Caricare documenti e articoli online 
INFtub.com è un sito progettato per cercare i documenti in vari tipi di file e il caricamento di articoli online.


 
Non ricordi la password?  ››  Iscriviti gratis
 

Il sistema d’impresa - Impresa, ambiente, mercato

economia



Il sistema d’impresa (lezione 1)


L’impresa è un organizzazione economica che, mediante l’impiego di un complesso differenziato di risorse, svolge processi di acquisizione e di produzione di beni o servizi, da scambiare con entità esterne al fine di conseguire un reddito. Il carattere fondamentale di un sistema è di essere un complesso interrelato di parti.

Un sistema si caratterizza per la molteplicità di parti componenti, per l’interrelazione delle parti rispetto all’obiettivo da raggiungere, per il legame funzionale con un ambiente esterno e per il dinamismo. Il concetto di sistema deve essere correttamente inteso in senso evolutivo e non statico. L’impresa è sempre un sistema, ma è un sistema dinamico, che muta nelle sue dimensioni e combinazioni di risorse. L’impresa è un sistema perché è costituita da un insieme di parti od organi, ciascuno dei quali deputato a svolgere una determinata funzione per il raggiungimento di un comune risultato. L’impresa è un sistema di tipo aperto; poiché per vivere, deve intrattenere continue relazioni di scambio con altri sistemi o entità esterne: queste relazioni sono del tipo input (ingresso), cioè di approvvigionamento di risorse necessarie per la sua alimentazione, e del tipo output (uscita), ossia di cessione a terzi del prodotto del suo funzionamento.

I sistemi possono essere classificati in base alle funzioni.

In base alla funzione della capacità che ha l’uomo di comprenderli:



- sistemi semplici: dove è facile da parte dell’essere umano la comprensione delle caratteristiche del sistema;

- sistemi complessi: dove la comprensione di tutte le caratteristiche del sistema è possibile solo a degli specialisti;

- sistemi eccessivamente complessi: dove anche agli specialisti risulta impossibile la comprensione di tutte le caratteristiche del sistema.

In base alla funzione della possibilità di conoscere l’evoluzione del sistema al verificarsi di un determinato evento:

- sistemi deterministici: dove è possibile prevedere lo stato finale cui giunge il sistema una volta che interviene una data relazione;

- sistemi probabilistici: dove non è possibile prevedere lo stato finale cui giunge il sistema una volta che interviene una data relazione.

In base alla funzione delle relazioni esistenti con l’ambiente esterno:

- sistemi chiusi: dove non esistono relazioni rilevanti con l’ambiente esterno;

- sistemi aperti: dove il sistema influenza ed è influenzato dall’ambiente esterno.

L’impresa quale sistema cognitivo è definito “quale sistema di conoscenze atto a produrre nuova conoscenza”. L’impresa rimane un sistema complesso all’interno del quale s’intrecciano elementi tangibili e intangibili, immobilizzazioni materiali e immateriali, mezzi tecnici ed intelligenze, risorse finanziarie ed umane secondo un disegno finalizzato, in ogni caso, alla produzione e diffusione del valore. Nell’analisi di un sistema le condizioni di maggiore difficoltà si incontrano alla presenza di un sistema aperto, probabilistico, eccessivamente complesso, dove definiamo che l’impresa è un sistema aperto, probabilistico, eccessivamente complesso.

Vi sono varie forme istituzionali d’impresa:

- Capitalistica: nella quale è presente l’imprenditore-capitalista proprietario dei mezzi di produzione e gestore diretto dell’attività produttiva;

- Manageriale: nella quale si ha una scissione tra la proprietà e il governo dell’impresa stessa a causa dell’eccessivo frazionamento della prima e dell’affidamento del secondo a manager professionisti;

- Cooperativa: nella quale vi è una comunanza assoluta di scopi tra coloro che vi partecipano e vi è un rapporto diretto tra la formazione del capitale e la platea dei soci;

- Non profit: nella quale si ha l’amministrazione fiduciaria di capitali forniti prevalentemente dallo Stato o da contribuzioni volontarie allo scopo di raggiungere finalità sociali;

- Post-manageriale: caratterizzata dalla gestione delle risorse e della diretta partecipazione di datori di lavoro e lavoratori ai risultati aziendali.

L’assetto della proprietà di impresa è divisa in base alla natura del soggetto imprenditoriale ( piccolo imprenditore, imprenditore familiare, imprenditore delegato, imprenditore di gruppo), e del grado di concentrazione della proprietà (azionista di maggioranza, pacchetto di comando, e pubblic company).

La dimensione di un impresa è difficilmente definibile, possiamo raggrupparli in quattro parametri e indici dimensionali:

- I parametri economici: si riferiscono al volume d’affari dell’azienda considerato in termini assoluti o variamente qualificato sotto gli aspetti della redditività e dell’economicità ( fatturato, valore aggiunto);

- I parametri tecnici: si riferiscono al processo produttivo e mirano a misurare la potenzialità di produzione di beni o servizi (produzione realizzata, capacità di produzione);

- I parametri patrimoniali: riguardano le varie figure di capitale a disposizione dell’azienda. I valori più spesso prescelti sono il capitale di funzionamento, che misura l’entità dei mezzi impiegati nell’attività aziendale, e il capitale sociale (patrimonio netto, capitale investito);

- I parametri organizzativi: attengono al fattore personale impiegato nell’impresa e sono molto spesso considerati fra i più importanti indici dimensionali ( addetti occupati, livelli organizzativi).

L’impresa può essere classificata in base alla posizione dell’azienda nel mercato in cui opera:

- Media/piccola impresa: non riesce a influenzare le variabili del mercato in cui opera;

- Grande impresa: influenza sia le imprese concorrenti che i consumatori.

L’impresa può essere classificata in base alla dimensione, abbiamo:

- Secondo l’Istat: piccola fino a 99 dipendenti, media da 100 a 499 dipendenti, e grande 500 e oltre;

- Secondo l’Unione Europea: piccola fino a 50 dipendenti fino a 5 mln €, media fino a 250 dipendenti fino a 20 mln €, grande oltre 250 dipendenti oltre 20 mln €.


Capitolo 2

Impresa, ambiente, mercato (lezione 2)


L’ambiente può essere inteso come il contesto generale all’interno del quale l’impresa è chiamata a svolgere le sue funzioni. L’ambiente sul piano teorico può essere scomposto in quattro sub-sistemi generali:

- Ambiente politico-istituzionale: è definito dalla forma di governo e dall’ordinamento legislativo prevalente nel territorio considerato. Influenza diretta del sistema delle autorizzazioni, concessioni e riserve di legge, norme a tutela del lavoro, sistema fiscale e altre leggi.

Influenza indiretta, grado di intervento diretto dell’autorità pubblica sul sistema economico, grado di controllo dell’autorità pubblica sul sistema economico.

- Ambiente culturale-tecnologico: può essere inteso come il contesto entro cui si affermano le manifestazioni tradizionali della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo. La cultura influenza sia coloro che operano all’interno dell’impresa sia i gruppi esterni, la tecnologia influenza l’impiego di risorse.

- Ambiente demografico-sociale: è condizionato dalla struttura della popolazione residente e dalle relazioni fra gli individui e i gruppi che la compongono. La ripartizione per classi di età, per livello socio-economico, per condizione professionale, per strati sociali.

- Ambiente economico: dev’essere inteso come il sistema generale dell’economia, che regola la vita di una certa collettività.

Per economia di mercato si intende un sistema a decisioni decentrate, regolato cioè dalle leggi di mercato;

Per economia di piano ci si riferisce ad un sistema in cui le decisioni sono prese solo al centro mediante l’elaborazione di piani governativi nazionali.

Ambiente Transazionale: dove ogni impresa deve risolvere il problema dei confini della sua organizzazione e del ricorso al mercato per l’approvvigionamento delle risorse di cui abbisogna. L’alternativa è il “make or buy” che consiste nel produrre all’interno i materiali, le parti, i componenti da utilizzare per la produzione dei beni o procedere al loro acquisto all’esterno.

Ambiente Competitivo: dipenderà dalla scelta delle porzioni di mercato da soddisfare. Sarà l’impresa con le sue decisioni strategiche a definire l’ambiente competitivo di riferimento.

Ogni impresa si collegherà con:

il mercato del lavoro, costituito dall’offerta di forza-lavoro;

il mercato della produzione, composto dai produttori di materie prime, semilavorati, impianti e macchinari, materiali di consumo e servizi utilizzabili per l’attività aziendale;

il mercato finanziario, rappresentato dalle Borse Valori, dagli intermediari finanziari e da altri prestatori di capitali;

il mercato di vendita, costituito dagli acquirenti dei beni o servizi prodotti.

L’ambiente determina il sistema di vincoli-opportunità entro cui si dispone la gestione aziendale. I vincoli sono connessi con ciascuno dei profili prima esaminati: essi possono dipendere da leggi e provvedimenti amministrativi, dal modello di cultura prevalente, della composizione e dalla mobilità delle classi sociali, dal tipo di governo dell’economia e dal grado di benessere della popolazione, che finiscono per restringere l’area di manovra dell’imprenditore.

Il Mercato secondo una definizione economica è il complesso degli atti di scambio che si manifestano o che potrebbero manifestarsi in rapporto a un determinato prodotto e in un certo ambito territoriale; secondo una definizione strategica fa leva sul contesto di mercato servito dall’impresa.

Il Settore è formato da produttori di beni sostituibili, raggruppato con entità produttive omogenee, ed è definita in senso orizzontale.

La Filiera comprende la catena degli operatori che partecipano alla realizzazione di un determinato bene, ed è definita in senso verticale.

Le caratteristiche e la struttura del mercato sono composte:

Dal grado di concentrazione, relativo al numero e alla grandezza dei produttori del mercato di monopolio, oligopolio e concorrenza perfetta;

Dal grado di differenziazione, composto dal mercato della concorrenza monopolistica, oligopolio differenziato.

Le Barriere alla Concorrenza

Le Barriere si distinguono in esterne o interne: esterne quando impediscono l’ingresso di nuovi competitori, interne quando tutelano la posizione di ciascun produttore nei confronti delle azioni espansive degli altri produttori presenti nel mercato.

Le Barriere all’entrata si collegano: - alle economie ottenibili nelle funzioni di gestione; - alla disponibilità di brevetti o Know-how; - alla scarsezza di fattori produttivi essenziali; - alla differenziazione dei prodotti.

Le economie ottenibili nella gestione possono distinguersi in economie di scala, di apprendimento, di scopo e di relazioni.

Le economie di scala, cioè il fenomeno di abbassamento dei costi unitari di produzione e di vendita al raggiungimento di determinati volumi di operazioni, sono ottenibili non solo nella fase tecnica, ma anche in quella di approvvigionamento delle materie e di commercializzazione delle produzioni finali.

Un ultimo tipo di barriera, che però è più interno che esterno, si collega alla differenziazione dei prodotti. Il fattore differenziazione può trovarsi congiunto con quello della concentrazione e generare degli ostacoli maggiori all’ingresso nel mercato.

Accanto alle barriere all’entrata possono poi esistere delle barriere all’uscita che, vincolando le imprese a permanere nel mercato, finiscono per irrigidire e, turbare i comportamenti concorrenziali. Le barriere all’uscita, create da vincoli sociali o economici rendono rigide le situazioni di mercato, penalizzando sovente tutte le imprese produttrici. Le barriere all’uscita finiscono per dissuadere i nuovi entranti ad inserirsi in un mercato dal quale sarà più difficile l’eventuale uscita.

L’equilibrio domanda-offerta

Per comprendere il funzionamento di un dato mercato e le politiche adottate dalle imprese che in esso operano, non è sufficiente analizzare separatamente la situazione della domanda e dell’offerta, ma è indispensabile valutare congiuntamente queste due componenti.

Il grado di controllo del mercato è legato non solo al peso da ciascuno di essi esercitato, ma anche alla situazione di equilibrio o meglio di squilibrio, che può crearsi fra la domanda e l’offerta in un certo ambito territoriale e in una data epoca.

E’ difficile ipotizzare il caso in cui fra domanda e offerta si abbia un perfetto equilibrio.

D>O Se la domanda tenderà a superare la capacità di produzione esistente nel mercato, i produttori assumeranno una chiara posizione di vantaggio, in quanto non solo non supporteranno rischi di vendita dei loro prodotti, ma potranno godere di una situazione di concorrenza fra gli acquirenti, che dovranno competere l’un contro l’altro per entrare in possesso della limitata quantità di beni disponibili. Il venditore avrà in pugno il mercato, ed è definito come mercato del venditore.

O>D Nel caso di eccedenza dell’offerta, in quanto i produttori dovranno competere fra di loro per acquisire la domanda disponibile. In un’ipotesi del genere arbitri del mercato diventeranno il successo o l’insuccesso delle singole aziende produttrici.

Un mercato assume rilievo il tasso di sviluppo della domanda e dell’offerta poiché è soprattutto in funzione delle prospettive di espansione, stazionarietà e declino della domanda che orienteranno i comportamenti imprenditoriali.

I RAPPORTI IMPRESA-MERCATO (Lezione 3)

I rapporti tra l’impresa e l’ambiente assumono un ruolo centrale nell’impostazione della teoria economica aziendale, soprattutto in relazione alle condizioni di dipendenza o di indipendenza della prima nei confronti del secondo. Uno dei problemi di fondo nella gestione dell’impresa concerne i vincoli esterni che essa deve rispettare, che può rimuovere o che può addirittura tentare di modificare mediante i comportamenti da adottare.

Secondo gli studiosi cosiddetti strutturalisti, la struttura del mercato incide sul comportamento delle imprese e quest’ultimo influenza il risultato della gestione aziendale. Il paradigma struttura-condotta-performance viene però criticato da coloro che ritengono che sia invece il comportamento delle imprese a determinare la struttura del mercato e che, sostengono che al vecchio paradigma dovrebbe sostituirsi il nuovo condotta-struttura-performance.

I modelli di mercato possono essere molteplici in funzione della specificità, della ripetitività e dell’incertezza delle transazioni economiche da compiere.

La scelta dell’organizzazione aziendale dipende dall’attuazione diretta di certe produzioni e quindi non ricorrere a transazioni esterne.

La Teoria dei costi di transazione sostiene che la produzione viene organizzata implicitamente dal mercato ed esplicitamente dalle gerarchie dell’imprese.

I costi di produzione sono difatti legati alle economie di scala e ai costi di assortimento o di gamma.

Un’impresa può sopravvivere se mantiene un vantaggio competitivo nel mercato, per conservare il vantaggio competitivo essa deve innovare, deve cioè modificare la sua strategia, la sua struttura, i suoi processi operativi; la produzione d’innovazioni è frutto del dinamismo delle sue capacità o abilità professionali. Da questi postulati deriva che la differenziazione tra le imprese può essere spiegata in termini di dotazione dinamica di capacità ovvero in termini di attitudine a concepire e realizzare proficuamente il cambiamento, diretto a creare il vantaggio competitivo.

Secondo la teoria delle capacità dinamiche, le imprese debbono fondare il loro successo sulle caratteristiche organizzative piuttosto che sul possesso di tecnologie avanzate o sullo sfruttamento di una particolare innovazione. La vera forza è quella dell’organizzazione che riesce ad esprimere delle potenzialità dinamiche, in grado di generare e trarre sistematico vantaggio delle innovazioni.


Capitolo 3

LE TEORIE DI IMPRESA (Lezione 4)


L’impresa rappresenta una realtà complessa intorno a cui si sviluppa una rete di rapporti non solo di scambio, ma anche di collaborazione, d’informazione, di interessi. Essa svolge una varietà di ruoli nei confronti di chi vi partecipa, del mercato e dell’ambiente socioeconomico e costituisce una realtà sociale, giuridica, economica ed organizzativa.

Ogni azienda può essere infatti visto come:

organizzazione economica

sistema sociale

struttura patrimoniale

L’organizzazione economica ha lo scopo il soddisfacimento dei bisogni umani mediante la messa a frutto di risorse rinvenibili in natura in misura limitata. Mediante l’organizzazione e il funzionamento di un apparato di imprese si generano delle maggiori utilità per la collettività nel suo complesso. Ogni impresa non opera solo a vantaggio della schiera, più o meno ampia, di clienti che serve, ma contribuisce a far sì che altre aziende possano dedicarsi a soddisfare altri bisogni.

Nel sistema sociale, le imprese in quanto centro di coagulazione degli sforzi di un insieme di gruppi sociali, va vista come distributrice della ricchezza creata, rappresentando uno strumento per il soddisfacimento delle necessità soprattutto di coloro che operano al suo interno. Per il suo funzionamento ha bisogno di forza lavoro, denaro, materie, macchinari, servizi, cioè deve rivolgersi a lavoratori, finanziatori, fornitori, ecc, per poter acquisire il complesso differenziato di risorse di cui necessità. Tenendo presenti soprattutto i gruppi interni, è evidente che un’altra sua funzione primaria è quella di rappresentare la fonte di lavoro e di sostentamento per coloro che fanno parte della sua organizzazione.

La struttura patrimoniale consiste nel complesso di beni organizzato e retto per lo svolgimento di processi produttivi. Questo aspetto richiama due elementi impliciti nella vita di qualsiasi organismo aziendale: il capitale e la capacità imprenditoriale

Queste tre funzioni sono strettamente legate perché se l’impresa trova il suo spazio nel mercato, cioè soddisfa i bisogni dei consumatori, può remunerare i vari fattori della combinazione produttiva.

La Teoria sulle finalità imprenditoriali, l’azienda è l’espressione di una volontà imprenditoriale, tesa all’ottenimento di determinate finalità. Il punto di partenza nello studio della gestione aziendale non può che essere rappresentato dagli scopi che spingono certi ad organizzare prima, e governare, poi, un’attività produttiva.

Massimizzazione del profitto nel lungo periodo

Il profitto, secondo la teoria economica classica, è il compenso che spetta all’imprenditore per l’organizzazione dei fattori produttivi. Una prima teoria considera il reddito quale corrispettivo che spetta a colui che ordina l’impiego dei vari fattori di produzione. Il profitto va considerato come la quota destinata a ripagare il rischio corso nell’attività aziendale, cioè come un vero e proprio premio di assicurazione per l’investimento del capitale. Secondo l’impostazione schumpeteriana, il profitto è si un premio, ma un premio che spetta a colui che promuove l’innovazione. Un’ultima impostazione dottrinale tende a spiegare la sua origine in funzione dell’imperfezione del mercato, cioè quale risultato dell’acquisizione di posizioni monopolistiche rispetto agli altri produttori. Secondo questa teoria, il profitto sarebbe un qualcosa di subordinato a certe condizioni esterne.

Queste quattro impostazioni concettuali più che alternative risultano complementari, in quanto il profitto può essere in effetti considerato un’entità composita, in cui rientrano il compenso per il lavoro imprenditoriale, il premio per il rischio, la contropartita dell’innovazione e la rendita connessa con la posizione monopolistica.

Secondo la costruzione teorica classica, i comportamenti del gruppo imprenditoriale sarebbero orientati al conseguimento del più ampio divario positivo tra i ricavi e i costi di gestione. La logica delle scelte, assunte dagli organi di governo, sarebbe quella di massimizzare il risultato reddituale ottenibile dall’attività aziendale, cioè di adottare in ogni caso, tra le alternative possibili, quella suscettibile di produrre il maggior reddito.

Sul piano pratico incontra una serie di limiti, la sua applicazione richiede la precisazione di alcune condizioni di tempo e di rischio. Ci si può infatti chiedere quale profitto l’imprenditore vuole rendere massimo: quello di un esercizio, di due esercizi, di una specifica operazione.

Le motivazioni del comportamento imprenditoriale, è necessario introdurre il fattore tempo (time preference) e il fattore rischiosità (uncertainty conditions).

Sopravvivenza aziendale

I proprietari sono interessati ad ottenere il massimo profitto dell’impresa, i dirigenti sono preoccupati in primo luogo alla sopravvivenza dell’organizzazione.

Secondo la teoria della sopravvivenza, il fine del gruppo imprenditoriale è soprattutto quello di assicurare la continuità dell’organismo aziendale. Ciò si traduce, da un lato, nel puntare al profitto come mezzo per irrobustire la struttura patrimoniale dell’impresa e, dall’altro, nel rifiutare attività gestionali con coefficienti di rischio che possano porre in pericolo la vita dell’organizzazione.

E’ intuibile che la sopravvivenza dell’impresa è legata alla posizione occupata nel mercato, cioè al rapporto di forza o di debolezza nei confronti della concorrenza; alle innovazioni, cioè alla capacità di adeguare costantemente le tecnologie utilizzate e i prodotti realizzati; alle risorse umane e finanziarie, ossia alla professionalità del personale e alla disponibilità di mezzi da impiegare nel finanziamento degli investimenti e del capitale circolante, alla redditività, in quanto fonte dello sviluppo e dell’incremento di patrimonialità dell’impresa. L’esigenza primaria è quella di realizzare un livello stabile di profitto, che consenta all’impresa di non correre rischi eccessivi e di destinare risorse sufficienti all’autofinanziamento. All’accrescersi di quest’ultimo, si riduce la dipendenza da fonti esterne di finanziamento e s’amplia l’autonomia del gruppo manageriale.

Sviluppo dimensionale dell’impresa

I manager sono più interessati all’espansione dell’impresa perché si traduce quasi sempre in un irrobustimento dell’organizzazione, nell’assunzione di una maggiore forza nei confronti della concorrenza e, sovente, nell’incremento delle retribuzioni ai livelli più elevati di direzione. Di conseguenza, con lo sviluppo dimensionale si riescono ad ottenere simultaneamente obiettivi di stabilità, di prestigio e di miglioramento economico.

Creazione e diffusione del valore

La finalità della creazione del valore risponde agli obiettivi di tutti i partecipanti all’impresa e non soltanto a quelli dell’imprenditore proprietario o del manager.

La teoria del valore sostiene che la finalità da assegnare alla gestione è quella di far crescere il valore economico dell’impresa. Con essa la visione dei risultati aziendali è orientata al futuro, perché ciò che conta non è il differenziale positivo tra i ricavi e i costi, ma le potenzialità di produrre risultati sempre migliori, e si tende ad accrescere il valore reale dell’impresa. L’impresa rivolge la sua attenzione alla creazione del valore e, soprattutto, in determinati contesti alla diffusione dello stesso, ovvero al suo trasferimento nel valore di mercato, espresso dalle quotazioni azionarie.

La teoria del valore in questa matrice nordamericana si collega ad una realtà molto diffusa in quel contesto, vale a dire alle pubblic company amministrate da manager professionisti e quotate in Borsa. Queste due condizioni spingerebbero ad adottare la strategia del valore intesa a migliorare il corso dell’azione secondo un’ottica anche di difesa dell’impresa da scalate ostili.

Massimizzazione sociale del profitto

La vita aziendale si svolge entro un complesso di vincoli, più o meno rilevanti, a seconda delle influenze esterne ed interne alla gestione. Soprattutto la necessità di assicurare un giusto equilibrio tra le aspirazioni dei vari gruppi che sono coinvolti nel funzionamento del sistema aziendale, genera una seria di limitazioni nella scelta degli obiettivi e delle strategie imprenditoriali.

L’imprenditore tenta di massimizzare il risultato economico della gestione: per fare ciò può cercare di ampliare i ricavi e ridurre i costi. Se vuole aumentare i ricavi, deve tentare di influire su due variabili: il prezzo e la quantità dei beni venduti. Ma un rialzo del prezzo incontra l’opposizione dei compratori, i quali possono rinunciare all’acquisto del bene, rivolgendosi ad un altro fornitore, oppure ridurre la quantità domandata e far addirittura contrarre, anziché aumentare, il volume globale dei ricavi.

Volendo operare sui costi, una variazione può essere ottenuta per due vie: l’abbassamento del costo unitario o l’impiego di una minore quantità di risorse. Sotto il primo aspetto, si tratta di ridurre le remunerazioni del lavoro, i prezzi pagati ai fornitori, gli interessi corrisposti ai finanziatori, i margini concessi ai distributori. Nessuna variazione è ovviamente possibile per le aliquote impositive fissate dalle pubbliche autorità. Relativamente alla riduzione della quantità impiegata di ciascun fattore, si può incidere sui costi di lavoro, di approvvigionamento, di finanziamento ma non sugli altri.

Ottenimento del successo sociale

L’imprenditore è mosso soltanto da interessi economici oppure, come tutti gli altri individui, tende a raggiungere anche altri traguardi appartenenti alla sfera del sociale.

Le motivazioni o meglio le finalità che spingono un individuo, da solo o insieme con altri soggetti, a promuovere la costituzione di un’impresa e a svilupparne nel tempo l’attività possono essere inquadrate, con qualche necessario adattamento, secondo la famosa scala dei bisogni teorizzata da Maslow. Le finalità dell’imprenditore appaiono in ordine crescente d’importanza, quelle di assicurare la sopravvivenza dell’impresa mediante il perseguimento del fondamentale equilibrio economico tra costi e ricavi, di affermarsi nell’ambito della classe sociale di appartenenza e di assumere posizioni di preminenza nella comunità.

L’imprenditore tende come tutti gli individui al successo e il successo è rappresentato dai risultati raggiunti dall’impresa e dal ruolo che, con esso, si riesce a conquistare rispetto ai concorrenti.

La combinazione delle tre “P” sarebbe rappresentativa del successo sociale ottenute dall’imprenditore mediante il successo della sua impresa. Il prestigio (leadership sociale) rappresenta il traguardo di più elevato valore, che appare come il vero punto di arrivo dell’attività imprenditoriale; Potere di mercato (leadership competitiva) e il Profitto, che consentono all’impresa di svilupparsi rispetto alla concorrenza, preservando il fondamentale equilibrio economico.


Capitolo 4

STAKEHOLDER E TEORIA DELL’AGENZIA (lezione 4)


Nell’ampia schiera di soggetti presenti e operanti, all’interno e all’esterno dell’impresa, occorre tuttavia distinguere gli organi di governo, ovvero coloro che debbono mirare al conseguimento degli obiettivi di gestione, da quelli che agiscono in posizione subordinata.

L’evoluzione fondamentale nella teoria d’impresa è segnata dal passaggio della visione imprenditoriale a quella sociale dell’impresa stessa.

Dall’estensione del concetto discende ch’essa va correttamente considerata come un’istituzione sociale a finalità plurime, il cui compito è di creare valore il senso ampio, ovvero non solo valore economico, ma anche valore sociale.

Il concetto di stakeholder, originariamente ristretto a coloro che avevano degli interessi diretti nella vita dell’impresa, si è ampliato per ricomprendere anche coloro che possono esercitare un’influenza sulle dimensioni aziendali. I primi sono, dunque, i lavoratori, i fornitori, i finanziatori, ecc, vale a dire chi si collega con l’impresa mediante contratti e che è interessato al rispetto dei contratti stessi, da cui deriva ovviamente il raggiungimento di un proprio specifico interesse. I secondi sono le istituzioni, gli ambientalisti, le associazioni dei consumatori e tutti gli altri gruppi di pressione di cui chi governa l’impresa non può che non tenerne conto.

Bisogna distinguere i stakeholder primari e secondari: i primi destinati ad esercitare una pressione più diretta e immediata sulla gestione aziendale; i secondi in grado di influenzare i comportamenti di lungo termine, potendo incidere soprattutto sul clima sociale delle relazioni aziendali.

L’individuazione degli stakeholder e la valutazione dal grado di influenza esercitatile sulla gestione dell’impresa può essere guidata dal alcuni criteri:

a)   la forza, ovvero il potere da essi detenuto in virtù del ruolo ricoperto nella società;

b)   la legittimazione, ossia il riconoscimento della funzione di rappresentanza di particolari interessi o soggetti economici, sociali e politici;

c)   l’attualità dell’interesse difeso, ovvero l’urgenza della risposta attesa da parte aziendale e la criticità che tale risposta assume nel particolare momento di vita dell’impresa.

L’individuazione degli stakeholder deve consentire di stabilire come gestire i relativi rapporti, valutando se da ciascuno di essi potrà derivare un atteggiamento collaborativo oppure un ostacolo, una minaccia, per la stessa sopravvivenza dell’impresa.

Sotto questo profilo gli interlocutori aziendali possono essere classificati in quattro gruppi:

stakeholder amichevoli (supportive), dei quali si può ottenere un sostegno decisivo per l’attività dell’impresa;

stakeholder avversari (non supportive), dai quali si genereranno difficoltà sostanziali per l’attività aziendali;

stakeholder non orientati (mixed blessing), da cui si potrà avere a seconda dei casi, un sostegno o un atteggiamento negativo;

stakeholder marginali, il cui peso nei confronti dell’impresa risulta del tutto modesto.

La Teoria dell’Agenzia, che integra quella degli stakeholder e nel caso in cui si ha dissociazione tra la proprietà e governo dell’impresa.

La Teoria dell’agenzia richiama la situazione in cui il potere di amministrazione aziendale è esercitato da un agente su mandato ricevuto dalla proprietà. Per effetto del mandato fiduciario, in base al quale un delegato amministra per conto del delegante, si viene a creare una relazione singolare che tende a ridurre se non ad annullare il carattere residuale della remunerazione della proprietà. Quest’ultima incentiverà l’agente a massimizzare la ricompensa per la proprietà, sotto forma di dividendi azionari, pena l’abbandono della società, o la rimozione dell’agente dal suo incarico.


Capitolo 5


L’impresa è stata definita come un sistema socio-tecnico di tipo aperto che deve raggiungere una pluralità di obiettivi. Essa deve agire in contatto con una serie di operatori, alcuni dei quali formano la sua organizzazione, altri compongono il micro-ambiente di riferimento, altri ancora rientrano nel più generale contesto socio-economico. Tra questi operatori (stakeholder) sussistono relazioni di collaborazione e di contrapposizione, che devono essere amministrate dagli organi di governo.

Questi ultimi debbono creare delle condizioni di equilibrio generale secondo cui tutti continuano ad avere interesse al funzionamento e alla sopravvivenza dell’impresa stessa.

Gestire l’impresa significa governarla, cioè amministrare i vari fattori di produzione, impiegati per il suo funzionamento e significa assicurarle lo sviluppo mediante la creazione e il mantenimento di equilibri economici, patrimoniali e finanziari.

Il termine gestire è inteso quale complesso di attività svolte dall’impresa per raggiungere le finalità dei soggetti coinvolti appunto nella sua operatività.


Capitolo 6

L’ORIENTAMENTO STRATEGICO: LE STRATEGIE COMPLESSIVE (lezione 8)


Il concetto di strategia rappresenta sempre un disegno elaborato dell’imprenditore, che individua le direttrici da seguire per raggiungere determinate mete. La strategia è il mezzo per conseguire traguardi di tempo non breve.

La strategia può essere variamente definita, ma rappresenta sempre un comportamento imprenditoriale di tempo lungo finalizzato al raggiungimento di obiettivi primari della gestione. La strategia è il mezzo per conseguire traguardi di tempo non breve, definiti in funzione dell’evoluzione del rapporto tra l’impresa e l’ambiente nel quale questa opera. Poiché l’ambiente è oggetto continuo di mutamento, è naturale che la strategia sia quasi sempre un disegno concepito dal gruppo imprenditoriale per modificare il programma di attività correnti.

La strategia è un processo di continua ricerca dell’armonia tra le finalità e gli obiettivi imprenditoriali, le risorse aziendali e l’ambiente/contesto in cui l’impresa opera. E’ un processo dinamico così come dinamiche sono le tre componenti da armonizzare-adottare-attivare. Le propensioni strategiche d’impresa sono: l’adattamento, cioè l’adattamenti dell’ambiente/mercato (contesto ed evoluzione di competenze e risorse); l’autopoiesi, cioè l’attivazione dell’ambiente o cambiamenti di contesto e valorizzazione di risorse da produrre, e da accumulare; la proattività, consiste nelle strategie duali: adattamento e attivazione, presente e futuro, customer- led e market-driving.

Le strategie aziendali si ordinano secondo una precisa gerarchia, che vede al vertice le strategie complessive, del tipo corporate, al centro quelle competitive e alla base quelle funzionali.

Gli obiettivi strategici della gestione consistono nei comportamenti imprenditoriali di tempo lungo che dovranno essere definiti secondo un percorso che prevede quattro fasi o momenti successivi, rappresentati dalla formulazione delle previsioni, individuazione degli obiettivi, definizione della strategia e adattamento della struttura organizzativa. Gli obiettivi strategici sono raggruppabili schematicamente nei seguenti cinque: 1) sviluppo dimensionale dell’azienda; 2) miglioramento degli equilibri gestionali; 3) riduzione del rischio complessivo di gestione; 4) mantenimento delle posizioni di mercato e reddituale già raggiunte; 5) disinvestimento totale o parziale e uscita dal mercato.

Nel primo caso la strategia dovrebbe portare al miglioramento della redditività, al rafforzamento della situazione patrimoniale e al riequilibrio finanziario. Lo sviluppo dimensionale potrebbe essere la via per ottenere questi risultati, ma sarebbero comunque questi ultimi a influenzare la scelta delle alternative strategiche da adottare.

Nel secondo caso l’intento dell’imprenditore sarebbe quello di ridurre il livello di rischio, ritenuto eccessivo in rapporto alle condizioni di svolgimento della gestione. Anche in questa ipotesi, eventuali obiettivi di sviluppo dimensionale apparirebbero subordinati alla diminuzione della rischiosità. La strategia della riduzione del rischio di gestione potrebbe accompagnare ad obiettivi sia di crescita sia di mantenimento o di ridimensionamento delle posizioni occupate dall’azienda.

La scelta della strategia, orientata delle previsioni e degli obiettivi fissati, dovrà infine essere esaminata in rapporto alla struttura organizzativa aziendale.

Le strategie complessive d’impresa definiscono il campo d’azione dell’impresa attraverso la scelta dei mercati e dei settori in cui competere. Le opzioni strategiche più considerate fanno riferimento alla crescita in quanto lo sviluppo è spesso un obiettivo di fondo dell’impresa e del management. Ci sono anche opzioni strategiche legate ed interventi “non crescita” e talvolta anche di riduzione delle dimensioni dell’impresa. Crescita interna: è giustificata da risorse utilizzate solo parzialmente, ed è un processo lento basato su innovazione e creazione di competenze distintive, e porta naturalmente ad una struttura coesa e armoniosa. Crescita esterna: si basa di solito su operazioni di acquisizioni o di fusione, richiede risorse finanziarie liquide e disponibili, porta nuove risorse/competenze e aggira barriere all’entrata, rischia di creare problemi di integrazione organizzativa. Crescita contrattuale: che permette ai partner di acquisire economie di scala o di apprendimento, accedere a risorse, competenze esclusive, ridurre i rischi e condividere gli investimenti.

La strategia complessiva si verrà ad articolare in una serie di strategie settoriali. Queste ultime potranno essere formulate, soprattutto nelle organizzazioni più grandi, da unità strategiche a sé stante, le cosiddette SBU (strategic business units) a cui sarà confidato, entro certi gradi di autonomia, anche l’uso delle risorse da impegnare nel particolare business. L’affermazione delle SBU si fonda sulla necessità di separare e individuare le responsabilità di aree di affari da gestire autonomamente mediante politiche specifiche.

La tattica non è altro che la traduzione sul piano operativo della strategia, dato che mira a definire i comportamenti da attuare nel tempo breve, per ottenere gli obiettivi e rispettare le alternative di tipo strategico. Strategia e tattica fissano le direttrici di marcia dell’impresa, orientandone l’azione in funzione dei traguardi di sviluppo prestabiliti e dall’evoluzione delle condizioni ambientali e di mercato.

(lezione 10)

Lo sviluppo di tipo monosettoriale ha lo scopo di rafforzare la posizione dell’impresa soprattutto nell’ambito del mercato in cui opera. Con esso la crescita è perseguita nello stesso campo o settore in cui l’azienda esercita la sua attività principale, allo scopo di creare migliori condizioni di svolgimento della gestione sotto il duplice profilo del collocamento delle produzioni finali e dell’approvvigionamento delle risorse di base.

Lo sviluppo monosettoriale conduce ad un processo di concentrazione, che può aver luogo nello stesso stadio in cui agisce l’impresa o in stadi immediatamente adiacenti. Nella prima ipotesi si configura un processo d’integrazione orizzontale, mentre nel secondo si ha un processo d’integrazione verticale. La differenza sostanziale, fra i due, è che lo sviluppo orizzontale porta ad un ampliamento del volume d’affari relativamente al processo terminale già attuato dall’organizzazione, laddove quello verticale si traduce in un’espansione delle operazioni nell’ambito di stadi posi a monte o a valle di tale processo.

La strategia di sviluppo orizzontale dell’attività aziendale può essere attuata mediante un’espansione interna dell’organizzazione, cioè ampliando la potenzialità degli impianti o creando ex-novo altre unità produttive, oppure con un processo esterno di acquisizione di impresa similari. In questo secondo caso si parla più appropriamente di più organizzazioni operanti nello stesso mercato.

L’obiettivo tipico dello sviluppo orizzontale si ottiene sicuramente mediante un processo d’integrazione, con il quale l’impresa assorbe non solo un impianto o certe attrezzature produttive, ma anche la quota di mercato dell’azienda acquisita. E’ intuibile che quando un’impresa, che opera in un settore maturo, vuole realizzare ambiziosi obiettivi di crescita, deve puntare prevalentemente sulle acquisizioni, che comportano l’immediata conquista di quote di mercato.

Lo sviluppo verticale si ha quando un’impresa assume il controllo di uno stadio di produzione o di distribuzione immediatamente collegato a quello in cui già opera. L’espansione riguarda uno stadio diverso, ma adiacente al preesistente campo di attività. Essa può indirizzarsi a monte dello stadio occupato, caso di integrazione verticale ascendente, o a valle caso di integrazione discendente.

Lo sviluppo verticale si caratterizza perché ha per oggetto mercati legati da rapporti di fornitura o di collocamento, in quanto l’aspetto qualificante di queste strategie è l’integrazione, nell’ambito della stessa organizzazione economica, di attività non simili ma strettamente collegate. Se si esclude l’ipotesi dell’integrazione nel processo distributivo, lo sviluppo verticale comporterà il raggruppamento di produzioni che prima venivano scambiate con entità esterne.

L’integrazione verticale si traduce in uno spostamento a monte o a valle del mercato di acquisto o di vendita di certi prodotti aziendali. Con la verticalizzazione ascendente l’azienda inserisce nel suo ciclo produzioni di base o intermedie rispetto al processo terminale; con quella discendente cambia il suo mercato di sbocco, rivolgendosi ad uno stadio più vicino alla fabbricazione di prodotti finali.

L’impresa, anziché espandersi nello stesso settore di attività o in stadi collegati, può come osserva Ansoff allontanarsi simultaneamente dai prodotti e dai mercati che le sono familiari. In tal caso, essa si rivolge a settori diversi, cioè attua un processo di diversificazione produttiva. Quest’ ultima si contrappone alle strategie di integrazione perché, invece di puntare verso obiettivi di concentrazione e di rafforzamento del preesistente rapporto impresa/mercato porta l’azienda ad occupare posizioni in mercati nuovi, compresi in settori o comparti produttivi differenti da quelli in cui già operava. In altri termini, è il principio della multisettorialità dell’espansione che si contrappone a quello della monosettorialità, tipico delle imprese cosiddette integrate. La diversificazione laterale, basata sull’esistenza di un collegamento, in termini tecnologici oppure di marketing, tra produzioni vecchie e nuove; la diversificazione conglomerale, fondata sull’inesistenza di qualsiasi legame tra attività vecchie e nuove.

I motivi della scelta di una strategia di diversificazione possono essere molteplici e non sempre si collegano al desiderio di assicurarsi una rapida crescita dei profitti. La giustificazione, più di frequente addotta per questa decisione, è l’impossibilità di espandersi soddisfacentemente in un settore ormai ritenuto saturo e la ricerca, dunque, in altri mercati di occasione più favorevoli di aumento del volume di affari.

Un’alternativa di sviluppo è rappresentata dall’espansione internazionale, che può essere definita come la politica diretta ad assicurarsi in modo sistematico nuovi sbocchi all’estero per le produzioni poste in essere in patria o direttamente nei Paesi Stranieri. Anche la sua attuazione richiede tempi lunghi di programmazione e di realizzazione, consente di sfruttare specialmente le risorse tecnologiche e manageriali e comporta dei gradi elevati di rischiosità in rapporto alle difficoltà di adattamento delle politiche aziendali a realtà nazionali diverse.

Le strategie di non crescita si dividono in tre parti:

la ristrutturazione che consiste nel miglioramento sensibile, in modo strutturale e permanente, dell’efficienza e dell’efficacia delle funzioni aziendali. L’impresa rimane nel suo settore con le sue dimensioni anche se con qualche taglio nel personale. Ed è normalmente il rimedio a precedenti errori del management;

la rinuncia all’autonomia che consiste nell’assicurarsi uno sbocco di mercato garantito da un’impresa a valle che ne assorbe l’output, l’impresa dominante interferisce progressivamente sui suoi progressi gestionali e impone le sue scelte. La rinuncia dell’autonomia è una strategia rischiosa in caso di crisi dell’impresa dominante o di un suo abbandono;

la rifocalizzazione consente di disattivare attività produttive o funzionali per concentrare risorse e attenzione su ciò che l’impresa sa far meglio: riducendo il numero di prodotti o linee e chiudendo o esternalizzando alcune funzioni. La rifocalizzazione può essere il preludio ad una strategia offensiva sull’area core, e può incontrare barriere all’uscita che ne possono limitare o ritardare gli interventi.

Il turnround consiste nell’invertire la marcia con profondi cambiamenti a livello strategico e organizzativo, pone in discussione le scelte passate, talvolta anche la missione.

Il processo di turnround si sviluppa in cinque fasi:

riconoscimento della situazione di difficoltà/crisi: dov’è necessaria la consapevolezza e l’assunzione di responsabilità da parte della proprietà;

analisi e valutazione delle possibili opzioni: dove viene sviluppato un piano che partendo dalla situazione attuale identifichi gli interventi e i sacrifici necessari;

discussione e negoziazione: si effettua una verifica del piano con gli stakeholder (azionisti, banche e dipendenti).

La normalizzazione viene individuata nel tempo necessario per l’attuazione del piano di risanamento e rilancio.

Il ritorno alla creazione del valore si attua nel momento in cui il piano di rilancio è stato realizzato.

LE STRATEGIE COMPETITIVE (lezione 11)

La strategia competitiva deve essere definita per le singole aree strategiche di affari (A.S.A.), e si riferisce alle decisioni rivolte a fare assumere un vantaggio competitivo rispetto alle imprese operanti nello stesso mercato. La scelta di un’A.S.A. è dunque funzione della possibilità di attuare una strategia competitiva vincente e di trarre profitto anche delle economie di interrelazione connesse con l’estensione della strategia complessiva.

La scelta di un mercato è guidata non solo dalla sua attrattività cioè delle tendenze espansive della domanda e dei margini lucrabili ma anche della posizione competitiva che l’azienda potrà assumere, cioè delle situazioni di vantaggio che sarà in grado di acquisire rispetto alla concorrenza e che le assicureranno la conquista di una soddisfacente quota di mercato. La scelta sarà sempre in funzione di componenti oggettivi e settoriali, e soggettivi o aziendali perché si fonderà sulla capacità di assumere un vantaggio competitivo durevole nel mercato prescelto.

L’attrattività di un settore può essere valutata, secondo lo schema di Porter, analizzando cinque forze che interagiscono e determinano condizioni di minore o maggiore attrattività in generale.

Le forze sono:

concorrenza potenziale diretta;

concorrenza potenziale indiretta;

potere contrattuale dei clienti;

potere contrattuale dei fornitori;

rivalità tra i concorrenti presenti.

Lo schema di Porter amplia il concetto di concorrenza e inserisce, oltre alla forza dei clienti, quella dei fornitori. Le cinque forze determinano la redditività del settore e, la minore o maggiore attrattività per le imprese che già operano al suo interno e per quelle che vorrebbero entrarvi.

(Abell) Una modalità alternativa per individuare l’arena competitiva è ricorrere alla definizione del business ossia della porzione di mercato in cui l’azienda intende operare. La definizione del business è riportata secondo Abell alla definizione di tre principali elementi: i gruppi dei consumatori cui rivolgersi, le funzioni d’uso da soddisfare e le modalità secondo cui tali funzioni sono assolte.










In effetti, Abell osserva che uno stesso prodotto può rispondere a differenti funzioni d’uso e quest’ultime possono essere soddisfate mediante tecnologie differenti, per cui l’obiettivo di mercato può essere definito soltanto in rapporto a questo schema tridimensionale.

Facendo riferimento allo schema di Abell, l’impresa può a seconda dei casi servire più gruppi di clienti e soddisfare differenti funzioni d’uso del prodotto venduto con l’applicazione di diverse tecnologie produttive.

Il concetto di catena del valore aiuta a comprendere quali sono le fonti del vantaggio competitivo, pervenendo ad una distinzione delle funzioni di gestione in due gruppi: le attività primarie e le attività di supporto. Le prime sono rappresentate sostanzialmente dalle funzioni di produzione e di vendita, mentre le seconde sono classificate con criteri di maggiore elasticità.

Le attività primarie sono suddivise nella logistica interna, nell’attività di trasformazione, nella logistica dei rapporti con l’esterno, nel marketing e vendite e nei servizi. Le attività primarie riguardano il ciclo produzione-vendita con terminali a monte nella logistica interna e a valle nei servizi alla clientela.

Le attività di supporto, così chiamate perché intese a fornire le basi per la concreta realizzazione delle attività primarie, sono invece costituite dall’approvvigionamento, dallo sviluppo delle tecnologie, dalla gestione delle risorse umane e dalle attività infrastrutturali dell’impresa. Tra queste, appaiono molto chiari i contenuti delle prime tre, mentre la quarta comprende una pluralità di compiti, come quelli contabili, finanziari e legali, insieme con il sistema direttivo. L’infrastruttura dell’impresa finisce per essere costituita dalle funzioni che, secondo Porter, rappresentano la premessa per l’attuazione delle attività primarie e delle altre attività di supporto.


Capitolo 7

L’ORGANIZZAZIONE D’IMPRESA (lezione 5)


La funzione di direzione richiede l’assunzione simultanea di atti di decisione di impiego delle risorse, di conduzione degli uomini e di valutazione delle prestazioni, secondo un ciclo integrato che prevede, per ciascuna attività, lo sviluppo di più momenti o fasi strettamente interdipendenti. Ogni attività va infatti programmata, stabilendo in anticipo gli obiettivi da raggiungere, le decisioni e le modalità di svolgimento da rispettare e le risorse da impiegare; organizzata, individuando chi e con quali responsabilità dovrà curarne la realizzazione; guidata, fornendo le direttive e motivando gli organi operativi; ed, infine, controllare, valutando i risultati raggiunti rispetto a quelli programmati.

Per il ciclo di direzione si rinnovano incessantemente durante la gestione, danno corpo a distinte funzioni di direzione.

L’impresa funziona come un sistema mediante una pluralità di organi. L’impresa, quale struttura composita, deve comunque essere organizzata nelle sue varie parti per raggiungere una finalità comune.

Nel linguaggio corrente organizzare significa appunto ordinare un sistema in parti interdipendenti e correlate, ciascuno avente una specifica funzione o rapporto rispetto al complesso. In senso aziendale, le parti sono gli organi dell’impresa e l’organizzazione si rivolge in primo luogo a disciplinare i compiti, i poteri e le responsabilità che ciascuno di questi dovrà assumere nel corso della gestione. L’organizzazione è uno strumento fondamentale della gestione, in quanto rappresenta la via necessaria per disciplinare il funzionamento di qualsivoglia tipo di impresa.

Ogni impresa opera con una particolare struttura di organi, che nella forma più semplice si basa sulla presenza di un centro di comando e più centri di esecuzione, e in quelle più complesse si articola in una molteplicità di unità differenziata di decisione, di controllo ed operative. Nella realtà ci si può imbattere in due situazioni del tutto opposte: quelle solidamente delle azienda più piccole in cui, a causa della semplicità dei processi di gestione e del ridotto organico di personale, non esiste una ripartizione formale di compiti e responsabilità né una definizione dei circuiti di comunicazione; e quelle, più comune al di là di una certa dimensione d’impresa, in cui entrambi gli aspetti trovano un ordinamento ufficiale e durevole in un apposito piano organizzato. Nei due casi si passa da una struttura spontanea, fondata sui rapporti personali fra gli individui che operano nell’azienda, ad una struttura di piano, definita formalmente e stabilmente dal management aziendale.

Progettare la struttura organizzativa significa pervenire in modo formale all’ordinamento della complessa gamma di rapporti di autorità, di cooperazione e di competenza intorno ai quali si sviluppa la vita dell’impresa, risolvendo congiuntamente problemi di suddivisione di compiti e responsabilità o di creazione della rete di relazioni per il passaggio delle informazioni.

I modelli di struttura organizzativa sono la struttura semplice, funzionale, divisionale, a matrice, per progetti.

1 – la struttura semplice, è un modello poco formalizzato, che si basa sul rapporto interpersonale e che è adatto soltanto ad imprese di piccolissime dimensioni;

2 – la struttura funzionale si costruisce suddividendo la gestione in funzione ovvero gruppi di compiti che, data la loro omogeneità interna e la differenziazione da altri gruppi di compiti, richiedono il presidio di competenze specialistiche.

E’ adatta ad aziende mono-prodotto, la distribuzione delle responsabilità e dei compiti sulla base di una accentuata specializzazione per funzioni. Vi è un accentuata struttura gerarchica, e il sistema informativo e delle procedure è fortemente sviluppato.

I punti di forza consistono nella finalità delle economie di scala all’interno delle unità funzionali, permette lo sviluppo di conoscenze e capacità approfondite, permette all’organizzazione di conseguire obiettivi funzionali, è da preferire in presenza di un solo prodotto o pochi prodotti.

I punti di debolezza consistono che il tempo di risposta è lento di fronte ai cambiamenti ambientali, può causare un accumulo di decisioni al vertice e il sovraccarico della gerarchia, porta a uno scarso coordinamento orizzontale tra le unità organizzative, vi è una minore innovazione, che implica una visione ristretta degli obiettivi organizzativi.


Modello funzionale

Direzione Generale




Direzione Direzione Direzione Direzione Direzione

Marketing  Produzione Personale Marketing Contabilità e

Finanza


3 – la struttura divisionale tende a separare i diversi centri di profitto in cui un modello costruito sulla specializzazione delle funzioni che richiedono competenze ad hoc e sulla centralizzazione di funzioni che possono essere più efficacemente gestite a livello della Direzione Generale.

I punti di forza consistono che è indicata in caso di rapidi cambiamenti in un ambiente instabile, porta alla soddisfazione del cliente perché le responsabilità sul prodotto e i punti di controllo sono chiari, genera un alto grado di coordinamento tra le funzioni, permette alle unità di adattarsi a differenze di prodotto, geografiche, di clientela. E’ da preferire in organizzazioni di grandi dimensioni con molti prodotti, decentralizza il processo decisionale.

I punti di debolezza consistono nell’eliminare le economie di scala nelle unità funzionali, porta a uno scarso coordinamento tra le linee di prodotto, elimina l’approfondimento delle competenze e la specializzazione tecnica, rende difficile le integrazioni e la standardizzazione tra le linee di prodotto.


Modello Divisionale







Divisione

Prodotto / Area

Geografica B

 

Divisione

Prodotto / Area

Geografica C

 

Direzione

Marketing

 

Direzione

Produzione

 

Direzione

Ricerca e

Sviluppo

 













4 – la struttura per progetti è adatta in condizioni di forte instabilità del mercato, è adatta in caso di veloce cambiamento delle tecnologie e dei processi produttivi, vi è un elevato elasticità strategica, una struttura con temporaneità permanente, una responsabilità strutturale sui singoli progetti, vi è una capacità di leadership e capacità tecniche del capo progetto.

5 – la struttura a matrice viene scelta come compromesso tra la struttura per progetti e quella funzionale, è adatta in caso di attività che richiedono prestazioni di elevato contenuto professionale e alti tassi di innovazione, i responsabili dei progetti e delle funzioni sono corresponsabili del raggiungimento dei singoli obiettivi, è stato studiato in ambito spaziale della NASA.

I punti di forza consistono nel realizzare il coordinamento necessario per far fronte a richieste duali da parte dei clienti, assicura la condivisione flessibile delle risorse umane tra i prodotti, si adatta a decisioni complesse e cambiamenti frequenti in un ambiente instabile, offre opportunità per lo sviluppo di competenze sia funzionali sia di prodotto.

I punti di debolezza consistono nel esporre i partecipanti a una duplice autorità, può creare confusione e risultare frustante, implica che i partecipanti abbiano buone capacità interpersonali e ricevano una formazione approfondita, assorbono molto tempo: comporta frequenti riunioni e sessioni di risoluzioni dei conflitti, richiede grandi sforzi per mantenere un bilanciamento del potere.


Modello a Matrice

=

 





















LA CONDUZIONE DEL PERSONALE (lezione 6)


La conduzione del personale rappresenta uno dei nodi centrali del processo di direzione.

La gestione delle risorse umane rappresenta il pilastro fondamentale dell’intera gestione aziendale e si configura come una delle responsabilità più delicate per chi dirige un’impresa di dotare l’organismo aziendale delle professionalità necessarie e di assicurarsi che gli individui inseriti nell’organizzazione siano motivati al raggiungimento degli obiettivi aziendali.

Nel rapporto di scambio tra il lavoratore e l’impresa, si creano interessi diversi e logicamente in conflitto. L’impresa richiede il massimo rendimento rispetto ai costi che sostiene, e il lavoratore desidera il massimo risultato rispetto alla quantità ed alle condizioni delle prestazioni che deve rendere.

Questi conflitti si possono presentare in due momenti: quello contrattuale, in cui le parti debbono disciplinare il rapporto sul piano normativo, e quello di carattere operativo, in cui il rapporto dev’essere gestito.

La funzione di conduzione del personale ha per obiettivo l’ottenimento del miglior rendimento dell’organizzazione e riguarda, in effetti, i problemi d’impiego e di guida delle risorse umane presenti in azienda. Dirigere, nel suo significato più tradizionale, significa far si che altri realizzino certe azioni e l’abilità direttiva si misura, sotto tale profilo, non solo in funzione dei risultati operativi conseguiti, ma anche in rapporto al clima delle relazioni di lavoro creato nell’azienda.

La teoria sulla gerarchia dei bisogni umani, elaborata dallo psicologo Abraham Maslow, dice che l’individuo tenderebbe alla soddisfazione di una serie di bisogni, che si ordinano lungo una scala crescente d’importanza. I tipi di bisogni individuati e posizionati sui vari gradini della scala maslowiana sono:

1 - bisogni primari: o bisogni di sopravvivenza, rappresentati dalle necessità fondamentali da soddisfare;

2 - bisogni di sicurezza: costituiti dalle esigenze di protezione della propria persona, del patrimonio, della propria posizione lavorativa;

3 – bisogni di socialità: rappresentati dalla necessità di sentirsi parte di un gruppo, legati cioè ad altri individui da interessi, sentimenti, credenze comuni;

4 – bisogni di affermazione: costituiti dall’aspirazione a riscuotere la stima di altri a collocarsi in posizioni di preminenza nella classe sociale di appartenenza;

5 – bisogni di autorealizzazione: rappresentati dalla convinzione di avere realizzato appieno le proprie capacità professionali e morali.

Secondo questa impostazione, ogni individuo punterebbe dunque a salire la scalinata dei bisogni, soddisfacendo dapprima le necessità più elementari di sopravvivenza e poi, via via, mirando a situazioni di tranquillità personali e familiari, creando vincoli affettivi all’interno dei gruppi di appartenenza, conquistando la stima di sé stesso e degli altri e, infine, pervenendo all’ultimo gradino mediante la realizzazione delle proprie capacità. E’ intuibile che appena raggiunto un grado soddisfacente di appagamento di una classe di bisogni, l’individuo si porrebbe l’imperativo di soddisfare quella successiva. Ai primi gradini contano di più gli incentivi economici, mentre a quelli successivi assumono una maggiore importanza agli stimolo psicologici ovvero le gratificazioni morali.

La scala di Maslow non sempre si può indurre a lavorare pagando di più o stabilendo dei premi di produttività.

Soprattutto per coloro che hanno già raggiunto un soddisfacente standard di vita, le motivazioni che hanno più presa sono quelle morali, di gratificazione, di attestazione di stima.

Sulla teoria di Maslow bisogna però osservare che si possono individuare dei punti critici:

la scalata verso bisogni superiori non presuppone obbligatoriamente il soddisfacimento al 100% del bisogno inferiore;

la separazione tra le varie categorie di bisogni è un fatto teorico perché nella realtà tra di essi vi sono rapporti di interdipendenza e ciò significa che scelte diverse dell’individuo possono riflettersi contemporaneamente su più tipi di bisogni;

l’ordinamento dei bisogni lungo la scala può non essere sempre lo stesso per tutti gli individui e le eccezioni possono essere frequenti;

la scala di bisogni risente anche delle condizioni ambientali.

Herzberg ha difatti distinto in due grandi categorie i bisogni del lavoratore: i bisogni soddisfattivi, cioè quelli che una volta appagati producono gratificazione e quindi stimolano all’azione; e i bisogni insoddisfattivi, cioè quelli che se non soddisfatti generano frustrazione e determinano l’inazione. Tra i primi Herzberg ha incluso tutti i fattori motivazionali, quali il successo e il suo riconoscimento, l’interesse verso il lavoro svolto e le responsabilità assunte, le occasioni di crescita professionale presenti nei compiti assegnati, la possibilità di promozione e di avanzamento. Tra i secondi ha compreso i cosiddetti fattori igienici, legati alla politica dell’azienda e alla sua organizzazione, alla supervisione, alle relazioni interpersonali, alle condizioni di lavoro, alla retribuzione, allo status e alla sicurezza.

Oggi l’incentivazione più motivante è comunque quella che prevede una qualche forma di compartecipazione ai risultati aziendali.

La promozione di innovazioni e l’attenta valutazione dei progetti d’investimento costituiscono le premesse per la creazione del valore e per l’incremento dei risultati aziendali nel medio termine.

Il principio di una ricompensa mista, formata in parte da una retribuzione fissa e in un’altra parte da un corrispettivo legato all’esito della gestione, si pone quale via di validità per ottenere la migliore integrazione tra obiettivi aziendali e individuali.

L’incentivazione può assumere differenti forme e produrre diversi effetti in funzione dell’orientamento all’individuo o al gruppo e della proiezione nel breve o lungo periodo. In base a questi due fattori si può difatti costruire una matrice, i cui quadranti sono rappresentati da aumenti salariali, gratifiche, piano di incentivi e stock option. La stock option tende a sviluppare l’imprenditorialità collettiva, che consente all’impresa di rinnovarsi continuamente attraverso le innovazioni, le decisioni e la capacità di adattamento di tutti i membri dell’organizzazione che operano in collaborazione. La stock option costituisce un accordo finanziario in base al quale ai dirigenti viene offerto il diritto di acquistare delle azioni delle società in cui lavorano a una data futura e ad un prezzo concordato nel momento in cui viene fornita l’opzione, di solito il prezzo di mercato corrente o una cifra leggermente inferiore.

Lo stile di direzione può essere definito come il modello di governo dei rapporti di lavoro nell’organizzazione. Esso tende ad assumere caratteristiche molto differenti da impresa a impresa, in funzione non solo della struttura organizzativa adottata, ma anche della qualità degli organi direttivi impegnati. Nella realtà gli stili di direzione si ordinano lungo un continuum, che prevede ad un estremo l’uso predominante dell’autorità da parte del capo e, all’altro, l’esercizio di un’ampia discrezionalità da parte dei subordinati. L’adozione di un modello è legato al sistema dei valori posseduto da chi dirige, alle capacità dei sub ordinati e alle caratteristiche della situazione entro cui deve esercitarsi, il processo di direzione. Lo stile varia secondo le circostanze e nel tempo.

Lo stile autoritario di direzione si appoggia su una struttura fortemente accentrata del processo decisorio e si esercita mediante il comando ed il controllo. Il principio di fondo è l’esistenza di un rapporto gerarchico, in base al quale il superiore può imporre al sub ordinato le sue decisioni.

Lo stile partecipativo o democratico, che richiede una struttura decentrata del processo decisorio, al cui interno sia possibile applicare i principi della delega e dell’autocontrollo. Secondo questo modello, lo schema di direzione prevede cioè il coinvolgimento dei sub ordinati nel processo di decisione. Il capo esercita in tal modo, un ruolo di impulso e di coordinamento piuttosto che di controllo, assumendo la figura del leader nei confronti del gruppo diretto.

La job analysis è lo studio approfondito e sistematico delle singole posizioni organizzative, diretto a valutare le caratteristiche delle operazioni e dei compiti ad esse connesse, le conoscenze e capacità richieste all’esecutore e le responsabilità nei confronti di altre unità amministrative.

La descrizione della mansione e la specificazione dei requisiti richiesti per ricoprirla consentono di avere una guida preziosa nella selezione del personale, nella valutazione dei compiti, nella valutazione della prestazione e nella pianificazione delle carriere. La job analysis può infatti indirizzare proficuamente l’opera di selezione e di addestramento del personale e agevolare il compito di assegnazione, trasferimento e promozione degli uomini già operanti nell’organizzazione.

La motivazione a produrre può essere infatti stimolata mediante la rotazione, l’estensione e l’arricchimento delle mansioni di lavoro. La possibilità di far ruotare l’individuo in mansioni diverse, anche se comprese nello stesso ciclo di lavoro, dovrebbe rendere meno monotona la prestazione lavorativa e portare ad un accrescimento delle conoscenze e della preparazione professionale del lavoratore. Questi risultati potrebbero tuttavia essere meglio raggiunti mediante un ampliamento della mansione (job enlargement), che si concreti nell’affidamento di cicli integrati di operazioni, in modo da attribuire all’esecutore la responsabilità di un’attività completa ed enucleabile rispetto ad altre attività svolte nell’organizzazione. Ai fini motivazionali, più che un’estensione orizzontale della mansione, sembra valido soprattutto un ampliamento verticale della stessa mediante il coinvolgimento del responsabile nella fase decisionale oltre che operativa. Questa tecnica di arricchimento della mansione (job enlargement) risponde, infatti, alla teoria partecipativa di cui si è discusso in precedenza ed alla quale si collegano i risultati più soddisfacenti in termini di conduzione del personale.

La Teoria X parte da tre premesse:

a)   l’uomo in generale detesta il lavoro;

b)   gli unici mezzi per ottenere che egli lavori sono i controlli e la minaccia di punizioni;

c)   l’obiettivo che si pone è quello della sicurezza, per cui evita il rischio di accollarsi responsabilità e preferisce essere diretto piuttosto che assumere ruoli di leadership.

Di fronte a tale teoria, imperniata su un concetto fortemente riduttivo della personalità umana, si pone quella della direzione mediante l’integrazione fra obiettivi individuali ed organizzativi (Teoria Y). Secondo questa:

a)   il lavoro è accettato dall’uomo come un fatto naturale quanto lo svago o il riposo;

b)   l’uomo può esercitare l’autodisciplina e per lavorare non deve essere né controllato né minacciato di sanzioni;

c)   l’uomo è disposto ad accettare le responsabilità per salire nella scala dei bisogni fino agli ultimi gradini;

d)   la capacità innovativa, l’immaginazione e la fantasia creativa sono ampiamente diffusa tra i lavoratori e possono essere utilmente sfruttate per risolvere i problemi organizzativi;

e)   le potenzialità medie dei lavoratori sono solo parzialmente messe a frutto nelle attuali condizioni della vita aziendale.

La teoria Y parte da un concetto diametralmente opposto di uomo, visto non solo come essere da motivare, ma anche come individualità da valorizzare e coinvolgere nel processo decisionale aziendale. In realtà lo sforzo dei dirigenti dovrebbe essere teso all’applicazione della teoria partecipativa che richiede un’elevata professionalità a tutti i livelli e la creazione di un clima consolidato di collaborazione all’interno dell’organizzazione. A tale proposito, bisogna sottolineare l’importanza della creazione di stretti legami di gruppo nel contesto aziendale.

Il principio del Clan si pone in alternativa a quello della gerarchia. Questo perché, se tra i componenti del gruppo si affermano valori comuni d’impegno nei confronti degli obiettivi assegnati al gruppo dal superiore gerarchico, diventa superflua l’attivazione del rapporto gerarchico per ottenere il rispetto degli obiettivi stessi. Il principio del Clan consente di far leva sul rapporto comune di lealtà verso l’azienda, affinché la supervisione del comportamento e delle prestazioni sia assicurata in modo pressoché automatico, da forme di controllo sociale.

PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO (lezione 7)



La funzione di programmazione assume un ruolo centrale nel processo di direzione aziendale perché si propone di regolare il corso futuro della gestione.

Il termine programma significa scrivere prima. La programmazione dev’essere concepita quale processo di predeterminazione degli obiettivi, delle politiche e delle attività da compiere entro un determinato periodo di tempo. Nell’azienda programmare significa assumere in anticipo il complesso di decisioni attinenti alla gestione futura.

La programmazione consiste nel fissare in via anticipata gli obiettivi dell’azione aziendale, nel definire le linee direttive per il loro conseguimento e nello sviluppo di piani o programmi scritti circa le sequenze degli atti di esecuzione delle operazioni di gestione.

La programmazione strategica determina gli obiettivi raggiungibili nel tempo lungo e rimuovere gli ostacoli che ad essi si oppongono.

La programmazione operativa preordina le operazioni di gestione secondo gli obiettivi fissati per l’esercizio annuale. La programmazione si sostanzia nello svolgimento di una procedura codificata, che porta alla materiale redazione di un piano o meglio di un sistema di piani d’azione, in cui sono specificati gli obiettivi da perseguire, i mezzi da impiegare e le operazioni da compiere entro certi periodi di tempo; piani che vengono resi noti ed accettati da parte di tutti i responsabili di tutti i responsabili delle attività aziendali e che, di conseguenza, diventano effettivamente uno strumento efficace per la guida, il coordinamento ed il controllo della gestione.

Possiamo affermare che la formalizzazione, quantificazione, integrazione e pluriennalità rappresentano le caratteristiche essenziali della programmazione, intesa quale vera e propria metodologia di gestione aziendale.

Un piano si sostanzia nell’indicazione delle sequenze di decisioni e di operazioni da porre in essere per raggiungere gli obiettivi di breve periodo. Esso risulta costituito da quattro elementi interconnessi: obiettivi, politiche, attività e risorse. Gli obiettivi rappresentano i traguardi cui dovrà tendere l’organizzazione, le politiche costituiscono le linee generali di azione, le attività configurano i flussi di operazioni da attuare nella gestione e le risorse si pongono quali opportunità-vincoli da rispettare nello svolgimento di tali operazioni.

La programmazione strategica è una programmazione innovativa, tesa generalmente a portare l’azienda in una più favorevole situazione tecnologica e di mercato. Il suo scopo è quello di determinare gli obiettivi raggiungibili nel tempo lungo e di rimuovere gli ostacoli che ad essi si oppongono.

Ogni impresa opera entro un sistema di vincoli, che ineriscono alla struttura interna dell’organizzazione e all’ambientale socio-economico. Fra i primi si possono richiamare i limiti posti dalla potenzialità produttiva, organizzativa, finanziaria ed economico-strutturale e fra i secondi quelli connessi con il mercato, con il progresso tecnologico e con la regolamentazione pubblica.

Per quanto concerne la valutazione e l’impiego delle risorse: il budget economico o bilancio preventivo, è un documento contabile che traduce, in termini di costi e ricavi, le scelte e le operazioni stabilite nel piano. Il budget è definito anche come un conto profitti e perdite anticipato perché tende a predeterminare il risultato della futura gestione. La sua utilità è rilevante sotto il duplice profilo decisionale e di controllo.

Al budget economico si collega un budget finanziario che considera gli usi e le fonti di capitale, in modo da predeterminare il saldo finanziario dell’esercizio. Nell’impresa si elabora anche un budget di cassa per governare il flusso monetario di entrate e di uscite. Il budget assume così un ruolo di rilievo non solo come strumento di programmazione economico-finanziaria, ma anche quale mezzo di controllo della gestione.

La Gap Analysis si sviluppa nel valutare i modi di eliminazione dell’eventuale divario rispetto agli obiettivi normalmente conseguibili nel mercato. In altri termini, i punti fondamentali di questo procedimento sono:

a)   la fissazione degli obiettivi collegati con i traguardi di sviluppo stabiliti nel piano di lungo termine;

b)   la previsione degli obiettivi raggiungibili nell’ipotesi di una prosecuzione delle tendenze di mercato e della ripetizione delle azioni di gestione attuate in passato;

c)   la determinazione del divario tra obiettivi desiderati e obiettivi realizzabili in assenza di innovazione nella gestione;

d)   l’individuazione delle modalità di eliminazione del divario, cioè delle nuove politiche necessarie per rendere compatibili le aspirazioni imprenditoriali con i previsti andamenti di mercato.

L’azienda tende ad imporre i suoi obiettivi al mercato, sfruttando le opportunità di mutamento delle sue politiche di gestione. A seconda dell’entità del divario, essa deciderà se insistere nei comportamenti adottati in passato o se procedere a delle innovazioni nei segmenti fondamentali della gestione.

CONTROLLO DI GESTIONE

Il controllo di gestione ha il compito di raccogliere, elaborare e valutare informazioni per il managment, idonee a consentire il monitoraggio della gestione, verificandone sistematicamente il grado di efficienza (attitudine ad acquisire e impiegare risorse, ottimizzando i risultati) e di efficacia (attitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati).

Le tipologie di controllo sono:

controllo antecedente consiste nel verificare l’adeguatezza dei programmi di gestione rispetto agli obiettivi della pianificazione strategica;

controllo concomitante consiste, una volta intraprese le azioni di gestione, nell’accertare periodicamente che i risultati sono in linea con gli obiettivi programmati e nell’attuare azioni correttive in caso di inefficienza e inefficacia;

controllo susseguente viene effettuato al termine di un periodo di gestione significativo per verificare il raggiungimento di obiettivi e rivedere le strategie d’impresa;

Il controllo operativo si articola in effetti in due fasi ed è finalizzato alla verifica del raggiungimento dei risultati di gestione.

La funzione concomitante di controllo operativo è definito come la procedura attuata, durante lo svolgimento delle operazioni aziendali allo scopo di seguire lo sviluppo della gestione e di assicurare, nei limiti del possibile, il rispetto degli obiettivi fissati in sede di costruzione dei piani.

L’attuazione delle valutazioni di efficienza sulla gestione aziendale che vengono compiute solitamente a conclusioni dell’esercizio annuale, rappresentano dei controlli a posteriori del rendimento dei vari fattori impiegati nella combinazione produttiva.

L’efficienza è definita comunemente come la capacità di rendimento o attitudine a svolgere una certa funzione. Essa viene tecnicamente distinta dall’efficacia, cioè dal grado secondo cui l’azienda raggiunge i suoi obiettivi. L’efficienza è misurata dal rapporto tra i risultati conseguiti e le risorse impegnate, mentre l’efficacia è misurata dal rapporto tra gli obiettivi ottenuti e quelli che si sarebbero dovuti conseguire.

Accanto alle misurazioni di efficienza occorre attuare anche un controllo di tipo prospettico o strategico. I suoi obiettivi peculiari si possono compendiare alla verifica della:

a)   congruenza esterna del comportamento strategico dell’azienda;

b)   congruenza organizzativa tra strategia e struttura dell’azienda;

c)   efficienza funzionale del sistema di direzione.

La congruenza esterna discende dalla rispondenza del comportamento dell’ambiente in cui l’impresa opera.

Cash-flow rappresenta la misura dell’autofinanziamento aziendale e, in quanto tale, è considerato espressivo, al meglio, del risultato della gestione.

Benchmarking definisce l’attività sistematica di controllo della concorrenza mediante il confronto delle performance realizzate. Lo scopo è di individuare le cause del vantaggio competitivo soprattutto delle imprese eccellenti, con l’obiettivo di ridurre le distanze e cercare, quindi, di conseguire gli stessi vantaggi. Con il Benchmarking si estende il controllo dell’efficienza dall’interno all’esterno, in modo da porre sotto osservazione le principali differenze tra i competitori.

Il controllo strategico assume un contenuto ancora più ampio della programmazione di lungo periodo perché è inteso a verificare, l’esistenza di una strategia aziendale e a individuare il piano di interventi con il quale pervenire ad una visione strategica dello sviluppo aziendale e creare le migliori condizioni di compatibilità rispetto al quadro organizzativo, interno e al complesso delle risorse umane impiegate o da impiegare.


Capitolo 8

LE POLITICHE DI MARKETING (lezione 12)

La gestione dell’impresa richiede che siano assunte decisioni concernenti l’amministrazione delle aree funzionali, in coerenza con le strategie formulate. Si ricorda che per funzione si intende un gruppo di compiti o mansioni complementari rispetto ad un fine.

Le funzioni operative primarie e quelle di supporto si svolgono prevalentemente all’interno. In certe situazioni, qualcuna delle funzioni di supporto può inserirsi tra le funzioni primarie, come avviene ad esempio nel caso della ricerca e sviluppo in azienda technology based o della funzione di gestione del personale in azienda operanti con un alto valore aggiunto e maggiormente innovative.

Le funzioni ausiliarie sono tutte quelle che l’azienda può esternalizzare, affidandole ad altre organizzazioni.

Il ciclo di vendita è composto da: ricerca del cliente, contrattazione, consegna del prodotto, fatturazione, regolamento finanziario, assistenza tecnica e gestione dei rapporti con la clientela.

Vi sono quattro modelli di gestione dell’impresa:

l’impresa orientata alla produzione: il modello dell’efficienza tecnico-produttiva;

l’impresa orientata all’innovazione: il modello della spinta tecnologica;

l’impresa orientata al marketing: il modello dell’efficacia commerciale;

l’impresa proattiva: il modello coproduttivo.

Il Marketing è una disciplina scientifica che studia i processi di scambio fra organizzazioni e individui B2C, fra organizzazioni B2B, e fra individui C2C. E’ una filosofia aziendale sviluppata sul comportamento economico degli attori del mercato, con riferimento specifico ai mercati concorrenziali e ai contesti di democrazia economica evoluta.

La politica del prodotto assume un ruolo centrale e prioritario nelle scelte di marketing. Il successo di un’impresa dipende dal favore che riscuote la sua offerta commerciale e in primis dal grado di accettazione dei beni che pone sul mercato.

Nell’impresa il legame tra le competenze distintive e la gamma di prodotti da collocare è diretto perché l’orientamento verso certe produzioni deriva dalle capacità di proporre un’offerta vincente rispetto al gruppo di potenziali acquirenti da soddisfare.

Volendo cogliere gli aspetti di distinzione di questa politica di marketing, dobbiamo fermare l’attenzione su 4 concetti fondamentali:

a)   l’ampiezza dell’offerta, ovvero la minore o maggiore estensione della gamma di vendita;

b)   la differenziazione degli assortimenti, ovvero la distinzione interna alla gamma ed esterna rispetto alla concorrenza;

c)   l’innovatività delle produzioni, ossia il tasso di rinnovamento e di ricambio dei prodotti posti in vendita;

d)   la multiformità delle scelte, ossia la molteplicità degli aspetti secondo cui può concentrarsi la politica di prodotto.

Ciclo di vita dei prodotti: l’esigenza di una pluralità di modelli e tipi di prodotto deriva anche dal naturale invecchiamento della gamma e dalla necessità di procedere in modo sistematico e continuativo al suo rinnovamento. Questo non solo perché l’anzianità dei prodotti influisce sui volumi di domanda, ma anche perché ogni prodotto può partecipare in misura differente al reddito complessivo dell’impresa.

Sotto tale profilo assumono particolare rilevanza i concetti del ciclo di vita del prodotto e della materia del portafoglio dei prodotti.

Ogni prodotto dal momento della sua immissione nel mercato a quello della sua eliminazione della gamma di vendita dell’impresa, attraversa 4 fasi:

introduzione, in cui il prodotto inizia ad affermarsi con una crescita piuttosto lenta delle vendite;

sviluppo, in cui l’espansione delle vendite ha luogo ad un ritmo molto rapido, a seguitò dell’affermazione del prodotto del mercato;

maturità, in cui le vendite continuano a svilupparsi, ma ad un tasso meno elevato;

declino, in cui il volume delle vendite comincia a ridursi più o meno rapidamente per l’obsolescenza del prodotto, per l’immissione di un prodotto sostitutivo o per la saturazione della domanda.

In base alla quota di mercato relativa e al tasso annuale reale di crescita del mercato otteniamo una matrice del portafoglio prodotti, dove abbiamo:

dogs ( prodotti marginali) prodotti con bassa quota di mercato e lento sviluppo della domanda;

question markets (prodotti rischiosi) prodotti con bassa quota e rapido sviluppo della domanda;

stars (prodotti di successo) prodotti con alta quota e rapido sviluppo della domanda;

cash cows ( prodotti da reddito) prodotti con alta quota e lento sviluppo della domanda.

Le politiche di prezzo

Il problema della determinazione e dell’amministrazione dei prezzi di vendita assume un ruolo importante nell’elaborazione del programma di marketing, in quanto il fattore prezzo rimane quello su cui si impostano le comparazioni finali dei consumatori. La leadership di costo si concreta nella possibilità di praticare prezzi più bassi della concorrenza, sfruttando i minori costi di produzione e di vendita. Essa consente di realizzare la classica price-competition, che attribuisce al fattore prezzo il ruolo determinante nelle decisioni di acquisto di prodotti in concorrenza.

Le decisioni da assumere per definire il prezzo sono:

prescegliere gli obiettivi di mercato da raggiungere mediante lo strumento dei prezzi;

determinare il prezzo base per ogni linea di prodotti, cioè definire il livello generale dei prezzi da adottare;

stabilire le relazioni tra i prezzi degli articoli compresi nella gamma, ossia fissare i cosiddetti <<differenziali>> di prezzo;

definire la struttura degli sconti ed abbuoni in rapporto alla natura della clientela e alle modalità di vendita.

La politica di prezzo si concreta nella formulazione del sistema dei prezzi da applicare per i prodotti compresi nella gamma e nell’amministrazione dei listini praticati alla clientela. Il primo aspetto riguarda sostanzialmente il problema della determinazione della discriminazione e del controllo dei prezzi stessi.

Per determinare il prezzo di vendita, bisogna determinare il margine di manovra del prezzo e, nell’ambito di questo, una quotazione compatibile con gli obiettivi di mercato da raggiungere. Il margine di manovra risulta definito soprattutto da tre elementi: il costo del prodotto, l’elasticità della domanda e la pressione della concorrenza. Nella determinazione del prezzo non è dunque razionale considerare uno soltanto dei fattori indicati, in quanto tutti e tre forniscono dati essenziali per l‘orientamento delle scelte da formulare.

Il metodo più comunemente adottato è quello di basare il prezzo sul costo, cioè aggiungere al costo un certo margine di profitto. La possibile oscillazione del prezzo dipende da molti fattori, fra i quali assumono un maggior peso:

a)   la concorrenza reale, cioè la presenza nel mercato di prodotti con caratteristiche più o meno similari a quelle del prodotto considerato;

b)   la concorrenza potenziale, ossia la possibile entrata di altri produttori, una volta superate certe soglie di prezzo;

c)   la concorrenza indiretta, cioè la minaccia di prodotti sostitutivi;

d)   il grado di differenziazione del prodotto rispetto alla concorrenza;

e)   la qualità del servizio fornito insieme con il prodotto.

Le politiche di pricing si dividono in quella di penetrazione e di scrematura. La penetrazione consiste in prezzi bassi, margine unitario ridotto, alta quota di mercato, alti volumi di vendita, prodotti standard e clienti con alta sensibilità la prezzo. La scrematura consiste in prezzi elevati, margine unitario elevato, fascia di mercato ridotta, bassi volumi di vendita, prodotti innovativi e clienti con scarsa attenzione al prezzo.

L’indice di elasticità incrociata serve a valutare l’interrelazione tra i prezzi dei prodotti venduti, ed è il rapporto tra la variazione percentuale della domanda del bene A rispetto a quella del bene B, Ea,b = Va/Va : Pa/Pb. Se l’elasticità positiva, beni intersostituibili, se nulla, beni non correlati, se elasticità negativa, beni complementari.

Amministrazione dei prezzi: il primo vincolo sono i margini commerciali, che sono detrazione sul prezzo finale di vendita da praticare agli intermediari.

A seconda del controllo che si vuole esercitare nei confronti del sistema dei prezzi praticato nel mercato, i prezzi sono imposti, suggeriti e liberi.

(Lezione 13)

La politica promozionale si concreta nello stabilire gli obiettivi, le modalità ed i mezzi di comunicazione con l’ambiente, essa è confidato il compito d’inviare informazioni agli interlocutori con cui l’impresa è in contatto.

La promozione si caratterizza, più che per il fine raggiunto, per le modalità, o vie secondo cui ottiene tale fine. Essa può essere definita come il complesso di azioni poste in essere dall’impresa per indurre, preservare o modificare i modelli di comportamento degli operatori di mercato allo scopo di ritrarre un vantaggio competitivo. Il communication mix è composto dalla pubblicità, promozione, pubbliche relazioni e la vendita diretta.

La politica promozionale può essere realizzata mediante:

a)   attività di relazioni pubbliche;

b)   la pubblicità;

c)   la promozione in senso stretto;

d)   l’attività persuasiva dei venditori.

Queste attività si collocano diversamente in quello che può essere definito l’imbuto promozionale. Si ricorre al concetto di imbuto per sottolineare l’immissione nell’attività promozionale di risorse che si differenziano per modalità di impiego e per effetti prodotti e per diverso contenuto informativo persuasivo.

La pubblicità è senz’altro l’attività più tradizionale di sviluppo delle vendite, per pubblicità si intende qualsiasi forma di messaggio impersonale inviato a pagamento da un promotore individuato a coloro che sono interessati al prodotto.

La pubblicità viene realizzata attraverso i media ed ha generalmente un ampio effetto di propagazione del messaggio. Essa è attuata mediante apposite campagne per propagandare un nuovo prodotto, per rivitalizzare un prodotto in declino, per rafforzare l’affermazione della marca e per sottolineare la continuità di presenza del prodotto nel mercato. L’advertising è un complesso di comunicazioni di massa, a carattere prevalentemente persuasorio ed oneroso, opportunamente programmato da una fonte identificabile per perseguire finalità di natura commerciale.

Le pubbliche relazioni, sono qualsiasi forma di comunicazione volta ad instaurare, consolidare, sviluppare rapporti di conoscenza, di amicizia e di sostegno, da parte di tutti i possibili stakeholders verso l’azienda. I tipi più comuni sono: iniziative dell’ufficio stampa e sponsorship.

Le sales promotion sono azioni di marketing finalizzate al conseguimento di precisi obiettivi di mercato, consistenti nella temporanea offerta di un vantaggio supplementare ad un definito pubblico di destinatari in modo da stimolarli ad assumere immediatamente un comportamento desiderato.

I destinatari delle promozioni possono essere: consumatori, responsabili di acquisto, influenzatori, distributori, forza di vendita, dipendenti, collaboratori.

Le tecniche promozionali al consumo sono:

riduzione del prezzo (cut price) per favorire l’acquisto d’impulso e la prova del prodotto;

buono sconto (coupons) per prima prova, incentivi in mercati non differenziati;

buono sconto incrociato per favorire l’acquisto d’impulso e la prova del prodotto “debole”;

campioni (samples) per favorire la conoscenza del prodotto;

concorsi per rafforzare l’immagine e la notorietà del prodotto, aumento dell’effetto display nei PDV;

regali nel pacco per favorire l’acquisto d’impulso;

collezioni per fedeltà d’acquisto e d’uso;

personalità promotions per vivacizzare l’immagine attraverso personaggi famosi;

bounce back per fedeltà d’acquisto di coloro che sono già stati premiati in passato.

Le politiche di distribuzione: le scelte distributive riguardano la tipologia degli sbocchi attraverso cui far defluire i beni posti in vendita, il loro numero e il modo di collegamento con essi.

Per l’impresa industriale, la politica distributiva comporta scelte relative:

alla determinazione del livello di contatto con il mercato;

all’intensità della distribuzione;

al tipo di operatori cui affidare il collocamento del o dei prodotti aziendali.

Le politiche di distribuzione di distinguono in:

canale a più livelli di intermediazione (canale indiretto lungo) Produttore-Agente-Dettagliante-Consumatore, Grossista-Agente;

canale a due livelli di intermediazione (canale indiretto medio-lungo) Produttore-Rappresentante-Dettagliante-Consumatore;

canale ad un livello di intermediazione (canale indiretto breve) Produttore-Dettagliante-Consumatore, Produttore-Rappresentante-Consumatore;

canale senza intermediari (canale diretto) Produttore-Consumatore.

Gli elementi da considerare per la scelta del canale sono:

caratteristiche del cliente;

caratteristiche del prodotto;

caratteristiche dell’intermediario;

caratteristiche della concorrenza;

caratteristiche dell’azienda;

caratteristiche dell’ambiente.

Il piano di marketing si caratterizza per 2 aspetti fondamentali:

il market-target, cioè i bersagli da perseguire;

marketing mix, cioè le armi per colpire quei bersagli.

Quindi di fondamentale importanza per attuare la politica di marketing è l’elaborazione della strategia competitiva. Infatti l’attuazione di un processo di programmazione richiede una preliminare definizione degli obiettivi e delle politiche di vendita. Le quatto “P” del marketing sono: prodotto, prezzo, produzione e distribuzione (place).


Capitolo 9

LA GESTIONE DELLA PRODUZIONE (lezione 14)

Nell’impresa industriale i problemi della produzione assumono un ruolo prioritario. La funzione di produzione riguarda il processo di trasformazione dei beni mediante il quale le risorse acquistate sono tramutate in prodotti finiti da collocare nel mercato. Il ciclo dei prodotti quindi si pone al centro del processo di gestione industriale, dovendo essere preceduto da quello di approvvigionamento e seguito da quello delle vendite.

Le scelte di produzione giocano un ruolo determinante ai fini della redditività aziendale.

La funzione di produzione assume caratteristiche molto differenti da impresa a impresa, indipendente dalle caratteristiche dell’impianto e del processo operativo.

La funzione di produzione riguarda il processo di trasformazione dei beni, cioè il complesso di operazioni mediante il quale le risorse acquistate dell’impresa sono tramutate in prodotti finiti da collocare nel mercato. Il ciclo produttivo si pone, pertanto, al centro del processo di gestione, dovendo essere preceduto dalla fase degli approvvigionamenti e seguito da quella delle vendite.

La produzione è l’attività di acquisizione, combinazione e trasformazione di un input in output da destinare al consumo finale o ad una successiva produzione.

La progettazione/riprogettazione del sistema produttivo, cioè scelte di lungo periodo relative a : tecnologia/grado di automazione degli impianti; capacità produttiva (livello e ubicazione); lay-out degli impianti.

La gestione del sistema produttivo, cioè scelte di breve periodo relative a: programmazione e controllo della produzione; gestione dei materiali.

La strategia di produzione deve bilanciare scelte critiche relative a:

tecnologia e impianti;

politiche gestionali;

organizzazione.

La progettazione del sistema produttivo deve conciliare obiettivi quali:

costi di produzione;

elasticità (capacità del sistema produttivo di fronteggiare la variabilità dei volumi produttivi senza forti penalizzazioni nei costi di produzione);

flessibilità (capacità del sistema produttivo di fronteggiare rapidamente, con contenute variazioni dei costi di produzione, il riassorbimento della gamma);

qualità;

tempestività ed affidabilità delle consegne.

Le scelte che ricadono nell’area della produzione possono, per semplicità, essere distinte in tre gruppi:

a)   scelte strategiche, il cui obiettivo è di concorrere alla creazione del vantaggio competitivo;

b)   scelte strutturali, il cui scopo è di costruire il sistema operativo, coordinando le risorse disponibili;

c)   scelte di gestione operativa, la cui finalità è di razionalizzare l’operatività del processo produttivo.

La funzione di produzione è direttamente coinvolta nella strategia competitiva perché o consente di perseguire l’obiettivo dei bassi costi necessari per una strategia di price-competition o concorre a garantire la qualità essenziale per una strategia di differenziazione.

La strategia di produzione dev’essere centrata sugli aspetti prioritari della strategia competitiva, ovvero deve assicurare il migliore contributo alla creazione del vantaggio competitivo.

Il lay-out: nella progettazione è centrale la scelta del lay-out: la disposizione planimetrica di tutte le risorse infrastrutturali e impiantistiche necessarie allo svolgimento delle lavorazioni: i fabbricati, i magazzini, ma soprattutto gli impianti, le macchine e i posti di lavoro. L’obiettivo principale delle scelte lay-out consiste nel raggiungere la massima utilizzazione di impianti e attrezzature e la massima flessibilità dei cicli di lavorazione con il minimo di spazio utilizzato.

Lo stabilimento comprende tutto, mentre l’impianto solo le linee di produzione. Per lay-out si intende la disposizione delle strutture, delle macchine, delle attrezzature e dei posti di lavoro all’interno della fabbrica.

Un ottimo studio del lay-out porta ad ottimizzare l’impiego delle 4 “M” (mens, materials, machines, money).

Il lay-out può essere organizzato secondo 4 schemi principali:

lay-out per processo o per reparto: in cui le diverse macchine sono raggruppate in reparti per omogeneità funzionale;

lay-out per prodotto: in cui le varie macchine sono disposte lungo la linea di lavorazione;

lay-out a gruppi tecnologici o a celle di produzione: rappresenta una soluzione organizzativa intermedia tra il lay-out per prodotto e il lay-out per reparto;

lay-out a posto fisso: definito così in relazione alla produzione dei beni da realizzare. Solo a lavorazione ultimata viene definitivamente rimosso dal luogo di produzione. In questa categoria si distingue il lay-out per progetto usato per la costruzione di edifici, ponti, dighe in cui il completamento del lavoro determina lo spostamento delle risorse produttive.

I cicli continui sono quelli della catena di montaggio.

I cicli di lavorazione in modo intermittente suddividono il lavoro in fasi ed assegnano a ciascuna di queste un particolare reparto.

I cicli misti sono una via di mezzo fra i due.

Stabilire quindi il lay-out non significa solo determinare le fasi del ciclo, ma anche regolare la successione delle attività e dei posti di lavoro, ma anche per le operazioni di collegamento, all’interno e all’esterno dell’impianto, per l’alimentazione del processo produttivo e per il deflusso dei prodotti finiti.

Tipologie di sistemi produttivi: vengono identificate quattro tipologie di sistemi produttivi e relativi lay-out:

produzioni Job shop (lay-out per reparto);

produzioni a lotti (lay-out per reparto o group technology);

produzioni in linea (lay-out per prodotto o group technology);

produzioni di processo-continuo (lay-out per prodotto).

Produzione Job-shop: produzione su commessa di esemplari unici o di un numero limitato di unità con una specifica progettazione del prodotto e una definizione del ciclo produttivo.

Produzione a lotti: produzione molto varia ma poco variabile, in lotti non necessariamente legati al fabbisogno immediato.

Produzioni in linea: produzioni di volumi elevati con varietà e variabilità limitata attraverso impianti e macchinari dedicati.

Produzioni di processo, produzioni continue: produzioni fortemente standardizzate di volumi ingenti dove la trasformazione richiede un ciclo di trasformazione continuo delle materie prime al prodotto finito.

La struttura tecnica dell’impianto: può essere tarata per fare fronte a fluttuazioni della domanda quantitative o qualitative, reversibili o irreversibili.


Capitolo 10

LA GESTIONE FINANZIARIA (lezione 15)

Nella funzione finanziaria si comprende il complesso di decisioni e di operazioni volte a reperire e ad impiegare i fondi aziendali. Essa occupa una posizione centrale nella programmazione di lungo periodo in cui si affrontano i problemi relativi all’elaborazione di un programma d’investimenti e di finanziamenti.

La gestione finanziaria dev’essere inquadrata non solo sotto il profilo strategico, ma anche sotto quello tattico ed operativo. Mentre nel primo si considerano le decisioni finanziarie di lungo periodo, intese ad ottimizzare l’impiego e la raccolta dei fondi, nel secondo si includono i compiti di attuazione e di controllo delle decisioni prese. La gestione del piano finanziario richiede la creazione e il mantenimento dell’equilibrio tra fonti ed impieghi nel lungo, nel breve e nel brevissimo termine.

La gestione deve rispettare tre tipi di equilibri, diversi ma interdipendenti tra loro. Deve consentire l’equilibrio economico tra ricavi e costi, equilibrio che deve tradursi in un divario positivo per la formazione del profitto. In secondo luogo, deve mirare all’equilibrio finanziario, vale a dire al bilanciamento tra impieghi di capitale e fonti di provvista dello stesso; e in terzo luogo, nel tempo breve deve preservare la liquidità, cioè l’equilibrio monetario tra entrate e uscite di cassa. La gestione finanziaria ha un diretto impatto su tutti e tre gli equilibri.

Le interrelazioni tra i tre equilibri dipendono dal fatto che il ciclo di formazione dei costi e ricavi incide sull’altezza del fabbisogno di capitale e sul ciclo dei movimenti necessari. Solo nel tempo lungo il totale dei costi corrisponde al totale delle uscite e il totale dei ricavi a quello delle entrate.

I compiti fondamentali sono:

la programmazione finanziaria a lungo, breve e brevissimo termine;

la gestione del piano finanziario;

il governo della liquidità.

E’ pertanto responsabilità precipua degli uomini della finanza sviluppare delle analisi revisionali sul fabbisogno finanziario dell’impresa in funzione del piano di investimento e individuare la struttura finanziaria ottimale, per pervenire alla scelta delle fonti di finanziamento.

I problemi di fondo della gestione finanziaria sono quelli di programmazione degli investimenti e delle fonti di copertura. Nel processo decisionale l’individuazione degli investimenti precede la ricognizione delle fonti di finanziamento disponibile, che queste ultime porrano un limite assoluto al volume dei primi.

Nell’assunzione delle scelte d’investimento la risorsa finanziaria può rappresentare un vincolo assoluto o relativo: il primo si determina allorché è impossibile reperire ulteriori mezzi necessari per dare attuazione all’investimento; mentre il secondo si configura allorché sussiste un divario sfavorevole tra redditività dell’investimento e costosità del capitale.

Nella vita dell’impresa gli investimenti possono legarsi alle opzioni strategiche.

Dal punto di vista dell’analisi degli investimenti può essere opportuno distinguere gli investimenti di natura strategica per i quali l’impresa è chiamata a decidere sul se intraprendere determinati progetti che modificano la sua posizione competitiva, rispetto ad investimenti di tipo operativo, per i quali l’impresa valuta soluzioni alternative per decisioni che non modificano le proprie scelte strategiche.

Nel primo caso, si tratta di valutazioni complesse sul lancio di un nuovo prodotto o l’ingresso in una diversa area strategica d’affari. Nel secondo caso, si tratta di decisioni di minore rilevanza, quale potrebbe essere la scelta tra due modelli alternativi di impianto con caratteristiche analoghe e decisioni che non alterano significativamente la composizione quali-quantitative dei ricavi.

L’intensità con cui si presenta il problema degli investimenti varia in relazione alle diverse epoche di vita dell’impresa, e all’impatto del progresso tecnologico sulle vicende aziendali.

In presenza di un sistema evoluto di programmazione, la determinazione del piano d’investimento rientra nella formulazione delle strategie aziendali e richiede un’apposita procedura (Capital Budgeting).

La scelta degli investimenti è guidata dai parametri fondamentali quali profitto e rischio. A parità di altre condizioni, sono infatti preferiti i progetti che assicurano i margini più elevati di profitto entro un prestabilito coefficiente di rischio oppure che producono un determinato profitto con il più basso grado di rischiosità.

La scelta degli investimenti utilizza delle apposite tecniche di carattere economico-finanziario atte a:

a)   stabilire l’accettabilità di un progetto rispetto a valori standard prefissati;

b)   comparare progetti alternativi, cioè determinare una lista di priorità tra più proposte d’investimento.

L’efficacia dell’investimento è correlata ai suoi ritorni diretti e indiretti, tangibili e intangibili. Il rendimento di ogni investimento andrebbe pertanto stimato in rapporto:

al suo ritorno economico;

ai vantaggi economici prodotti in altre aree dell’organizzazione aziendale;

ai ritorni non economici o di qualità, in grado di accrescere le risorse intangibili dell’impresa.

Il metodo del tasso di redditività attualizzato consente di avviare agli inconvenienti prima denunciati, inserendo nelle misurazioni il valore del denaro. Quest’ultimo è stabilito oggettivamente dal mercato, sotto forma del tasso corrente di interesse, e soggettivamente dell’investitore in rapporto alla sua preferenza verso disponibilità liquide.

I metodi a cui si fa generalmente ricorso per l’analisi della redditività attualizzata sono due: il tasso interno di rendimento (TIR), valore attuale netto (VAN).

Con il primo metodo si individua il tasso di attualizzazione che rende uguali il flusso di introiti e di esborsi. Il secondo opera assumendo un tasso di attualizzazione pari a quello del costo del capitale (c), in modo da determinare il valore attuale del progetto.

La teoria delle opzioni parte di fatti dell’assunto che l’investimento con i suoi flussi di cassa, può generare ulteriori opportunità d’investimento e che queste ultime saranno più o meno ampie in funzione non solo della velocità di ritorno del capitale investito, ma anche della possibilità di modificare o abbandonare l’investimento in corso.

Le opzioni strategiche individuate in teoria sono 4:

opzioni di sviluppo;

opzioni di abbandono;

opzioni di differimento;

opzioni di flessibilità.

Il fabbisogno finanziario aziendale è uguale al capitale fisso più il capitale circolante.

Il capitale fisso consiste negli investimenti che formano la struttura dell’impresa caratterizzati da tempi di recupero lunghi. Il fabbisogno di capitale fisso è legato al grado di capitalizzazione dei processi operativi.

Il capitale circolante consiste negli investimenti che assicurano il funzionamento della struttura che di rigenerano al massimo nell’arco di 12 mesi. Il fabbisogno è correlato al ciclo di reintegro dei ricavi: a parità di volume di attività sarà tanto minore quanto più breve è questo ciclo.

Per quanto riguarda il capitale circolante bisogna rilevare che i suoi principali componenti sono:

le scorte necessarie per l’alimentazione dei processi di produzione e di vendita;

crediti commerciali v/clienti;

crediti commerciali v/fornitori;

le attività finanziarie;

le altre attività e passività correnti.

Il capitale circolante netto è pari alla differenza tra attività e passività correnti.

Il capitale circolante commerciale è rappresentato dalla somma algebrica del valore delle scorte di magazzino, dei crediti commerciali e dei debiti v/fornitori.

La gestione finanziaria deve rappresentare la solvibilità dell’impresa e la sua liquidità; da ciò l’esistenza di compiere la duplice analisi dei flussi di circolante e dei flussi monetari.

Nell’impresa bisogna stimare il fabbisogno finanziario netto, in modo da prevedere tempestivamente l’esigenza di reperire nuove fonti di copertura oppure di individuare le migliori opportunità di impiego di fondi esuberanti.

Gli strumenti per conoscere tale dinamica sono l’analisi dei flussi di capitale circolante, considera i processi della gestione corrente e quelli di investimento e disinvestimento, ponendo a raffronto i movimenti patrimoniali con quelli economici, esprime il risultato finanziario della gestione; analisi dei flussi monetari ricostruisce il ciclo delle entrate e delle uscite di cassa, per fare emergere la situazione di liquidità o il liquidità dell’azienda.

La struttura finanziaria è determinata dalla scelta delle fonti di copertura del fabbisogno aziendale. La scelta della struttura finanziaria si collega alla forma di governo dell’impresa.

Le variabili più direttamente incidenti sul fabbisogno finanziario dell’impresa sono:

a)   le operazioni di investimento e di alienazione dei beni impiegati nella gestione corrente e patrimoniale;

b)   il livello delle scorte di magazzino;

c)   le condizioni di pagamento applicate ai clienti;

d)   le condizioni di pagamento stabilite con i fornitori;

e)   il livello di liquidità.

Il fabbisogno finanziario globale può essere coperto:

a)   dalla dotazione di mezzi propri, legati all’impresa con vincolo di capitali;

b)   dal risultato economico della gestione;

c)   dal finanziamento interno dei soci;

d)   dal finanziamento esterno attinto presso i risparmiatori, le banche, i clienti, i fornitori e i dipendenti.

La gestione finanziaria si concreta nell’assunzione e nell’attuazione delle scelte che incidono sul fabbisogno e sulle vie di copertura. Essa è orientata da alcuni obiettivi o politiche generali tese ad assicurare l’omogeneità, la flessibilità, l’elasticità e l’economicità della struttura finanziaria aziendale.

Omogeneità tra fonti e impieghi: impiego di capitali omogenei rispetto al fabbisogno da coprire.

Flessibilità della struttura: possibilità di modificare la struttura finanziaria in rapporto all’evoluzione del fabbisogno.

Elasticità della struttura: opportunità di dilatare l’area di manovra delle scelte finanziarie.

Economicità nel bilanciamento fonti/impieghi: l’ottimizzazione delle scelte finanziarie deve riposare sulla massimizzazione dei differenziali tra rendimenti dell’investimento e costosità del capitale.

Una struttura finanziaria è tanto più flessibile quanto è più in grado di modellarsi in rapporto alle esigenze della gestione, ed è tanto più elastica quanto più facilmente può essere espansa.

La gestione finanziaria dovrebbe essere orientata alla minimizzazione degli oneri finanziari e alla massimizzazione del rischio finanziario. La prima può incontrare dei limiti nella gestione finanziaria privata dei soggetti proprietari dell’impresa, per effetto soprattutto del differenziale fiscale tra costo effettivo dell’indebitamento nei due casi e nel possibile divario tra redditività del capitale investito nell’impresa e redditività ottenibile dagli investimenti personali extra-aziendali.

Rischio finanziario è rappresentato dall’incapacità di alimentare, sotto il profilo finanziario, i processi di gestione caratteristica. Essa può assumere un carattere strutturale o congiunturale. Il primo si verifica nello squilibrio delle fonti rispetto agli impieghi; il secondo si collega ad occasionali carenze di cassa. Nelle due situazioni si potrebbe meglio qualificare il rischio finanziario come rischio di insolvenza e come rischio di il liquidità.

Il processo di scelta delle fonti di finanziamento deve poggiare sull’analisi del fabbisogno di capitali e sulla conoscenza del mercato dell’offerta dei capitali stessi.

(Lezione 16)

Il fabbisogno di capitali è la risultante di quattro tipi differenti di esigenze:

fabbisogno strutturale, permanente nel tempo perché legato alle dimensioni della struttura dell’impresa;

fabbisogno corrente, permanente nel tempo perché correlato al volume di attività della gestione corrente;

fabbisogno straordinario, legato ad esigenze di più lungo periodo, ma presente solo nell’arco di questo periodo;

fabbisogno occasionale, collegato a fenomeni congiunturali ed imprevedibili, i cui effetti si dispiegano solamente nel breve periodo.

Questa classificazione suddivide il fabbisogno in rapporto alla natura e alla permanenza nel tempo, facendo comprendere che, accanto ad esigenze connaturate alla struttura e all’attività dell’impresa, si possono presentare esigenze destinate ad esaurirsi perché legate a fenomeni del tutto contingenti o perché destinate ad esaurire i loro effetti entro un arco determinato di tempo.

La scelta delle fonti di finanziamento, partendo dalla previsione dell’ammontare e della composizione del fabbisogno, deve poter ottimizzare le possibilità offerte dal mercato finanziario in funzione degli obiettivi di economicità, omogeneità, flessibilità ed elasticità posti alla gestione finanziaria nel suo complesso.

Si parla di leva finanziaria per sottolineare la capacità dell’indebitamento di ampliare la redditività aziendale.

La redditività del capitale proprio investito nell’attività aziendale può essere di fatti migliorata o peggiorata dal fattore leva: sarà migliorata se la redditività del capitale investito risulterà superiore al costo dell’indebitamento, sarà peggiorata se gli oneri finanziari da sopportare per ottenere in prestito dei capitali supereranno la redditività dell’investimento. L’effetto del fattore leva dipende dal divario tra il rendimento del capitale investito e il costo reale del capitale preso a prestito.

Per valutare il costo effettivo dell’indebitamento e per potere comparare la convenienza delle varie fonti di provvista occorre determinare il Taeg, che ingloba, oltre al tasso annuo nominale, gli oneri accessori e gli effetti della capitalizzazione degli interessi:

Roi>i: leva finanziaria positiva: miglioramento della redditività del capitale proprio (Roe) all’aumentare dell’indebitamento;

Roi<i: leva finanziaria negativa: peggioramento della redditività del capitale proprio (Roe) all’aumentare dell’indebitamento.

Il problema dell’indebitamento non si concreta solo nel decidere fino a quale livelli conviene indebitarsi per ampliare la redditività aziendale, ma interviene anche nella scelta, una volta stabilito il fabbisogno da coprire, tra il ricorso a mezzi propri e a mezzi di terzi che attiene alla struttura del capitale.

La determinazione della struttura del capitale è legata a fattori revisionali e di vincolo. Le scelte da assumere interessano periodi non brevi di tempo e dovranno essere ancorate alle prospettive di variazione dei tassi di redditività della gestione e dei costi dell’indebitamento, oltre che all’esistenza di condizioni vincolanti di partenza.

L’investimento di capitale proprio rappresenta una fonte di finanziamento a lungo termine perché i mezzi così immessi nella gestione sono destinati a permanervi durevolmente.

Nell’ipotesi di un fabbisogno occasionale di capitali, i soci possono far affluire propri fondi sotto forma di finanziamento diretto. Essi concedono delle anticipazioni all’azienda oppure sottoscrivono direttamente un prestito obbligazionario.

L’impresa può procurarsi mezzi finanziari emettendo prestiti obbligazionari e carta commerciale chiedendo credito ai fornitori.

Il ricorso al credito bancario, può assumere una differente estensione temporale e concentrarsi in forme tecniche diverse. Il finanziamento può essere ottenuto per tempi lunghi o per tempi brevi.

Accanto alle forme tradizionali di finanziamento esterno, bancario e non bancario, già da lungo tempo si sono affiancate forme atipiche, quali il leasing e il factoring.

Leasing

Leasing finanziario, cioè attuato da società finanziarie che acquistano il bene oggetto del leasing.

Leasing operativo, che è quello realizzato dalle società produttrici del bene e rappresenta un finanziamento di tipo mercantile.

Il leasing è un contratto di locazione con diritto di riscatto del bene dopo un certo numero di anni e ad un prezzo prefissato.

Leaseback: consiste nel vendere ad una società di leasing un bene posseduto con l’impegno però di richiederlo successivamente, in leasing alla stessa società acquirente. In tal modo l’azienda venditrice riesce ad ottenere un finanziamento a fronte dell’alienazione di un bene di proprietà di cui non perde l’uso, e riesce a sfruttare le agevolazioni fiscali delle operazioni in leasing.

Il leasing è la forma idonea per l’acquisizione di beni fungibili e per i beni semi-fungibili. Il finanziamento con mezzi propri è invece necessario per l’acquisizione di beni scarsamente fungibili.

Factoring consente di rendere liquidi i crediti verso la clientela. La norma più comune di cessione del credito è “pro-solvendo” cioè con il rischio di insolvenza condiviso tra il debitore e il cedente del credito stesso.

Forfaiting è la vendita “pro-soluto” di effetti cambiari che in rapporto alla loro scadenza e al grado di rischio di incasso vengono ceduti in base al loro valore facciale decurtato in ragione di un tasso di sconto a forfait.

Credito agevolato: le agevolazioni finanziarie ottenute sottoforma di contributo in conto capitale (da non restituire) e di mutuo agevolato (da restituire con l’applicazione di un tasso d’interesse).

Considerando l’azienda nella sua interezza, la scelta tra un allargamento dei mezzi propri ed un ricorso ai mezzi di terzi è in funzione del cosiddetto free cash flow ottenuto sommando algebricamente al risultato operativo più gli ammortamenti le variazioni del capitale circolante e quello degli investimenti fissi netti.

L’esame della gestione finanziaria ha messo in evidenza l’importanza nell’impresa della programmazione e del controllo degli equilibri finanziari e monetari. Programmazione e controllo sono aspetti strettamente complementari perché l’andamento della finanza è fortemente influenzato dagli eventi di gestione e delle vicende che caratterizzano il mercato finanziario.

Nell’organizzazione si possono rinvenire delle figure specifiche direttamente coinvolte.

La pianificazione finanziaria richiede la formulazione di una serie di preventivi, in base ai quali l’impresa può indirizzare e tenere sotto controllo situazioni di solvibilità e di liquidità della gestione. La programmazione finanziaria ha come obiettivo di formulare una serie di preventivi in base ai quali l’impresa possa indirizzare e tenere sotto controllo la solvibilità e la liquidità della gestione. Come strumenti il budget finanziario, che si costruisce partendo dal bilancio preventivo di capitale e dal budget economico.

Il controllo finanziario ha come obiettivo la necessità di salvaguardare la condizione di liquidità dell’impresa. Come strumenti, il prospetto delle fonti e degli impieghi per il controllo della solvibilità, il prospetto dei flussi monetari delle operazioni di esercizio, il quadro generale dei movimenti monetari, formano il controllo della liquidità.

Il prospetto delle fonti e degli impieghi, costruito solitamente per periodi biennali o triennali, riporta l’andamento dei flussi finanziari con l’indicazione specifica degli usi e delle fonti di capitale.

Le fonti sono distinte in tre gruppi:

fonti della gestione, che rappresentano nel loro complesso il cash-flow aziendale;

fonti correnti, in cui di fanno rientrare i debiti a breve;

fonti non correnti, in cui di comprendono anche gli usi che sono divisi in due gruppi, quelli correnti, relativi al finanziamento dell’esercizio, e quelli non correnti, inerenti a processi di investimento.

Il prospetto consente di determinare tre saldi:

il saldo finanziario, che deriva dalla contrapposizione di usi e fonti non correnti e che riguarda, dunque, la modificazione della struttura finanziaria dell’azienda;

il saldo corrente, che riviene della contrapposizione tra fonti ed usi correnti ed ottiene ai tre cicli (produzione, economico, finanziario);

il saldo complessivo, quale somma algebrica tra questi due saldi:

- Fonte = Variazione positiva della passività

Variazione negativa della attività

- Impiego = Variazione positiva delle attività

= Variazione negativa delle passività

Saldo = 0 l’azienda può rendere definito il preventivo e considerarlo come guida per la gestione finanziaria.

Saldo < 0 l’azienda dovrà o ridurre gli esborsi programmati o reperire altri fondi.

Saldo > 0 l’azienda dovrà individuare altri impieghi per evitare delle risorse finanziarie inutilizzate o sottoutilizzate.


Capitolo 11

LA GESTIONE DELLE SCORTE (Lezione 17)

Il fenomeno delle scorte assume un’importanza decisiva ai fini della funzionalità operativa del sistema aziendale e genera oneri e rischi rilevanti nell’economia generale, in grado di fronteggiare in ogni momento le esigenze di produzione e di vendita, comportano, non solo dei costi elevati per l’immobilizzo di capitale e per l’allestimento delle attrezzature necessarie per la loro conservazione, ma anche dei rischi di eventuale deperimento od obsolescenza dei prodotti in stock.

La logistica è il sistema di connessione tra l’approvvigionamento di materiali (logistica in entrata), la trasformazione produttiva ed il collocamento dei prodotti realizzati (logistica in uscita). Una razionale gestione della logistica aziendale mira al conseguimento del migliore equilibrio tra costo logistico e standard di servizio reso ai clienti interni ed esterni.

La funzione di approvvigionamento è il processo di acquisto e gestione delle scorte dei materiali diretti all’alimentazione dei cicli di lavorazione. E ha come obiettivo di assicurare l’economicità della funzione degli acquisti e preservare la continuità dei cicli di lavorazione.

Le imprese costituiscono scorte di materie per diverse ragioni: per tutelarsi contro eventuali incertezze nel mercato di forniture ovvero contro possibili aumenti di prezzo; per conseguire delle economie di acquisto attraverso la riduzione dei costi unitari in relazione ai maggiori volumi ordinati; per crearsi degli ammortizzatori nei rapporti con i fornitori, per garantire continuità al processo operativo.

Nella gestione delle scorte rientrano problemi di determinazione del quanto e del quando ordinare le materie di base, i semilavorati o i componenti da impiegare nella produzione. La gestione delle scorte di materie può essere attuata secondo due impostazioni completamente differenti. La prima è quella tradizionale secondo cui l’altezza delle scorte da tenere in magazzino dipende dai tempi di assorbimento dei materiali e dai tempi di riapprovvigionamento degli stessi; la seconda è legata all’andamento della domanda. Nel primo caso si segue la logica del stock control ( si controlla il livello della scorta senza tenere conto dell’andamento dei processi di produzione e di vendita), mentre nel secondo l’ottica è quella del flow control (le scorte sono determinate in funzione del flusso di ordini di vendita da evadere).

Le tecniche più note collegate allo stock control, sono la tecnica delle scorte separate e quello del ciclo di ordinazione.

Le tecniche, proprie di procedure di flow control, sono il Material Requirements Planning (MRP). Per l’ottimizzazione dei flussi di materiali all’interno dell’impresa si è diffusa la tecnica del Just in time (JIT), basata sulla sincronizzazione delle attività delle imprese fornitrici rispetto a quelle dei clienti.

Le tecniche delle scorte separate (Two bin system) e del ciclo di ordinazione (ordering cycle system) si individuano rispettivamente come tecniche a quantità fissa e a tempo fisso; nel primo caso si determina il quando ordinare e si ottiene di conseguenza il quando; nel secondo caso, è il quando ordinare a condizionare la definizione della quantità da ordinare di volta in volta. La tecnica delle scorte separate si fonda sul riapprovvigionamento per quantità costanti allorché la scorta raggiunge un predeterminato valore minimo (livello di riordino), mentre quella del ciclo di ordinazione si basa sull’approvvigionamento alla fine di ciascun ciclo per quantità variabili in rapporto alle scorte presenti in magazzino.

La quantità ordinata è pari alla differenza tra la scorta ottimale e quella presente in magazzino.

Nel metodo delle scorte separate, il primo problema da risolvere è rappresentato dalla determinazione del livello di riordino, cioè della quantità al raggiungimento della quale bisogna far partire la procedura di riapprovvigionamento. Il livello di riordino dipende dal tempo guida (lead time), cioè dal periodo occorrente per ottenere la merce ordinata. Derivante:

tempo necessario per spiccare l’ordine;

tempo occorrente per l’arrivo della merce;

tempo necessario per la messa a disposizione della merce.

Il livello di riordino è dunque calcolato moltiplicando le unità di tempo occorrenti per l’approvvigionamento per il consumo nell’unità di tempo.

Per l’applicazione del metodo delle scorte separate è necessaria la determinazione della quantità da riacquistare di volta in volta. Il calcolo del lotto economico d’acquisto, si pone come obiettivo la ricerca della quantità ottimale da riacquistare nel tempo; per quantità ottimale è inteso il lotto che consente di minimizzare il costo complessivo di gestione delle scorte. Questo costo è dato da due costi parziali: di mantenimento dello stock e di ordinazione.

Costo complessivo di gestione scorta Ct =Cm+Co Cm=C*Q*(a/2) Co=K*(F/Q)

Lotto economico d’acquisto Q= (2FK/ac)

Il Material Requirements Planning si basa sul concetto di fare coincidere le scorte con i fabbisogni di breve periodo, in modo da ridurre al minimo l’accumulo di giacenze, in funzione dei tempi di produzione del mix di prodotti e dei consumi di materie ad essi associati, si provvede all’acquisto dei materiali.

Si stabilisce il piano di produzione del prodotto finale, sovente frutto di assemblaggio, si ricavano i fabbisogni delle sottoparti giungendo via via a quelli delle materie prime.

Il Just-in-Time, propone sostanzialmente la minimizzazione dei livelli di giacenza del ciclo produttivo, per generare vantaggi economici consistenti ed eliminare il rischio connesso all’immobilizzo. Per potere attuare il Just-in-Time è necessario collegarsi in modo altamente efficiente con la rete dei fornitori. La possibilità di costituire il magazzino presso il fornitore dipende dalla rapidità e dalla continuità dei rifornimenti. Una soluzione del problema può essere quella dell’insediamento dei fornitori nella stessa area dello stabilimento cliente.

E’ intuibile che il sistema Just-in-Time crea dei grandi rischi per il produttore, si tratta di accettare consapevolmente il rischio di fermato dell’impianto a fronte dei risparmi nella gestione del magazzino.

L’adozione del Just-in-Time esige l’assoluta puntualità e rispondenza quali-quantitativa dei materiali di cui l’azienda industriale ha bisogno, garanzie ottenibili solo allorché si possa esercitare un elevato grado di controllo dei fornitori.

IL KNOWLEDGE MANAGEMENT (lezione 18)

Letteralmente significa: “ gestione della conoscenza”. Si intende la funzione di sviluppo e gestione delle risorse relative alle conoscenze tangibili e intangibili che caratterizzano l’azienda. La gestione della conoscenza è un insieme di strategie, processi e abilitatori organizzativi e tecnologici per consentire il flusso, lo scambio e la patrimonializzazione delle conoscenze col fine di creare valore per i clienti ed i consumatori.

La gestione della conoscenza significa trovare la conoscenza o l’esperto che serve quando serve per risolvere un problema di business.

Gestire la conoscenza significa mapparlo, cioè mettere a conoscenza gli altri a capire chi fa che cosa. Mettere a conoscenza le persone potendo così risolvere il problema.

La conoscenza comprende sempre due componenti:

quella esplicita, che può essere verbalizzata, catturata e diffusa mediante documenti e programmi software;

quella implicita o tacita, che non può essere separata dagli individui, dalle comunità di persone e dalle situazioni in cui risiede.



Creazione e trasformazione di conoscenza: modello di Nonanka e Takeuchi: composto dalla socializzazione, trasmissione della conoscenza tacita attraverso l’esperienza e la sua condivisione; esteriorizzazione, trasformazione della conoscenza tacita in concetti espliciti attraverso il dialogo e la riflessione collettiva; combinazione, creazione di un sistema di conoscenza attraverso l’integrazione di parti di conoscenza esplicita; interiorizzazione, trasformazione della conoscenza esplicita in conoscenza tacita a livello individuale.

La socializzazione: è un processo di condivisione delle esperienze individuali e di creazione di forme di conoscenza tacita quali modelli mentali e abilità tecniche condivise. La conoscenza spesso nasce in forma tacita attraverso le esperienze individuali dei singoli. La socializzazione si basa sul presupposto che un individuo possa acquisire conoscenza tacita della relazione diretta con altri senza l’intervento del linguaggio, ma attraverso capacità di osservazione e di condivisione di esperienze.

L’esteriorizzazione: è il processo di espressione della conoscenza tacita attraverso concetti espliciti. Le conoscenze vengono cioè trasposte in un codice formale, grazie al quale la conoscenza tacita diviene esplicita, assumendo la forma di metafora, analogia, concetto, ipotesi o modello. Lo scrivere è un atto di conversione di conoscenza tacita in linguaggio articolato.

La combinazione: è un processo di sistematizzazione di concetti in un sistema di conoscenza che possono essere diffuse su larga scala.

Gli individui scambiano e cambiano conoscenze attraverso i mezzi più svariati, quali documenti, incontri, conversazioni telefoniche, reti informatiche di comunicazione.

La riconfigurazione delle informazioni esistenti attraverso lo smistamento, l’aggiunta, la combinazione e la categorizzazione di conoscenza esplicite può condurre a nuove forme di conoscenza.

L’interiorizzazione: consiste nel tradurre concretamente conoscenza esplicita in conoscenza implicita. La presenza di conoscenza documentata, verbalizzata o rappresentata graficamente in documenti, manuali e storie, consente agli individui di interiorizzare la loro esperienza e ad arricchire così la loro conoscenza tacita.

Quando la lettura o l’ascolto di una storia di successo fa percepire ad alcuni membri dell’organizzazione il contenuto di realtà e l’essenza della vicenda, l’esperienza avvenuta nel passato può tradursi per essi in un modello mentale tacita.

L’adozione del Knowledge Management richiede l’attuazione di progetti che presentano caratteri differenti ed elementi comuni.

Le principali tipologie di progetto sono:

le lessons learned che consistono nella codificazione e raccolta delle conoscenze nate dalle esperienze passate al fine di favorirne successivamente la diffusione all’interno dell’impresa. Generalmente viene costruito una sorta di archivio dei casi affrontati, con riferimento ai quali soggetti coinvolti descrivono i problemi affrontati, le soluzioni scelte, i risultati ottenuti e gli eventuali apprendimenti che è stato possibile ricavare;

i progetti di Knowledge mapping consistono nel censimento delle conoscenze disponibili all’interno dell’organizzazione, con riferimento al tipo di conoscenza disponibile e al soggetto che la possiede;

i progetti di Improving Knowledge Enviroment, si tratta di tutti i progetti finalizzati a contribuire al miglioramento del contesto necessario al fine di favorire una corretta gestione della conoscenza nell’impresa.

Rientrano in tali progetti le politiche di incentivazione dal personale per la creazione ed il trasferimento della conoscenza e più in genere per il miglioramento della comunicazione dell’impresa.

I Knowledge management serve per creare valore per il cliente, che chiede di creare maggiore valore mediante il miglioramento della redditività.

Il Knowledge management viene applicato mediante marketing, decisioni strategiche, vendite e servizio al cliente.

La generazione del valore avviene mediante la riduzione dei costi, servizio al cliente, produttività, innovatività, velocità, apprendimento organizzativo, valorizzazione capitali intellettuali.


Capitolo 12

LA GESTIONE DELL’INNOVAZIONE (lezione 19)

L’innovazione è la principale via di sopravvivenza dell’impresa. Essa non può essere considerata come una politica di sviluppo, e quindi legata alle fasi di dinamismo aziendale, ma deve essere valutata come risultato di un processo continuativo e sistemico.

Oggi l’innovazione principale non è più innovazione tecnologica. Essa si pone infatti in senso più ampio quale profondo mutamento culturale che mette sotto esame le procedure e i prodotti aziendali allo scopo di valutare di possibilità di modifiche in linea con l’andamento del mercato, l’evoluzione delle tecniche produttive e il mutamento delle tendenze organizzative. L’innovazione tecnologica in senso stretto rappresenta l’innovazione come modalità economicamente vantaggiosa di risolvere i problemi alla sola area della produzione industriale. Innovazione tecnologica in senso ampio invece è l’applicazione di conoscenze, tecniche e strumenti per la risoluzione dei problemi, quindi non ci riferiamo più alla sola area tecnologica di produzione, ma anche alla tecnologia applicata alle altre aree funzionali dell’impresa.

L’innovazione è la combinazione di un’attività di un’attività di generazione di nuove idee, e di un’attività di sfruttamento commerciale, vale a dire ottenimento di un guadagno della vendita/applicazione dell’idea generata.

L’innovazione non può essere interpretata o gestita come evento statico, isolato, generato della sola forza creatrice e dall’inventiva del singolo imprenditore, ma è il risultato finale di un processo dinamico e sistematico che vede coinvolti più attori, e si sviluppa attraverso più sistemi diversi di risorse, da quello imprenditoriale, agli ambienti tecnico-scientifici, sociali ed economici in generale che stimolano o devono recepire le innovazioni.

L’innovazione principale non è più l’innovazione tecnologica. L’innovazione si pone difatti quale profondo mutamento culturale che concorre a mettere costantemente sotto esame le procedure e i prodotti aziendali, allo scopo di valutare la possibilità di modifiche in linea con l’andamento del mercato, l’evoluzione delle tecniche produttive, il mutamento delle tendenze organizzative. La varietà delle risorse, delle fonti e degli attori coinvolti nell’individuazione, adozione e diffusione delle soluzioni innovative, conduce ad inquadrare l’innovazione come la risultante di un processo continuo, gestito con successo. Questo modo di concepire l’innovazione rappresenta un importante superamento della separazione tra il percorso innovativo dal tipo technology-push, ossia attivato delle opportunità tecnologiche, da quello stimolato delle opportunità di mercato, o demand-pull.

La concezione sistemica e processuale dell’innovazione, dal suo momento di genesi fino alla sua diffusione nell’impresa ed al di fuori di essa, implica una visione integrata ed una gestione unitaria delle risorse tecnologiche, di mercato e di conoscenza in generale.

La classificazione delle innovazioni tecnologiche è quella tra innovazioni di prodotto, rivolte ad apportare variazioni alla gamma di vendita, di processo, intese a migliorare l’efficienza dei cicli di lavorazione, e di impianto, consistenti nella messa a punto d’impianti con più elevati coefficienti di rendimento.

Gli standard di qualità comprendono le scelte e le soluzioni richieste in ambito di processo, ad esempio procedure di testing, o di prodotto, ad esempio livello di difettosità, affinché vengano soddisfatte le aspettative dei clienti.

Gli standard di uniformità che consistono nell’affermazione sul mercato di soluzioni tecnico-commerciali di riferimento.


Capitolo 13

LA GESTIONE DELLE RISORSE UMANE

Una buona gestione delle risorse umane contribuisce a fronteggiare rischi e costi quali ad esempio sciopero, ritardi nei processi operativi e addirittura danni al patrimonio aziendale.

La risorsa umana diviene sempre più fattore di rigidità per l’impresa, per cui è importante disporre di una forza lavoro qualificata in relazione alle necessità che si vengono a generare. La programmazione del personale può avere un orizzonte temporale sia di breve che di lungo periodo.

La gestione delle risorse umane si pone al centro del processo di amministrazione dell’impresa. Il problema dell’efficienza, si concentrava nella necessità di fare crescere la produttività del fattore lavoro, sfruttando opportunamente le possibili combinazioni tra lavoro umano e meccanico.

L’attenzione particolare all’ambiente di lavoro, alle esigenze del lavoratore al di fuori della fabbrica, al processo d’integrazione tra obiettivi individuali e obiettivi dell’organizzazione. Il problema di gestione del fattore umano ha assunto più spiccate caratteristiche qualitative e si è incentivato nella ricerca di soluzioni appropriate per la creazione di elevate motivazioni del lavoratore a partecipare e a produrre.

Le problematiche di gestione delle risorse umane hanno raggiunto il loro massimo livello di importanza e di complessità per effetto dell’evoluzione del concetto d’impresa. L’addestramento del lavoratore si è collocato in posizione di assoluto rilievo poiché esso non doveva tradursi soltanto nell’insegnare ad usare una macchina e nell’apprendimento delle routine relative alla specifica mansione ricoperta, quanto piuttosto nell’allenare a decidere a migliorare le routine stesse, a produrre nuova conoscenza.

Nelle organizzazioni l’importanza delle risorse umane è da sempre rilevante in virtù del fatto che questo fattore non è riproducibile per cui è unico in natura.

La programmazione del personale è un attività necessaria a tutte le imprese, indipendentemente, quindi, dalle dimensioni e dell’attività svolta. La programmazione del personale può essere sia di breve sia di lungo termine: la prima coincide con l’anno, quindi è dettagliata e si traduce in un budget o piano del personale; la seconda interessa un periodo di tre/cinque anni e si basa su ipotesi di più ampia portata.

Gli obiettivi della programmazione del personale, sono:

la determinazione della quantità di personale e la specificazione dei requisiti e delle capacità richieste;

l’analisi delle possibili modifiche della struttura organizzativa, valutando le capacità e le potenzialità delle risorse interne;

l’individuazione delle eventuali necessità future, programmando le attività di sviluppo del personale, di reclutamento, di soluzione, di assunzione, di licenziamento e di out placement;

la predisposizione di piani formativi per l’adeguamento delle risorse.

Lo scopo da raggiungere è di assicurare all’impresa la disponibilità di risorse umane idonee alle necessità, tanto di breve che di medio lungo termine, in un’ottica di economicità globale. Ciò si traduce nella ricerca di flessibilità e non nell’individuazione di procedure decisionali rigide.

Dal punto di vista operativo, l’attività di programmazione si articola nelle seguenti fasi principali:

previsione del fabbisogno di lavoro in quantità e qualità;

analisi della disponibilità del personale interno e della reperibilità sul mercato esterno;

pianificazione dei flussi e delle attività di gestione del personale;

analisi dei risultati e adeguamento costante del piano occupazionale.

L’attività di programmazione del personale si basa sull’elaborazione ed interpretazione di dati sia interni sia esterni.

La struttura del sistema informativo si sviluppa attorno all’archivio del personale, con le relative statistiche descrittive, ed impiega le informazioni generate dall’analisi delle mansioni. Le principali informazioni gestite dal sistema riguardano: la composizione dell’organico, la sua dimensione economica, i risultati, il clima aziendale, la dinamica del personale.

L’assenteismo, cioè l’assenza ingiustificata e non predeterminata del lavoratore, rappresenta uno degli aspetti nodali delle scelte di programmazione del personale e ciò non solo per i riflessi che esso può avere sull’attività svolta dall’impresa, ma in quanto fatto espressivo del clima aziendale. Il tasso di assenteismo può essere calcolato sulla base di diversi parametri e si misura rapportando le assenze relative alle presenze potenziali.

Il turnover, cioè il tasso di rigiro del personale, è un altro elemento critico del processo di programmazione del personale.

Tra le attività svolte dalla funzione di direzione del personale vi è quella di acquisizione delle risorse umane. Questo consiste nel processo di adeguamento delle disponibilità alle necessità di lavorare dell’impresa. Le imprese non sempre riescono a trovare facilmente e presto le risorse umane adeguate. In più occasioni, precise scelte normative e di policy si sono poste come obiettivo proprio quello di formare delle figure professionali in grado di inserirsi rapidamente in un mercato del lavoro sempre più importato alla professionalità.

L’acquisizione del personale è preceduta, temporalmente e logicamente, dal reclutamento e dalla selezione, con cui ha inizio l’impegno dell’impresa per la valorizzazione del capitale umano. I costi di reclutamento e della selezione sono particolarmente elevati per cui, tranne nelle aziende di maggiori dimensioni, queste attività vengono generalmente esternalizzare verso operatori specializzati, che riescono a generare delle economie di costo trasferibili.

La ricerca e la selezione del personale rappresentano un momento di fondamentale importanza per l’impresa e per il lavoratore. Il reclutamento rappresenta lo strumento utilizzato dall’impresa per soddisfare la propria domanda di lavoro.

L’investimento in formazione è caratterizzata da incertezza (rischio) nei risultati e nei tempi di ritorno che possono anche essere lunghi, oltretutto, vi è pure un’elevata probabilità che i risultati diventino obsoleti incidendo negativamente sul rendimento dell’investimento stesso.

I metodi didattici più diffusi sono:

la lezione: un docente trasmette ai partecipanti informazioni e modelli inerenti ad una specifica materia;

esercitazione: i partecipanti, singolarmente o in gruppo, eseguono un esercizio o dei compiti secondo delle istruzioni impartite dal docente;

metodo dei casi: i partecipanti analizzano una situazione aziendale concreta per poi elaborare interpretazioni e proposte;

incidenti: il caso presentato ai partecipanti richiede un loro coinvolgimento nell’acquisizione delle informazioni necessarie per l’interpretazione e la soluzione di un problema;

role playing: i partecipanti assumono un ruolo di protagonisti di una situazione reale che sono chiamati a rappresentare in una discussione di gruppo;

in basket: viene simulata una situazione operativa chiedendo ai partecipanti di risolvere alcuni problemi gestionali attraverso una comunicazione scritta;

Business game: si simula una situazione di mercato che viene influenzata dalle decisioni prese dei gruppi di partecipanti per il raggiungimento di un obiettivo. E’ articolata su diverse tappe al termine delle quali a ciascun gruppo vengono resi noti i risultati ottenuti. Ai gruppi vengono attribuite le stesse risorse;

T-Group: il gruppo di partecipanti, con l’assistenza di un trainer, individua un tema di discussione ed organizza la sua attività nell’intento di promuovere rapporti collaborativi;

Brainstorming: si sollecitano i partecipanti a fornire le possibili soluzioni ad un certo problema in maniera spontanea ed immediata, quindi, senza ripensamenti o riflessioni. Le attività formative rivolte agli addetti devono assumere il carattere della continuità;

la valutazione del lavoro, tiene conto delle specifiche esigenze dell’impresa;

la valutazione del personale rappresenta un’attività propedeutica ad alcune politiche del personale tra cui quella retributiva. La retribuzione è uno tra i più importanti fattori governati dell’impresa per attrarre, trattenere e motivare la forza lavoro.

La retribuzione monetaria può avere due forme: fissa e variabile. La retribuzione fissa è determinata in base agli accordi contrattuali per cui non vi è alcuna discrezionalità; la retribuzione variabile è funzione di accordi tra le parti ed è collegata al raggiungimento di determinati risultati.

Le imprese che ricorrono a questa forma di retribuzione vogliono ottimizzare l’impiego delle risorse umane e tecniche, migliorando la produttività interna e la prestazione individuale.

Una tipologia di retribuzione variabile che assume il carattere di un incentivo è quella in base alla quale si attribuisce ai lavoratori una quota parte degli utili realizzati, rendendoli anche partecipi delle attività decisionali.

La politica retributiva si articola in:

livello della retribuzione: è determinato dalla combinazione del saggio medio della contrattazione collettiva, del saggio medio del mercato e della capacità retributiva dell’impresa;

struttura della retribuzione: definisce l’ammontare della retribuzione in relazione alle diverse posizioni;

dinamica della retribuzione: stabilisce le variazioni salariali in relazione al tempo.

Il mercato del lavoro in Italia evolve verso una struttura flessibile e dinamica in cui al posto fisso si affiancano forme di occupazione cosiddette atipica. La rigidità del fattore lavoro si traduce in un costo del lavoro prevalentemente fisso che condiziona la potenzialità economico-strutturale.

Il temporary management è la collocazione temporanea di manager altamente qualificati con il compito specifico di garantire la continuità all’interno di un’organizzazione.

Il processo di programmazione delle risorse umane prevede l’attività di pianificazione delle carriere del personale dipendente. Questa consiste nell’individuazione dei possibili itinerari di carriera determinando, per ciascun lavoratore, i tempi di permanenza nella singola posizione.

Gli itinerari di carriera contribuiscono a disciplinare il mercato interno del lavoro e fanno uso delle leve motivazionali. La possibilità di avanzamenti di carriera rappresentano per il lavoratore un incentivo a fare meglio per l’impresa in cui opera.

Gli itinerari di carriera si possono classificare in virtù degli scopi che si intendono perseguire. Le direzioni seguite negli itinerari possono essere: verticali, se cambia il livello gerarchico; orizzontali, se si modifica la posizione funzionale; trasversali, in caso in cui variano sia il livello sia la funzione.


Capitolo 14

I RATIOS (lezione 22)

Il cash-flow (flusso di cassa) rappresenta una misura dell’autofinanziamento in quanto esprime l’ammontare delle risorse finanziarie generate dalla gestione aziendale. Il cash-flow è dato dalla sommatoria dell’utile netto di esercizio e dalle quote di ammortamento e di accantonamento al netto degli usi oppure dalla sommatoria all’utile netto di esercizio delle sole quote di ammortamento al netto degli usi. Il cash-flow rappresenta la misura dell’autofinanziamento aziendale e, in quanto tale, è considerato espressivo, al meglio, del risultato della gestione.

Il cash-flow è ricavabile dal conto economico sommando al risultato netto dell’esercizio tutte le quote di ammortamento e tutte le quote di accantonamento sempre al netto degli usi.

Vi sono due analisi:

indici;

flussi.

Per i flussi si intende il prospetto fonti e impieghi. Per confrontarli ci vogliono due Stati Patrimoniale e un Conto Economico.

Gli indici sono indicazioni rilevanti che riguardano condizioni parziali in cui riversano economicamente le imprese.

Gli indici di performance economico-finanziario sono un insieme di misure economiche finanziarie sintetiche. Si fondono sulle relazioni tra le voci del bilancio e in generale fra i risultati contabili. E’ in genere “ritardato” rispetto ai fenomeni di gestione.

I ratios consentono:

apprezzare la situazione economico-finanziaria dell’impresa;

individuare le aree critiche della sua gestione;

analizzare le condizioni per un suo corretto sviluppo.

A patto di:

utilizzare combinazioni di indici;

confrontare gli indici con la storia dell’impresa e il settore;

verificare l’omogeneità dei diversi bilanci confrontati.

Le variabili chiave per controllare l’equilibrio sono:

economicità; liquidità; solidità; sviluppo; redditività.

Attraverso un sistema di indicatori che forniscono informazioni sulla salute delle relazioni/legami all’interno dell’architettura.

La solidità è l’attitudine dell’impresa a sopportare eventi interni o esterni negativi.

Porta a una correlazione equilibrata tra Fonti ed impieghi di capitale.

Indici di solidità

Margine di struttura (covering margin)

Mezzi propri – attivo fisso netto

Esprime la capacità dell’impresa di coprire gli investimenti in immobilizzazioni con fondi propri.

Indice di copertura delle immobilizzazioni

(capitale proprio + passività consolidate) / immobilizzazioni nette

La situazione ideale sarebbe se tutti gli investimenti a medio/lungo termine fossero finanziati con capitale di rischio.

Grado di indebitamento (leverage)

(debiti medio/lungo termine + debiti finanziari a breve) / mezzi propri

Esprime il rapporto tra mezzi di terzi e i mezzi propri dell’azienda.

La liquidità è la capacità dell’impresa di far fronte a tutte le uscite monetarie che lo svolgimento della gestione comporta.

Indici di liquidità

Indice di disponibilità (current ratio)

(attivo circolante) / (debiti finanziari a breve + debiti commerciali a breve)

Esprime il rapporto tra speranze di incasso a breve ed impieghi di pagamento a breve.

Indice di liquidità (quick ratio)

(Attività a breve) / (passività a breve)

Evidenzia il grado di liquidità dell’azienda.

Capitale circolante netto operativo CCN

(scorte + crediti commerciali) – debiti

Esprime il fabbisogno finanziario di breve creato dalla gestione caratteristica operativa.

La redditività è l’attitudine dell’impresa a produrre reddito, ossia remunerazione del capitale.

Indice di redditività

Roe (return on equity)

(reddito netto) / ( mezzi propri) esprime il rendimento che gli azionisti ottengono dall’impresa.

Roe= [(utile netto) / (vendite)] * [(vendite) / (capitale investito)] * [(capitale investito) / ( capitale netto)] = (utile netto) / capitale netto)

Roi (return on investiment)

( reddito operativo) / (attivo fisso netto + capitale circolante netto operativo)

Esprime il rendimento medio degli investimenti che l’impresa ha effettuato per la sua attività operatività.

Roi= [(reddito operativo/ricavi)]*[(ricavi/capitale investito)]= (reddito operativo) / (capitale investito)


Ros turnover

Tasso di rotazione del capitale investito (turnover)

(fatturato netto) / ( attivo fisso netto + capitale circolante netto operativo)

Esprime quante vendite creano 1 euro di investimenti effettuati.

Ros (return on sales)

(reddito operativo) /( fatturato netto)

Esprime quanto l’impresa riesce a trattenere come reddito operativo.

Lo sviluppo è l’attitudine dell’impresa ad accrescere le sue dimensioni, senza pregiudicare la sua esistenza ed autonomia.

Indici di durata

Rotazione crediti commerciali

( crediti commerciali / vendite) * 365

Rotazione debiti commerciali

(deviti vs fornitori/vendite) * 365

Rotazione magazzino


Indicatori di efficienza sintetici

Reddito cash-flow margine operativo

Cash-flow finanziario = utile netto + ammortamenti + accantonamenti

Cash-flow reddituale = utile netto + ammortamenti

Free cash-flow = Cash-flow reddituale +(-) accantonamenti +(-) variazione capitale circolante netto +(-) capitale fisso +(-) indebitamento a medio/lungo termine.


IMMATERIALI D’IMPRESA, S.I.A. (lezione 9)

Gli immateriali di impresa sono qualcosa di intangibile che si trova all’interno dell’impresa. Gli immateriali non sempre sono iscritti in bilancio, essi fanno si che l’impresa sia quella impresa e non altre. La letteratura americana parla degli intangibili come delle competenze.

Gli intangibili si dividono in: competenze firm specific, brand image, brand equità, knowledge, script organizzativi, sistema informativo, cultura d’impresa.

Lo script è formato da una serie di routine che possono evolvere. I comportamenti sono sempre quelli, che si evolvono essendo estremamente personali, script insieme di routine da attivare.

Brand image consiste nell’immagine della marca. Sono aspetti che danno pregio o valore alla marca quanto tale.

Brand equity: è il capitale di marca. La valutazione della marca non può essere data, dipende dalle relazioni preferenziali, mentali. Non è possibile dare una valutazione economico della marca.

Knowledge: consiste nell’insieme di competenze.

Quali competenze? : le competenze sono l’insieme delle conoscenze (tecnologiche, operative, marketing) possedute dall’impresa e rese distintive (uniche / idiosincratiche) dal loro originale utilizzo a fini imprenditoriali.

La gestione delle competenze consiste che affinché le competenze possano generare un vantaggio competitivo sostenibile occorre:

identificare le aree funzionali dove risiedono;

valutare l’eventuale scostamento dai livelli di performance della concorrenza: benchmarking;

analizzare le dinamiche evolutive dei settori e dal portafoglio di competenze.

La casual ambiguità: consiste in vantaggi che derivano dalle competenze e che non sono direttamente misurabili. Non è possibile, cioè identificare un nesso casuale diretto tra una competenza e il vantaggio competitivo conseguito dall’impresa.

I requisiti dell’informazione prodotta consistono nell’informazione che deve essere precisa, completa, chiara, tempestiva ed economica.

Possono essere classificate in base ai criteri:

Campo di riferimento { gestione, mercato e ambiente

Periodo di riferimento { storiche, attuali e prospettiche

Continuità { indotte e non indotte

Fonte di raccolta { interne ed esterne

Il sistema informativo aziendale consiste nell’insieme di persone, di procedure e di apparecchiature finalizzate ad acquisire, elaborare e condividere informazioni utili alla gestione.

La progettazione del S.I.A. consiste nel modello di struttura organizzativa – caratteristiche; processo decisorio – grado di automazione flussi informativi; definizione degli obiettivi – ricerca di soluzioni organizzative – valutazione vincoli interni ed esterni.

TECNICHE DI PREVISIONE DELLE VENDITE (Lezione 20)

La previsione deve servire ad anticipare gli effetti di decisioni che, assunte oggi, sono destinate a produrre nel tempo i loro risultati. Ed è proprio la componente revisionale che, incidendo direttamente sul rischio di gestione, qualifica la funzione imprenditoriale.

Possiamo ribadire che l’intera vita aziendale è regolata sulla base di congetture o ipotesi proiettate variamente nel futuro in rapporto ai tempi ritenuti necessari per tradurre obiettivi, politiche e azioni di gestione in risultati economici.

Tecniche revisionali

I problemi che si pongono nella formulazione delle previsioni di vendita riguardano soprattutto la scelta del metodo da applicare. Questa concerne non solo la selezione di certe tecniche revisionali ma anche l’analisi del quadro di riferimento delle stime da comporre.

Precisare il quadro di riferimento significa definire le modalità del processo revisionale, in modo da orientare rispetto ad esse la scelta delle tecniche più opportune.

Quest’ultima dipenderà da molti fattori tra i quali si possono indicare:

  1. il grado di analisi e di precisione delle stime finali (previsioni globali);
  2. lo stato di vita di un prodotto (nuovo, maturo);
  3. l’orizzonte temporale delle stime;
  4. la concentrazione e la natura della domanda;
  5. i dati esistenti;
  6. il tempo e le risorse disponibili.

Le tecniche revisionali possono essere inquadrate in 3 tipi di metodi o procedimenti generali:

a)   metodo temporali, basati sull’analisi storica e sulla prospezione di serie temporali di dati;

b)   metodi casuali, impostati in termini di relazione causa-effetto o sulla base di modelli analogici;

c)   metodi qualitativi, fondati sul giudizio e sulle valutazioni del personale impegnano nell’attività di vendita o su stime esterne.

Le tecniche che rientrano nei metodi temporali si fondano sul principio delle regolarità storiche, cioè sull’ipotesi della continuazione tendenziale di certi fenomeni. Partendo infatti dai dati passati si tenta di prevedere i valori che tali fenomeni assumeranno negli anni avvenire.

Vi sono dei limiti a questa tecnica, infatti si deve disporre di una serie storica lunga a sufficienza per poter ricavare una tendenza attendibile alla domanda; altro limite è posto dall’andamento della domanda che nella ipotesi di uno sviluppo esplosivo, o comunque del tutto irregolare, non può essere stimata sulla base di una sua prosecuzione tendenziale nel tempo.

I metodi o i modelli causali sono frequentemente usati in quanto tentiamo di pervenire alle stime di vendita in base al movimento di una serie di fattori. Si tratta di modelli matematici composti da più variabili mediante i quali si stabiliscono dei nessi di interdipendenza tra i valori di un fenomeno e le sue cause determinanti.

La previsione si fonda sul principio della regolarità di struttura che lega più fenomeni di cui uno è considerato effetto degli altri.

Le tecniche principali sono la correlazione e la costruzione di matrici input – output. Quest’ultima detta anche matrice delle interdipendenze settoriali, è usata per previsioni sull’andamento di interi comparti produttivi e serve a livello aziendale per valutare la domanda di beni industriali.

I metodi qualitativi sono utilizzati quando non è possibile ricorrere ad altra via sia in aggiunta ai metodi matematico-statistici visti in precedenza. La formulazione di stime da parte del personale di vendita o interrogando direttamente i consumatori con apposita indagine di mercato, può infatti fornire elementi precisi, per confermare gli studi condotti.

In certi casi il ricorso ai metodi qualitativi è imposto dalle circostanze e dall’assenza di alternative valide sotto il profilo puramente qualitativo.

L’uso di tecniche qualitative si presenta opportuno per valutare l’andamento di mercati in rapido sviluppo. Esso è possibile per previsioni a breve scadenza e soprattutto a lungo in quanto tali metodi, pur peccando in accuratezza riescono a fornire delle indicazioni di tendenza utili per orientare le strategie aziendali. Tra le tecniche qualitative si includono solitamente le ricerche di mercato.

Le previsioni possono essere di diverso tipo (economico-generale, sociali, tecnologici) li occupiamo delle previsioni di vendita, cioè delle stime espresse in unità fisiche monetarie o convenzionali, delle quantità di prodotto collocabili sul mercato in un periodo di tempo futuro. L’impresa intende conoscere in anticipo quale potrà essere l’assorbimento dei suoi prodotti in modo da programmare gli investimenti.

La previsione delle vendite stima delle quantità di prodotto collocabili sul mercato in un periodo di tempo futuro.

Le fasi del processo di previsione delle vendite sono:

analisi della domanda  previsione di mercato

determinazione quote aziendali di vendita previsione delle vendite

definizione del volume di vendita raggiungibile    obiettivo di vendita.

Tecnica di correlazione

La tecnica di correlazione si basa sul concetto di analogia, poiché mira a valutare l’andamento di un fenomeno in rapporto ad uno o più fenomeni correlati al primo. L’ipotesi è quella di un comportamento analogo delle successioni di valori posti a raffronto per cui, se in futuro si verificheranno certe variazioni nel fenomeno cosiddetto indipendente, si può prevedere quali saranno le variazioni del fenomeno dipendente.

Le fasi sono cinque, e sono:

scelta del fenomeno paragone (analisi di correlazione);

definizione dei parametri di conversione del fenomeno paragone nel fenomeno base (ricerca di una curva di regressione di forma nota);

previsione andamento futuro del fenomeno paragone;

previsione vendite complessive del settore dell’azienda;

previsione vendite aziendali.

I° FASE

Indice di correlazione

- 1 (max correlazione inversa)

ΣSx Sy

r = 0 (assenza di correlazione)

N σx σy

+ 1 (max correlazione diretta)



σx = Σ(Sx )2 / N N = numero osservazioni σx = Sqm


II° FASE

Una volta verificata l’esistenza del legame tra i due fenomeni si devono individuare i legami matematici tra le due serie storiche con l’analisi di regressione.

yi b xi

A = - = y – bx y = a + bx

N N Dove x = valore del fenomeno paragone


Σ Sx Sy y = valore del fenomeno in studio

b =

Σ (Sx)2


III° e IV° FASE

Y = a + b x


Valori futuri valori futuri

Variabile dipendente variabile indipendente


V° FASE

Stimate le vendite relative all’intero mercato per il prossimo anno, si procede con l’individuazione della quota di mercato che l’impresa ritiene di potere detenere, e si deriva la previsione delle vendite aziendali.


PROGRAMMAZIONE RETICOLARE (lezione 20 bis)

La programmazione reticolare è uno strumento di pianificazione e di controllo di breve termine che consente l’ottimizzazione dei costi e dei tempi totali di un progetto. La programmazione reticolare ha l’obiettivo di fondo di ridurre i tempi e i costi di determinati programmi e progetti, e viene effettuata per individuare, e quindi correggere, eventuali scostamenti provati dall’esterno. Essa rientra tra i modelli di applicazione della ricerca operativa e si divide nella tecnica del periodo critico e la tecnica del Pert. Le due tecniche si differenziano per il fatto che la prima individua in maniera certa il tempo e i costi di attività, essendo un modello deterministici, mentre la seconda individuerà tali fattori mediante stime e congetture. Entrambe le tecniche permettono l’ottimizzazione dei tempi e dei costi mediante l’individuazione di una successione e interdipendenza tra le varie attività. Infatti tali tecniche richiederanno:

la ripartizione del progetto in più attività;

l’individuazione della successione e dell’interdipendenza tra le varie attività;

la rappresentazione grafica dell’analisi;

la determinazione dei tempi totali del progetto;

elaborazione piano operativo di supporto;

controllo.

Un progetto è un insieme di attività interpellate il cui svolgimento può essere simultaneo o sequenziale.

Un’attività è un unità elementare di lavoro che deve essere completata per lo svolgimento del programma di lavoro.

Alcune attività possono essere svolte simultaneamente o propadeticamente.

Le utilità del reticolo sono:

le attività di un progetto possono essere utilmente rappresentate da un reticolo;

il reticolo è un utile strumento grafico che evidenzia il fabbisogno di tempo e il rapporto sequenziale tra le attività.

Le tecniche di programmazione reticolare sono:

deterministiche (critical path method), dove la durata di un evento è nota;

probabilistiche (program evolution review techique), dove la durata di un evento non è nota, ma è stabilità mediante una stima.

La determinazione dei tempi potrà avvenire in molti modi, anche complementari; l’applicazione di una tecnica reticolare richiederà 4 fasi:

  1. pianificazione attività;
  2. costruzione reticolo; programmazione tempi;
  3. determinazione percorso critico;
  4. controllo dei lavori.

1. Pianificazione attività: individuazione di tutte le attività del progetto assegnando ad ognuna un codice.

L’attività consiste nella fase di lavoro necessaria per passare da una situazione all’altra, cioè passare dall’evento Ax,y X all’evento Y.

Evento consiste nell’inizio o nella fine di un’attività. X


Attività sequenziali e parallele

A2,3 3 A3,5 A2,3 e A3,4 possono essere svolte anche simultaneamente.

A1,2

A3,4 4 A4,5 A3,5 necessità che siano svolte le attività A1,2 e A2,3


2. Programmazione tempi attività: cioè stimare il tempo necessario per ogni attività.


36

18

20

  Tempo al più tardi

Tempo al più presto


Codice evento


Definizione tempi attività sono:

tempo al più presto: si sommano i tempi delle attività lungo ogni percorso che dall’evento iniziale conduce all’evento considerato e si sceglie il valore maggiore;

tempo al più tardi: si sottrae dalla durata dell’evento finale i tempi delle attività che si trovano lungo il percorso e si sceglie il valore minore;

tempo di slittamento: consiste nella differenza tra il tempo al più presto e il tempo al più tardi.

Essi verranno rappresentati nell’evento.

Dati per la costruzione del reticolo

Codici   attività propedeucità evento durata

A0,1 predisposizione prototipo - 1 1

A1,2 ricerca e redazione testi A0,1 2 12

A1,3 ricerca immagine A0,1 3 9

A2,3 correzione bozze A1,2 4 1

A3,4 stampa e rilegatura A1,3 A2,3 4 3


Costruzione reticolo

13

13

 









3. determinazione percorso critico: dato dalla somma dei tempi delle attività che si trovano sul percorso più lungo (durata) partendo dall’evento iniziale a quello finale. Gli eventi e le attività che si trovano sul percorso critico non ammettono slittamento.

Percorso critico: somma dei tempi delle attività lungo il percorso più lungo in termini di durata partendo dall’evento finale fino all’evento iniziale.

Attività critiche: sono quelle attività il cui ritardo nello svolgimento si ripercuote sulla durata programmata.

Attività non critiche: hanno un tempo in eccedenza.

Percorso critico del reticolare











TECNICHE DI VALUTAZIONE DEGLI INVESTIMENTI (lezione 21)

Un investimento è caratterizzato da un esborso finanziario, generalmente iniziale, e da entrate monetarie in una fase successiva.

L’investimento comporta la creazione di valore, che avviene attraverso la generazione di ricchezza incrementale. Il rendimento derivante dal progetto deve essere superiore al suo costo opportunità, il costo opportunità consiste nel rendimento che si avrebbe investendo in un altro progetto a pari rischio.

Nella valutazione di un investimento bisogna considerare tutti i cash flow generati dal progetto, e bisogna considerare il tempo in cui si verificano i cash flow.

I principali metodi di valutazione degli investimenti sono:

1) metodo della redditività dell’investimento (return on investiment);

2) metodo del periodo di recupero (pay-back-period);

questi due non tengono conto del tempo.

3) metodo del tasso di redditività attualizzato (discount ed cash-flow)

4) metodo del valore attuale (present value)

5) metodo del valore finale (terminal value).

Tengono conto del tempo.

La loro applicabilità dipende dalle previsioni di certe grandezze: costo del capitale, tassi di reinvestimento ect.

Gli investimenti del tipo Pico (point-input, continuos output): è un esborso unico seguito da un complesso di entrate di entità variabile e variamente susseguitesi nel periodo di vita dell’investimento.

L’analisi della redditività misura la profittabilità e la convenienza dell’investimento. Comunque la decisione è legata al presumibile ritorno del capitale investito. Se la valutazione è in base alla redditività complessiva bisogna stabilire non solo il criterio per la valutazione ma anche la proiezione temporale della misurazione stessa. Anche nell’ipotesi di una valutazione fondata sul tasso annuale medio di reddito sarà comunque necessario stabilire oltre al criterio di calcolo del tasso, il periodo da considerare in modo da valutare la media degli incassi del progetto.

Il periodo di recupero (misura la rischiosità) misura il lasso di tempo entro cui gli incassi (inflow) ottenibili, riescono a reintegrare il capitale impegnato.

Assume un’importanza decisiva la determinazione del pay-back-period. Questo tiene conto esclusivamente della rischiosità, quando infatti ci si rende conto dell’impossibilità di un rapido reintegro del capitale investito si può decidere di non attuare il progetto. L’analisi del tempo di recupero misura non solo la durata di esposizione al rischio del capitale investito ma consente di misurare anche l’onerosità del finanziamento dell’operazione stessa. Un più rapido rientro dei fondi impiegati permette infatti all’azienda di moltiplicare le occasioni di investimento. Quindi il pay-back-period misura unicamente la durata di esposizione al rischio del capitale immobilizzato.

L’analisi della redditività attualizzata consente di ovviare agli inconvenienti, andando a misurare il valore del denaro. Questo è stabilito oggettivamente dal mercato e soggettivamente dall’investitore. Il valore del denaro è tanto minore quanto più la sua disponibilità si allontana nel tempo. Con questo metodo si attualizzano i redditi futuri derivanti dall’investimento in modo da permettere una migliore comparazione dei progetti alternativi.

Le caratteristiche di questo criterio sono:

le stime devono riferirsi ai veri flussi di cassa e non secondo il criterio di competenza;

occorre tenere conto di tutti i costi e benefici connessi al progetto;

i costi già sostenuti e non più recuperabili non devono essere inclusi nel calcolo;

per le risorse già presenti presso l’azienda ed utilizzare nel progetto, deve essere calcolato il relativo costo-opportunità;

non deve essere attribuita al progetto alcuna quota parte per i costi fissi;

l’inflazione deve essere opportunamente considerata;

tra gli esborsi di cassa del progetto non vanno considerati gli oneri finanziari.

Una volta determinati i flussi di cassa generati dal progetto i metodi a cui di rifà l’analisi della redditività attualizzata, sono generalmente 2: il tasso interno di rendimento (internal rate of return) e il valore attuale netto (net present value) o Van.

Il primo individua il tasso di attualizzazione che rende uguali il flusso di introiti e di esborsi. In formula indichiamo Ei il flusso di introiti e con Ui il flusso di esborsi e con X il tasso di attualizzazione da ricercare, si ha : Σ (Ei-Ui)(1+X)-i =0.

Una volta trovato questo tasso la convenienza dell’investimento potrà essere valutato in funzione della differenza fra questo tasso e quello da corrispondere per il reperimento dei fondi necessari.

Per l’applicazione del metodo del valore attuale netto si assume un tasso di attualizzazione pari a quello del costo del capitale in modo da determinare il valore attuale del progetto. In formula si ha: VAN = Σ (Ei-Ui)(1+C)-i.

Il progetto risulterà tanto più conveniente quanto più elevato sarà il suo valore attuale netto.

Il limite sta nella difficoltà di ricostruire il flusso di introiti derivanti dall’investimento, in effetti i calcoli si basano sulle previsioni e i risultati sono accolti in termini indicativi.

Il metodo del valore finale tiene conto delle opportunità di reinvestimento degli inflow via via derivanti dal progetto di investimento. Il Tir come il Van considera la possibilità di reinvestimento a differenza che con il Tir si considera il tasso interno di rendimento. Il metodo del valore finale si differenzia dal Tir e dal Van per il fatto che si attua una valutazione combinata con tassi variabili per la quale oltre a prevedere gli inflow e gli outflow bisogna considerare l’eventuale variazione dei tassi di rendimento dei capitali reintegrati e dei costi di capitale.

Tutte le tecniche di valutazione presentano dei limiti interni ed esterni, quali la non considerazione del tempo, problemi applicativi che riducono il valore dei risultati economici.

Le tecniche matematiche sono importantissime perché pur non essendo considerate tecniche di decisione, servono però ad indirizzare le scelte imprenditoriali.

La teoria delle opzioni parte difatti dall’assunto che l’investimento con i suoi flussi di cassa può generare ulteriori opportunità di investimento e che queste ultime saranno più o meno ampie in funzione non solo della velocità di ritorno del capitale investito ma anche dalla possibilità di modificare o abbandonare l’investimento in corso.

Le opzioni strategiche individuate in teoria sono 4:

opzioni di sviluppo, ovvero opportunità di crescita aziendale offerte dall’attualizzazione dell’investimento;

opzioni di abbandono, per interrompere il progetto di investimento;

opzioni di differimento, correlate alla possibilità di scelta del tempo dell’investimento i cui effetti non possono essere influenzati da comportamenti più tempestivi della concorrenza;

opzioni di flessibilità, legate alla possibilità di modificare l’investimento intrapreso a seguito del modificarsi dell’ambiente esterno.


BALANCE SCORECARD (applicazione 1)

L’obiettivo della balanced scorecard è quello di proporsi come alternativa ai tradizionali sistemi di rilevazioni dell’efficienza aziendale, allargando lo spettro di prospettive da monitorare per una valutazione complessiva della performance d’impresa.

L’innovatività del modello consiste principalmente nell’affiancare agli indicatori economici-finanziari misure, anche qualitative, espressive degli obiettivi aziendali di medio-lungo termine.

I limiti di tale strumento di controllo sono direttamente collegabili all’estrema soggettività che caratterizza la sua costruzione, rendendolo molto utile per comparazioni temporali, ma pressoché inutilizzabile per quelle spaziali.

La balanced scorecard è uno strumento dinamico di valutazione della performance e di ridefinizione della strategia aziendale. La nuova strategia della BSC si traduce in base alla vision e strategia: Finanziaria: come dovremmo apparire ai nostri azionisti; Processi operativi: per soddisfare i clienti in quali processi aziendali dobbiamo eccellere; Clienti: come dovremmo apparire ai nostri clienti; Apprendimento e innovazione: come alimenteremo la nostra capacitò di migliorare.

La scheda di valutazione della BSC consiste nelle prospettive e nelle valutazioni. Le prospettive sono economico/finanziario con obiettivi operativi; processi operativi con indicatori di performance; clientela con i target; apprendimento e innovazione con iniziative strategiche.

La prospettiva dei clienti guarda l’organizzazione con gli occhi dei suoi clienti.

Customer satisfaction: consiste sul giudizio sulla qualità dei servizi offerti, numero accessi ai servizi informativi.

Customer loyalty: % utilizzo fidelity card e numero abbonamenti.

Quote di mercato: fatturato aziendale / fatturato totale area.

La prospettiva dei processi interni consiste nei focus sui processi interni in cui eccellere.



Sviluppo modalità alternative d’acquisto: % prenotazioni on line e % ai botteghini automatici.

Produttività personali: numeri biglietti emessi per addetto, minuti di attesa al botteghino.

Organizzazione capacità: tasso utilizzo struttura.

La prospettiva economica-finanziaria consiste nei focus sugli indicatori tradizionali.

Miglioramento redditività: Roi e Roe.

Riduzione tasso indebitamento: Capitale di terzi / Capitale investito.

Economicità gestione: Costo noleggi / Ricavi totali.

La prospettiva dell’apprendimento e dell’innovazione riguarda le infrastrutture per la crescita ed il miglioramento.

Aggiornamento costante tasso tecnologico: incrementi servizi offerti, numero postazioni telematiche.


CASO MENTADENT CHEWING GUM (applicazione 2)

(Applicazione strategie competitive)

Confectionary e chewing gum

Nel mondo anglosassone, quando si parla di mercato confectionary, si intende l’insieme di prodotti alimentari dell’area dolciaria ascrivibili al settore caramella e chewing gum. L’azienda leader nel mondo è Adams, facente parte del gruppo multinazionale americano Warner-Lambert, una conglomerata che estende le sue competenze dal mondo chimico a quello farmaceutico, dai prodotti per la cura del corpo agli alimentari.

Il signor Adams nel 1860 inventò la gomma da masticare: lavorando una speciale resina gommosa che cola dalla corteccia di alcune pianti tropicali, a cui diede la forma di palline o barrette e aromatizzandole con gusti di frutta della California, ottenne il primo prodotto commercializzato col nome di chewing gum.

Adams seppe costruire su questo prodotto un impero economico che col tempo si estese sia geograficamente sia dal punto di vista produttivo.

Adams vs. perfetti

I prodotti principali di Adams sono i bubblegum, bubblicious e bubbaloo, i chewing gum, chiclets, dentyne, clorets e trident; le caramelle saila, halls, vita-c, certs, charms e sanatola. Taluni di questi prodotti in Italia non sono ancora stati commercializzati. A tutt’oggi la Adams è diffusa in numerosi paesi del mondo, con molti siti produttivi specializzati, è leader mondiale con posizioni dominanti in tutto il continente Americano ed in alcuni paesi Europei come Spagna, Portogallo. In Italia la situazione è diversa poiché l’azienda si trova nell’incomodo ruolo di n°2 del mercato, essendo giunta in questo mercato in tempi relativamente recenti ed il leader, la Perfetti ha una posizione dominante.

Il signor Perfetti oltre 40 anni fa seppe cogliere l’opportunità di business che proveniva dall’America ed in Italia non era stata ancora sfruttata e lanciò le prime gomme da masticare, dando loro una fortissima immagine americana (Brooklin), pur essendo prodotte in provincia di Milano e non avendo nulla a che fare con alcunché al di fuori della pianura padana. Si può dire che in Italia creò dal nulla un mercato, mantenendo la posizione dominante nel tempo.

Storia mercato italiano

All’inizio si consumava un chewing gum per assaporare un pezzo d’America, perché dava sicurezza, rendeva sbarazzini. Anche la comunicazione cavalcava per lo più il mito americano, le praterie.

L’unico contro era rappresentato dai bubblegum, le palline di gomma per fare i palloni, che si compravano nelle macchinette che vennero soppiantate con l’arrivo negli anni 70 di Big Babol, più igienico in volto singolarmente e con tanti nuovi gusti.

Ad inizio anni 80 hanno iniziato a farsi sentire i primi vagiti di posizionamento funzionalista anche in questo mercato e nacquero i Vivident, che come recitava Bjorn borg era il primo chewing gum senza zucchero, ed Happydent la gomma che non si attacca al lavoro del dentista. Non furono dei flop ma rimassero per anni prodotti di nicchia.

Ad inizi anni 90 Adams si appresta ad entrare sul mercato italiano, col suo prodotto di punta: trident, leader in mezzo mondo. Si trattava di una gomma con un forte carattere di innovatività dal punto di vista sia del prodotto che del formato, confezionate in bustine da cinque pezzi. Il posizionamento venne collocato nell’area gusto.

Adams e il mercato italiano

Da un punto di vista marketing il prodotto da un lato era troppo innovativo e la tavoletta non venne capita, dall’altro giunse in Italia con un posizionamento già vecchio perché la battaglia si stava facendo sul terreno dell’alito fresco e non più in quello del gusto. Anche l’essere senza zucchero non era più di per se un supporto rilevante al concetto. Da un punto di vista commerciale Adams sottovalutò la potenza distributiva di Perfetti che contrastò in tutti i modi il collocamento dal nuovo prodotto e così il grosso degli investimenti pubblicitari, già programmati, si concentrò in un periodo in cui la distribuzione di Trident non era intensiva.

Evoluzione dei segmenti di mercato

Nel corso degli anni 90 ci fu un’ulteriore evoluzione dei gusti, totalmente radicale. Il mercato dei chewing gum registrava da alcuni anni un periodo di stasi, con un calo lieve ma costante del formato lastrina a favore del confetto. Anche l’essere senza zucchero stava diventando sempre di più un elemento discriminatorio nell’acquisto di un chewing gum.

In una prima fase questo nuovo posizionamento “igienico orale” venne sfruttato in termini più emozionali, soprattutto su brand che già da tempo avevano un immagine più salutista.

In un secondo tempo venne lanciata una nuova gomma, con un posizionamento esclusivamente funzionalistico nell’area oral core. L’advertising televisivo è paragonabile a quello di un dentifricio, in modo da rendere questo chewing gum succedaneo di spazzolino e dentifricio.

Analisi di mercato Hygiene Oral Core

Dall’analisi del mercato emerge che i principali attori del mercato oral core in Italia sono: Procter e Granible con il marchio AZ comprato da Pierrel negli anni 80, Smithkline-Becham con Acquafresh e Macleens, Colgate-Palmolive con il marchio omonimo, Stafford-Miller con Sensodyne ed infine Lever-Fabergè (ulnilever) con Mentadent.

Un’azienda su tutte appare la più valida nel contesto oral core, Mentadent, infatti, oltre ad essere il leader di mercato, risulta avere la piattaforma strategica più solida.


MISURAZIONE DI EFFICIENZA DELLA FUNZIONE “VENDITE” (applicazione 3)

L’analisi dei costi di distribuzione

L’analisi di questi costi di distribuzione rappresenta uno strumento di controllo di efficienza della gestione dell’area commerciale ed un possibile supporto alle decisioni di politica distributiva. Il limite principale consiste nella difficoltà di imputazione delle diverse voci di costo ai centri di riferimento utilizzati per l’analisi, nonché nel riordino e riclassificazione dei dati contabili da cui devono derivarsi le informazioni utili ai fini del controllo.

L’analisi del costo di distribuzione rappresenta uno dei principali strumenti a supporto delle decisioni di marketing.

L’analisi del costo di distribuzione è un modo per capire quanto costa vendere un prodotto e l’adeguatezza degli oneri sostenuti. Può avvenire attraverso il controllo dell’efficienza del sales management dal punto di vista dei costi; e da un supporto alle politiche di distribuzione.

L’analisi del costo di distribuzione non ci serve per capire in assoluto se le vendite sono efficienti, ma ci aiuta a capire quanto stiamo spendendo per vendere i nostri prodotti. Quindi, definisco il prodotto e il prezzo, scelgo il canale di distribuzione; se le vendite vanno bene, l’analisi del costo di distribuzione mi aiuta a capire se sto spendendo troppo per vendere quel prodotto e se esistono modi alternativi per spendere di meno.

Le procedure sono:

analisi funzionale o per attività di vendita (promozione, stoccaggio, esecuzione vendite, trasporto);

analisi soggettiva o per oggetto di spesa (fitti, stipendi, oneri finanziari, etc).

Metodi:

Le metodologie contabili disponibili per effettuare le misurazioni in questione sono fondamentalmente due: quella del costo diretto (o direct costing) e quella del costo pieno (o full costing). Nell’ambito dei costi di distribuzione sussistono difatti sia <<i costi diretti>>, cioè quelli direttamente attribuibili all’oggetto di analisi, sia <<i costi indiretti>>, che richiedono invece un trattamento diverso, la cui affidabilità e precisione dipende dalle scelte effettuate con riferimento ai criteri di imputazione. E’ chiaro che i risultati cui si giunge attraverso le suddette metodologie di analisi sono sostanzialmente differenti: il direct costing evidenzia delle <<contribuzioni lorde>>, la cui portata informativa è forse maggiore in un’ottica gestionale rispetto ai <<risultati netti>> ottenibili con il full costing, che però ha dalla sua il plus della completezza, prendendo in considerazione tutti i costi di distribuzione.

La teoria del costo pieno applicata nell’analisi soggettiva genera <<risultati lordi>>, la cui somma algebrica è pari al profitto aziendale complessivo; se si decide di fermarsi al livello dei soli costi diretti si ricavano valori che includono le spese indirette e il profitto dell’impresa. La tecnica del costo pieno si pone l’obiettivo di ripartire fra le diverse sotto-funzioni commerciali l’insieme dei costi afferenti alle attività distributive, mentre il direct costing tiene in considerazione soltanto gli oneri strettamente connessi allo svolgimento delle diverse sotto-funzioni.

Full Costing: Costi diretti + Costi indiretti non direttamente imputabili all’oggetto

Direct Costing: Costi diretti direttamente imputabili all’oggetto del analisi


PROGRAMMAZIONE E CONTROLLO DELLE SCELTE FINANZIARIE D’IMPRESA (applicazione 4)

La gestione finanziaria è il complesso di decisioni e di operazioni volte a reperire e a impiegare i fondi aziendali.

Gli obiettivi della gestione finanziaria sono:

Equilibrio economico    favorire il divario positivo tra ricavi e costi;

Equilibrio finanziario    Fonti e Impieghi di capitale;

Equilibrio monetario Entrate ed Uscite.

Le decisioni di investimento devono offrire adeguati ritorni economici, essere finanziate con le fonti più appropriate e con un controllo preventivo e concomitante dello stato di liquidità dell’impresa, in modo da non generare situazioni in cui le uscite superano le entrate con rischi conseguenti di illiquidità.

Nella scelta delle fonti, bisogna tener conto di una serie di aspetti fondamentali, quali:

il tipo di fabbisogno finanziario da coprire, legato alle scelte di investimento;

il rispetto di una serie di principi e criteri che rendono equilibrate la struttura finanziaria;

il grado di rischiosità dell’attività d’impresa;

la situazione dei mercati finanziari ed il potere contrattuale dell’azienda nei confronti dei potenziali finanziatori.

Nel processo decisionale di scelta delle fonti è necessario fare riferimento ad una serie di parametri quali:

omogeneità, compatibilità tra le fonti finanziarie e le tipologie d’investimento da coprire;

elasticità, possibilità di ampliare le fonti finanziarie dell’impresa;

flessibilità, possibilità di variare la struttura finanziaria a seconda delle variazioni in termini di fabbisogno;

economicità, ricorso a scelte economicamente convenienti che consentano la massimizzazione dello spread tra redditività degli investimenti e costo del capitale di finanziamento.

L’obiettivo del manager finanziario è quello di assumere scelte che consentano il raggiungimento di un adeguato equilibrio tra i diversi criteri, assicurando una struttura finanziaria in cui le fonti risultino omogenee rispetto agli impieghi, non eccessivamente rigide, adeguatamente elastiche ed economicamente convenienti. I suddetti criteri vanno collegati ai tre obiettivi economico-finanziari di fondo dell’impresa, e cioè l’obiettivo di redditività, quello di solvibilità, ed il principio di liquidità.

Per quanto riguarda il terzo aspetto, è necessario considerare il grado di rischiosità dell’impresa che, al di là del rischio di mercato, riguarda:

la fase dell’attività d’impresa;

rischio operativo, legato all’attività tipica svolta dell’azienda, alle condizioni del mercato di riferimento, al grado di rigidità della struttura operativa;

rischio finanziario, può essere contenuto se le scelte avvengono nel rispetto dei fattori, che strutture finanziarie con un elevato livello d’indebitamento possono comportare un altro rischio finanziario.

Il piano finanziario è un documento di pianificazione e controllo dell’impresa, tenendo presenti i criteri di scelta delle fonti di finanziamento ed il meccanismo di funzionamento della leva finanziaria.

Leva finanziaria: capacità della struttura finanziaria di influire sulla redditività del capitale proprio.


ROE = ROI + ( D / E ) ( ROI – i ) ( 1 – t )



Effetto leva


LA POTENZIALITA’ ECONOMICO-STRUTTURALE: PUNTO DI PAREGGIO (applicazione 5)

LEVA OPERATIVA, ANALISI STRUTTURA, VENDITE

Check up aziendale: è un analisi di controllo strategico finalizzata a valutare le condizioni di efficienza dell’impresa e verifica la congruenza tra strategia ed organizzazione. La verifica avviene attraverso la misurazione Potenziale economico-strutturale, la valutazione efficienza vendite, valutazione redditività della gestione.

L’impresa tiene sotto controllo le dinamiche dei costi e dei ricavi.

Efficacia = obiettivo esterno

Raggiunto

Efficienza = obiettivo interno

Si valuta l’efficacia e l’efficienza. Si verifica se c’è congruenza tra le strategie e l’organizzazione dell’impresa.

Come si misura la potenzialità economico-strutturale ?

Servono degli strumenti. Si va a fotografare l’impresa sulla capacità dell’impresa di produrre reddito, è un analisi che si basa sull’analisi dei costi, dei volumi e dei risultati (costi-volumi-risultati).

La misurazione avviene attraverso il diagramma di redditività che avviene mediante le funzioni direzionali di programmazione e controllo, che mira a valutare in via preventiva o consuntiva gli effetti dalle scelte aziendali sulla relazione costi-volumi-risultati.

Ipotesi diagramma di redditività (break even point)

Proporzionalità dei ricavi rispetto alle vendite;

invariabilità gamma prodotti;

invariabilità dei costi fissi;

proporzionalità dei costi variabili rispetto alla produzione / vendite.

Nel calcolo del b.e.p. bisogna fissare la gamma dei prodotti in base a 2 o 3 prodotti.

Rappresentazione grafica diagramma di redditività

Diagramma classico

a) assi cartesiani  b) si aggiungono i costi variabili c) si determinano i costi totali











CT=CF+CV Y=aX+b a= CV b=CF

d) si aggiungono i ricavi e si mostra il b.e.p. (volume di vendite per il quale i costi ed i ricavi totali sono uguali)










Q* (bep)

Proiezione sulla Q venduta

Determinazione analitica Bep

R x = y

Bep Ricavi = Costi

CT x = ay + K


X = costo complessivo y = ay + k

A = coefficiente angolare

N = costi fissi   

Bep y = K / (1-a) margine di contribuzione quanto contribuisce la

formazione dei ricavi

ipotesi di produzioni omogenee

Eq profitto = RQx = CF + CVax + PQx

Qx = volume di produzione o di vendita P = profitto per unità di prodotto R = ricavi per unità di prodotto

CF e CV = costi fissi e costi variabili

BEP = Ricavi = Costi PQx = 0 RQx = CF + CVQx Qx = CF / (R – CV)


Cos’è e come funziona la “leva operativa” ?

Leva operativa = rapporto fra la variazione percentuale del reddito operativo e la variazione percentuale delle vendite

Leva operativa = ( R – CV ) / ((R – CV) – CF)

Si chiama “leva”, perché ad un aumento dei ricavi, un livello più alto di costi fissi fa leva moltiplicando gli utili in funzione del valore percentuale ricavato.

Leva operativa: meccanismo di funzionamento

CF maggiori leva più alta gli utili aumentano più velocemente dell’aumentare delle vendite

Questo perché l’area degli utili è più larga.

Leva Alta (CF > CV ) Leva Bassa (CF < CV)











Punto di equilibrio finanziario: ci fa capire se la perdita è preoccupante.

Margine di sicurezza: differenza tra il previsto volume di vendita ed il volume di BEP.


CHE COS’E’ IL PIANO DI SVILUPPO (applicazione 6)

Piano di sviluppo: piano a medio termine che analizza il processo decisionale di una scelta strategica di sviluppo di un’impresa già funzionante.

Lo scopo è di valutare anticipatamente le ricadute di mercato, tecniche ed economico-finanziarie di tali scelte.

Un piano di sviluppo è contemporaneamente uno strumento di pianificazione strategica (definisce le linee secondo le quali si dovrebbe realizzare il processo di crescita) e di controllo antecedente (consente di valutare anticipatamente la fattibilità del processo).

La definizione di un piano strategico si traduce in più piani operativi tra cui:

Piano degli investimenti; piano di riorganizzazione; piano Commerciale; piano di produzione.

Il piano di sviluppo per un impresa già esistente e funzionante deve necessariamente poggiare sull’analisi esistente. La struttura organizzativa, l’immagine aziendale, la capacità produttiva, la consistenza patrimoniale e la situazione economico-finanziaria sono tutti fattori che incidono sul grado ed, anche, sulle direttrici dei piani innovativi da realizzare.

Nel caso di piani di riorganizzazione e sviluppo un’accurata attenzione deve essere rivolta all’analisi dei fattori di origine interna, i quali, componendosi con quelli relativi al mercato, danno forma e consistenza al sistema di vincoli ed opportunità all’interno del quale devono essere calati gli obiettivi e le strategie di crescita della rinnovata impresa.


BUSINESS PLAN PER UNA NUOVA IMPRESA (applicazione 7)

Business plan predisposto dal nucleo imprenditoriale, è un documento di carattere strategico ed operativo che raccoglie un’attività di analisi e di studio relativa alla decisione di effettuare un investimento o di entrare in un business attraverso la costituzione di una nuova azienda. Il business plan deve essere redatto almeno fino all’entrata a regime dell’attività.

Le funzioni del Business Plan sono quello di strumento di valutazione preventiva sulla fattibilità dell’iniziativa imprenditoriale; è uno strumento di programmazione sia di lungo che di breve termine, ed è una funzione informativa sia interna che esterna alla costituenda azienda.

Nella redazione di un business plan per una nuova impresa c’è bisogno:

determinazione degli obiettivi imprenditoriali ed individuazione della strategia complessiva aziendale;

definizione dell’A.s.a. e individuazione della strategia di penetrazione nel mercato;

programmazione operativa della gestione, attraverso la costruzione del piano di investimenti, del piano di marketing, e del piano di produzione, la progettazione della struttura organizzativa e la pianificazione economico-finanziarie;

controllo preventivo.

Il business plan è un documento da redigere in una fase iniziale di introduzione nel mercato (start-up) per l’impresa, e deve contenere tutti gli elementi strategici ed operativi derivanti da studi tecnico-economici-finanziari e di marketing.

per quanto riguarda gli obiettivi della gestione, una nuova impresa mira soprattutto alla crescita dimensionale mediante il raggiungimento di una serie di sub-obiettivi come il fatturato, quota di mercato. Ciò permetterà all’impresa di acquisire una certa posizione nel segmento di mercato in cui opera. Nella fase di start-up le imprese possono perseguire, di solito, obiettivi di crescita orizzontale (posizione competitiva) perché una crescita verticale, o una diversificazione produttiva richiedono risorse (capitali, conoscenze tecnologiche) difficili da trovare in una nuova impresa.

Il business idea di un impresa deve essere attentamente analizzata in modo da verificare le reali possibilità di affermazione competitive di una nuova impresa. Tale analisi dovrà essere svolta su 3 livelli:

definizione del business, e cioè individuazione dell’ASA in cui operare, quindi individuare i confini del business mediante l’individuazione delle 3 dimensioni che permetterà di individuare perfettamente gli ambiti di riferimento del mercato e darà indicazioni circa la domanda, la conoscenza e la loro evoluzione;

una volta individuato il mercato di riferimento esso dovrà essere analizzato, cioè analizzare le caratteristiche competitive e di mercato dell’area ed in base ad esse individuerà:;

la strategia di penetrazione e cioè le modalità d’inserimento nell’area competitiva prescelta.

la società dovrà inoltre redigere dei piani funzionali tesi al conseguimento dei piani strategici:

piano degli investimenti: dovrà indicare l’entità degli impieghi da effettuare per il raggiungimento degli obiettivi ed anche i tempi di realizzazione del programma di investimento in modo da consentire un’attenta programmazione dell’attività;

piano di marketing: individua la clientela da soddisfare, la fissazione degli obiettivi commerciali come vendite previste, quote di mercato, posizionamento del prodotto. Definizione delle politiche di marketing in modo da creare un marketing mix coerente con la strategia commerciale;

piano di produzione: identificherà la scelta della tecnologia di produzione, il modello di produzione, la capacità produttiva, il dimensionamento dei singoli impianti, i cicli di lavorazione, il fabbisogno soprattutto da un punto di vista economico;

piano organizzativo: prefigurerà la struttura organizzativa consona alla strategia della nuova azienda, è necessario anche un piano occupazionale e quindi una Job Analisis;

piano economico: darà una stima dei costi e dei ricavi, ciò significherà che tutte le decisioni operative vengono qualificate per fini economico-reddituale. Permette di stimare la potenzialità economico-strutturale dell’impresa grazie all’individuazione del livello di produzione che permette di individuare il Break even point;

piano finanziario: mediante la redazione del prospetto fonte-impieghi, prospetto dei flussi monetari, piano di cassa. Permette di prefigurare la situazione di solvibilità e liquidità della nuova impresa.

il controllo preventivo è permesso dalla traduzione in termini monetari e finanziari delle scelte effettuate consta di due momenti: un primo che effettua una valutazione di carattere generale e si sostanzia in una valutazione della validità della formula imprenditoriale in relazione alla business idea. Un secondo momento si basa sui modelli analitici tra cui analisi di bilancio e metodi di valutazione degli investimenti.


SEMINARIO DSM

L’azienda DSM Capua S.p.a. fa parte del gruppo internazionale olandese Dsm (Dutch State Mines), ha un capitale sociale controllato al 100% dall’azienda olandese. Il gruppo DSM è quotato presso la borsa di Amsterdam e New York.

La fabbrica nasce nel 1948 con la produzione di cellulosa, con denominazione Celdit. Nel 1958 la Pierrel la trasforma in sito farmaceutico. Nel 1995 la Pierrel viene acquistata da parte della Gist-Brocodes per quanto riguarda la parte chimica e diventa la società Gist-Brocodes Italy S.p.a.. Nel 1998 la Gist-Brocodes viene incorporata dalla DSM. Dal 2000 si effettua una riorganizzazione dell’Azienda da una produzione unica a produzioni diversificate. Attraverso nuove linee strategiche e investimenti mirati relativi a nuove produzioni e nuovi servizi di utilities.

L’organigramma della Società è formato dall’Amministratore Delegato, con l’assistente, poi viene divisa in funzioni, che sono: produzione, tecnologia, ingegneria sicurezza industriale, amministrazione logistica, qualità direzione tecnica P.F., risorse umane. L’amministratore delegato da conto alla DSM Capua S.p.a. Consiglio di amministrazione e al Comitato Operativo DSM.

L’azienda attua una politica di riduzione degli infortuni, cha ha funzionato dove dal 2000 ad oggi non si sono verificati incidenti.

La produzione della DSM è divisa in produzioni correnti e in nuovi progetti.

Le produzioni correnti sono:

daptomicina: antibiotico di nuova generazione approvato FDA nel 2003;

lattoferrina: nuovo antibiotico in fase sperimentale clinica con benefici in diverse applicazioni farmacologiche;

enzimi: intermedi per produzione principi attivi farmaceutici;

ara: olio arachididonico per nutrizione infantile.

Per i nuovi progetti:

nuove molecole per la nutrizione animale con effetto antiparassitario;

nuove proteine da processi fermentativi;

nuovi enzimi per la produzione di antibiotici contro le malattie infettive.

I punti di forza della DSM sono:

approccio “Custom Manufactoring”;

operatività secondo le norme di buona fabbricazione (GMP);

approvazione FDA;

certificazioni iso14000;

certificazioni HACCP, Kasher, DMF, CEP.

Le linee strategiche sono:

alta flessibilità operativa;

riduzione dei costi (anche attraverso politiche di outsourcing);

risorse umane come bene primario dell’azienda;

sicurezza sul lavoro come elemento di profitto e non di costo;

produzione con tecnologie innovative.


SEMINARIO TONY TAMMARO

La creazione di un’opera musicale comporta un ciclo produttivo assai complesso che si articola nelle seguenti fasi e che vede interagire diversi soggetti:

ricerca e sviluppo dell’artista;

produzione del master, che coinvolge autori, editori, compositori, artisti, produttori, musicisti, sale di registrazione, manager;

fabbricazione del cd o della musicassetta;

commercializzazione con il conseguente coinvolgimento dei distributori e dei singoli punti di vendita;

promozione del disco sui media;

successiva utilizzazione del disco, oltre che per l’utilizzo privato, in programmi radio, televisivi e nelle discoteche ed in altro luogo di aggregazione musicale. Suonerie telefoniche e internet. Compilation.

L’industria fonografica non soltanto crea ricchezza ma la incrementa in ogni passaggio.

L’industria discografica è un business ad alto rischio di impresa che richiede sostanziali investimenti in nuovi artisti e repertorio. Le industrie discografiche investono in media il 12-13 % del proprio fatturato in ricerca, una delle percentuali più elevate in ricerca e sviluppo se confrontate con altri settori industriali.

Inoltre con “le hits” che sfondano in classifica l’industria finanzia i mancati guadagni della maggior parte dei dischi che non vendono abbastanza per coprire gli investimenti iniziali. L’industria discografica determina tutte le attività di creazione, produzione, fabbricazione, promozione, distribuzione e vendita del disco creando posti di lavoro e professionalità.

Sia direttamente con circa 3.000 addetti, e anche attraverso l’indotto con circa 50.000 addetti.

L’industri discografica individua e sviluppa nuovi talenti musicali nazionali, e valorizza e consolida gli artisti già affermati.

Genera una molteplicità di programmi radiofonici ed è fondamentalmente nella programmazione televisiva sia tematica che generalista.

E’ il fulcro delle pubbliche esecuzioni quali concreti e discoteche. E’ il motore di un’attività di informazioni e comunicazione rivolta a milioni di lettori di quotidiani o di riviste specializzate e non. E’ tra i settori leader nell’esportazione: il fatturato dei dischi degli artisti italiani venduti all’estero è stimato per il 1998 in circa 200 miliardi.

Il mercato italiano registra la più alta percentuale di repertorio nazionale rispetto agli altri paesi europei.

Infatti contrariamente a quanto si crede generalmente le classifiche italiane dei dischi più venduti registrano da anni una costante preminenza di artisti italiani nei primi dieci posti.

Ogni artista lavora per una casa discografica:

mercury: jovanotti, biagio antonacci;

polydor: zucchero;

universal: alex britti, Roberto vecchioni;

capital: vasco rossi, Francesco gubbini, stadio;

Columbia: claudio baglioni, mango, vanoni e paoli;

atlantic: laura pausini, pooh, baustelle, paolo conte;

ariola: eros ramazzati, Samuele bersani;

virgin: tiromancino, subsonica;

warner: ligabue, raf, mango, nek;

ricordi: Fabrizio de andrè, gemelli diversi;

rcs italiana: gigi d’alessio;

sugar: negramaro.























Libro nuovo

Libro vecchio

Lezione 1

Cap. 1

Cap. 1

Lezione 2

Cap. 2

Cap. 2

Lezione 3

Cap. 2

Cap. 3

Lezione 4

Cap. 3

Cap. 4


Cap. 4

Cap. 5

Lezione 5

Cap. 7

Cap. 6

Lezione 6

Cap. 7 par. 4

Cap. 8

Lezione 7

Cap. 7 par. 3 e 5

Cap. 7 Cap. 9

Lezione 8

Cap. 6

Cap. 12 Cap. 14

Lezione 9

Vedi appunti

Vedi appunti

Lezione 10

Cap. 6

Cap. 12 Cap. 14

Lezione 11


Cap. 15

Lezione 12

Cap. 8

Cap. 17

Lezione 13

Cap. 8 par. 9

Cap. 17

Lezione 14

Cap. 9

Cap. 18

Lezione 15

Cap. 10

Cap. 19

Lezione 16

Cap. 10

Cap. 19

Lezione 17

Cap. 11

Cap. 20

Lezione 18

Vedi appunti

Vedi appunti

Lezione 19

Cap. 12

Cap. 21

Lezione 20


Cap. 23

Lezione 20 bis


Applicazione 3

Lezione 21


Cap. 26

Lezione 22

Cap. 14 par. 1,2,7

Cap. 27

Applicazione 1

Applicazione 11

Cap. 27 par. 8

Applicazione 2

Vedi appunti

Vedi appunti

Applicazione 3

Applicazione 8

Applicazione 9

Applicazione 4

Applicazione 5

Applicazione 4

Applicazione 5

Applicazione 7

Applicazione 7

Applicazione 6

Applicazione 3

Applicazione 2

Applicazione 7

Applicazione 1

Applicazione 1

Seminario DSM

Vedi slide

Vedi slide

Seminario Tony Tammaro

Vedi slide

Vedi slide












Privacy




Articolo informazione


Hits: 19250
Apprezzato: scheda appunto

Commentare questo articolo:

Non sei registrato
Devi essere registrato per commentare

ISCRIVITI



Copiare il codice

nella pagina web del tuo sito.


Copyright InfTub.com 2024