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Il declino
dell'egemonia britannica
All'inizio del XX secolo l'Inghilterra, pur apparentemente fortissima, soffriva la crisi del settore agricolo che
non era in grado di sostenere la concorrenza dei cereali a 131h79b basso costo provenienti da oltremare e soprattutto
la crisi dell'industria, che pativa la concorrenza delle altre nazioni (specialmente gli Stati Uniti e la Germania).
Essa era ancora legata a settori invecchiati o non più di punta (tessile e siderurgico), mentre era
scarsamente impegnata nei settori moderni come quello elettrico o chimico ed era scarsamente diversificata
(difetti del first comer). La concorrenza più incalzante era quella tedesca, le cui alte esportazioni di prodotti
finiti stavano avvicinandosi minacciosamente a quella inglese, mentre anche nel commercio internazionale la
supremazia inglese cominciò ad essere messa in dubbio. I contemporanei si resero conto di questa
situazione ed individuarono le cause nella mancanza di capacità degli industriali inglesi di adattare la
produzione alla domanda. Alcuni settori, come quello chimico e quello elettrotecnico, tentarono di
modernizzarsi (anche ricorrendo all'aiuto tedesco), ma senza poter reggere il passo degli Stati Uniti e della
Germania.
Se il ritardo si avvertì così fortemente nei settori più avanzati tecnologicamente, si avvertì ancor di più in
quelli tradizionali. L'industria inglese era arretrata ed erano pochi i settori organizzati secondo i moderni
criteri di produzione di massa. Il tradizionalismo dei metodi produttivi e dell'individualismo degli imprenditori
impedivano anche la creazione di trusts e di cartelli.
Tra i motivi della decadenza industriale britannica ci sono la debolezza inglese nel campo della ricerca
scientifica, il conservatorismo e il senso di superiorità che caratterizzavano la società inglese e il fatto che si
temeva di ingrandire le dimensioni dell'azienda per paura che la famiglia fondatrice ne perdesse il controllo.
La decadenza industriale dette un forte stimolo all'imperialismo. Le esportazioni contrastate sul mercato
europeo si diressero verso le colonie imperiali, mantenendo l'Inghilterra in un ruolo di primo piano nel
commercio e nella finanza internazionale.
Nonostante il declino dell'industria la politica internazionale rimase quella del libero scambio. Vittima
principale fu l'agricoltura, mentre nell'industria cambiò l'importanza relativa dei vari prodotti ai fini
dell'esportazione. In precedenza, infatti, l'Inghilterra esportava soprattutto filati e tessuti di cotone, ma la
chiusura doganale degli altri Stati europei fece cadere rovinosamente la domanda. In compenso la nascita
delle industrie europee fece crescere di molto la richiesta di carbone, ferro, acciaio e macchine inglesi.
In questo modo la stessa industria inglese forniva alle nazioni concorrenti le armi per colpirla, tuttavia era
una scelta quasi obbligata in quanto l'Inghilterra non poteva pensare di frenare la nascente ondata di
nazionalismo economico né di mantenere un'economia monopolistica e pericolosamente specializzata.
L'economia inglese reagì alla nuova situazione dedicandosi in maggior misura al commercio e alla finanza,
dove i servizi resi ai concorrenti, pur rafforzandoli, consentivano profitti elevati. Al contempo le entrate
derivanti da investimenti esteri si rivelarono fondamentali per i conti con l'estero.
La superiorità inglese rimaneva incontrastata nel settore marittimo. I noli della flotta inglese aumentarono
rapidamente e la sua industria cantieristica soddisfala ancora la domanda interna ed estera.
Anche nel commercio estero si notarono cambiamenti di rilievo. Le importazioni aumentarono e i prezzi delle
esportazioni diminuirono, causando un deficit nella bilancia dei pagamenti e il pareggio fu ottenuto solo
grazie agli investimenti all'estero e agli interessi che essi fruttavano.
Gli investimenti all'estero non erano esenti da critiche: da un lato costringevano il Paese sulla via
dell'imperialismo, dall'altro i capitali investiti all'estero rendevano più difficile lo sviluppo dell'economia del
Paese e creavano una classe di rentiers i cui interessi non erano in patria ma all'estero.
Tuttavia l'investimento di capitali all'estero era l'unica via per permettere maggiori esportazioni e aumentare
la produzione e quindi i posti di lavoro, inoltre era indispensabile ricorrere agli investimenti esteri perché il
mercato interno non era in grado di assorbire la produzione industriale della nazione.
Ovviamente c'erano anche investimenti interni che contribuirono ad aumentare notevolmente il tenore di vita
che dopo il 1880 era il più elevato del mondo dopo quello degli Stati Uniti. I salari reali aumentarono del
75% dal 1860 al 1900; la cause di questo aumento furono la crescita della ricchezza, la diffusione delle
cooperative, l'azione delle Trade Unions e l'importazione di materie prime e prodotti alimentari a basso
costo. Il risparmio nell'acquisto di beni di prima necessità si riflesse nell'acquisto di beni non necessari;
questo favorì la nascita di alcuni settori industriali come quello del sapone, dei dolciumi, dei giornali, dei
grandi magazzini, della distribuzione e dei servizi.
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