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Letture di approfondimento per l'Appendice.

economia politica



5168-ECONOMIA POLITICA (corso monografico), a.a. 2006/2007

Povertà, disuguaglianza e distribuzione del reddito.

(Prof.sa Renata Targetti Lenti)


09/11 Lezione 6, Diseguaglianza e crescita.


Testi di riferimento.

- Checchi D., La diseguaglianza. Istruzione e mercato del lavoro, Laterza, Bari, 1997, pp. 81- 107.

- Fields Gary S., Distribution and Development. A new Look at the Developing World, The MIT Press, Cambridge, Massachusetts, pagg. 35-71.




Letture di approfondimento per l'Appendice.

- Dornbush R., Fisher S., Startz S., Macroeconomia, Mc Graw-Hill, 1998, cap.3.



Negli ultimi 10 anni si sono intensificati gli studi sulle relazioni tra diseguaglianza e crescita. Questa ripresa risulta particolarmente significativa soprattutto se si considera che, tra i primi anni settanta e la fine degli anni ottanta, il dibattito sulla diseguaglianza era praticamente scomparso, nonostante la persistenza di una elevata e crescente disuguaglianza in diversi paesi, e l'emergere di una evidenza empirica circa gli effetti negativi di questa sulla povertà e, in taluni casi, sulla crescita. A partire dall'inizio degli anni '90 la disuguaglianza è diventata di nuovo uno dei temi centrali nel dibattito corrente sia sotto il profilo teorico, sia sotto quello applicato e di "policy" all'interno dei paesi sviluppati, ed in quelli in via di sviluppo.

La questione della relazione tra diseguaglianza e crescita è molto complessa e può essere articolata ne 414g62e l seguente modo:

Analizzare come la distribuzione del reddito la diseguaglianza e influenzano la crescita

Analizzare come la crescita influenza la diseguaglianza

La prima questione, e cioè analizzare come la distribuzione del reddito e la diseguaglianza influenzino la crescita, è stata oggetto di un ampio dibattito all'interno della teoria economica. Un filone di letteratura teorica, più direttamente legata ai modelli di crescita, ha studiato il nesso fra disuguaglianza e crescita. come relazione fra distribuzione funzionale dei redditi (intesa come distribuzione tra profitti e salari) e crescita. La distribuzione che conta, nella maggior parte dei modelli tradizionali (keynesiani e neoclassici), è quella funzionale.

Solo più recentemente sono apparsi studi volti ad analizzare le relazioni tra distribuzione personale del reddito e la crescita. Solo recentemente la diseguaglianza connessa alla distribuzione personale dei redditi La ricerca teorica ed applicata ha seguito due impostazioni: 1) come la diseguaglianza influenza la crescita; 2) come il processo di sviluppo modifica la diseguaglianza. La prima impostazione ha trovato considerazione all'interno dei cosidetti modelli di crescita endogena. Secondo questi modelli un'elevata disuguaglianza nella distribuzione personale del reddito (i.e. per percentili di reddito) deve essere considerato come un fattore che può senza dubbio ostacolare la crescita. Questa nuova interpretazione è riconducibile ad impostazioni ed ipotesi differenti, la maggior parte delle quali sono, per certi versi, collegate alla letteratura della crescita endogena.

La seconda impostazione, invece, e cioè la letteratura volta ad analizzare come la crescita influenzi la diseguaglianza intesa come concentrazione dei redditi personali, è sviluppata a partire dagli anni 50 in seguito alle evidenze empiriche raccolte ed alle ipotesi formulate da Kuznets.



Distribuzione funzionale del reddito e crescita.

Le due principali teorie dello sviluppo e della crescita (quella keynesiana e quella neoclassica) hanno influenzato l'analisi delle relazioni tra questo processo e la distribuzione del reddito. I modelli dominanti nella teoria economica sono di derivazione keynesiana o neoclassica. Lo sviluppo economico viene fatto coincidere con la crescita del reddito pro-capite. Il principale fattore di sviluppo è individuato nell'accumulazione di capitale e lo sviluppo economico viene misurato dall'aumento del reddito pro-capite. Il tipo di distribuzione che "conta" è quella funzionale.

Prevale una visione ottimistica della ripetibilità del processo di sviluppo in sintonia con la teoria degli stadi di Rostow. Il processo è caratterizzato dai seguenti caratteri: 1) aspetti evoluzionistici (diverse fasi, processo di omogeneizzazione tra paesi, positivo, lento); 2) aspetti funzionalistici (mutamenti strutturali e diffusivi). Una distribuzione del reddito a favore dei profitti è considerata alla base di una sorta di circolo virtuoso e cioè come il fattore che avrebbe favorito l'accumulazione di capitale 3) la crescita del reddito pro-capite sarebbe stata sufficiente ad assicurare anche una sua miglior distribuzione ed una riduzione della povertà grazie ad un effetto di sgocciolamento (trikling-down).

Negli anni 60 il dibattito tra economisti keynesiani e neoclassici si concentra sui diversi meccanismi per far avvicinare il tasso di crescita naturale Gn (che deve garantire la piena occupazione) e quello garantito Gw (che corrisponde all'eguaglianza tra domanda ed offerta ottenuta sfruttando la capacità produttiva resa possibile dall'accumulazione di capitale). Il tasso di crescita naturale dipende dalla crescita demografica che è esogena. (Si veda Appendice).

Per i keynesiani il meccanismo per assicurare una crescita bilanciata e di piena occupazione era da ricercarsi in una modifica della distribuzione funzionale dei redditi. La crescita dipende dalle decisioni di investimento di coloro che possiedono il capitale (indipendentemente dal fatto che anche i lavoratori risparmiano) e dunque quanto più elevata è la quota di profitti da investire tanto più rapida sarà la crescita. Una modifica della distribuzione a favore dei profitti è in grado di sostenere l'accumulazione e dunque di stimolare l'occupazione. Una distribuzione a favore dei salari, quando ci si avvicini alla piena occupazione, consente di riportare il sentiero di crescita verso quello naturale.

Per i neoclassici, invece, la distribuzione funzionale del reddito non ha influenza sulla crescita in quanto si pone l'ipotesi che tutti gli agenti possano risparmiare. La quota di risparmio che viene investita (dipende dalla crescita della popolazione e dagli ammortamenti). Il meccanismo per garantire una crescita bilanciata e di piena occupazione è da individuarsi in un mutamento delle tecniche indotto da modificazioni dei prezzi dei fattori (lavoro e capitale). Se si è lontani dalla piena occupazione la riduzione dei salari induce ad adottare tecniche intensive di lavoro e viceversa.

Conclusioni:

1. Per i keynesiani risulta chiaro il legame tra distribuzione funzionale e crescita. Meno chiaro invece risulta essere la relazione tra distribuzione personale e crescita. Il legame, in questo caso, deve essere individuato negli incentivi al risparmio ed alla accumulazione che anche i lavoratori potrebbero avere. Ne consegue: diseguaglianza crescente nelle fasi iniziali del processo di sviluppo e/o al di sotto della piena occupazione; diseguaglianza costante (o decrescente) nella fase matura dello sviluppo. In linea generale, tuttavia, lo stato stazionario è caratterizzato da una diseguaglianza permanente. Ad un aumento della quota dei profitti corrisponde un aumento della diseguaglianza.

2. Per i neoclassici lo stato stazionario finisce con il produrre "la scomparsa della diseguaglianza". E questo nell'ipotesi che "tutti gli individui abbiano preferenze ed abilità identiche" e quindi si giunga ad un livellamento delle retribuzioni e dei rendimenti dei beni capitali. Se si parte da una situazione caratterizzata da diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza e dei redditi l'incentivo al risparmio delle classi più ricche sarà minore, a causa dei rendimenti marginali del capitale decrescenti, così che progressivamente il tasso di accumulazione più elevato che caratterizza le classi più povere provoca un processo di convergenza nella distribuzione della ricchezza (indipendentemente dalle eredità) e dei redditi complessivi (derivante dalla somma dei redditi da lavoro e da capitale). Nello stato stazionario dovrebbe scomparire la diseguaglianza. Questa conclusione non vale se gli agenti differiscono per abilità e/o per diverse propensioni al risparmio.

3. Entrambi i modelli presuppongono la crescita e non la spiegano. Comunque non si spiega il legame inverso e cioè come la crescita condizioni i fattori che sono all'origine della diseguaglianza.




Modelli di crescita endogena, investimenti in capitale umano e distribuzione personale del reddito.

La principale conclusione del modello di crescita neoclassico di Solow è che l'accumulazione capitalistica non garantisce di per sé, senza cioè l'intervento di un progresso tecnico esogeno, una crescita persistente del reddito pro capite. A causa dei rendimenti marginali decrescenti del capitale si verifica una convergenza per i paesi poveri verso quelli ricchi «condizionale » (a parità di ogni altra condizione).

Per Roemer (1986): il "capitale" non è solo capitale fisico (tangibile) ma anche capitale intangibile, prima di tutto conoscenza. a) si può immagazzinare nel tempo, b) il suo acquisto implica un atto di rinuncia al consumo corrente.

La produzione di conoscenza genera esternalità positive altre imprese utilizzeranno, senza pagarla, la conoscenza generata dall'impresa che invece ha investito in Ricerca e Sviluppo. La produzione di ciascuna impresa dipende a) dal capitale fisico, b) dal lavoro, c) dalla conoscenza pagata (spese in Ricerca e Sviluppo) d) dalla conoscenza non pagata e cioè da quella di cui si beneficia grazie al meccanismo delle esternalità appena messo in luce.  

In particolare la relazione tra livello di reddito per lavoratore e capitale per lavoratore è rappresentata da una funzione (y = Ak) che presenta rendimenti marginali costanti del capitale per l'economia nel suo complesso, proprio come nel modello di Harrod e Domar.

La differenza con il modello Harrod-Domar è che in questo caso i rendimenti costanti non sono stati assunti; essi sono stati spiegati, ricorrendo ad un concetto più corretto di "capitale" ed a un meccanismo microeconomico molto diffuso quale è quello delle esternalità. Per Harrod-Domar i rendimenti marginali del capitale per l'economia sono costanti perché lo sono per ciascuna impresa. Per Roemer e i teorici della crescita endogena i rendimenti marginali del capitale sono costanti al livello dell'intera economia, benché non lo siano per le imprese che ne fanno parte, a causa del fatto che esistono esternalità positive nella produzione di conoscenza.

Mutano le conclusioni del modello di Solow e le conseguenti implicazioni di politica economica. Non è più vero che il meccanismo dell'accumulazione capitalistica conduca a uno stato stazionario senza l'intervento di un progresso tecnico esogeno. Vale la conclusione di Harrod-Domar: il tasso di crescita del reddito pro capite dipende sempre, e positivamente, dal tasso di risparmio che favorisce gli investimenti in conoscenza.

Se i rendimenti del capitale sono costanti non è più vero che l'incentivo ad investire è tanto minore quanto maggiore è il capitale disponibile già accumulato, e dunque non è vero che esiste una tendenza verso la convergenza.

I modelli di crescita endogena forniscono una giustificazione teorica per un attivo intervento pubblico a sostegno della crescita. L'attività in Ricerca e Sviluppo genera economie esterne e dunque deve essere parzialmente sovvenzionata dal governo e cioè dalle tasse dei contribuenti.


In altri modelli si è cercato di spiegare i risultati derivanti dall'analisi empirica con modelli di crescita endogena nei quali l'intervento dello Stato e la politica economica fossero un fattore endogeno, ovvero dipendente dalla distribuzione funzionale e/o personale del reddito.

Le ipotesi comuni ai vari modelli sono:

Eterogeneità degli agenti (superamento dell'ipotesi di agente rappresentativo) in funzione del possesso dei diversi fattori di produzione.

Lo Stato e la politica economica diventano lo strumento per conciliare le diverse istanze ed i conflitti distributivi.

La scelta delle politiche redistributive, ed in particolare il livello della spesa pubblica, nonchè quello della tassazione sono il risultato della delega che i cittadini attuano mediante il voto (teorema "dell'elettore mediano").

La scelta delle diverse politiche di intervento ha esiti differenziati in termini di crescita e sviluppo, e dunque anche sulla distribuzione del reddito. In alcuni modelli la distribuzione determina la crescita, ed è a sua volta influenzata dalla stessa, così che si sviluppa un processo cumulativo (di crescita endogena) nel quale il fattore determinante è la distribuzione (funzionale o personale del reddito). I canali di trasmissione dalla diseguaglianza alla crescita nei diversi modelli sono tre (Fig. 1):

a)   canale "mobilitazione". Diseguaglianza --> instabilità --> riduzione investimenti.

b)   canale "elettorale". Diseguaglianza --> politiche redistributive --> riduzione crescita. In un sistema democratico avanzato la scelta delle politiche redistributive, ed in particolare il livello della spesa pubblica, nonché quello della tassazione sono il risultato della delega che i cittadini attuano mediante il voto (teorema "dell'elettore mediano"). Quanto più basso è il reddito dell'elettore mediano rispetto a quello medio, quanto più elevata sarà la sua aliquota preferita e quindi la quota di spesa pubblica sul prodotto nazionale. In un paese povero potrebbe accadere che solo i più ricchi partecipano al processo politico e determinano le politiche redistributive. In questo caso il livello di reddito dell'elettore mediano potrebbe essere superiore a quello medio così che il voto favorisce politiche regressive che finiscono con l'accrescere il grado di diseguaglianza. Il contrario accade in un sistema a livello di reddito medio-alto.

c)   canale "istruzione" (indivisibilità). Diseguaglianza --> investimenti in capitale umano --> aumento della crescita (Fig. 2). Il caso del Sud-Est asiatico è un buon esempio.


Infine, alcuni autori hanno iniziato a formulare una teoria della disuguaglianza basata sugli incentivi. Secondo questa teoria teoria, un livello di disuguaglianza "troppo basso" o soprattutto "troppo elevato", può risultare dannoso per la crescita, dato che i compensi effettivi dei lavoratori e degli imprenditori effettivi non sempre riflettono adeguatamente le diverse dotazione di talento, di capitale umano, i diversi meriti e sforzi, mentre riflettono posizioni di corruzione, di rendita ed un accesso asimmetrico alle risorse.


Fig.1

Fig.2

Crescita e diseguaglianza. 'ipotesi di Kuznets.

La natura e le cause dell'evoluzione di lungo periodo della distribuzione dei redditi tra le persone, o le famiglie, sono state lungamente discusse. Il punto di partenza ideale del dibattito è costituito dalla intuizione brillante, ancorché erronea, di Vilfredo Pareto, secondo cui la distribuzione del reddito è sostanzialmente immutabile nel tempo e nello spazio. Mezzo secolo dopo, l'interesse veniva ravvivato da Simon Kuznets e dalla sua famosa relazione a "U capovolta" tra disuguaglianza e crescita del reddito pro-capite. Si tratta di verificare la presunta esistenza  (individuata da Kuznets) di una curva ad U rovesciata, e cioè di una relazione prima diretta e poi inversa tra reddito pro-capite (indicatore sintetico di sviluppo) ed un indice di diseguaglianza. In particolare occorre: 1) spiegare se la relazione osservata in molti paesi debba essere considerata come puramente accidentale od invece sistematica, 2) quali possono essere i fattori esplicativi di tale relazione.

Il contesto teorico nel quale Kuznets aveva sviluppato la sua analisi era quello dello sviluppo come modernizzazione, in sintonia con l'impostazione di Rostow (teoria degli stadi). Nel primo lavoro (Modern Economic Growth), Kuznets aveva individuato i caratteri della crescita in: 1) crescita di produttività per lavoratore come conseguenza dello sviluppo tecnologico, 2) rapidi mutamenti nella struttura sociale (urbanizzazione, industrializzazione), 3) organizzazione politica e ruolo dello Stato sovrano, 4) progressiva diffusione dello sviluppo a livello internazionale.

L'esistenza di una curva ad U rovesciata tra reddito pro-capite e l'indice di Gini era attribuita, in una 1° fase del processo di sviluppo, essenzialmente ai mutamenti intersettoriali dell'occupazione, nonchè all'aumento del risparmio delle classi più ricche, che grazie ad un processo di accumulazione si traduce in investimenti, redditi da capitale e nuovo risparmio. In una 2° fase, invece, la diseguaglianza diminuisce a causa dei seguenti fattori: 1) emergere di una classe media (classe operaia ed impiegatizia). 2) maggiore importanza dei redditi da lavoro rispetto a quelli da capitale.


I risultati ottenuti da Kuznets sono condizionati dal tipo di analisi. Si tratta infatti di analisi "cross-section" i cui limiti sono ben noti: 1) si basano sull'ipotesi forte di un identico sentiero di sviluppo per tutti i paesi considerati, 2) non tengono sufficientemente conto delle differenze, talvolta considerevoli, nella definizione dei dati reddituali (individuale e/o familiare, primario e/o secondario) o nella natura della indagine (riferita all'universo, campionaria, regionale) 3) l'impiego dei tassi di cambio ufficiali per rendere comparabili i valori monetari introduce delle distorsioni. Non tiene sufficientemente conto delle differenze nei prezzi relativi all'interno dei vari paesi.


Proprio tenendo conto di queste considerazioni numerosi autori, in studi successivi, hanno posto in dubbio la possibilità di identificare una precisa relazione tra il grado di diseguaglianza nella distribuzione personale dei redditi ed il livello di sviluppo del sistema considerato. Difatti la significatività della relazione diminuisce se si escludono alcuni paesi, ed in particolare quelli sviluppati. La varianza non spiegata assume valori così elevati che per giustificarla occorre far riferimento alle specifiche caratteristiche d'ogni paese. Alcuni autori, ad esempio, rilevano un indebolimento della relazione eliminando i paesi socialisti. Secondo altri autori, invece, la presenza dei paesi dell'America Latina, a reddito pro-capite medio, ma caratterizzati da una forte concentrazione del reddito, contribuisce in larga misura a determinare i risultati.

Anand e Kanbur hanno mostrato come il punto di svolta, e la posizione della curva nello spazio muti in relazione alle diverse forme funzionali adottate per specificare la relazione tra reddito (a seconda che sia considerato come valore assoluto, come logaritmo, in forma quadratica) ed indici di diseguaglinaza alternativi. Questi autori mostrano anche come non si possano derivare conclusioni non ambigue sulla relazione tra l'indice di concentrazione proposto da Ahluwalaia e valori del reddito pro-capite quando si renda più attendibile l'evidenza empirica raccolta da Jain, ed utilizzata da Ahluwalaia.


Altri autori hanno sottolineato come la relazione diretta tra crescita ed eguaglianza sia collegabile piuttosto all'esistenza d'una classe media sufficientemente ampia da sostenere una domanda di prodotti manufatti. Ritroviamo qui un'argomentazione tipicamente smithiana che riconduce la crescita all'espansione, ma soprattutto alla differenziazione della domanda.


Altri ancora hanno messo in relazione i tassi di variazione dell'indice di diseguaglianza con quello del reddito pro-capite. Non risulta alcuna netta correlazione.


La ripresa d'interesse per i temi della relazione tra disuguaglianza e crescita può essere spiegata proprio dal fatto che i risultati delle indagini empiriche sono spesso contrastanti e non definitivi. Ne sono una testimonianza i diversi studi volti a stimare l'esistenza di una curva ad U rovesciata alla Kuznents e i diversi risultati cui sono giunti. La disponibilità di nuove e più complete banche dati, in particolare per i paesi in via di sviluppo, ha rafforzato la consapevolezza di un progressivo peggioramento della disuguaglianza. Mentre fino alla metà degli anni 90 diverse analisi che utilizzavano i dati aggiornati alla fine degli anni 80 o agli inizi degli anni 90 (Deininger e Squire 1996), sostenevano che la disuguaglianza all'interno dei paesi era stabile nel tempo, un numero crescente di studi che si basano su differenti impostazioni suggeriscono che la disuguaglianza all'interno dei paesi sta crescendo


Secondo Fields le diverse evidenze empiriche rivelano che molti sono i fattori di natura strutturale (economica, politica, istituzionale) che influenzano la diseguaglianza. Questa sarà tanto più elevata quanto più alta è: 1) la quota del settore industriale, 2) la quota di esportazioni di beni primari, 3) il dualismo regionale e settoriale, 4) il peso dei lavoratori autonomi, 5) una distribuzione concentrata dei fattori di produzione (capitale e terra), 6) un sistema creditizio inefficiente, 7) una scarsa presenza dello Stato e delle politiche redistributive. Vi sono poi sistemi particolarmente egualitari come quelli socialisti od invece particolarmente diseguali come quelli dell'America Latina e dell'Africa a sud del Sahara.


Secondo altri autori, infine, non è tanto la differenza nei redditi pro-capite che spiega le differenze nella diseguaglianza, quanto i diversi contesti istituzionali con particolare riferimento: 1) ai sistemi educativi e la formazione di capitale umano; 2) la partecipazione alla vita politica ed alla possibilità di influenzare con il voto le politiche redistributive (elettore mediano). Quando il livello di sviluppo è basso la partecipazione da parte delle fasce di popolazione più povera è ridotta e dunque il reddito dell'elettore mediano più alto di quello medio. Ne seguono politiche a carattere regressivo. Il contrario avviene quando il reddito pro-capite cresce.



Fig.1

Appendice


I modelli keynesiani. Il modello di Harrod (1939) e Domar (1946).


Y = f(K,L) funzione di produzione a coefficienti fissi

s = S(Y)/Y   propensione al risparmio

v = K/Y = dK/dY rapporto capitale prodotto

dY = dK /v

dK=I = v dY


Ricordando che S = I la condizione d'equilibrio diventa

s Yt-1 = v dY dY/ Yt-1 = s/v =Gw

produttività marginale del capitale v Gw

Il tasso di crescita Gw (di equilibrio tra domanda ed offerta) può differire da quello effettivamente realizzato G  

Aspettative investimenti instabilità

Se G > Gw D>S riduzione delle scorte e/o aumento dei prezzi   

Se G < Gw D<S aumento delle scorte e/o riduzione dei prezzi

Crescita e occupazione.


Gn = n + PL

Gn è il tasso naturale di crescita, n è il tasso di crescita della popolazione n

PL è il tasso di crescita della produttività del lavoro


La crescita di equilibrio di piena occupazione richiede che G = Gw = Gn

Se Gw > Gn forza di lavoro è insufficiente ed aumenta potere dei lavoratori aumento dei salari e diminuzione dei profitti diminuzione del risparmio e dell'accumulazione Gw = Gn

Se Gw < Gn le aspettative degli imprenditori sono realizzate, ma si genera disoccupazione riduzione dei salari e aumento dei profitti aumento del risparmio e dell'accumulazione Gw = Gn


La redistribuzione funzionale del reddito riporta il sistema in equilibrio.



La teoria neoclassica della crescita: il modello di Solow(1956).


I fattori della crescita: capitale, lavoro, progresso tecnico. Funzione di produzione con coefficienti flessibili. La scelta di v dipende dai prezzi relativi del lavoro e del capitale.


Y = A f(K,L)

se y = Y/N; k = K/N y = f (k)

dY/Y = a dN/N + (1-a) dK/K + dA/A

sy = s f(k)

dA/A = progresso tecnico

n = dN/N

m = ammortamenti


y* e k* sono i valori di stato stazionario

It = St dove It sono gli investimenti necessari alla creazione di nuovi posti di lavoro e per gli ammortamenti (per compensare il logoramento del capitale sono eguali al risparmio


Crescita bilanciata e steady state in assenza di progresso tecnico (fig. 1, 2).


Se n è costante (n+m)k = ammontare di capitale necessario a mantenere k costante

dK = sy - (n+m)k

in stato stazionario dK = 0 sy* = s f(k*) = (n+m)k*


se sy > (n+m)k k cresce

se sy < (n+m)k k diminuisce


La possibilità da parte delle imprese di scegliere la tecnica corrispondente a k* assicura una crescita di piena occupazione. Il meccanismo per riportare l'economia sul sentiero di crescita bilanciata è da individuarsi in un mutamento delle tecniche indotto da modificazioni dei prezzi dei fattori (lavoro e capitale). Se si è lontani dalla piena occupazione la riduzione dei salari induce ad adottare tecniche intensive di lavoro. La concentrazione nella distribuzione del reddito aumenta. Viceversa accade quando ci si avvicina alla piena occupazione.


Se Gn > Gw DN < SN disoccupazione riduzione dei salari k e v diminuiscono Gw = s/v = n = Gn

Se Gn < Gw DN > SN piena occupazione aumento dei salari k e v aumentano Gw = s/v = n = Gn


Il ruolo del risparmio


Due paesi con identico s, k e n devono convergere verso k*

In stato stazionario Gw = Gn s/v = n il tasso di risparmio non influisce sul tasso di crescita.

Un aumento di s aumento di k* spostamento dello stato stazionario verso l'alto e conseguente aumento di y di equilibrio. Tuttavia Gw rimane costante


Un aumento di n fa diminuire k* e y*

Una diminuzione di n fa aumentare k* e y*


Tutte le variabili Y, K, N crescono al saggio della produttività. I salari aumentano in misura pari alla produttività del lavoro. La distribuzione del reddito tra salari e profitti resta invariata.


Crescita bilanciata e steady state in presenza di progresso tecnico.


Il progresso tecnico esogeno è la condizione per far aumentare il tasso di crescita del prodotto (rendimenti marginali del capitale decrescenti). La tendenza verso k* e y* è inevitabile.


La crescita del reddito pro-capite ed il problema della convergenza tra paesi.


I paesi (in via di sviluppo) che partono con una minore dotazione di capitale e dunque sono caratterizzati da un k minori sono destinati a crescere più velocemente purchè la tecnologia sia disponibile convergenza (catching up) tra paesi che dovrebbe chiudere il gap tra ricchi e poveri.






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