiunge le proprie conclusioni in virtù di 2 ipotesi cruciali:

-l’economia non si trova in condizioni di piena occupazione;

-i prezzi sono fissi.

Se l’economia è ancora lontana dalla piena occupazione dei fattori, le cause che si possono stimolare il reddito e la produzione possono raggiungere il loro obiettivo senza far aumentare i prezzi, perché il sistema economico reagisce alla maggiore domanda utilizzando i fattori che erano rimasti disoccupati. Ma, se la produzione non potesse aumentare in risposta alla maggiore domanda, perché tutti i fattori sono già occupati, incrementi di domanda potrebbero soltanto generare aumenti nei prezzi delle merci.

La riflessione teorica successiva a keynes, nota come impostazione “classica”, concentrandosi su una situazione di piena occupazione e sostituendo l’ipotesi di prezzi fissi con quella di prezzi flessibili, è giunta a conclusioni sensibilmente diverse.


PARAGRAFO 1-LA PRODUZIONE DI PIENA OCCUPAZIONE E IL LIVELLO DEI PREZZI

Le politiche che fanno aumentare la domanda aggregata hanno un limite naturale, costituito dal fatto che , almeno entro un arco di tempo, la produzione non può aumentare oltre un certo livello: nel breve-medio periodo, le risorse sono disponibili in quantità data, e pertanto non si può pensare di estrarre da esse una quantità di prodotto illimitata.

Una curva di domanda aggregata che metta in relazione reciproca i prezzi(medi) e le quantità complessive di beni, si può ricavare a partire dalla funzione di spesa aggregata. Per ogni livello di prezzi(= è il prezzo che rappresenta la media tra i prezzi di tutti i beni prodotte e venduti nell’economia) avremo un punto diverso di equilibrio(=intersezione tra la funzione della spesa aggregata e la bisettrice). Ad esempio una diminuzione nel livello dei prezzi influirà su alcune delle componenti della spesa aggregata: consumi, investimenti e esportazioni.

La spesa per consumi aumenterà, per effetto dei minori prezzi dei beni;

La spesa per investimenti aumenterà, perché (a) diminuirà l’interesse, e quindi le imprese potranno più facilmente accedere ai prestiti, e (b) aumenteranno i consumi, e quindi sarà conveniente espandere la produzione;

le esportazioni aumenteranno perché gli stranieri troveranno più conveniente acquistare nel paese che presenta prezzi più bassi.

Tuttavia gli economisti tendono a ritenere che questi effetti non sano molto forti. In conclusione si ha motivo di pensare che la curva di domanda aggregata, per quanto inclinata in modo normale(cioè negativo), sia piuttosto anelastica(=molto inclinata)

La curva di domanda macroeconomica( o aggregata)

 


livello dei prezzi







DA



produzione, reddito







Ora ci interessa conoscere la relazione tra il livello medio dei prezzi e l’offerta dei beni, relazione che chiameremo curva di offerta aggregata.

Consideriamo il mercato del lavoro. Se ipotizziamo che i salari costituiscano la componente principale dei prezzi dei beni prodotti dalle imprese, dire che i salari sono soltanto lievemente flessibili nel breve periodo, equivale a dire che i prezzi dei beni lo sono.

Consideriamo ad es. il caso di un aumento della domanda dei beni: le imprese reagiscono in un primo momento aumentando il numero di ore lavorate. Ma, col passare del tempo, si realizzeranno aumenti salariali che faranno aumentare il costo della produzione dei beni. Questi aumenti di costi si tradurranno necessariamente in aumenti dei prezzi di mercato dei beni. Da un altro punto di vista, posiamo dire che gli imprenditori non aumenteranno la produzione se non in presenza di prezzi crescenti per i loro prodotti, mentre, una volta trascorso un periodo sufficiente, i prezzi potranno incominciare a scendere di nuovo verso il livello iniziale, perché aumenterà in generale la capacità produttiva delle imprese.


Curva di offerta aggregata:pone in relazione la produzione complessiva dell’economia con i livello dei prezzi. Questa relazione risulterà approssimativamente positiva(=i produttori aumenteranno la quantità prodotta soltanto in presenza di prezzi più alti, e viceversa). Nel breve periodo essa risulterà grosso modo orizzontale ( e in corrispondenza il livello medio dei prezzi rimarrà fisso su (p)), mentre nel lungo risulterà verticale, cioè rigida. Il tratto orizzontale indica una capacità ancora in parte inutilizzata(=disoccupazione dei fattori produttivi). La produzione corrispondente al tratto verticale viene definita produzione di piena occupazione(= Ypo)

 
livello dei prezzi

OA




p




Ypo  produzione reddito



Sovrapponendo i grafici della domanda aggregata e dell’offerta aggregata, possiamo identificare il livelo dei prezzi di equilibrio (p), vale a dire il livello dei prezzi in corrispondenza del quale il mercato del lavoro e il mercato dei beni risultano in equilibrio.


Equilibrio tra domanda e offerta aggregata: finché la curva di domanda aggregata si mantiene nella parte sinistra del grafico, in modo tale da intersecare la curva di offerta aggregata nel suo tratto orizzontale, tutti i punti di equilibrio che determineremo, a mano a mano che DA si sposterà verso  destra, corrisponderanno allo stesso livello dei prezzi (p). Ma quando raggiungeremo la parte destra del grafico, la stessa curva DA, spostandosi in posizioni come DA’ e DA’’. intersecherà OA in punti successivi che corrisponderanno tutti allo stesso livello di produzione (Ypo)(il che significa che il prodotto, e li reddito, di pieno impiego non possono aumentare),mentre il livello dei prezzi aumenterà(p’, poi p’’. e così via).

 


livello dei prezzi  OA



p’’


p’


p




DA DA’ DA’’


Ypo produzione reddito


PARAGRAFO 2-EFFETTI DELLE POLITICHE FISCALI

Una politica fiscale espansiva, che comporti un aumento nella spesa pubblica, produce effetti formalmente identici a quelli esaminati nella figura precedente. Anche in questo caso, secondo la nuova impostazione classica, che ammette le variazioni nel livello dei prezzi, finiremo con un nuovo livello di equilibrio, prezzi più alti e produzione invariata. Ma se la produzione non varia a fronte di un aumento di spesa pubblica, è necessario supporre che la spesa dello Stato si sia sostituita alla spesa dei privati: si è verificato un fenomeno di spiazzamento degli investimenti privati( dovuto ai più alti tassi d’interesse della fase iniziale).

Le politiche fiscali e monetarie, secondo il modello classico, non possono produrre effetti sui prezzi e salari nel breve periodo(concordanza con la teoria keynesiana), ma nel lungo periodo(trascurato da keynes) prezzi e salari risultano flessibili. Così una variazione delle imposte o una variazione nell’offerta di moneta non avranno effetti di lungo periodo su produzione e occupazione di equilibrio.

L’equilibrio determinato dall’incontra tra la curva di domanda e la curva di offerta aggregata può naturalmente spostarsi per cause riconducibili ai movimenti dell’una o dell’altra curva.

Sulle cause che possono determinare dislocazioni della curva di domanda sono riconducibili a spostamenti delle curve relative alle diverse componenti della spesa aggregata(consumi, investimenti, spesa pubblica, esportazioni) che si verificano in presenza di un livello di prezzi dato. Così, se ad es., fermo restando il livello medio dei prezzi, i consumi delle famiglie aumentano, la curva di spesa aggregata slitta verso l’alto, e la curva di domanda aggregata slitta verso sinistra.

Più controverse sono le cause che determinano spostamenti della curva di offerta aggregata. Distinguiamo tra le cause che determinano spostamenti del tratto orizzontale e quelle che determinano spostamenti del tratto verticale.


spostamenti della curva di offerta aggregata: spostamento del tratto verticale

 

spostamenti della curva di offerta aggregata: spostamento del tratto orizzontale

 


OA OA’ OA




p



Ypo


produzione,reddito produzione.reddito



Si tratta di fenomeni che fanno aumentare o diminuire l’efficienza della produzione delle imprese e, rispettivamente, mettono queste ultime in condizione di vendere i loro prodotti a prezzi più bassi, oppure le costringono a praticare prezzi più alti. Tra le cause che fanno aumentare l’efficienza vi sono:

-progresso tecnologico;

-variazioni nei prezzi dei fattori(materie prime, salari . .)

 

Un esempio di causa che può portare a ciò è:

-cambiamento nelle propensioni del rischio da parte delle imprese; questo è un fenomeno in cui le imprese sviluppano un atteggiamento più cauto che in passato, ad es. perché constano di trovarsi in un periodo di crisi più lungo di quanto avessero previsto; di conseguenza, pur mantenendo invariati i prezzi, diminuiscono la produzione.

 





I














PARAGRAFO 3-LA CURVA DI OFFERTA AGGREGATA NEL LUNGO PERIODO

I salari costituiscono una componente sostanziale dei prezzi dei beni: pertanto salari e prezzi tendono a muoversi insieme. Ma se salari e prezzi si muovono insieme, anche eventuali variazioni nei salari nominali saranno accompagnati da identiche variazioni nei prezzi, e quindi i salari reali rimarranno invariati.

In tal modo, per le imprese i salari- e quindi, in sostanza, i costi di produzione-muteranno nello stesso modo in cui mutano i prezzi dei beni, e viceversa: i prezzi mutano nello steso modo in cui mutano i costi di produzione. In queste condizioni, anche se mutano i prezzi, non vi è ragione di cambiare la produzione.

Se allora prendiamo in considerazione un periodo di tempo abbastanza lungo, tale cioè da abbracciare anche le aspettative dei soggetti, oltre alla loro percezione del presente, dobbiamo concludere che la curva di offerta aggregata tende a presentarsi come verticale, (cioè rigida), cioè a concludere che la quantità offerta è sostanzialmente insensibile ai prezzi dei beni. In questa condizione, spostamenti della curva di domanda aggregata hanno effetto soltanto sul livello medio dei prezzi dell’economia: ad es., un aumento della domanda aggregata da DA a DA’ fa salire i prezzi, da p a p’, senza fare aumentare l’offerta aggregata.






La curva di domanda e di offerta aggregata nel lungo periodo

 


OAL


p’



p





DA DA’










































CAPITOLO 6 INFLAZIONE


L’inflazione consiste in un forte aumento della media dei prezzi dei beni di un paese. In un periodo di inflazione, aumentano i prezzi dei beni e dei servizi, ma anche salari e stipendi(che costituiscono il prezzo di mercato dei servizi dei lavoratori dipendenti), le retribuzioni dei liberi professionisti, i tassi di interesse ecc .

Oggi la crescita dei prezzi ha continuato a manifestarsi in modo costante tanto da rendere la deflazione un fenomeno pressoché sconosciuto.

Apparentemente l’inflazione costituisce un fenomeno irrazionale. Se tutti i prezzi aumentano, la situazione non cambia in termini reali, e i cambiamenti nominali che si verificano non dovrebbero preoccupare nessuno. Tuttavia, di fronte ad aumenti nominali dei prezzi, molte persone incominciano a cercare di proteggere la propria ricchezza facendo aumentare a loro volta i prezzi dei beni/servizi da essi venduti, senza tenere conto gran che di quanto potranno fare gli altri. Il fenomeno inflazionistico assume così l’aspetto di una rincorsa dei vari prezzi tra loro.


PARAGRAFO 1-CONSEGUENZE DELL’INFLAZIONE

L’inflazione potrebbe costituire un fenomeno relativamente trascurabile se:

1.colpisse tutti i beni e tutti i servizi in misura identica, e se

2.colpisse tutti i paesi nella stessa misura.

Se fossero soddisfatte queste due condizioni, si tratterebbe in effetti di un aumento soltanto apparente dei prezzi(=aumenterebbero i prezzi monetari, ma non quelli reali), e sarebbe sufficiente che le Banche Centrali iniettassero nel sistema abbastanza liquidità per consentire alle transazioni di svolgersi ai nuovi e più alti prezzi, per evitare qualunque conseguenza pratica. Di fatto, le due condizioni indicate non sono mai rispettate.

In primo luogo, l’inflazione colpisce in modo diseguale i diversi soggetti di una stessa economia; in particolare, colpisce di più chi ha minori possibilità di adeguare all’inflazione il prezzo dei beni e dei servizi che egli stesso vende;

in secondo luogo, l’inflazione può fare salire i prezzi dei beni di un paese più di quelli di un altro: in questi casi, si determinano effetti sul commercio internazionale.

Aspetti interni dell’inflazione:

Effetti dell’inflazione all’interno di un paese sono costituiti dalla maggiore frequenza con la quale si dovrà liquidare il denaro contenuto nei depositi bancari per provvedere alle spese quotidiane. Ma un effetto più importante è rappresentato dall’aumento del costo-opportunità di detenere denaro liquido, aumento dovuto ai più alti tassi di interesse. I 2 effetti sono evidentemente le due facce del medesimo problema(=se il denaro può essere prestato a tassi elevati, conviene tenerlo il più possibile investito in qualche forma e prelevarne il minimo indispensabile in corrispondenza delle necessità di acquisto). Pertanto, essi procedono nella medesima direzione, e contribuiscono entrambi a far aumentare la frequenza dei prelievi.

Di fatto l’inflazione avvantaggia i debitori perché diminuisce il valore effettivo delle somme che dovranno ripagare, ma svantaggia i creditori.

E’ possibile teoricamente mettersi al riparo dagli effetti dell’inflazione. I creditori possono stipulare tassi di interesse indicizzate sulle somme date in prestito vale a dire, tassi di interesse che si rivalutano a mano a mano che l’inflazione sale. Anche le retribuzioni possono essere indicizzate, mediante clausole che prevedono adeguamenti automatici di stipendi e salari all’aumento dei prezzi. Ma è difficile escogitare una forma perfetta di indicizzazione, perché ciò significherebbe prevedere perfettamente la misura dell’inflazione.

Vi sono tuttavia categorie che possono dirsi completamente indifese di fronte all’inflazione: in primo luogo, i pensionati, i quali non dispongono di meccanismi di indicizzazione efficaci. Normalmente le pensioni vengono rivalutate attraverso leggi apposite, che tuttavia intervengono con forti ritardi rispetto all’aumento dei prezzi. Inoltre, i pensionati solitamente sono persone che non hanno più debiti da pagare, e che quindi non possono avvantaggiarsi della riduzione di valore reale dei loro debiti.





PARAGRAFO 2-IL DRENAGGIO FISCALE

Facendo aumentare i redditi, ‘inflazione fa anche aumentare il prelievo fiscale: i due effetti sembrerebbero neutralizzarsi a vicenda. Tuttavia, è possibile che l’effetto di un aumento di reddito sia quello di spingere gli individui e le imprese in uno scaglione di imposte più alto, al quale viene applicata una aliquota superiore. Questo fatto dà luogo a un aumento nominale delle imposte pagate più che proporzionale rispetto all’aumento nel reddito nominale. Questo è il fenomeno noto come drenaggio fiscale.


PARAGRAFO 3-LA CURVA DI PHILLIPS

La discussione sull’inflazione è stata dominata dal tema della cosiddetta curva di Phillips.

Nel corso degli anni 50’, uno studioso neozelandese notò una relazione negativa fra inflazione e disoccupazione: apparentemente, nei paesi industrializzati di quel periodo, ogni tentativo di ridurre il tasso di inflazione portava a un aumento del tasso di disoccupazione.

La spiegazione di questo fenomeno è semplice: I tentavi di ridurre la disoccupazione vengono effettuati attraverso la politica fiscale e/o quella monetaria. In entrambi i casi. essi portano a fare aumentare le retribuzioni e prezzi. Ad esempio, una politica di limitazione delle imposte lascia un maggior reddito disponibile ai cittadini, e quindi incoraggia la loro spesa, e di conseguenza induce i produttori ad approfittarne aumentando i prezzi; una politica monetaria espansiva causa direttamente un aumento della propensione a spendere in presenza di una quantità di merci invariata. In entrambi i casi, la domanda supera l’offerta, e i prezzi salgono. A mano a mano che la disoccupazione si riduce, per procurarsi ulteriore forza-lavoro, le imprese sono costrette a pagare retribuzioni più alte, il che causa ulteriori aumenti dei prezzi.

Secondo Phillips, anche con un tasso di inflazione nullo, bisogna attendersi una certa disoccupazione. Ma l’unico modo per ridurre ulteriormente questa disoccupazione è quello di tollerare un po’ di inflazione.



tasso di inflazione

La curva di Phillips

 








livello naturale di disocupazione




tasso di disoccupazione



PARAGRAFO 4-INTERPRETAZIONI DEL FENOMENO INFLAZIONISTICO

Seconda una visione ampiamente condivisa, i prezzi possono cominciare a crescere per una shock dal lato della domanda, generalmente dovuto a un aumento nell’offerta di moneta, o dal lato dell’offerta o un aumento della spesa pubblica in condizioni di pieno impiego della capacità produttiva.

A)L’interpretazione monetarista dell’inflazione.

L’interpretazione del fenomeno inflazionistico che, ha riscosso i maggiori consensi è quella che si rifà alla relazione tra quantità di moneta e andamento dei prezzi. Secondo questa visione sarebbe sufficiente tenere sotto controllo l’offerta di moneta per evitare l’inflazione. L’offerta di moneta dovrebbe essere quella fisiologicamente necessaria, vale a dire, quella strettamente sufficiente a consentire le transazioni che hanno luogo nell’economia. Il semplice precetto di politica economica che la scuola monetarista offre è: tutto ciò che deve essere fatto è aumentare l’offerta di moneta nella misura in cui aumenta il reddito reale. L’interpretazione monetarista dell’inflazione contiene un forte elemento di avversione all’ingerenza dello Stato nell’economia. la cosa può essere verificata sotto vari profili. In primo luogo, se un’eccessiva offerta di moneta genera inflazione, si può ben dire che lo Stato, battendo moneta oltre il limite fisiologico di espansione della quantità di moneta, causa un deprezzamento del valore delle attività in possesso del pubblico, analogo a quello che sarebbe provocato da una tassa. Lo Stato aumenta le proprie capacità di spesa sottraendo ricchezza ai cittadini. Si parla quindi di tassa d’inflazione. La visione monetarista prescrive quindi di mantenere prezzi stabiliti attraverso il controllo dell’offerta di moneta. Tuttavia, sembra che la stabilità dei prezzi abbia come contropartita inevitabile un basso livello di attività economica, e quindi comporti un costo in termini di produzione e di occupazione.

B)Inflazione da salari

Alla rigidità dei salari spesso viene attribuita almeno una parte del fenomeno inflazionistico.

C)Inflazione internazionale

Un paese o un gruppo di paesi possono risentire in misura significativa anche di cause provenienti dal loro esterno, come ad es. un aumento del prezzo delle materie prime. (ad es. petrolio)


PARAGRAFO 5-STRUMENTI PER LA LOTTA ALL’INFLAZIONE

A)controlli sui prezzi

A volte i governi tentano di controllare il processo inflativo imponendo leggi, regolamenti o semplice norme amministrative che stabiliscono limiti alla facoltà di aggiornare i prezzi e le retribuzioni. I risultati sono per lo più modesti, perché alcuni rincari avvengono egualmente.

B)persuasione morale e cambiamenti nelle aspettative

Il governo potrebbe cercare di esercitare una forte pressione sui soggetti dell’economia sotto forma di esortazioni a non aumentare troppo prezzi e salari( persuasione morale). Ma per bloccare il fenomeno dell’inflazione sarebbe necessario che prima o poi cambiassero anche le aspettative di rincari dei prezzi dei soggetti dell’economia. Le aspettative non cambiano quasi mai in tempi brevi. E’ quindi ragionevole aspettarsi almeno un certo quale saggio di inflazione anche in situazioni in cui il governo decidesse di intervenire attraverso questo strumento.

C)Concorrenza e deregolazione

In teoria, maggiore concorrenza dovrebbe portare con sé un aumento della capacità produttiva inutilizzata e quindi una minore tendenza a fare alzare i prezzi. Si noti che per ottenere in un dato settore una maggiore concorrenza potrebbe essere necessario ridurre il grado di regolazione su quel settore e quindi, molto probabilmente, anche ridurre i controlli sui prezzi: questa strada è quindi almeno in parte antitetica a quella dei controlli indicata in precedenza.

























CAPITOLO 7 “PARTE PRIMA” IL COMMERCIO INTERNAZIONALE


Il commercio internazionale può essere descritto come l’attività di scambio di beni e servizi tra paesi del mondo. I principali fenomeni che ne fanno parte sono le importazioni e le esportazioni.


PARAGRAFO 1-IL PRINCIPIO DEI VANTAGGI COMPARATI

David Ricardo formulò la “teoria dei vantaggi comparati”. Secondo tale teoria ciascun paese ricaverebbe i maggiori benefici economici dal fatto di specializzarsi nella produzione di quei beni in cui possiede vantaggi comparati. Questi ultimi si hanno quando si è in condizione di produrre un bene a costi minori rispetto ad altri paesi o quando si gode di efficienza relativa nella produzione di un dato bene. L’efficienza relativa si riferisce alla capacità di produrre beni a costi minori. Se, ad es., dati due paesi che risultino entrambi produttori di tessuti di lana e di vino , uno dei due è capace di produrre, un metro quadrato di tessuto a un costo inferiore all’altro, mentre i costi della produzione di vino sono identici entrambi, noi diremo che il primo paese gode di vantaggi comparati nella produzione di tessuto, e non in quella di vino. Realizzando la specializzazione nella produzione in cui ciascun paese mostra la maggior efficienza relativa, la quantità di vini e tessuti che verrà messa a disposizione dei consumatori finisce con il risultare la maggiore possibile. I due paesi potranno sempre scambiarsi l’eccedenza delle rispettive produzioni rispetto al fabbisogno di consumo interno, ma ciò significherà per i consumatori di ciascun paese poter acquistare tutti i beni al prezzo più basso possibile.

Si può concludere che, secondo la teoria dei vantaggi comparati:

1. almeno un paese si specializzerà;

2. ciascun paese esporterà il bene in cui ha un vantaggio relativo è importerà il bene in cui è meno efficiente;

3. se tutti i paesi attuano il principio di specializzazione, la produzione complessiva (=della somma dei paesi) del mondo raggiunge il livello massimo possibile.

Le obiezioni a questa teoria sono:

-In primo luogo, la produzione di ben pochi beni dipende da elementi per così dire oggettivi, come il clima e le risorse naturali: sappiamo che anche la produzione di derrate agricole può essere delocalizzata attraverso un opportuno uso della tecnica e della scienza. Per di più, i vantaggi comparativi possono derivare tanto dalla dotazione iniziale delle risorse, quanto al fatto che la stessa specializzazione genera economie di scala. Ad es. , la produzione di cereali richiede alcune condizioni climatiche di partenza, che favoriscono certi paesi e ne sfavoriscono altri. Tuttavia, il fatto stesso di specializzarsi nella produzione di cereali significherà, per quel paese, la possibilità di coltivare a cereali più grandi estensioni di terreno, e quindi giustificherà l’uso di macchine più grandi e potenti, e conferirà a quei paesi un ulteriore elemento di vantaggio. Ancora: in un dato momento un paese può non possedere ancora un vantaggio comparativo in una certa quale produzione, e ciononostante può essere interessato a costruirselo col tempo. Così, ad es. , il Guatemala, paese a basso livello di sviluppo tecnologico e dotato di scarso capitale, ma di molta manodopera, potrebbe non avere oggi una propria industria microelettronica, industria che certamente non apparirebbe giustificabile sulla base del principio dei vantaggi comparati, ma potrebbe desiderare di dotarsene in futuro, data l’importanza del settore. Per attuare il suo piano, il governo guatemalteco cercherà innanzi tutto di creare condizioni di sopravivenza per le sue imprese di microelettronica, le quali, per ipotesi, risultano meno efficienti di quelle di altri paesi. per creare tali condizioni, cercherà di impedire ai produttori stranieri di esportare personal computer o altri prodotti simili verso il Guatemala, e farà ciò vietando del tutto le esportazioni verso il Guatemala, oppure creando situazioni di scarsa convenienza all’importazione(ad es. imponendo un dazio). Il governo di quel paese ritiene che, concedendo per qualche tempo un’adeguata protezione all’industria locale, le si darà modo di rafforzarsi e di divenire più competitiva. Una volta compiuto questo processo, i divieti e i dazi potranno essere eliminati. Nel frattempo, tuttavia, il paese avrà conquistato una condizione migliore che all’inizio(protezione dell’industrie nascenti).

-D’altra parte, la specializzazione in senso ricardiano potrebbe anche significare la nascita di situazioni che non riescono a mantenersi a tempo indeterminato. A volte, infatti, il principio della specializzazione cozza contro il principio della diversificazione. La ripetizione continua di operazioni sempre uguali a se stesse, così come a mancanza di stimoli ad affrontare problemi nuovi, possono essere di per se stesse cause di produttività decrescente.

-Vi sono poi casi in cui la normale accezione di efficienza relativa può portare a conclusioni discutibili. Ad es. , da quella definizione si potrebbe trarre l’idea che i paesi in cui il capitale è scarso dovrebbero necessariamente concentrarsi su produzioni a basso contenuto di capitale. Ma ciò significherebbe condannare i paesi in questione all’arretratezza tecnologica.


PARAGRAFO 2- LA GLOBALIZZAZIONE

La globalizzazione è un fenomeno che consiste essenzialmente nel venire meno delle barriere spaziali. Ciò ha ripercussioni s aspetti della vita contemporanea.

Per quello che riguarda il commercio internazionale, il fenomeno della globalizzazione presenta svariate sfaccettature:

i minori costi di trasporto rendono più facile ai paesi che presentono forti specializzazioni e vantaggi comparativi aggredire nuovi mercati;

d’altra parte, l’omogeneizzazione dei gusti ricrea vantaggi a favore dei paesi di più antica tradizione industriale, cioè dei paesi occidentali, che possono imporre i propri prodotti a un numero crescete di paesi, avvantaggiandosi di notevolissime economie di scala;

la possibilità di “delocalizzare” molte produzioni espone i paesi occidentali alla concorrenza dei paesi emergenti, e li rende più restii ad accettare al proprio interno costi del lavoro elevati;

d’altra parte, la manodopera dei paesi poveri può emigrare più facilmente di prima verso i paesi avanzati, ricostituendo qui grande sacche di lavoro sottopagato.

Nel mondo globalizzato, la possibilità di difendere le proprie industrie dalla concorrenza esterna è sempre minore.


PARAGRAFO 3-IL MERCATO DI SCAMBI (teoricamente no)

Il denaro in quanto mezzo di pagamento presenta vantaggi incommensurabili, ma anche alcune scomodità.

Una di queste è rappresentata dal fatto che chi vuole acquistare merci estere deve procurarsi denaro del paese venditore di quel paese. Le valute hanno un loro prezzo. Il mercato sul quale vengono acquistate e vendute le valute è noto come mercato di scambi.

La determinante principale del prezzo delle valute è il gioco della domanda e dell’offerta. Ad es. l’euro è domandato da chi, non appartenendo a paesi dell’UE, deve comperare merci dell’UE stessa, ed è offerto dai residenti di paesi dell’UE ai richiedenti. Se una valuta è molto usata negli scambi, la domanda risulterà alta. Se la domanda supera l’offerta il prezzo sale.

il rapporto tra il valore di un dollaro USA e il valore di un euro è noto come tasso di cambio dollaro contro euro

Una variazione del tasso di cambio esistente tra due monete non è altro che un mutamento dei prezzi relativi alle due monete, cioè, dal numero di unità dell’una necessarie per acquistare un’unità dell’altra. Ogni variazione del cambio svantaggia le importazioni del paese la cui moneta si deprezza. D’altra parte, invece, le esportazioni del paese la cui moneta si deprezza vengono avvantaggiate, perché sarà meno costoso, per gli stranieri, acquistare la valuta di quel paese e quindi ogni merce di quel paese finirà col costare meno.

La Banca Centrale può influire in modo significativo sul tasso di cambio, ad es. , vendendo una valuta per acquistarne un’altra.


PARAGRAFO 4- LA BILANCIA DEI PAGAMENTI

La bilancia dei pagamenti (BDP) di un paese è un documento contabile di importanza fondamentale per la conoscenza della posizione di quel paese nei confronti dell’estero, e quindi per l’analisi dei molti fenomeni che sono determinati da tale posizione.

La BDP consta di varie parti:

A) la bilancia commerciale: in essa vengono registrate le entrate e le uscite del paese, cioè, rispettivamente, le esportazioni e le importazioni. Il volume relativo di tale voci può dare luogo a un avanzo o a un disavanzo. Si parla a questo riguardo di “avanzo di parte corrente” o di “deficit di parte corrente”. Se le partite correnti presentano un deficit, cioè importazioni superiori alle esportazioni, questo deficit dovrà essere compensato in qualche modo. Pertanto un paese può finanziare il proprio disavanzo prendendo a prestito da altri paesi o da istituzioni internazionali, facendo rientrare i prestiti concessi ad altri, vendendo titoli, beni immobili, beni mobili, o vendendo quantitativi di valuta estera detenuti nelle riserve della BC.

B)il conto capitale. Qui vi sono registrate le entrate e le uscite di capitale. In questa parte po’ leggersi il risultato delle azioni intraprese per finanziare un disavanzo. Ad es. , un deficit di un milione di € nelle partite correnti deve essere compensato da un avanzo di un milione di € nel conto capitale. A un certo disavanzo di parte corrente corrisponderà un identico avanzo nel conto capitale, e viceversa.

Una situazione di disavanzo di BDP può tramutarsi in una vera e propri crisi di BDP, se dal lato delle partite correnti si determinano continui disavanzi e se dal lato del conto capitale viene raggiunta una situazione in cui non è più possibile continuare a finanziare quei disavanzi: ad es. , perché lo Stato non riesce più a ottenere finanziamenti da altri paesi, o perché ha già speso tutte le proprie riserve di valuta estera. Ma la BC può cercare a lungo di scongiurare questo risultato , sostenendo la quotazione della moneta nazionale. L’effetto conclusivo sarà rappresentato da una perdita di valore della moneta nazionale, perché l’impossibilità di risanare il disavanzo equivarrà all’ammissione che il paese in questione non è in grado di pagare i propri debiti:in altre parole, non possiede abbastanza ricchezze da dare agli stranieri in pagamento degli acquisti fatti. Ciò equivale a riconoscere che alla moneta di quel paese messa in circolazione non corrisponde più il valore iniziale in termini di beni reali. A questo punto, il governo del paese dovrà dichiarare ufficialmente la svalutazione della moneta nazionale.

I governi dei diversi paesi hanno come obiettivo primario il mantenimento dell’equilibrio interno. Questo tipo di equilibrio si realizza quando domanda e offerta dei vari beni e servizi si eguagliano, in corrispondenza della piena occupazione dei fattori. Tuttavia, può facilmente accadere che un tale equilibrio, una volta conseguito, sia disturbato da fattori di varia natura. Ad esempio, il governo potrebbe erroneamente pensare di approfittare della situazione per abbassare alcune imposte che gravano sulle famiglie: un effetto che potrebbe conseguire è l’aumento della domanda di beni di consumo che, almeno in un primo momento, provocherebbe maggiori importazioni, e dunque un disavanzo o una riduzione nell’avanzo della parte corrente della BDP.

E’ chiaro che, con un periodo di tempo adeguato, quello stesso aumento di domanda potrebbe generare un aumento nella produzione di beni nazionali, e quindi con ogni probabilità anche un aumento di esportazioni. Tuttavia, le importazioni aumentano prima delle esportazioni anche perché gli aumenti di produzione richiedono materie prime che spesso sono prodotti all’estero. Pertanto è quasi inevitabile che l’effetto immediato della maggiore domanda sia un deficit di BDP.

In teoria, questa conseguenza dovrebbe finire per correggersi attraverso una serie di ulteriori effetti: il peggioramento nella BDP dovrebbe esercitare una pressione al ribasso nei confronti della moneta nazionale, e quindi una sua svalutazione: questa frenerebbe le importazioni e rilascerebbe le esportazioni, fino a eliminare il disavanzo originario.

I flussi di capitale:

Un cittadino italiano potrebbe pensare di acquistare azioni della General Motors, cioè azioni che sono emesse negli USA. Alla stessa stregua, potrebbe pensare di acquistare strumenti finanziari di vario tipo, provenienti da soggetti di paesi stranieri, e per acquistare i quali è necessario procurarsi quantitativi di valuta dei paesi in questione.

I flussi di capitale costituiscono a loro volta esportazioni e importazioni, a fronte delle quali vengono effettuati i pagamenti. Acquistando titoli americani, si determina un afflusso di un bene dagli USA verso il paese in risiede l’acquirente. In corrispondenza, vi sarà un deflusso di capitali(=il denaro necessario per acquistare titoli) verso gli USA. Le decisioni di acquisto di attività finanziarie dipendono dai tassi d’interesse vigenti nei vari paesi. I tassi d’interesse infatti costituiscono la remunerazione che spetterà a chi acquista quelle attività. Se un paese presenta tassi più alti degli altri vi saranno più probabilità che i suoi strumenti finanziari vengano domandati. Gli speculatori sono soggetti che muovono capitali in risposta alle differenze nei tassi d’interesse tra paese e paese.

I flussi di capitale, in questo senso, si sommano ai flussi derivanti dagli scambi commerciali, in quanto comportano entrate o uscite di denaro dai e nei diversi paesi. In quanto tali, e a seconda dei casi, essi possono compensare o esasperare gli eventuali squilibri derivanti dagli scambi commerciali.

Le attività finanziare vengono acquistate con l’obiettivo di essere rivendute a un prezzo superiore e/o con un guadagno derivante dagli interessi percepiti. Una svalutazione può tuttavia trasformare un potenziale guadagno in un guadagno minore o in una perdita.

La svalutazione

la svalutazione è la decisione ufficiale con cui le autorità di un paese ratificano il deprezzamento avvenuto nel cambio della moneta nazionale nei confronti delle altre monete. Una svalutazione influisce sulla bilancia dei pagamenti rendendo meno costose le esportazioni e più costose le importazioni. Ma se attraverso questo secondo effetto, i beni importati aumentano di prezzo anche in termini nominali, l’effetto positivo sulla bilancia può venire a meno.


PARAGRAFO 5-SISTEMI DI TASSO DI CAMBIO

I paesi possono seguire nei loro rapporti un sistema di tassi di cambio FISSI,oppure, un sistema di tassi di cambio FLESSIBILI

a)TASSI DI CAMBIO FISSI. Nel primo caso, il rapporto tra il valore delle varie monete nazionali, una volta determinato, rimane costante. Tuttavia, perché ciò possa accadere anche in presenza delle spinte, è necessario che le BC dei singoli paesi acquistino o vendano monete, in quantità tale da compensare le spinte stesse. Quando la BC si accorgerà che le sue possibilità di sostenere la moneta mediante l’acquisto di moneta sul mercato dei cambi si stanno esaurendo, il che potrà accadere perché le riserve di moneta possedute dalla BC si stanno assottigliando, dovrà procedere a una svalutazione della moneta, la quale avrà l’effetto di rendere più costose, e quindi meno desiderabili, per i possessori di quella moneta domandare altre valute. SE invece le BC si impegnano a non intervenire, i rapporti di cambio sono destinati ad alterarsi sotto la spinta della domanda e dell’offerta delle varie monete, e ciò porterà alla fine a una correzione nei cambi.

b)TASSI DI CAMBIO FLESSIBILI. In un regime a tassi di cambio flessibili, il primo fattore che può influire sul livello del cambio stesso è la differenza tra i tassi si inflazione dei diversi paesi: se in un paese A l’inflazione procede al 10% all’anno, e in un paese B procede al 2%, è come de nel primo l’inflazione fosse dell’8% e nel secondo non vi fosse affatto inflazione. Ciò significa che i prezzi del primo paese aumenteranno in media dell’8% ogni anno, e che per acquistare le merci corrispondenti sarà necessario disporre di una quantità di denaro maggiore ogni anno dell’8%.


Il cambio vigente tra due paesi può risultare di atto diverso da quello che sarebbe prodotto dal solo differenziale inflazionistico, perché possono operare anche altri fattori, come le politiche economiche.

Anche i movimenti di capitale possono ovviamente influire sui cambi: ad es. , se un paese pratica politiche restrittive, i tassi d’interesse al suo interno saliranno, attraendo capitali dall’estero.


PARAGRAFO 6-I SISTEMI DI PAGAMETO INTERNAZIONALI

Nel corso de secoli XIX e XX, l’economia mondiale ha conosciuto diverse soluzioni al problema dei pagamenti internazionali.

1.Nel sistema detto Golden Standard(GS) ogni moneta nazionale è convertibile in oro presso la BC. Nella forma “pura” di questo sistema, ogni biglietto di banca deve avere una copertura aurea del 100%,cioè, deve corrispondere a una quantità data di oro. Le riserve della BC sono costituite quindi soltanto da oro, mentre il circolante è rappresentato dai biglietti bancari ciascuno dei quali attesta il possesso di un corrispondente valore in oro. La quantità di oro presente nel mondo è fissa. Nel complesso, si può dire che la quantità di oro presente in ciascun paese dipende soltanto dalla sua capacità di commerciare. Nel GS il tasso di cambio tra due monete qualunque è fisso: in altre parole, non può discostarsi dal livello determinato dal valore delle varie monete rispetto all’oro. In questo sistema, l’oro svolgeva la unzione di unico mezzo di pagamento internazionale. Il GS dovrebbe ridurre al minimo l’inflazione. Da un altro punto di vista, in un tale sistema non vi è possibilità che il livello di attività di un qualsiasi paese aumenti in misura significativa, senza indurre ripercussioni che lo riporteranno ai valori iniziali.

2.Il Dollar Standard. Il sistema di Bretton Woods prevedeva cambi fissi tra il dollaro e le monete di tutti i paesi aderenti agli accordi. Un DS è un sistema in cui il valore delle diverse monete è fissato in termini di dollari USA, anziché di oro. Di conseguenza, le singole banche centrali dovevano detenere nelle loro riserve dollari in quantità sufficiente a consentire i traffici commerciali dei cittadini. Il sistema di B.W. crollò quando gli operatori incominciarono a sospettare che il governo americano avesse stampato troppi dollari rispetto all’effettiva consistenza di riserve auree USA.


PARAGRAFO 7-RESTRIZIONI DEGLI SCAMBI INTERNAZIONALI

Tutte le misure che limitano gli scambi di merci e capitali violano il principio dei vantaggi comparati e quindi espongono chi le adotta a un impoverimento. Tuttavia, esse sono di impiego universale, proprio perché il bilancia dei costi e dei benefici della loro adozione rimane in larga misura incerto, a causa delle numerose zone d’ombra che la teoria presenta. Un governo può cercare di limitare le importazioni nel proprio paese imponendo una tassa sulle importazioni stesse, tassa che prende il nome di dazio, oppure limitando tali importazioni al di sotto di un tetto quantitativo massimi,o, in casi estremi, proibendo le importazioni del tutto.

I dazi determinano un incremento del prezzo del bene sul mercato del paese che li applica. In questo modo, i corrispondenti beni prodotti internamente diventano più competitivi con quelli provenienti dall’estero. I dazi possono colpire sia le importazioni che le esportazioni. I dazi sulle importazioni di un paese A non fanno cambiare il prezzo che i produttori stranieri ricevono sul mercato del paese A. Tuttavia, fanno cambiare il prezzo a cui i produttori del paese A possono vendere sul mercato interno. Il prezzo, grazie al dazio, può risultare alto quanto quello delle merci straniere senza che ciò determini la perdita di acquirenti a favore dei concorrenti stranieri. In tale modo, anche un produttore inefficiente può continuare a vendere le sue merci sul mercato interno.


PARTE SECONDA LE POLITICHE REGIONALI


PARAGRAFO 1-GLI STRUMENTI DELLE POLITICHE REGIONALI

Ciò che abbiamo studiato a proposito degli scambi internazionali e dei rapporti tra i diversi paesi può essere applicato, almeno in parte, ai rapporti tra le diverse regioni di un medesimo paese. Le regioni hanno sempre tutte un medesimo livello di sviluppo e spesso presentano specializzazioni economico-produttive diverse. Ad esse si applicano molti degli strumenti già visti nel corso del capitolo, ma con alcune limitazioni. Da un lato, il fatto di appartenere alla stessa nazione ispirerà necessariamente l’adozione di politiche volte a ridurre gli squilibri e le disuguaglianze tra regione e regione. Dall’altro lato, la gamma delle politiche utilizzabili sarà più ristretta e gli effetti delle politiche stesse risulteranno in generale attenuati rispetto alle politiche nazionali.

In tutti i casi in cui una nazione possiede una struttura regionale, l’assenza di veri confini politici rende difficile l’applicazione dell’intera gamma delle politiche macroeconomiche studiate.

Tra le regioni di una stessa nazione non vi saranno confini politici, e quindi non saranno applicabili misure restrittive degli scambi commerciali, come i dazi. Inoltre, la nazione non potrà avere politiche fiscali o monetarie differenziate da regione a regione: soprattutto in materia monetaria, l’attribuzione di potestà monetaria(battere moneta propria) alle singole regioni comporterebbe una vera e propria abolizione della sovranità nazionale.

Una maggiore eguaglianza tra regione e regione può essere desiderabile perché le condizioni depresse di una o più aree si ripercuotono negativamente su tutto il resto della nazione. Questo perché:

(a) la produzione(offerta) nazionale, nell’insieme, risulterà più bassa(=vi sarà spreco di fattori produttivi);

(b) vi sarà un più basso reddito in alcune regioni e, quindi, una più bassa domanda interna anche per i beni e i servizi prodotti dalle altre regioni.

Infine, possono verificarsi spostamenti di popolazione alla ricerca di nuovo lavoro e di condizioni di vita migliori, spostamenti i quali, oltre a comportare costi individuali sul piano umano, generano un eccesso di domanda sulle strutture e sulle infrastrutture delle regioni che costituiscono la meta di questi flussi, e quindi anche costi sociali.

Le politiche economiche da noi studiate in precedenza hanno carattere macro, e quindi non sembrano prestarsi come strumenti per la correzione degli squilibri regionali. Tuttavia, alcune di esse presentano aspetti e/o effetti dierenziati sul territorio nazionale: pertanto, possono svolgere un ruolo nella lotta agli squilibri.



  • Ad esempi, le politiche che influiscono sul reddito dei cittadini hanno necessariamente effetti differenziali sulle regioni caratterizzate da livelli di reddito diversi.
  • La spesa pubblica ha per la stessa natura una dimensione fortemente regionale: gli acquisti di beni e servizi per conto della Pubblica Amministrazione possono essere diretti verso questa o quella regione, e quindi produrre effetti differenziali sul territorio. In teoria, un completo trasferimento(devolution) degli strumenti fiscali alle regioni di una nazione sarebbe concepibile, ma potrebbe porre nuovi problemi di entità non trascurabile. Ad esempio, la spesa pubblica dovrebbe essere finanziata mediante il solo strumento del prelievo fiscale, mentre non sarebbero utilizzabili strumenti come trasferimenti dal centro, sussidi e simili. Ciò finirebbe con il porre una notevole responsabilità su imposte e tasse: la quantità e la qualità dei servizi forniti dalle singole regioni dipenderebbero infatti in modo diretto dal livello dell’impostazione locale.
  • è invece impensabile una devoluzione degli strumenti monetari: essi presuppongono il controllo della moneta, il quale deve necessariamente avvenire ad opera di un centro unitario.

In conclusione , è difficile immaginare un ruolo diretto per le politiche macroeconomiche regionali.

La conclusione che possiamo trarre (da tutto il ragionamento sviluppato sul libro,che non riassumo) è:

-i processi di unificazione politica potrebbero accrescere le disuguaglianze interne tra regione e regione;

-essi tuttavia, almeno potenzialmente, aumentano la produzione complessiva;

-pertanto, presuppongono la possibilità di ridistribuire ricchezza a favore delle regioni che risultano

svantaggiate a causa del processo stesso;

-in parte, le politiche effettuate a favore delle regioni svantaggiate potrebbero- ma soltanto nel lungo periodo-

determinare ulteriori benefici per il paese nel suo complesso.































CAPITOLO 8 CRESCITA, SVILUPPO E SOTTOSVILUPPO


PARAGRAFO 1-LA CRESCITA ECONOMICA

La crescita di un paese è sintetizzata dall’aumento del suo prodotto, misurata in termini di PIL . Le determinanti di tale crescita sono:

(a)l’aumento nella quantità dei fattori produttivi;

(b)l’aumento nella produttività dei fattori.

Parliamo di crescita quando assistiamo semplicemente a un aumento del PIL che non consiste necessariamente in un progresso verso condizioni di vita migliori, e parliamo di sviluppo, quando siamo di fronte a una maggiore disponibilità di taluni beni particolari, considerati indicatori di civiltà e benessere in senso elevato. Il termine di crescita non contiene necessariamente le implicazioni positive che il termine di sviluppo invece possiede.

Può esservi una crescita relativa, quando la maggiore produzione è ottenuta mobilitando fattori già esistenti, e fino a un dato momento non sfruttati; può esservi d’altra parte una crescita assoluta, quando la quantità dei fattori viene aumentata, o quando i fattori stessi vengono resi più produttivi.

La crescita di un’economia può dipendere tanto dalla crescita della popolazione, quanto dall’aumento della quantità di capitale a disposizione, quanto dall’aumento della produttività dell’una o dell’altro. Nel mondo moderno può darsi che il fattore che può limitare la crescita sia costituito dal lavoro. Ma in generale il problema principale è rappresentato dalla scarsità del capitale. Lavoro e capitale sono due fattori che collaborano; infatti la produttività di un lavoro dipende in larga misura dalla quantità e dalla qualità del capitale a disposizione dell’economia. In altre parole, per avere un aumento nel PIL, è necessario aumentare il capitale in termini sia quantitativi, sia qualitativi. Ma, a questo fine, è indispensabile risparmiare.

Per buona parte della loro storia recente, i paesi avanzati hanno conosciuto aumenti nella quantità dei fattori e, allo stesso tempo, nella produttività dei attori stessi. Ciò non toglie che si siano verificati occasionali fenomeni di diminuzione del saggio di incremento della produttività dei fattori. Tali fenomeni, non frequenti nei tempi attuali, hanno il pregio di sostenere l’occupazione nel breve periodo, ma possono rappresentare la premessa di più gravi crisi d lungo periodo. Essi possono essere attribuiti a diverse cause:

-forte aumento della popolazione lavorativa;

-mutamento della composizione del PIL;

-mutamento nella qualità del lavoro;

-diminuzione della ricerca destinata all’attività produttiva;

-aumento del grado di regolazione.


PARAGRAFO 2-LO SVILUPPO DEI PAESI POVERI

I paesi che vengono eufemisticamente definiti “paesi in via di sviluppo”(PVS) costituiscono, per estensione e popolazione, la maggioranza del mondo.

Il PIL poteva essere considerato un indicatore sufficientemente chiaro della crescita di un paese. Nel caso dello sviluppo abbiamo bisogno di una pluralità di indicatori. Il PIL di un paese è certamente uno di questi indicatori, ma non basta. Può essere necessario selezionare ulteriori indicatori, che costituiscono spie attendibili di singoli fenomeni, ai quali siamo portati ad attribuire un significato paradigmatico ai fini del processo di sviluppo: ad es. , il livello di scolarità,o la mortalità infantile . .ecc.

La povertà ha assunto le caratteristiche di un vero e proprio circolo vizioso. In condizioni di estrema indigenza, malattie possono dilagare con una virulenza devastante, e mirare le stesse capacità produttive di una nazione. Ma una nazione con scarse capacità produttive non riuscirà facilmente a costruire una sanità all’altezza delle sue esigenze. La mancanza di istruzione, a sua volta, renderà difficili e poco efficaci le campagne di prevenzione intraprese e così via.

Molti dei paesi poveri sono paradossalmente ricchi di materie prime e d risorse naturali. In un certo senso, quindi, i loro problemi riguardano non tanto la disponibilità di tali ricchezze, ma il modo in cui esse sono utilizzate e commerciate nel resto del mondo. Caratteristiche:

. I paesi poveri non riescono a vendere le loro ricchezze a prezzi remunerativi sui mercati mondiali. Il problema principale dei PVS è l’instabilità dei prezzi, che fa sì che le entrate derivanti dalla vendita dei prodotti di questi paesi oscillino marcatamente con effetti vistosissimi sul reddito dei paesi. All’origine di tale instabilità si trova la rigidità della domanda e dell’offerta dei prodotti in questione. La domanda è rigida(=anelastica) perché in molti casi è determinata dalle abitudini alimentari dei consumatori mondiali, e perché i beni sostituiti sono pochi. L’offerta, a sua volta, è rigida perché la produzione di beni come i prodotti agricoli e minerari non è capace di adeguarsi rapidamente a eventuali mutamenti delle condizioni esterne.

. Nello stesso tempo, essi devono acquistare i prodotti dei paesi avanzati a prezzi che finiscono con il risultare troppo alti. I manufatti prodotti dai paesi ricchi, pur incorporando il progresso tecnico che ha luogo nel mondo avanzato, tendono a essere sempre più complessi, e quindi a presentare prezzi crescenti. (Un paese africano si troverà a vendere i propri prodotti agricoli a prezzi calanti, per acquistare- ad es.- trattori a prezzi crescenti.

3. I paesi ricchi proteggono le proprie produzioni più di quanto non consentano ai paesi poveri di fare con le loro. E’ indubitabile che i paesi occidentali non applichino nei rapporti con i paesi poveri gli stessi principi di liberismo economico che tendono ad applicare tra di loro. Così, le aree di libero scambio come l’UE finiscono con l’essere grandi e potenti apparati produttivi che si difendono dalla concorrenza dei paesi terzi con quegli stessi strumenti ai quali hanno da tempo rinunciato nei loro rapporti interni.


Accanto ai problemi relativi alla valorizzazione delle risorse possedute il circolo vizioso del sottosviluppo sembra caratterizzato da altri due aspetti di primaria importanza:

1. I debiti accumulati dai paesi poveri sono soggetti a interessi che rendono di fatto impossibile il compito di eliminarli.

2. I programmi di sviluppo dei paesi poveri sono finanziati dalle istituzioni internazionali(dominate dai paesi ricchi) solamente se riflettono una logica economica liberista, la quale tuttavia risulta inaccettabile alla maggior parte dei paesi poveri.

I PVS, paesi a bassa capacità di risparmio, devono necessariamente ricorrere a prestiti esterni per finanziare le proprie iniziative. Ma i prestiti, se non ripagati, fanno aumentare la mole degli interessi che dovranno essere pagati.

L’impossibilità di pagare i debiti dei PVS potrebbe produrre conseguenze disastrose per i creditori più esposti, in particolare per le banche. Le proposte di condonare(=cancellare)il debito dei PVS si scontrano con il fatto che, una volta fatto ciò, difficilmente i creditori sarebbero disponibili a fornire ulteriori prestiti nel futuro.

Istituzioni come la Banca Mondiale sono state accusate di avere capovolto l’interpretazione originaria della propria missione, che era quella di promuovere lo sviluppo, e non quella di garantire il rispetto delle corrette regole della finanza internazionale. In effetti, le condizioni che queste istituzioni impongono per la concessione del credito(che costituisce la principale possibilità di sviluppo per i paesi poveri) pongono l’accento in modo intransigente sul rispetto dell’equilibrio interno ed esterno e, in questo modo, precludono il ricorso agli strumenti dei quali tipicamente i paesi ricchi si sono avvalsi al tempo del loro maggiore sviluppo: spesa pubblica, deficit di bilancio, sostegno dei consumi interni, protezione delle attività nazionali. Applicando queste regole, in ultima analisi, le moderne istituzioni internazionali non farebbero dunque altro che richiamare i diversi paesi al rispetto delle fondamentali regole della concorrenza leale. Anche una volta ammesso ciò, rimane il dubbio che l’applicazione di un tale punto di vista avvenga spesso in modo eccessivamente rigido.

L’applicazione integrale dei principi del liberismo su scala internazionale richiederebbe l’accettazione incondizionata dei flussi migratori. Infatti, all’interno di aree unificate dal punto di vista delle politiche economiche le inevitabili differenze regionali in termini di produttività si rifletterebbero necessariamente in movimenti di lavoratori verso le regioni che offrono reddito e occupazioni più alti. In effetti, le migrazioni producono effetti benefici considerevoli: le rimesse degli emigrati rappresentano afflussi netti di risorse per i paesi di provenienza, che possono contribuire a limitare il fabbisogno di prestiti.




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