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LE FONTI - Diritto pubblico e diritto privato

giurisprudenza




LE FONTI


Diritto pubblico e diritto privato.


Il diritto si distingue in due grandi sistemi di norme: pubblico e privato.

Questa è una distinzione che deriva dal diritto romano, anche se oggi la distinzione non è più così netta.

Il diritto privato si occupa dei rapporti tra privati mentre quello pubblico si occupa dei rapporti in cui lo stato, o un ente pubblico, è implicato per le sue funzioni di interesse pubblico.

Oggi c'è una forte tendenza generale alla privatizzazione; ad esempio, il giudice amministrativo è stato da poco sostituito da quello del lavoro nei casi di vertenze dei lavoratori dipendenti degli enti pubblici. I rapporti tra privati restano comunque solo oggetto del diritto privato. Il diritto privato è neutrale e comune con valenza a carattere generale in alcuni settori come i contratti, o la responsabilità da illecito civile, che sono uguali anche per gli enti pubblici.



La terminologia è importante; in diritto privato il possesso non è la stessa cosa della proprietà, ma spesso le definizioni non sono dettate dalla legge, ed allora se ne occupa la dottrina e la giurisprudenza, che elaborano i concetti e ne danno la corretta definizione.

L'insieme di regole ed istituti collegati fra loro sono un sistema giuridico, perché sono uniti organicamente e sistematicamente.

Fonti di norme privatistiche possono essere: il codice civile, le leggi speciali, i trattati della comunità europea, la costituzione, ecc. Ma anche i trattati internazionali, ad esempio in tema di adozione internazionale; oppure anche alcune leggi regionali.

Ci sono poi le fonti secondarie come i regolamenti della pubblica amministrazione, come, per esempio, i provvedimenti di delegificazione. Poi ci sono le fonti extra ordine, come i contratti collettivi di lavoro ed altre.

In fine gli usi e le consuetudini, anche se oggi hanno scarsa rilevanza per effetto dell'avvento delle norme imperative, che sono l'unica fonte fatto del nostro ordinamento.

Le consuetudini hanno invece ancora importanza nel diritto internazionale, nei rapporti tra stati.

La fonte principale è il codice civile, anche si è ridotta la sua rilevanza per effetto della successiva emanazione della costituzione e delle leggi speciali che lo hanno seguito.

Il codice rispecchia quei valori che nel '42 erano molto sentiti: l'impresa, le attività produttive ed il lavoro, le norme del codice devono essere lette a riflesso della costituzione del '48 che privilegia le libertà individuali.

L'esistenza di molte leggi speciali non ridimensiona drasticamente il codice, rispetto ai principi generali del quale le leggi speciali devono ricondursi, fatta ammenda ai valori costituzionali. Le leggi speciali integrano il codice.

Tra le fonti sono in aumento quelle comunitarie.

Nell'età moderna il codice come fonte di cognizione si è affermato con la rivoluzione francese, cioè con l'affermarsi del principio d'uguaglianza. La rivoluzione francese e gli effetti che ne seguirono, fece in modo di unificare il diritto privato che nasceva da molteplici fonti di paesi diversi. La rivoluzione annunciò la creazione di leggi uguali per tutti.

Nel 1804 venne emanato il code Napoleone, che è stato un punto di riferimento per i paesi che in seguito subirono l'egemonia francese. Un codice che, salvo varie modifiche, è ancora oggi sostanzialmente in vigore in Francia.

Sulla scia del code Napoleone fu emanato in Italia il codice del 1865, insieme a quello del commercio, che era a se' stante.

FONTI


Costituzione









Norme comunitarie














Norme di diritto internazionale privato (ex art.10 cost.)












Leggi ordinarie, atti aventi forza di legge e leggi che ratificano trattati internazionali










Leggi regionali








Regolamenti






Contratti collettivi di lavoro




Usi e consuetudini


Altre fonti extra ordinem (es. autorità garante della concorrenza)

Costituzione.


Al primo posto vi è la costituzione, come fonte primaria; al secondo si possono mettere le norme comunitarie europee che prevalgono sulle fonti nazionali; seguono le leggi ordinarie dello stato e gli altri atti aventi forza di legge; poi le norme di diritto internazionale privato; prima delle leggi ordinarie qualcuno mette le norme internazionali; dopo vengono le leggi che ratificano i trattati internazionali; dietro le leggi dello stato ci sono quelle regionali; quindi i regolamenti; ancora i contratti collettivi di lavoro; ed infine usi e consuetudini.

Per il diritto privato, le fonti sono elencate nell'articolo 1 delle disposizioni preliminari. Un elenco che non corrisponde a quello appena enunciato. I contratti collettivi di lavoro hanno carattere di norma generale (erga omnes).

Molte norme costituzionale interessano il diritto privato, come il principio d'uguaglianza dell'art. 3, in riferimento alla par condicio precontrattuale.



Norme comunitarie.


Le fonti dell'Unione europea sono sovranazionali. Ci sono comunque delle materie che restano saldamente di competenza nazionale. Come ci sono delle materie di competenza esclusiva dell'UE (es. l'agricoltura).

C'è poi il principio di sussidiarietà, per il quale dove non interviene lo stato, o se interviene male, può provvedere l'UE.

Ci sono quindi delle competenze di carattere esclusivo, come sulla proprietà, sulla concorrenza, ecc., andando a marcare molto il diritto privato. Si è cominciato con l'agricoltura, poi si è proseguito con l'introduzione di varie capacità professionali, ecc.

A monte c'è il trattato europeo. L'intervento dell'UE nel diritto privato è legittimato dal trattato europeo. I regolamenti europei sono vincolanti subito per i cittadini, mentre una direttiva è subito vincolante per lo stato.

Per lo più vengono emanate direttive, che per essere vincolanti per i cittadini devono essere prima recepite dallo stato.

Per esempio, le direttive emanate per la tutela del consumatore, che hanno fatto aggiungere ben 6 articoli al codice civile, una volta recepite dallo stato. Solitamente vengono recepite con leggi comunitarie o decreti legislativi. Altri esempi di direttive comunitarie riguardano il diritto del lavoro, per esempio nel settore del part time.

Altro esempio vi è in materia di multiproprietà.

In tema di recepimento ed applicazione delle direttive comunitarie, queste sono state più volte parificate a regolamenti  governativi dalla Corte Costituzionale, dalla Corte di Giustizia e dalla Corte di Cassazione.

Se per esempio la direttiva è completa ed incondizionata, ed è scaduto il termine per il suo recepimento, il cittadino può invocare l'applicazione della direttiva nei confronti dello stato; non può invece far valere quella direttiva nei confronti di un altro soggetto privato.




Le norme europee, emanate dal Consiglio dei Ministri europei, dal punto di vista della democrazia costituiscono un'anomalia, perché non derivano da un vero e proprio parlamento.

Nella lista gerarchica delle fonti devono trovare posto solo dopo le costituzioni dei vari paesi.

Gli atti delle varie autorità garanti create negli ultimi anni in Italia, benché si riferiscano a determinati soggetti (es. operatori di un settore economico) hanno comunque rilevanza generale.



Codice civile, leggi e atti aventi forza di legge.


Il codice civile è comunque la principale fonte del diritto privato.

Le leggi speciali sono più lacunose del codice che è stato redatto da giuristi competenti, e non da politici qualsiasi.

Sullo stesso piano del codice vanno in ogni caso sistemate le leggi e i decreti legge o decreti legislativi in generale, oltre alle norme di diritto privato internazionale, le quali ultime si distinguono da quelle di diritto pubblico internazionale.

Per esempio un italiano che sposa uno straniero compie un atto disciplinato dal diritto privato internazionale.

Quali siano le norme da considerare in casi di quel tipo è appunto compito del diritto internazionale privato, il quale era inizialmente contenuto nelle disposizioni preliminari e sulla legge in generale anteposte al codice; oggi sostituite dalla legge 218 del 1995, che segue la Convenzione di Roma (19 giugno 1980) ratificata con la legge 18 dicembre 1984, n.975.



Diritto internazionale.


Il diritto internazionale contiene pertanto norme interne allo Stato, che stabiliscono quali siano le norme vigenti nei casi in cui emerga un elemento di estraneità.

Le prime norme di questo tipo furono elaborate negli USA da parte di un giudice della Corte Suprema nel 1840.

Se due italiani comprano un bene in Francia sorge il dubbio, in caso di lite, su quali norme applicare, se quelle italiane o francesi. La scelta può ricadere su norme interne o esterne all'ordinamento statale.

Risulta essere determinante la qualificazione della fattispecie del rapporto, poiché da questo dipenderà la scelta delle norme da applicare, scelta fatta, ovviamente, in precedenza dal legislatore con una norma di diritto internazionale privato. Bisogna poi capire qual è l'elemento rilevante della fattispecie che determina l'individuazione della norma di diritto internazionale. Questo procedimento si chiama momento di collegamento.

Per esempio, l'articolo 20 della legge 31 maggio 1995, n.218 dice che la capacità giuridica delle persone è regolata dalla loro legge nazionale; stesso principio è enucleato nell'art. 23 in riferimento alla capacità di agire; altrettanto vale per i diritti della personalità all'art.24; art. 51, i diritti reali su beni mobili o immobili sono regolati dalla legge del paese su si trovano; la successione per causa di morte si apre con la legge nazionale del paese cui appartiene il soggetto della cui eredità si tratta; all'articolo 28 si stabilisce che il matrimonio è valido se svolto secondo la legge del luogo in cui si è celebrato, o secondo la legge di almeno uno dei coniugi, oppure dello stato di comune residenza in quel momento; i rapporti personali e patrimoniali di due coniugi di diversa o molteplice cittadinanza comune sono regolati dalla legge del paese in cui il matrimonio e vissuto in prevalenza; e così via.

Questa materia, come già accennato, è regolata anche dalla Convenzione di Roma, espressamente richiamata nell'articolo 57 (obbligazioni contrattuali) della legge 218, che rimanda appunto a quel trattato internazionale (o meglio alla sua legge di ratifica) per la regolamentazione dei contratti.

L'art. 3 della legge 975/84 lascia alle parti la libertà di scelta (anche dopo la conclusione) della legge del paese che vogliono, purchè la scelta sia espressa o chiaramente individuabile dalle condizioni del contratto o dalle circostanze. In ogni caso non si può derogare, nemmeno se su una sola parte del contratto, a norme imperative dell'unico paese a cui si riferiscono tutti gli elementi della stipula del contratto, norme che non lasciano spazio di accordo diverso tra le parti (es. non si può scegliere una legge straniera che consenta il patto commissorio che invece è vietato nell'ordinamento italiano se il contratto sorge in Italia, tra cittadini italiani, in merito a prestazioni di beni o servizi in Italia).

Se le parti non fanno alcuna scelta si applicherà la legge del paese che ha maggiori relazioni col rapporto.

Ultima categoria di norme di diritto privato internazionale è quella della ratifica del 31 dicembre 1998, legge n.476 della Convenzione per la tutela dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, svoltasi a L'Aja il 29 maggio 1993.



Legge regionale.


Secondo l'art. 117 della costituzione le regioni hanno competenza legislativa concorrente in determinate materie, mentre quelle a statuto speciale le materie sono contenute negli statuti delle regioni stesse.

Certe materie possono avere rilevanza anche privatistica, come per es. l'agricoltura, il turismo, l'urbanistica, ecc.

L'ingerenza delle regioni nel diritto privato era vista inizialmente come destabilizzante del suo equilibrio su tutto il territorio nazionale; poi ci fu un atteggiamento di favore verso le disposizioni emanate dalle regioni a statuto speciale, tollerate solo a condizione del carattere di temporaneità. Successivamente, quando anche le altre regioni intervennero nel diritto privato, la Corte si irrigidì sulle sue posizioni, temendo una frantumazione della materia. Un timore che contrastava con l'applicazione del principio di uguaglianza sostanziale dell'art. 3 della costituzione, per cui, a partire dagli anni '80, iniziò un atteggiamento di apertura alle possibilità di intervento delle regioni nel diritto privato, pur sempre entro i limiti della costituzione e dei principi dell'intero ordinamento.

Ad esempio in materia di persone (I libro del codice) e personalità è impensabile un intervento discriminante di una regione, mentre sarebbe accettabile in materia di successioni (II libro), esempio ne è il Maso chiuso del Trentino, un fondo rustico indivisibile idoneo al sostentamento di una famiglia. La legge sul maso chiuso è stata ritenuta legittima dalla Corte perché espressione di una realtà locale indiscutibile.

In tema di proprietà (III libro) ci sono le maggiori influenze della legislazione regionale, così che a seconda del luogo in cui si trova la cosa si applicano le regole relative al luogo stesso, perché più aderenti alle esigenze locali.

Le limitazioni alla proprietà sono sempre più numerose per fini sociali. Le limitazioni devono essere conformi ai principi costituzionali. Gli interventi regionali sulla proprietà sono consentiti a livello di norme sul paesaggio e settorizzazioni varie, ma non sono consentite riguardo all'acquisto della proprietà, che deve invece essere conforme su tutto il territorio nazionale.

Un classico esempio di intervento a limitazione della proprietà è quello dell'istituzione della servitù di pista sciistica, la quale comunque è meno limitativa di una servitù di passaggio o di via per tutto l'anno, anziché nel solo periodo invernale, o peggio un'espropriazione per pubblica utilità. È un intervento considerato lecito proprio perché consente uno sfruttamento più razionale del territorio.

Un settore in cui è sicuramente esclusa ogni possibilità d'intervento regionale, è la responsabilità contrattuale (obbligazioni: IV libro). Lo stesso si dica per la responsabilità da atto illecito.

In materia di lavoro (V libro del codice) e diritto societario la Corte costituzionale non ha ammesso l'intervento delle regioni. Per le società, essendo una forma di attività collettiva imprenditoriale, non vi può essere spazio per interventi legislativi a carattere locale, in cui le regioni influiscono comunque disciplinando le società finanziarie regionali, per le quali è consentito legiferare, ma solo per i rapporti con l'Ente pubblico; cioè tra società ed enti, ma non tra i soci e tanto meno con terzi non pubblici.

Per la tutela dei diritti (VI libro del codice) non sono del tutto preclusi gli interventi regionali. Ne è un esempio la pubblicità tavolare del catasto triestino, che, a differenza del tipo normale, è richiesto ad substantiam, è cioè l'unica forma di pubblicità costitutiva esistente in Italia.




Regolamenti.


Ultimamente sono in aumento, per via del processo di delegificazione che da alcuni anni si è avviato in Italia.

Lo stesso codice li richiama spesso, ad esempio in materia di costruzione di edifici (art. 871) e sulle relative tipologie. Altro esempio sono le distanze da tenere tra edifici, di 3 metri se non maggiormente disposto dal regolamento comunale.

I regolamenti sindacali sono anch'essi valevoli erga omnes.



Consuetudini.


È l'unica fonte fatto del nostro ordinamento. In passato riscosse molta più importanza, andata perdendosi per la diffusione della legge scritta.

Il suo ruolo si è mantenuto meglio negli ordinamenti anglosassoni, paesi del Common Low, dove le sentenze rappresentano un precedente vincolante, quindi regole giurisprudenziali vere e proprie, che si affiancano alle regole dottrinali, sempre non scritte. Diversamente nei paesi ad ordinamento romano germanici, cosiddetti del Civil Low, dove invece prevale la fonte scritta, e le sentenze, anche quelle della Corte di Cassazione, non sono vincolanti se non per il singolo caso. Il giudice di un'altra vicenda vi si può ispirare, ma non è tenuto ad attenervisi.

L'uso, o consuetudine, è appunto una fonte non scritta, e nasce dal comportamento diffuso nella società, che si caratterizza di un elemento soggettivo (convinzione di adempiere ad un comando giuridico) e tre og 545i88f gettivi (uniforme, costante e reiterato).

La prassi non è una consuetudine, perché è priva dell'elemento soggettivo della convinzione di trovarsi di fronte ad una norma che non rispettare vorrebbe significare contravvenire all'ordinamento giuridico.

Un esempio è il segreto bancario, considerato una consuetudine.

L'art. 8 delle norme preliminari stabilisce che gli usi sono legittimi solo se espressamente richiamati dalla legge.

Se l'ordinamento ha una lacuna, questa può essere colmata con un uso, che in questo caso si dice preter legem; questa tipologia presenta comunque un'ambiguità, perché l'ordinamento e la costituzione offrono sempre almeno un principio ordinatore (analogia iuris).

Non sono ammessi invece gli usi contra legem, o comunque in contrasto con la legge.

L'art. 9 delle disposizioni preliminari dice che la raccolta scritta degli usi non fa di questi fonti scritte.

Gli usi devono essere sempre accertati dal giudice, infatti una parte in causa può in ogni momento chiedere l'invalidità dell'uso se non è corredato delle due caratteristiche.

Ci sono poi gli usi negoziali, che integrano un negozio giuridico (art. 1340: le clausole d'uso s'intendono inserite . ; art. 1374: il contratto obbliga le parti non solo a quanto in esso contenuto, ma anche alle conseguenze stabilite dalla legge o in mancanza dagli usi .), e usi interpretativi, che sono utilizzati per interpretare, appunto, i negozi (es. contratti, art. 1368: le clausole ambigue si interpretano secondo ciò che normalmente si pratica nel luogo in cui è stato concluso).

Il codice nomina più propriamente gli usi, mentre il termine consuetudini è considerato un sinonimo.



Extra ordinem.


Sono quegli atti normativi che derivano da attività indipendenti dell'economia, come ad esempio dalla Banca d'Italia, dall'Autorità garante per la concorrenza, per l'energia, la privacy, ecc.

Secondo una dottrina sono fonti di diritto perché vincolano tutti quelli che vengono in relazione con questi enti o con quei settori, quindi teoricamente e potenzialmente erga omnes.

Per esempio le tariffe telefoniche non possono essere concordate dai gestori per condizionare il mercato a loro favore, e vengono colpiti con pene pesantissime.

Tra i caratteri delle fonti giuridiche ci sono la generalità e l'astrattezza, ecc. è la legge che prevede la struttura di questi enti e le norme che possono emanare, dato che queste norme devono essere molto più tempestive di normali leggi dello Stato.



LE NORME GIURIDICHE.


La norma giuridica.


Nella nostra realtà esistono più tipi di regole di condotta.

Ci sono regole morali, religiose, sociali e giuridiche. La vita in se stessa è un processo educativo. Alcune regole sono totalmente assimilate, addirittura scontate. Altre non lo sono poi tanto. Le norme morali, sociali e religiose sono rispettate volontariamente, mentre solo quelle giuridiche devono necessariamente essere rispettate da tutti, sono cioè coercitive.

La coercitività è fatta valere dagli apparati di controllo e sanzione di cui lo Stato è dotato.




La norma giuridica non è solo quella che deriva dall'esperienza normativa, ma è sempre riferita ad un'organizzazione sociale determinata; nella nostra realtà quella più importante è lo stato. Ma lo stato non è l'unico ad emanare norme, vi sono altre organizzazioni al di sopra ed al fianco di esso, in un'esistenza contemporanea.

Ci sono organizzazioni giuridiche come l'UE, o l'ONU, che incidono sul sistema giuridico dei singoli stati, da un livello che non può essere considerato superiore tout court, perché la sovranità dello stato superiorem non recognoscens, però per sua stessa volontà vi si allinea, riconoscendo un potere speciale all'organizzazione sovranazionale (art. 10 cost.), oppure ratificando i trattati internazionali.

Esistono poi organizzazioni di livello inferiore a quello statale che svolgono attività normativa, le regioni e gli altri enti locali; ma vi sono anche le organizzazioni sindacali che svolgono attività normativa a livello intermedio.

Questo sistema di normazione contemporanea e coesistente va sotto il nome di pluralismo, all'interno del quale, l'organizzazione dominante è comunque quella statale.



Caratteri della norma giuridica.


I caratteri che distinguono la norma giuridica dalle altre, possono essere: generalità, astrattezza e coercitività.

Generalità significa che la norma giuridica si rivolge a tutti, nel senso che non può individuare con esattezza una determinata persona che ne sia colpito, ma in maniera impersonale, colui che si trova nelle condizioni descritte dalla norma deve sottostarvi. La regola non è assoluta, perché esistono norme statali o di enti locali che individuano esattamente un solo soggetto che diventa portatore del diritto, come nei casi di leggi che hanno stabilito regole particolari per mantenere in esistenza realtà industriali (Italsider) che altrimenti sarebbero finite, e ciò al fine superiore di salvaguardare le sorti delle famiglie dei lavoratori dipendenti di quella fabbrica.

Astrattezza vuol dire non identificare un caso unico, ma una fattispecie, cioè un tipo di casi che si possono verificare. Ad esempio. L'art. 2043 c.c. sulla responsabilità da atto illecito si riferisce ad una fattispecie astratta, quindi sarà responsabile chi provocherà un incidente stradale, l'ente responsabile di una strada che per incuria si degrada fino al punto di arrecare danno ai passanti, ed anche chi provoca catastrofi ambientali, ecc. Tutti sono casi che si rifanno alla fattispecie di chi ingiustamente arreca danno ad altri.

Coercitività è la predisposizione di una pena o di un altro mezzo di cui si dota l'organizzazione per costringere chi non vuole rispettare la norma a farlo. Nel settore privatistico l'azione è promossa sempre dal soggetto leso, mentre nel sistema penale esistono reati perseguibili a querela di parte, ma anche altri, più gravi, che vengono rilevati e perseguiti direttamente dallo stato, nella persona del Pubblico Ministero.

Le sanzioni, nel sistema penale, possono essere, quindi, di natura pecuniaria o detentiva, ma può anche ristabilire l'ordine con un ordine specifico, come un abbattimento. Nel sistema privatistico invece la sanzione coincide con il risarcimento (sanzione indiretta) oppure con l'annullamento degli effetti dell'atto illecito ristabilendo la situazione preesistente (sanzione diretta). Ad esempio, il contratto preliminare è un contratto che può avere ad oggetto un immobile, senza per questo avere effetti reali; invero ha solo effetti obbligatori volti alla conclusione di un successivo negozio. La sentenza che imponesse ad una delle parti (inadempiente) ad adempiere mette in atto una sanzione di tipo diretto, perché tende a ristabilire la situazione precedente all'illecito. Questo, però, è uno dei rari casi. Solitamente le misure sanzionatorie sono indirette, quindi rivolte al risarcimento del danno, il quale può avere natura patrimoniale o meno, nel qual caso (danno biologico, morale(risarcibile solo se all'illecito civile si accompagna la violazione di una norma penale)) viene in qualche modo monetizzato.

Sul piano della sanzione la norma può anche inserire l'incentivazione, ossia il favorire il rispetto della norma con contributi, come nei casi dei soggetti residenti in determinate zone svantaggiate.



Certezza del diritto.


È un carattere a cui mira il sistema giuridico che tende ad assicurare un'omogenea applicazione delle norme. Questo concetto va tenuto distinto dall'esigenza di mutabilità del sistema.

Distinzioni.


Pur mantenendo tutte il carattere della coercitività, le norme giuridiche si distinguono in derogabili (o dispositive) ed inderogabili (o imperative o cogenti). La norma derogabile prevede una certa regola, ma consente alle parti di disciplinare la fattispecie anche in modo differente. Ad esempio il mutuo è un contratto reale, tipico (artt. 1813 e ss. c.c.) con il quale il mutuante consegna al mutuatario una quantità di denaro o di altri beni fungibili che questi deve poi restituire nella stessa quantità della stessa specie. L'art. 1815 stabilisce che spettano gli interessi al mutuante, ma lascia alla volontà delle parti la possibilità di non farlo. Ciò che viene stabilito da una norma inderogabile, per l'appunto, non può essere inosservata. Queste sono tipicamente impartite per la difesa di un interesse superiore o per tutelare soggetti deboli. Quando come reazione all'inosservanza di una norma c'è la nullità di un atto, si è dinanzi ad una norma imperativa.

L'inderogabilità di una norma si può dedurre o dal tipo di sanzione (nullità), oppure dalla formulazione della stessa che può essere un vero e proprio precetto (es. art. 1634 e 1654 c.c.).

Anche se si tratta di una norma inderogabile, l'azione giudiziale per ottenere la nullità, nel diritto privato, va comunque intrapresa dalla parte lesa. Il giudice può procedere d'ufficio solo se viene evidenziata nel corso di un altro processo.

Norme comuni sono quelle che hanno il requisito della generalità, cioè, ad esempio, se si riferisce ai contratti si intendono tutti i contratti.

Sono invece speciali, non per mancanza di generalità, ma per tratta materie specifiche, adattando ai principi generali esigenze particolari per ottenere trattamenti altrettanto particolari (es. imprese artigiane rispetto alla globalità delle imprese, ecc.).

Le norme eccezionali costituiscono una deviazione del sistema. Ad esempio, un divieto di vendita di energia elettrica ad un paese nemico è una norma eccezionale. L'eccezionalità può essere temporanea, così come è accaduto per l'art. 833 (atti d'emulazione) che per il codice del 1865 era un'eccezione. Quindi l'eccezionalità dipende dal sistema giuridico in cui è inserita, cioè esiste una logica relatività tra regola e sua eccezione. Altro esempio è la prelazione per vendita di proprietà agricole; chi vende non è libero di farlo a chiunque, ma deve rispettare la priorità di chi è in affitto come coltivatore. Tale deroga alla regola della libera circolazione dei beni, all'inizio considerata una norma speciale, è in realtà una vera norma eccezionale, e come tale non consente analogia.

Istituto giuridico è il temine con cui si identifica un gruppo di norme che disciplinano una fattispecie. Il contratto, ad esempio, può essere considerato un istituto, inteso quindi come tutte le norme che lo regolano.



Efficacia delle norme nel tempo e nello spazio.


Perché una norma giuridica entri in vigore ci dev'essere la promulgazione; c'è poi la pubblicazione sulle relative fonti ufficiali di cognizione (Gazzetta Ufficiale, Bollettino Ufficiale Regionale, ecc.). Per le fonti secondarie (regolamenti comunali ecc.) i rispettivi albi.

La legge entra in vigore il 15° giorno dalla sua pubblicazione (art. 11 disposizioni sulla legge in generale, c.c.), ma a volte tale vacatio legis viene superata con l'introduzione in vigore espressamente dal momento della pubblicazione.

Da quel momento la legge è vincolante per tutti, e non si ammette ignoranza; ciò tuttavia, per la legge penale, se il soggetto, dimostrata la sua effettiva impossibilità a conoscere la norma, è eccezionalmente scusato, come recita una sentenza della Corte Costituzionale del 1988; sarà solo il giudice ad accertare se il destinatario della norma era nella reale impossibilità di conoscerla. Questa eccezione non si estende al diritto privato (per l'eccezione non può esservi analogia).

Di regola la norme disciplina fatti futuri, ma eccezionalmente può essere retroattiva, a meno che non si tratti di una legge penale, per la quale non è ammissibile alcuna forma di retroattività. Questo è possibili perché la regola dell'irretroattività della legge è contenuta nella L. 400, quindi una legge di pari grado (ordinaria) può stabilire diversamente. Resta fermo che non si possono intaccare diritti acquisiti e fatti compiuti. Tuttavia il diritto acquisito fatto salvo può essere regolato in maniera diversa. Ad esempio il matrimonio stipulato prima della riforma del diritto di famiglia rimane valido anche se sono cambiati i requisiti del rito, ma il regime patrimoniale, se non è intervenuta una dichiarazione contraria da parte di uno dei coniugi, diventa di comunione dei beni dall'entrata in vigore della nuova norma. Invece la regola dell'irretroattività della legge penale è stabilita dalla costituzione, perciò una legge ordinaria penale non può stabilire diversamente.

Una volta entrata in vigore la legge avrà valore fino alla sua abrogazione, che può avvenire in modo espresso da parte di una legge dello tesso grado (o con un referendum abrogativo, oppure per dichiarazione di illegittimità costituzionale), oppure tacitamente, cioè quando una norma successiva dispone in maniera differente senza peraltro abrogarla espressamente. Spetta quindi a chi interpreta stabilire l'abrogazione tacita. Tecnicamente la norma nuova abroga la precedente








Efficacia della legge nello spazio.


Il principio generale è quello della territorialità della norma, cioè vige nel paese in cui è emanata. È poi il diritto internazionale a stabilire la disciplina dei rapporti tra gli stati. Può accadere che fatti avvenuti oltre confine siano regolati dal diritto italiano.

La legge 218/95 e il Trattato di Roma del 1980 (o meglio la legge 975/84) sono quelle che regolano il diritto privato internazionale. le convenzioni, come le direttive comunitarie, non possono trovare collocazione diretta in codice civile, perché devono essere introdotte nel sistema sotto la forma della legge di ratifica o di riconoscimento degli accordi.



L'interpretazione della legge (artt. 12 - 14  preleggi).


La norma è quella che l'interprete trae dalla fonte di cognizione attraverso il metodo ermeneutico, il procedimento tecnico del giurista, di cui la legge pone i criteri.

Il caso concreto ci pone prima di tutto di fronte al dubbio di quale norma applicare. A ciò si procede col sillogismo, che può avere molti risvolti, anche se ci sono criteri precisi da applicare. Talvolta infatti il caso concreto può rientrare i più fattispecie astratte.

Il metodo ermeneutico generale chiude comunque le due teorie estreme dell'interpretazione, quella del formalismo giuridico (cioè senza valutare e ricercare la ratio) e quella che invece dà prevalenza al fatto. Quest'ultima può ridimensionare la certezza del diritto, sovvertendo il sistema.

L'interprete non può non sottostare alla norma. L'art. 12 infatti fissa esplicitamente criteri specifici per l'interpretazione. Poi ve ne sono altri che l'interprete deve tenere presenti perché fornitigli implicitamente dall'intero sistema giuridico.

L'art. 12 cita il criterio letterale e quello teleologico, cioè delle parole e delle intenzioni del legislatore. Questi criteri devono essere equilibrati, nel senso che uno non deve prevalere sull'altro.

Quando a una fattispecie non è possibile applicare una norma sulla base dei criteri espressi, l'interprete deve avere riguardo a casi analoghi o ai principi generali dell'ordinamento. Il giudice verificherà prima di tutto l'esistenza di casi analoghi e se esistono norme per fatti simili (analogia legis), poi, se non è possibile, passerà ad applicare i principi generali dell'ordinamento (analogia iuris).

L'analogia è un procedimento delicato, perché bisogna trovare l'elemento comune nei fatti e nella ratio del legislatore.

Per esempio, se non c'è una norma che disciplini un caso di un lavoratore autonomo, si potrà applicare una norma che disciplina un fatto simile di un lavoratore dipendente. In questo caso non c'è analogia, perché i due lavoratori sono troppo diversi tra loro, ma il principio affermato dall'ordinamento può essere applicato legittimamente.



Distinzioni.


L'interpretazione può essere estensiva o restrittiva. La prima è tale quando, diversamente dal testo, viene data un'applicazione più ampia alla ratio del legislatore. Ne è un esempio l'art. 3 della costituzione che per estensione è convalida per tutti gli esseri umani e non solo per i cittadini italiani i valori fondamentali. l'interpretazione restrittiva invece riduce l'applicazione della norma. Un esempio è l'art. 427 c.c. riguardo alla capacità di agire per un maggiorenne, con riferimento ad un testo che parla solo di interdetto in generale, mentre si è d'accordo nell'interpretare la norma per una sua applicazione solo nei confronti dell'interdetto giudiziale, e non anche per quello legale.

L'interpretazione estensiva non ha nulla a che vedere con l'interpretazione analogica.

Riguardo all'interpretazione, l'incidenza del diritto comunitario si è verificata nei criteri ermeneutico e interpretativo. Infatti la legge 1287/90 sulla concorrenza è enunciata con riferimento ai principi dell'ordinamento comunitario come criteri interpretativi dell'ordinamento italiano. Quindi oltre ai criteri dell'art. 12 ci sono anche le interpretazioni secondo l'ordinamento comunitario, che è primario in certi settori come quello della concorrenza. È quindi la legge ordinaria che dà rilevanza ai principi comunitari per la sua stessa interpretazione.

Infatti le sentenze interpretative della Corte di Giustizia europea hanno efficacia vincolante per tutti.

L'interpretazione può provenire dal giudice, dal giurista o dallo stesso legislatore.

Quella del giudice ha efficacia vincolante per le parti in causa. Questo comunque non è fonte di diritto come nei paesi anglosassoni (common low), anche se ripetuto più volte e accettato dalla Corte Costituzionale; può solo avere un certo rilievo di orientamento per altri casi simili. Ciò non toglie che si possa decidere in maniera difforme.

Anche l'interpretazione autentica è vincolante perché proviene direttamente dal legislatore. Quando si verifica un contrasto interpretativo su una legge, il legislatore interviene con una legge dello stesso grado a dirimere i dubbi.

L'interpretazione dottrinale non è invece vincolante, ma è importante perché proviene dai giuristi e permette di orientarsi nella gran mole di norme che esiste. Inoltre la dottrina mette a disposizione del giudice i modelli astratti che crea. Sono di esempio le molte decisioni prese dal Consiglio odi Stato, che appunto si ispira ai modelli creati dalla dottrina.

IL RAPPORTO GIURIDICO.


Il rapporto giuridico.


Le norme si riferiscono ad azioni tra soggetti rilevanti per l'ordinamento. Il diritto si riferisce sempre a rapporti tra soggetti. Tali rapporti prendono il nome di rapporti giuridici.

Ci sono poi dei rapporti sociali, come l'amicizia, che non interessano l'ordinamento giuridico e proprio per questo non possono essere definiti rapporti giuridici. Attualmente si discute se il rapporto di fatto tra uomo e donna sia un rapporto giuridico, ossia se sia il caso che l'ordinamento si occupi di regolarlo.

In un rapporto ci sono quasi sempre due soggetti a cui corrispondono situazioni giuridiche relative.

Il rapporto è di tipo pubblicistico se uno dei soggetti è un ente pubblico che in quel rapporto persegue fini di interesse generale. Diversamente il rapporto è di tipo privatistico.



Situazioni giuridiche soggettive.


Ce ne sono di tipo attivo e passivo.

Sul fronte attivo sono quelle costituite dall'interesse legittimo, dal diritto potestativo, dalle potestà e dagli status di diritto privato. In ultima analisi ci sono anche gli interessi diffusi e i diritti affievoliti.

Sul fronte passivo c'è il dovere, l'obbligo, la soggezione e l'onere.

Queste situazioni giuridiche attive soggettive sono le situazioni più forti che siano tutelate dall'ordinamento giuridico.

Il diritto soggettivo è quello più forte e maggiormente riconosciuto. In pratica sono i diritti per i quali si può ricorrere al giudice per averne la tutela diretta

Il diritto potestativo è un diritto soggettivo che si distingue perché il soggetto passivo si trova in uno stato di soggezione; il soggetto attivo può modificare unilateralmente la situazione giuridica del soggetto passivo. Un esempio è il diritto di ambo i coniugi di chiedere la separazione legale quando ne ricorrano le cause. Se un coniuge la chiede, in virtù del diritto potestativo ad egli attribuito dalla legge, l'altro coniuge finisce per subire una modifica dello stato giuridico. Un altro esempio può essere quello che spetta al comproprietario di un bene, il quale può chiedere in ogni momento lo scioglimento della comunione.

La situazione giuridica della potestà è però tutt'altra cosa. Essa comprende un insieme di diritti e di doveri che sorgono in capo ai genitori, ed a loro soltanto.




SITUAZIONI SOGGETTIVE

TIPICHE

ATIPICHE

ATTIVE

PASSIVE

Interessi diffusi

Diritto soggettivo

Dovere, obbligo

Facoltà

Soggezione

Diritto potestativo

Onere

Aspettativa

Potestà

Status

Interesse


Situazioni attive.


Il diritto si riferisce sempre a relazioni tra soggetti. Il rapporto giuridico è la relazione tra due soggetti rilevante per l'ordinamento giuridico.

La relazione esiste tra situazioni soggettive, piuttosto che tra soggetti.

Può succedere, per esempio, che esista già la situazione, ma non i soggetti, come nel caso della promessa al pubblico (art. 1989). Nel momento in cui la promessa sorge il soggetto attivo della promessa, è noto, mentre non lo è quello passivo, che potrebbe anche non presentarsi mai. Quindi la definizione più esatta di rapporto giuridico è che è una relazione tra situazioni soggettive.

Le relazioni giuridiche si dividono sempre in attive e passive, con l'eccezione di quelle atipiche.

Il diritto soggettivo è la signoria del volere, cioè il potere di esercitare questo diritto e di chiederne anche la tutela. Il potere sul diritto viene attribuito dall'ordinamento, in base a un suo interesse, scegliendo di tutelare certi diritti invece di altri.





Distinzioni dei diritti soggettivi.


I diritti soggettivi si distinguono fra assoluti e relativi, patrimoniali e non patrimoniali, ecc.

Assoluto è un diritto forte che vale nei confronti di tutti (da ad solutum che significa, sciolto, indipendente dall'azione di altri, quindi significa che non c'è bisogno della collaborazione di nessuno affinchè il titolare del diritto assoluto ne goda); di questo tipo fanno parte i diritti reali (proprietà, ecc.), i diritti personali, ecc.

Relativo è quel diritto che si può far valere solo nei confronti di chi è parte nel rapporto giuridico. Tipico è il diritto ad ottenere la prestazione derivante da contratto. In questo genere di diritti c'è sempre bisogno che nel rapporto ci siano almeno due parti, mentre per un diritto assoluto è l'intera comunità che deve attenersi.

Il creditore invece vanta il suo diritto solo verso l'altra parte e vale a dire il debitore.

I diritti assoluti non si prescrivono. Salvo quest'eccezione tutti gli altri diritti si perdono se non se ne gode per un determinato tempo.

La prescrizione è un istituto che risponde alle esigenze di certezza del diritto, infatti, di fronte al non uso di un diritto personale, questo non si prescriverà mai, perché, ad esempio la libertà di parola non può essere mai soppressa; mentre è utile che ad un certo punto non sia più esigibile un pagamento che da lungo tempo non è più stato richiesto. I diritti reali minori si estinguono dopo 20 anni.

Patrimoniali sono i diritti in rem, ossia quelli suscettibili di una quantificazione monetaria: i diritti di credito e i diritti reali. Quelli non patrimoniali sono quelli personali e di famiglia. Riguardo a questi ultimi anche il diritto agli alimenti è un diritto non patrimoniale.



Le facoltà.


Non sono situazioni giuridiche autonome, ma rappresentano modi di esercizio dei diritti soggettivi. Ad esempio, l'art. 832 definisce il diritto di proprietà come quello di godere e disporre di un bene, ove godere e disporre sono facoltà.

Se su un bene c'è un diritto di usufrutto, per tutta la sua durata il proprietario non avrà la facoltà di godimento di tale bene, ma potrà comunque disporne, per esempio potrà venderlo.



Diritto potestativo.


È il potere di modificare situazioni giuridiche di altri soggetti.



L'aspettativa.


È una situazione soggettiva in fieri, nel senso che non si sono ancora verificati tutti gli elementi costitutivi di un diritto vero e proprio. Classico esempio è la posizione delle parti di fronte ad un negozio sottoposto a condizione sospensiva. Infatti, un negozio giuridico deve avere degli elementi essenziali a pena di nullità e degli altri elementi non indispensabili, che se richiesti (elementi accidentali: condizione, termine e modo), però, creano un'aspettativa.



La potestà.


È una situazione in cui si individuano sia doveri che poteri, conferiti ad un soggetto nell'interesse di un'altra persona non in grado di provvedere a se stessa. La potestà spetta al genitore, al tutore e al curatore.



Lo status.


È quella situazione giuridica soggettiva che viene attribuita ad un soggetto con riferimento alla sua posizione in un determinato contesto sociale. Il gruppo sociale basilare è la famiglia, e ad esempio, in relazione ad essa, lo stato di figlio legittimo è la condizione in cui si trova la persona nata o concepita nella famiglia, ossia durante il matrimonio.

Esistono poi degli status che non sono riconosciuti dalla legge, come quello di imprenditore, che è criticato in dottrina, in quanto si pensa che lo status debba essere caratterizzato dalla stabilità della posizione della persona rispetto alla struttura sociale pressa a riferimento, mentre l'imprenditore può sempre cessare di esserlo in qualsiasi momento e diventare dipendente.



L'interesse legittimo.


È una posizione qualificata considerata dall'ordinamento, il quale ne riconosce la tutela, ma non in modo diretto come accade per il diritto soggettivo. Si ha la coincidenza dell'interesse privato con quello pubblico cui è direttamente fornita tutela. L'interesse legittimo deriva quindi da norme di diritto pubblico, più precisamente amministrativo.

Nel caso dell'espropriazione per pubblica utilità, è interesse pubblico che la pubblica amministrazione proceda secondo le regole; il diritto di proprietà degrada da diritto soggettivo a interesse legittimo del proprietario a che la p.a. proceda secondo l'iter stabilito dalla legge e soprattutto dietro indennizzo. Egli non ha un diritto al prezzo, come se fosse una vendita, ma ha interesse a che non si abusi dell'istituto, il che è principalmente un interesse collettivo, oltre che di riflesso un suo interesse anche concreto. Un altro singolo cittadino, di fronte all'abuso della p.a. nell'esproprio del fondo altrui, ha solo un interesse semplice a che non si compia un'irregolarità. Altro esempio può essere quello del concorso pubblico che viene annullato, andando a ledere l'interesse legittimo del vincitore, che appunto non è titola di un vero e proprio diritto al posto messo a concorso; chi non ha preso parte al concorso può avere solo un interesse semplice.



Situazioni passive.



Soggezione.


È la posizione opposta alla potestà.



Onere.


È la posizione di colui che, per usufruire di una situazione attiva, deve porre in essere qualche azione ad essa connessa (es. art. 2697 c.c.). Se per esempio ci si rivolge al giudice per rivendicare un diritto, si ha l'onere di provarne l'esistenza (onere della prova). Altro esempio è, in materia di contratti, quando si è inserita una clausola di risoluzione espressa; se ci si vuole avvalere di quella clausola (al verificarsi delle condizioni in essa descritte) si ha l'onere di comunicarlo all'altra parte.



Situazioni soggettive atipiche.



Interessi diffusi.


È un interesse collettivo capace di determinare il diritto ad un risarcimento, pertanto riconducibile ad un diritto soggettivo pubblico. ne è un esempio il diritto all'ambiente salubre, per cui tutti hanno diritto ad un ambiente di vita sano e non inquinato. È quindi un interesse a cui è concessa una tutela diretta ai cittadini nel loro insieme. Altro esempio è nel campo della tutela dei consumatori; l'art. 1469 sexies, concede l'azione alle associazioni dei consumatori contro clausole ingiuste usate nei contratti tra consumatori e professionisti. L'interesse diffuso sta nell'intervento delle associazioni a tutela dei consumatori nel loro insieme, non in nome di un singolo consumatore.




I soggetti e la capacità giuridica.


Tutta l'organizzazione giuridica è destinata alle persone, sia fisiche che giuridiche. L'art. 1 del c.c. si riferisce alla capacità giuridica.

L'art. 2 della Costituzione contiene il riconoscimento da parte della repubblica dei diritti dell'uomo sia come singolo che come componente delle organizzazioni sociali. L'uomo è, infatti, sia l'artefice che il destinatario delle norme, ed entra nella scena giuridica con la nascita (art. 1 c.c.), quindi acquista la personalità, ovvero diventa soggetto del diritto. Il bambino deve nascere vivo, anche se poi muore poco dopo; se non dà alcun segno di vita non può diventare titolare di diritti, quindi non avrà la capacità giuridica. Alcuni diritti possono essere concessi anche al concepito (artt. 462 e 784 c.c.) condizionati però dall'evento dalla sua nascita. Ma anche ai non ancora concepiti.

Non sono consentite limitazioni della capacità giuridica, che viene definita come l'idoneità ad essere titolare di diritti e doveri. Tale divieto è contenuto nell'art. 2 e nel 22 cost.

La capacità giuridica si perde con la morte. La morte, secondo la legge 578/93, è legale se sono cessate in modo irreversibile le funzioni encefaliche. In quel momento il soggetto non è più persona e i sui diritti personalissimi si estinguono, mentre altri si trasmettono ai suoi eredi. La legge assicura comunque un erede, al limite lo Stato stesso.




La capacità di agire.


La capacità di agire è invece l'attitudine del soggetto a compiere atti giuridici e quindi di esercitare diritti e adempiere a doveri. Si acquista con la maggiore età, prima di quel momento il minore si trova nell'incapacità di compiere atti che gli consentano di creare, modificare o estinguere situazioni giuridiche. Per consentire la tutela degli interessi del minore, i suoi genitori, suoi rappresentanti legali, o in loro mancanza un tutore, compiono gli atti necessari in sua vece, salvo gli atti personalissimi, che dovranno attendere la maggiore età perché il soggetto possa compierli personalmente.

Esistono delle attenuazioni della regola dei 18 anni. Per esempio si può contrarre matrimonio a 16 anni se autorizzati dal tribunale dei minori; alla stessa età si può riconoscere un figlio, o fare testamento. A 15 anni si può iniziare a lavorare, quindi ad esercitare tutti i diritti che conseguono ad un rapporto di lavoro. Eccezione all'eccezione è il fatto che il contratto di lavoro è firmato dal rappresentante del ragazzo, mentre gli atti successivi sono compiuti dal minore stesso.

Nei casi di adozione, il minore deve essere ascoltato se ha compiuto i 14 anni. Altrettanto accade quando viene introdotto un figlio naturale, nato fuori dal matrimonio, nella famiglia.

Il minore che ha contratto matrimonio si trova in uno status particolare che gli consente di compiere alcuni atti: l'emancipazione.

Di contro un adulto può venire a trovarsi nelle stesse condizioni, cioè una sorta di capacità di agire limitata, se viene riconosciuto parzialmente incapace di intendere e di volere: l'inabilitazione.

Chi si trova in quelle situazioni può compiere solo atti di ordinaria amministrazione, ma gli viene nominato un curatore che ha il compito di integrare la volontà del soggetto (per ciò detti complessi) nel compiere quegli atti che gli sono interdetti, cioè gli atti di straordinaria amministrazione, ossia di una certa rilevanza, che comunque sono nell'interesse dell'emancipato.



Incapacità legale e naturale, interdizione legale e giudiziale.


Può succedere che il soggetto maggiore d'età si trovi in uno stato d'incapacità d'intendere e di volere. In questo caso interviene l'ordinamento con figure di incapacità legale che sono previste per due ragioni: per proteggere il soggetto o per sfiducia nei suoi confronti. È incapace il minore, l'interdetto e l'inabilitato. Gli ultimi due con sentenza del giudice. L'interdizione per incapacità di intendere e di volere per menomazione mentale è la forma dell'interdizione giudiziale, ed è pronunciata nell'interesse dell'incapace. Vi si affianca un'interdizione di tipo legale, derivante dalla legge, anche se collegata ad una condanna penale, come pena accessoria all'ergastolo o ad una pena detentiva superiore a 5 anni. Questa prevede solo limitazioni di carattere patrimoniale e sorge per sfiducia nel soggetto ed al fine di tutelare persone diverse. L'interdetto legale può fare testamento, riconoscere un figlio o contrarre matrimonio. La posizione dell'interdetto legale è dunque simile a quella del minore d'età. L'inabilitato ha invece un'incapacità di agire relativa.

Per la dichiarazione d'interdizione giudiziale, uno stato di infermità mentale è condizione necessaria ma non sufficiente, perché si richiede che quello stato sia abituale. L'infermità può anche non essere mentale, ma comunque dev'essere tale da permettere al soggetto di esercitare in proprio i suoi diritti; sono casi esemplari la cecità e l'audio lesione di persone che non sono state educate adeguatamente. In questo caso l'interdizione dev'essere richiesta dalle persone che ne hanno titolo, oppure dal Pubblico Ministero. I soggetti autorizzati a richiedere la sentenza d'interdizione sono il coniuge, i parenti entro il 4° grado e gli affini entro il 2° grado. Presupposti sono l'abituale infermità di mente e l'inettitudine a compiere atti nel proprio interesse, entrambi tassativi. Per taluni anche il tossico dipendente è da considerarsi un abituale infermo di mente, ma bisogna di volta in volta verificare il grado d'inettitudine a perseguire i propri interessi.

La sentenza d'interdizione comporta incapacità assoluta del soggetto, e produce effetti dal momento della sua pubblicazione in cancelleria. La sentenza deve essere annotata nell'atto di nascita del soggetto, affinchè sia a conoscenza di tutti.

Gli eventuali negozi giuridici conclusi dall'interdetto o dall'inabilitato sono annullabili.

Con la stessa sentenza è nominato il tutore, il quale compie gli atti nel nome e per conto dell'interdetto, nel suo interesse. Sono possibili solo atti di natura patrimoniale e non personale. L'interdetto giudiziale, dunque non può compiere atti personalissimi, quindi si trova in una condizione peggiore del minore.

Queste sono norme eccezionali, quindi non sono applicabili ad altri casi simili per analogia.

La sentenza ha valore fino a revoca o fino a che il soggetto è in vita.

I casi che rispondono solo parzialmente ai requisiti e i casi di prodigalità, tossicodipendenza e alcolismo, possono ottenere sentenza di inabilitazione. L'inabilitato è in uno stato di incapacità relativa di intendere e di volere, potendo compiere in proprio solo atti di ordinaria amministrazione, ma può compiere gli altri con il concorso del curatore, nominato con la stessa sentenza. In questi casi, l'infermità non è tale da condurre alla drastica interdizione. L'inabilitato può compiere gli atti personalissimi, come l'interdetto legale. La differenza sta nell'annullabilità, che per l'inabilitato può essere chiesta dalle sole persone aventi titolo, mentre per l'interdetto legale, essendo l'istituto rivolto in favore degli altri, l'atto può essere annullato su richiesta di chiunque vi abbia interesse.

La posizione dell'inabilitato ha anche analogia con quella del fallito, che non può compiere atti di natura patrimoniale, e sarà il curatore ad amministrare il suo patrimonio, principalmente nell'interesse dei creditori. Gli atti eventualmente compiuti dal fallito in violazione a questa norma non sono annullabili come quelli dell'inabilitato, ma sono inefficaci.

L'incapacità naturale, che si distingue da quella legale, è l'incapacità di intendere e volere, duratura, permanente o occasionale, che non ha ricevuto la sentenza dichiarativa. Casi esemplari sono: l'alterazione dovuta all'alcool, oppure un malore temporaneo.

Gli atti compiuti in queste circostanze sono annullabili a richiesta del soggetto o degli aventi titolo. Ma con la particolarità che, per gli atti unilaterali si deve dimostrare il grave pregiudizio subito dall'incapace e per i contratti si deve anche dimostrare la mala fede della controparte. Questo perché, negli atti bilaterali, entra in gioco anche la possibilità che la controparte sia ignara dell'incapacità non dichiarata dell'altro soggetto autore, e in tal caso merita tutela. Tutela che gli sarà negata se invece si dimostra essere stato a conoscenza delle condizioni dell'altro e di averne approfittato, quindi, in altre parole, di essere stato in mala fede. Ad esempio nell'accettare un'eredità che era gravata da maggiori passività che attivi, il soggetto incapace deve dimostrare, oltre alla sua incapacità, anche il grave pregiudizio. È molto complicato annullare l'atto compiuto dall'incapace non dichiarato.

In materia di responsabilità da atto illecito è richiesta la capacità di intendere e di volere, non la capacità legale, per cui un minore può essere responsabile. La capacità di intendere e volere è la capacità naturale, perciò può averla anche il minore che invece è incapace legalmente.

Il bambino mandato a fare la spesa dalla mamma è in grado di farlo, perché è richiesta la capacità legale del rappresentato, perché è un atto di ordinaria amministrazione. Se l'acquisto fosse di un bene di grande valore, quindi sarebbe un atto straordinario, il venditore dovrebbe chiedere di esibirgli l'atto di procura.

L'incapacità naturale è implicata nei casi di responsabilità da atto illecito (art. 2046) per il fatto che chi abbia arrecato il danno in condizioni di incapacità di intendere e volere non deve rispondere del danno, salvo che il suo stato di incapacità derivi da sua colpa. Il giudice tuttavia può imporre un indennizzo, che appunto non è un risarcimento.




Tutela e curatela.


Esistono atti di ordinaria e di straordinaria amministrazione per il compimento dei quali si differenzia il livello di autorità che può deciderne le sorti. Il tutore o il curatore devono chiedere un'autorizzazione al giudice tutela o al giudice del tribunale a seconda del tipo di atto che intende porre in essere per conseguire gli interessi dell'incapace.

Il codice non dà definizioni sulla straordinarietà o meno di un atto. La distinzione può arrivare dall'ordinamento, ma più spesso dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che stabiliscono la procedura da seguire nei vari casi.

Generalmente gli atti di ordinaria amministrazione non alterano il patrimonio. Per esempio per incassare una somma di denaro per conto di un minore, il genitore deve chiedere l'autorizzazione del giudice tutelare, mentre per l'accensione di un'ipoteca deve chiedere, oltre al parere del giudice tutelare, anche l'autorizzazione del giudice del tribunale.

Nel codice l'art. 374 elenca gli atti che il tutore non può compiere senza l'autorizzazione del giudice tutelare, e crea una fittizia distinzione con quelli che può svolgere, intesi come di ordinaria amministrazione. L'art. 372 è invece un esempio di come la legge disciplini la procedura da seguire nei casi previsti, anche lì tracciando una non definita separazione tra atti ordinari e non, specificando che i capitali del minore devono essere investiti nei modi riportati e soprattutto previa autorizzazione del giudice tutelare.

Altro esempio è l'articolo 1572, che stabilisce essere di straordinaria amministrazione il contratto di locazione di durata superiore ai nove anni e la percezione di anticipazioni di affitti di oltre un anno.



Le persone giuridiche.


Le persone giuridiche, società, associazioni, ecc., sorgono per assecondare la necessità dell'individuo di vivere in comunità. Il codice civile distingue persone giuridiche pubbliche e private, ma poi, ovviamente, disciplina solo le seconde. La costituzione, in tema di diritti inviolabili (art. 2), cita le formazioni sociali.

L'ordinamento prende in considerazione sia enti cui è stata riconosciuta la personalità giuridica che enti cui non è stata riconosciuta, perché anche questi possono essere un centro di gravitazione di interessi.

Associazioni non riconosciute sono ad esempio i sindacati ed i partiti, le più importanti.

Sistematicamente il codice distingue le persone giuridiche con fini di lucro da quelle con altri fini, trattando le società di capitali (quelle di persone non hanno personalità giuridica) nel libro V (del lavoro).

Le persone giuridiche private sono formazioni sociali, quindi hanno un elemento personale, cioè di individui, almeno 2 persone. Poi c'è un elemento oggettivo che è il patrimonio. Poi serve uno scopo e infine il riconoscimento della personalità.

Si distingue tra associazioni e fondazioni. Le seconde vedono in se' la prevalenza del patrimonio sull'elemento personale, che tuttavia esiste, perché qualcuno deve pur occuparsi di amministrare il patrimonio e di perseguire i fini della fondazione.

Secondo il Galgano, a monte di un'associazione c'è un contratto (contratto di società) con cui i soci regolano i loro rapporti e da cui fanno derivare le loro singole prestazioni, che sono sempre suscettibili di valutazione economica.

Alla base della fondazione, invece, c'è un atto di destinazione unilaterale.

Per costituire le associazioni si deve redigere un atto pubblico ed uno statuto, mentre per le fondazioni, se per destinazione di persona in vita, con atto pubblico, altrimenti, per testamento, non è necessaria la forma solenne.

Solo con il riconoscimento con decreto del Presidente della Repubblica (o per le associazioni a carattere provinciale del prefetto), si acquista la personalità giuridica. Le società acquistano la personalità giuridica iscrivendole nel registro delle imprese presso la camera di commercio.

Solitamente le associazioni non riconosciute sono tali perché non hanno voluto ottenere la personalità giuridica.

Le persone giuridiche vengono iscritte nell'apposito registro presente in ogni provincia, dal quale risultano riferimenti all'atto costitutivo, al decreto di riconoscimento, all'amministratore, ecc., come stabilito dall'art. 33.

Il riconoscimento è l'atto amministrativo costitutivo, mentre l'iscrizione è atto pubblicitario.

L'associazione esiste già quando viene iscritta, ma gli effetti del riconoscimento vero i terzi hanno effetto solo dopo l'iscrizione. Gli atti compiuti prima dell'iscrizione, ricadono sotto la diretta responsabilità di chi li ha compiuti e dei membri dell'associazione, non l'associazione o fondazione come persona giuridica.

Ogni persona giuridica ha l'organo degli amministratori e l'assemblea degli associati; questi ultimi determinano la volontà della persona giuridica, mentre gli amministratori la mettono in pratica.

Per la fondazione, l'assemblea non c'è, dato che la volontà e lo scopo sono stabiliti a priori dal fondatore; ci sono solo amministratori.

Nell'associazione l'interesse da realizzare, che è interesse proprio di ogni associato, è interno all'ente. Invece nella fondazione l'interesse da perseguire è esterno, cioè proviene da chi, esterno, fondando l'ente gli ha indicato i fini da realizzare.

Perché l'associazione, ad esempio, acquisti un immobile, l'atto sarà posto in essere dal comitato esecutore e a firma del presidente dell'associazione. Si parla, qui, di rappresentanza organica o istituzionale, cioè riguardo agli atti che vengono compiuti da persone fisiche, per la necessità di compiere atti che da se' la persona giuridica non può compiere per la sua natura.

La capacità giuridica delle persone giuridiche è disciplinata allo stesso modo che per le persone fisiche, mentre la capacità di agire è più limitata per sua natura (non può fare testamento, non può contrarre matrimonio, solo da poco possono ereditare, non possono godere di usufrutto vitalizio, ma limitatamente a trent'anni).

I comitati sono considerati fondazioni non riconosciute.

Le associazioni non riconosciute possono anche essere chiamate in giudizio.

Le uniche differenze che restano tra gli enti riconosciuti e non sono sostanzialmente: la perfetta autonomia patrimoniale dato che in quelle riconosciute i soci non risponderanno mai col proprio patrimonio; quelle riconosciute possono acquistare beni a titolo oneroso, accettare donazioni ed eredità (l'art. 17 c.c., abrogato dalla L. 127/97 Bassanini, lo vietava alle persone giuridiche).




Per i debiti delle associazioni non riconosciute si persegue principalmente il fondo comune, poi il patrimonio dei componenti dell'associazione o del comitato.

Queste associazioni possono acquistare la titolarità di diritti reali solo a titolo oneroso, mai a titolo gratuito; cosa che è riservata agli enti riconosciuti.



Diritti personalissimi.


Detti anche diritti umani. Nella nostra costituzione sono definiti diritti inviolabili.

Il diritto all'integrità fisica, al nome, alla privacy, ecc. Oggi il livello di civiltà di un ordinamento si misura con la tutela dei diritti umani.

La tutela di questi diritti, nel nostro ordinamento è contenuta nella costituzione, nelle norme privatistiche e in quelle penali. Nel codice civile sono contenute norme di tutela di alcuni di questi diritti, ad esempio il danno all'onorabilità della persona, del suo nome. Reato previsto dal codice penale, ma disciplinato nel codice civile.

Il primo esempio di tutela dei diritti umani giunge con la Magna Charta inglese, poi la dichiarazione francese dei diritti dell'uomo, seguì la dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America, ecc. fino a giungere ai giorni nostri con la Convenzione dei diritti dell'uomo del 1950 ed il trattato di Maastricht del 1992.

I diritti personalissimi sono legati all'evoluzione della società. Per esempio il neonato diritto a diventare genitore è disciplinabile solo oggi che la tecnologia medica consente di intervenire con sistemi d'inseminazione artificiale.

Altro esempio meno recente è il diritto alla privacy che si contrappone ad un diritto all'informazione.

L'art. 5 del codice civile regola il diritto all'integrità fisica imponendo l'indisponibilità del proprio corpo; poi alcune leggi speciali consentono la donazione di organi o sangue, intese come eccezioni alla regola. In caso di decesso è possibile prelevare anche organi vitali per trapiantarli in malati gravissimi.

L'art. 6 del codice disciplina il diritto al nome, inteso come prenome, cognome e pseudonimo. La tutela del nome inteso come elemento identificativo esclusivo della persona e parte della sua stessa immagine, è contenuta negli articoli 7,8, 9 e 10 dell'immagine in se'. L'azione relativa all'abuso del nome altrui è detta di reclamo; quella per l'uso dell'altrui nome è detta di usurpazione.

Non è consentito cambiare nome se non in rare eccezioni relative a casi di nomi volgari e compromettenti, facendo richiesta al Consiglio di Stato.

Il nome può essere aggiunto a quello della donna sposata e a figli riconosciuti.

L'immagine della persona non può essere utilizzata impropriamente e senza il suo consenso, salvo che per le personalità pubbliche o notorie e le persone comuni riprese nel corso di un evento pubblico.

La tutela della privacy è esplosa recentemente, ma era già rilevante nel secolo XIX, quando fu coniata da un avvocato di Boston, il quale, essendo continuamente spettegolato dalla stampa, elaborò un famoso saggio con cui evidenziò i tratti salienti di questo nuovo diritto della persona.

La tecnologia ha amplificato l'informazione, quindi ha reso più grave il danno alla privacy. Per questo in Italia è attiva dal 1996 l'Autorità garante per la privacy, introdotta con la L.675, che da allora è presieduta dal prof. Rodotà.

A fianco della norma sono sorti codici di autoregolamentazione, deontologici, in varie categorie di professionisti, come i giornalisti e i medici. Ad esempio i giornalisti non pubblicano i nomi per esteso dei minori. I medici non diffondo notizie sulle condizioni di salute dei pazienti senza il loro consenso nemmeno se sono persone famose (caso Battisti).

Ma allo stesso tempo il diritto all'informazione sta aumentando la sua importanza.

Sostanzialmente la L.675/96 introduce il principio del trattamento dei dati personali del cittadino da parte di enti pubblici o privati solo su palese consenso informato dell'interessato. I dati sensibili (preferenze politiche, ecc.) possono essere trattati solo, oltre che col consenso dell'interessato, anche dietro autorizzazione del Garante. Questi aveva concesso per un periodo di tempo un'autorizzazione generale, ma ora, scaduto il termine, la concede caso per caso.

Un altro diritto connesso all'informazione, è quello della pubblicazione fedele delle idee o delle tendenze di una persona, la quale, se ritiene invece essere state distorte, può chiederne la rettifica nella pubblicazione successiva.

Altri nuovi diritti personalissimi sono il diritto alla salute e all'ambiente salubre.

I diritti personalissimi sono indisponibili e imprescrittibili.

Indisponibili perché non vi si può rinunciare in alcun modo; ad esempio nessuno può essere sottoposto a cure mediche se non per sua espressa volontà, tranne nei casi d'emergenza in cui il medico, per non incorrere nel danneggiamento del malato grave che non sia in condizioni di dare il proprio consenso (art. 2049 in senso generico riferito a chi è tenuto a certe prestazioni di sua competenza o di sue mansioni).

Sono imprescrittibili perché il non uso di certi diritti non preclude la possibilità di rivendicarli in seguito.



Circostanze di luogo: domicilio, dimora, residenza e sede.


Il domicilio è il luogo dove la persona ha la sede principale dei suoi affari e dei suoi interessi (43) di qualsiasi natura. In taluni casi la persona può leggere domicilio speciale, in forma tassativamente scritta, ad esempio nel caso dell'affidamento di una causa ad un avvocato si può eleggere domicilio presso lo studio legale.

La dimora è il luogo in cui la persona vive, ma senza riferimento alla continuità protratta nel tempo. Un periodo molto breve di permanenza in un luogo, ad esempio per una notte o per un paio di giorni, si dice soggiorno.

La residenza è il luogo in cui la persona dimora abitualmente e stabilmente, e può coincidere con il domicilio. Si distingue a volte dalla residenza anagrafica, il che implica che la residenza sia puramente un fatto.

La sede è il luogo designato nell'atto costitutivo di una persona giuridica, al quale va fatto riferimento per la trasmissione di ogni atto ad essa riferito. Per esempio, l'avvocato che deve citare un'associazione pubblica, deve notificargli l'atto nella sede di costituzione, mentre se deve citarne una privata lo deve fare presso la sede dell'associazione. Per questo è importante il riferimento di luogo, ovviamente quando la legge lo prevede.

Per le persone giuridiche, quindi, l'unico punto di riferimento è la sede. Se è diversa da quella indicata nell'atto costitutivo, i terzi possono fare riferimento a quella effettiva.

Per le persone fisiche prevale il domicilio; per esempio la successione ereditaria si apre nel luogo dell'ultimo domicilio. In materia di adempimento di obbligazione, il luogo della prestazione, se non è determinato o desumibile, sarà quello del domicilio del creditore (1182). In alcuni casi la legge prende in considerazione la residenza, ma raramente si fa riferimento alla dimora, e solitamente in via residuale.



Assenza e morte presunta.


Vedi testo.



I BENI


L'uomo è inevitabilmente portatore di interessi tendenti a soddisfare bisogni ed esigenze. Esigenze che sono soddisfatte o con beni o con servizi. Ad esempi, la necessità di avere un'abitazione può portare ad un acquisto o ad una locazione; nel primo caso sarà un contratto reale, la compravendita, con la relativa titolarità del diritto reale di proprietà sulla casa, mentre nel secondo caso, si avrà diritto ad una prestazione da parte del proprietario, quella di lasciare godere dell'abitazione.

Il bene è qualcosa che forma oggetto di un diritto (810).

Tale definizione si adatta all'evoluzione dei tempi, lasciando alla capacità dell'uomo di saper godere di un qualcosa che in precedenza non poteva essere oggetto di diritti l'introduzione di un bene nel rilevante giuridico.

Esistono beni comuni a tutti, di cui tutti possono godere. Nel momento in cui una cosa non esiste più in natura in quantità elevata, ma appunto è limitata, si innesca la rivalità tra persone interessate ad averla, quindi si rende necessario l'intervento dell'ordinamento per disciplinare il suo godimento onde evitare conflitti cruenti.

L'ambiente non era considerato un bene in passato, ma l'inquinamento lo ha impoverito e ridotto fino al punto di assumere importanza nell'ordinamento giuridico. Oggi è un bene pubblico, ma allo stesso tempo anche un bene individuale.

Si pensi all'etere, inteso come gamma di frequenze utilizzabili per le telecomunicazioni.





Classificazione dei beni.


Le categorie dei beni sono quelle elencate negli articoli 812 e seguenti, ma non solo; nel codice si trovano qua e là altre classificazioni.

La prima distinzione è sulla caratteristica fisica dell'amovibilità, quindi tra beni mobili e immobili. Tra i mobili si distinguono quelli registrati (815). L'energia è un bene mobile (814). Un insieme di beni mobili aventi la stessa destinazione e appartenenti alla stessa persona, forma un'universalità di mobili (816; es. i quadri di una pinacoteca). I beni di un'universalità possono essere considerati come unico bene o anche sigolarmente.

caratteristica dei beni immobili, quella della registrazione, e tipica quindi dei beni di particolare importanza.

I beni demaniali sono dei beni pubblici che il nostro ordinamento protegge e quindi per poterli utilizzare i cittadini devono essere titolare di una concessione.

Esistono così, beni in commercio o extra commercio a seconda che possano essere oggetto di scambio commerciale o su cui è possibile instaurare rapporti di diritti reali.

Beni corporali e incorporali, tra questi ultimi vi è l'avviamento che la dottrina ingloba tra i beni dell'azienda di cui alla definizione dell'art. 2555.

Beni fungibili o infungibili sono i beni in relazione al genus cui possono appartenere, nel senso che le cose dello stesso genere possono essere individuate solo per misura e non per le loro peculiarità, quindi sono sostituibili tra loro.

I vari elementi di una cosa composta sono, rispetto alla cosa nel suo insieme, pertinenze (817).

È da considerare pertinenza anche la cosa che non è parte integrante di un'altra, ma vi è comunque a servizio o ad ornamento, e che aumenta il valore della cosa principale. I rapporti giuridici che hanno ad oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto (818), ma possono essere oggetto di rapporti distinti.



I DIRITTI REALI


I diritti reali sono assoluti.

Il diritto di proprietà è un diritto fondamentale per i bisogni dell'uomo. Può essere visto in maniera più o meno individualistica a seconda dell'ideologia dominante.

Fin dal diritto romano la proprietà fu considerata un diritto forte. In epoca germanica invece fu vista in un'ottica più collettivistica. In epoca medievale hanno prevalso le affermazioni del diritto germanico con strascichi fino ai giorni nostri. Quando si passa dall'epoca medievale a quella illuministica ritorna la concezione romanistica. I costituzionalisti inglesi del 1700 vedono addirittura il diritto di proprietà come un diritto naturale.

Con la rivoluzione francese del 1789 a cui segue nel 1804 il code Napoleon il diritto di proprietà acquista una dimensione più ampia, recepita anche nel codice italiano del 1865, dettata soprattutto dalla politica della nuova classe dirigente, la borghesia.

Alla rivoluzione industriale dell'800 segue l'avvento della classe del proletariato e delle teorie marxiste, che vedono la proprietà in una dimensione particolarmente collettivistica.

Il codice del 1942 non da una definizione della proprietà, ma ne da contenuto, limiti e obblighi del proprietario.

L'art. 832 c.c. e gli articoli 42 e 44 della Costituzione del 1948 fanno apparire la proprietà decisamente libera, ma con una chiave di lettura anche sociale, imponendo i limiti che fissa l'ordinamento. Ci sono poi altre leggi speciali che introducono nuove limitazioni.

L'art. 42 cost. dice che la proprietà può essere pubblica o privata e prevede la possibilità, in casi di necessità, la sua espropriazione salvi indennizzo.

L'art. 44 affronta il fine sociale della proprietà, con particolare riferimento alla proprietà terriera.

L'832 ci dice che il proprietario può godere e disporre della cosa, quindi può usarla, consumarla ed anche distruggerla, ma deve farlo entro i limiti che stabilisce l'ordinamento, quindi, per esempio, deve utilizzare un terreno secondo la destinazione d'uso che è stabilita nel piano regolatore generale del Comune, che si ispira a motivazioni di interesse pubblico. come si vede, il proprietario non è sempre libero di fare del proprio bene quello che vuole.

Il termine disporre va inteso nel senso di alienare, affittare, o gravare la cosa di un diritto reale di godimento o di garanzia. Anche in questo esistono dei limiti dettati dall'ordinamento. Il proprietario non può scegliere a chi vendere.

I termini "in modo pieno ed esclusivo" indicano la completezza e l'unicità del potere del proprietario sulla cosa, ma anch'essi subiscono limitazioni, per esempio nel caso dei cacciatori che possono passare sul fondo altrui per i fini venatori (842).

L'art. 833 è una limitazione di carattere privato, perché contiene il divieto di utilizzare la propria cosa col solo scopo di danneggiare gli altri, i c.d. atti d'emulazione. In questo si coglie tutta la problematica dell'abuso. L'844 detta regole sulle immissioni tra terreni vicini, fissando la clausola generale della normale tollerabilità secondo i criteri stabiliti di seguito, cioè avendo riguardo ai luoghi ed alla necessità della produzione, riferendosi quindi alla destinazione del fondo e all'attività svolta dal proprietario su quel fondo. Le immissioni sono un argomento che tange la materia della tutela dell'ambiente.

Esistono vari tipi di proprietà che l'ordinamento disciplina in maniera differente, con riferimento alla funzione sociale.

A partire dalla distinzione dell'art. 42 cost. tra proprietà pubblica e privata, si conoscono statuti per la proprietà fondiaria, quella rurale ed edilizia, quella rurale forestale (44 cost. comunità montane), la multiproprietà.

La disciplina della proprietà edilizia ha un regime evidentemente diverso da quello rurale, perché è regolato dai regolamenti comunali di urbanistica. La legge Bucalossi ha creato problemi sia nella dottrina che nella giurisprudenza sottraendo al diritto di proprietà la facoltà di edificare, assoggettandola ad una concessione. L'autorizzazione è un atto amministrativo che rimuove l'ostacolo che si frappone al diritto. Si innescata una discussione sulla facoltà di edificare come integrata nel diritto di proprietà, ma la legge Bucalossi impone chiaramente che la concessione deve essere data al proprietario a titolo oneroso.

Il regime della proprietà rurale è influenzato dai principi dell'art. 44  che tendono ed eliminare il fenomeno del latifondismo ed a migliorare la produttività dei terreni con miglioramenti e bonifiche coercitive. La riforma dei contratti agrari va nella stessa direzione, quindi tenta di imporre uno sfruttamento più razionale dei fondi per aumentarne la redditività.

Il regime della proprietà forestale è legato alle esigenze dell'ambiente salubre, con leggi ambientalistiche (Galasso, legge sui parchi, ecc.) ed antinquinamento.

Limiti alla proprietà derivano da interessi militari (espropriazioni, requisizioni (835) e servitù), oppure riguardo alle acque.

Certe limitazioni possono essere imposte solo con legge, come la nazionalizzazione dell'energia.

Il diritto di proprietà è un diritto reale, assoluto, tipico con carattere di immediatezza, segue il bene quando questo viene spostato, ed è perpetuo, salvo alcune eccezioni., dato che non è concepibile una proprietà a termine, anche se esistono eccezioni di temporaneità, come la multiproprietà o il legato a tempo (perciò la caratteristica della perpetuità e vera, ma non del tutto).

La legge stabilisce i modi di acquisto della proprietà, secondo l'art. 42 cost., ma il codice aveva già elencato i modi nell'art. 922, mentre la dottrina distingue modi di acquisto a titolo derivativo o originario.

Tale distinzione assume importanza perché in quello originario la titolarità del diritto si acquista come se esistesse per la prima volta, anche se era precedentemente appartenuto a qualcun altro, senza alcun collegamento con il precedente diritto sul bene. A titolo originario si acquista con usucapione o occupazione (dei beni mobili(923)), con accessione, oppure da parte di un ente pubblico, con espropriazione.

Quello a titolo derivativo sottintende il trasferimento del diritto così com'era nel diritto precedente, quindi con le eventuali limitazioni (servitù, o altro). A titolo derivativo si trasferisce il diritto tramite un contratto (compravendita, donazione), o per successione, ecc.

La proprietà si perde per alienazione della cosa, o per sua distruzione; oppure per inerzia, che può corrispondere all'esercizio del diritto da parte di altri (fino all'usucapione); o ancora per abbandono (res derelicta) di bene mobile a cui può corrispondere l'occupazione di altri. Possono esserci anche casi di abbandono di un bene immobile, come nel caso di abbandono del fondo servente.




I modi di acquisto a titolo originario.


Possono essere originati sia da fatti (qualsiasi avvenimento giuridicamente rilevante) che da atti giuridici (che hanno in più l'elemento della volontà di compierli).

Tra i più importanti c'è l'occupazione (923) che si riferisce solo ai beni mobili, perché gli immobili di proprietà di nessuno spettano allo Stato (827). Quando qualcuno dismette il possesso di un bene mobile, qualcun altro può immettersi nel possesso con l'intento di farlo proprio.

L'abbandono dev'essere palese altrimenti non può esserci occupazione.

Anche la selvaggina è acquistabile per occupazione, cosa regolata da leggi speciali. Il codice si occupa anche degli animali mansuefatti e degli sciami (925 ss.).

Cosa diversa è l'invenzione di beni smarriti (927 ss.), cioè quando il proprietario non aveva l'intenzione di abbandonare. La cosa trovata va riconsegnata al proprietario se conosciuto, altrimenti al sindaco del comune in cui fu trovata, così che questi affigga comunicazione nell'albo pretorio per due domeniche consecutive. In mancanza di rivendicazioni da parte del proprietario, chi ha rinvenuto la cosa può chiederne la proprietà. Il legittimo proprietario o colui che l'ha ritrovata, se la ritirano devono pagare le spese. Se la ritira il proprietario deve pagare anche un premio del 10% al trovatore, ecc.

Altri modi a titolo originario sono: l'accessione, la specificazione, l'unione e la commistione. Si realizzano tutti con l'espandersi del diritto su altre cose.

L'accessione si riferisce a beni mobili e immobili. Avviene quando una cosa viene aggiunta o asservita ad un'altra cosa che è principale rispetto a quella (934). L'accessione da immobile a immobile può avvenire per fatti come un'alluvione o un'avvulsione, la prima per deposito di detriti su un fondo, la seconda lo spostamento di porzioni di terra da una riva ad un'altra. L'alveo del fiume abbandonato dall'acqua o l'isola (in mari nata) che può venire a formarsi sia in mare che nei fiumi, restano di proprietà demaniale.

La specificazione è il risultato di un'opera di trasformazione su un materiale di altri. Il rapporto si chiarisce in relazione al valore della cosa prima e dopo l'opera. Se ha più valore l'opera in relazione al materiale, questa appartiene a chi l'ha fatta, viceversa appartiene al proprietario del materiale. In entrambi i casi che rimane proprietario della cosa deve pagare il materiale o l'opera dell'altro.

Unione e commistione è la confluenza di un bene mobile in un altro in modo che non siano più separabili. Un'unione potrà essere quella della tinta ad una stoffa; una commistione potrebbe essere la mescolanza di un vino con un altro diverso per aumentarne la gradazione.

Un altro acquisto a titolo originario è l'usucapione.



Azioni a tutela della proprietà.


Le azioni in giudizio per rivendicare la proprietà sono chiamate petitorie reali, che si distinguono da altre azioni per diritti reali come la possessoria, l'azione di enunciazione, la confessoria, ecc.



Azioni petitorie.


Sono la rivendica, la negatoria, la rettifica dei confini e l'apposizione di termini.

L'azione di rivendicazione è la più complicata, perché il proprietario non si trova in possesso del bene che reclama suo. La rivendica tende a riavere la cosa. Tanto è difficile la prova che il proprietario deve fornire che viene chiamata diabolica.

A monte della prova della proprietà c'è la prova della bontà o validità del titolo di acquisto dai precedenti proprietari, che quindi risale fino ad un acquisto a titolo originario di un precedente proprietario, ammesso che tutti i titoli di acquisto intermedi siano provati anch'essi validi.

La ricerca si interrompe quando siano riscontrati in un precedente proprietario i termini per l'usucapione (cioè un possesso di venti anni).

La prova diabolica si è stemperata ultimamente con la prassi giudiziaria di vedere cosa eccepisce il convenuto, se la validità del solo titolo di chi rivendica o se anche i precedenti.

L'azione di rivendicazione è imprescrittibile come il diritto di proprietà.

Anche l'azione negatoria è imprescrittibile, ed è volta ad ottenere la cessazione di un'ingerenza o un disturbo di altri sull'esercizio del diritto da parte del legittimo proprietario. Questo può verificarsi con azioni di fatto o con rivendicazioni di diritti reali sulla cosa. In tal caso l'azione negatoria è proposta contro colui che vanta certi diritti.

La prova che deve fornire il proprietario è solo della proprietà, mentre l'altra parte ha l'onere più difficile di provare il diritto che vanta (salvo usucapione).

L'azione di rettifica dei confini si instaura tra fondi confinanti per la determinazione degli stessi. La prova può essere fornita con ogni mezzo, anche testimoniale. Solo in ultima analisi, il giudice può istruire il giudizio sulla base delle circostanze catastali, perché non hanno rilevanza giuridica se non in materia fiscale e tributaria, quindi costituiscono solo indizi.

L'azione di apposizione di termini si esperisce quando ad essere in discussione non sono i confini, che risultano certi, ma quando sono venuti meno i segnali che li identificavano sul terreno, perciò si chiede che siano apposti a spese di entrambi i proprietari confinanti (951).




I DIRITTI REALI DI GODIMENTO LIMITATI


Detti anche parziali o relativi, perché si riferiscono ad un bene di proprietà altrui. Essendo la proprietà un diritto esclusivo, se un diritto di altri coincidesse in ampiezza con la proprietà stessa, il diritto parziale si estinguerebbe.

Anche questi diritti sono tipici, quindi tassativamente previsti dalla legge.

Sono 6: usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie e servitù.

Una caratteristica del diritto di proprietà è l'elasticità, per cui si comprime a favore di un diritto reale su un bene altrui, per poi riespandersi al suo cessare.



Usufrutto.


È il diritto di godere del bene altrui, facendo propri i frutti naturali o civili, conservando però la sua destinazione originaria (981). Ad esempio impiegare un fondo prima coltivato a frutto per uso forestale è un cambiamento di destinazione economica che l'usufruttuario non può compiere.

L'usufrutto può sorgere per atto inter vivos o mortis causa, ossia per contratto o per successione ereditaria.

Esiste l'usufrutto legale dei genitori verso i beni dei figli minori.

Può anche essere acquistato per usucapione (978).

La sua durata può essere stabilita dalle parti, oppure se non dispongono in tal senso si intende concesso a vita al beneficiario. Le persone giuridiche, che potrebbero avere una vita indefinitamente lunga, possono essere titolari di usufrutto per un periodo non superiore a 30 anni (979), altrimenti il diritto di proprietà corrispondente sarebbe svuotato del suo contenuto.

L'usufrutto può essere trasferito ad altri dal suo titolare, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo; esiste cioè un sub usufrutto. È inalienabile l'usufrutto legale. Il bene oggetto dell'usufrutto può essere concesso in locazione; il contratto però può durare fino al termine della vita del primo usufruttuario.




È possibile concedere beni in usufrutto solo se sono inconsumabili, perché devono essere restituiti al proprietario. Il codice ha anche previsto il quasi usufrutto, cioè l'usufrutto di beni consumabili; alla scadenza sarà restituita una pari quantità di beni nel genus (995).

Stessa cosa dicasi per i beni deteriorabili dove il bene sarà restituito nello stato in cui si trova al termine (996).

Il proprietario del bene si chiama "nudo proprietario".

L'usufrutto può essere concesso in quote parti a diverse persone, norma discendente dal diritto successorio. Se l'usufrutto sorge per successione ereditaria a favore di più persone contemporaneamente ed è stata prevista la clausola di accrescimento, alla morte di un usufruttuario la sua quota va ad accrescere quella degli altri; si estinguerà solo alla morte dell'ultimo usufruttuario superstite. Senza la clausola di accrescimento la quota ritornerebbe al nudo proprietario. Nelle successioni non è consentito dare usufrutto a più persone successivamente. La condizione di impedimento del matrimonio successivo del coniuge superstite usufruttuario si ha come non apposta, ma l'usufrutto scadrà in occasione di nuove nozze.

In una donazione, il donante può riservarsi l'usufrutto del bene, per se' e per altre persone dopo di lui, ma non per una terza successione.

Le norme sull'usufrutto riguardano anche gli alberi di bosco e le altre coltivazioni.

Il bene può essere dato in locazione (quando si tratta di beni che non producono redditi: abitazioni, ecc.) o in affitto (locazione di beni che producono reddito: aziende, fondi rustici coltivati, ecc.).

La locazione concessa con atto pubblico o comunque con atto scritto di data certa anteriore alla scadenza dell'usufrutto può proseguire per la sua durata ma non oltre un periodo di 5 anni (999). Se l'usufrutto era a termine, la locazione non può protrarsi oltre l'anno, o con riguardo ai fondi rustici secondo le coltivazioni biennali o triennali (999

Gli obblighi dell'usufruttuario sono di conservare la destinazione d'uso, mantenere in efficienza e restituire nella sua integrità la cosa. Deve inoltre pagare le tasse, anche se oggi si discute se quelle riguardo alla proprietà (ICI) spettino al nudo proprietario, mentre quelle sul reddito (IRPEF-IRPEG) spettino all'usufruttuario.

Le opere di manutenzione straordinaria competono al proprietario; se l'usufruttuario sostiene spese oltre l'ordinaria amministrazione ha diritto ad un congruo indennizzo.

Per la restituzione l'usufruttuario ha l'onere di redigere l'inventario.

L'usufrutto si estingue per scadenza del termine o morte del titolare, per rinuncia, per prescrizione per mancato esercizio ventennale, per confusione a seguito di acquisto della nuda proprietà da parte del titolare.



Uso e abitazione.


Simili all'usufrutto. Uso e abitazione sono diritti personalissimi, non cedibili ad altri, nemmeno mortis causa. La durata, se non è fissata in un periodo dalle parti, è a vita per il titolare del diritto.

L'uso (1021) riguarda il godimento di beni e dei frutti limitatamente a quelli necessari al sostentamento del titolare e della sua famiglia. Perciò il titolare non può disporre del bene dandolo in affitto o locazione o cedere il diritto in se'.

L'abitazione riguarda ovviamente una casa che deve servire al titolare ed alla famiglia (anche figli nati dopo la concessione), senza cedere il diritto ad altri, , anche se si permette la locazione di parte della casa a terzi. Praticamente consegue gli stessi effetti di una locazione, come se il proprietario desse, in locazione appunto, la casa al titolare del diritto all'uso, ma formalmente l'uso è un diritto reale, mentre il diritto del locatario è un diritto obbligatorio, cioè personale, in altre parole rappresenta la prestazione che il locatario può pretendere dal locante, quindi non sarebbe opponibile a terzi, mentre i diritti reali sono assoluti, cioè validi erga omnes.

Un caso particolare è il diritto di abitazione spettante al coniuge legalmente separato cui il tribunale ha affidato la prole; in questo caso il diritto di abitazione non è reale, ma è di natura obbligatoria, cioè il lasciar godere della casa all'altro coniuge è obbligo personale del proprietario riferibile al suo status di coniuge separato, anche se, nel caso che la sentenza di separazione da cui deriva il diritto di abitazione sia iscritta alla conservatoria immobiliare, l'atto sarà opponibile anche ai terzi.

Il coniuge superstite, riguardo alla casa ha un diritto di abitazione e riguardo ai mobili ha l'uso. Il coniuge superstite vi può rinunciare, in quanto diritto personalissimo.



Superficie.


Per comprendere il diritto di superficie bisogna partire dal concetto di estensione verticale del diritto di proprietà, dal per il quale questa si estende in alto e nel sottosuolo, con il limite del razionale sfruttamento dello spazio aereo e delle profondità del sottosuolo, nel senso che il proprietario non può limitare l'uso di questi da parte di altri che egli non abbia interesse ad escludere (840 ). Questa norma è in parte connessa al concetto di superficie.

Ne è un esempio il coniuge che costruisce la casa sul terreno dell'altro coniuge. Per evitare che la casa diventi del coniuge proprietario del fondo per accessione, si costituisce il diritto di superficie.

Pertanto, il diritto di superficie è il diritto di edificare una casa sul terreno di un altro (952).

Un'altra applicazione potrebbe essere la vendita di una casa senza alienare anche il suolo su cui poggia.

Il diritto di superficie si può estinguere per prescrizione, cioè, dopo averlo acquistato, se non si edifica per un periodo di 20 anni. La sua fine naturale avviene per scadenza del termine.

Attualmente ha trovato larga applicazione in tema di superfici pubbliche date per chioschi di giornali, distributori di benzina, ecc., che sono regolati da leggi speciali. Una legge del '65 permette di costruire case di edilizia popolare su fondi espropriati, costituendo il diritto a favore di superficiari privati nei confronti dei comuni per durate fino a 99 anni.

Quando scade il termine, per accessione, la casa passa al proprietario del fondo.

Una legge dell'89 ha permesso la realizzazione di parcheggi privati con lo stesso istituto.

Non è ammessa la proprietà separata dalle piantagioni (956).



Enfiteusi.


Simile alla superficie, non trova larga applicazione se non nel Lazio.

Tra questi diritti è il più esteso, perché l'enfiteuta può fare qualsiasi uso della cosa. Egli deve pagare un canone ed è tenuto a migliorare la cosa, cioè deve farle acquistare valore e di produttività.

Quest'istituto trovava maggiore applicazione nel passato, quando il latifondo era più diffuso.

L'enfiteuta ha il diritto di affrancare il fondo, cioè di acquistarne la proprietà pagando il canone di capitalizzazione, che è poi il prezzo.

Gli articoli del codice sono stati sostituiti in gran parte da leggi speciali che hanno fatto distinzione tra enfiteusi rustiche e urbane. Molte di queste norme sono però state dichiarate illegittime dalla Corte Costituzionale. La durata dell'enfiteusi può essere perpetua o a termine, ma mai inferiore ai 20 anni.

La capitalizzazione del canone è calcolata secondo regole specifiche determinate dalla legge.

Il proprietario ha il diritto di devoluzione dell'enfiteusi, cioè l'estinzione del diritto per l'enfiteuta, quando non paga il canone o non provvede a migliorare il fondo.




Servitù.


È un onere imposto su un fondo a favore di un altro, per una determinata utilità.

L'utilità deve essere intesa come comodità o amenità rispetto al fondo dominante, quindi non soltanto per un'attività necessaria, ma anche per una voluttuaria, come potrebbe essere la vista di un panorama.

Deve peraltro avere la connotazione di un servizio non fine a se stesso, come potrebbe essere quello di passeggiare sul fondo finitimo.

I fondi devono trovarsi in una situazione tale da consentire un razionale asservimento, quindi devono essere necessariamente vicini.

Caratteristica della servitù è quella di consistere sempre in un non fare, perché per essere un diritto reale, e come tale caratterizzato dall'immediatezza, non deve essere dipendente dall'azione di altri per potersi esercitare. Esiste come unica eccezione quella di un'azione che risulti essere accessoria alla servitù. Il proprietario, o l'usufruttuario, o comunque l'utente a qualsiasi titolo del fondo servente, dovrà sopportare l'invadenza del fondo dominante, oppure dovrà osservare un atteggiamento di non fare, inteso come limitazione alle possibilità di godere del fondo.

La servitù può anche essere costituita per un vantaggio futuro, ma il diritto nascerà nel momento in cui inizierà il diritto principale, cioè ad esempio, nel caso di un appartamento con servitù di passaggio su un fondo limitrofo, la servitù avrà inizio dal momento in cui ci sarà un proprietario che avrà la necessità di accedere al suo appartamento.

Le servitù nascono per atto volontario, per usucapione e per un modo di acquisto particolare detto per destinazione del padre di famiglia.



Distinzioni.


Affermative: quando si esercitano attraverso un comportamento del proprietario del fondo dominante.

Negative: quando consistono in un obbligo da parte del proprietario del fondo servente, e per lo più sono di origine volontaria.

Continue e discontinue: a seconda che per il suo esercizio sia funzionale un solo atto iniziale, o se invece sia necessaria l'azione reiterata del proprietario del fondo dominante. Ad esempio, la servitù di acquedotto è continua, perché consiste nel diritto del proprietario del fondo dominante di realizzare un'opera idraulica, mentre quella di passaggio è costituita dal diritto di passare sopra il fondo servente, quindi si esplica con un'azione ripetuta nel tempo, ed è perciò discontinua.

Su questa distinzione si colloca il diverso modo di decorrenza dei termini per la prescrizione di una servitù. Il mancato esercizio del diritto di una servitù continua decorre dal momento in cui si verifica un'interruzione per effetto di un evento che rende inutilizzabile l'opera, ad esempio l'acquedotto, mentre il termine di 20 anni decorre dal momento in cui era possibile esercitare il diritto nei casi di servitù discontinua, come nel caso della servitù di passaggio.

Apparenti e non apparenti: se sono visibili (acquedotto, strada, ecc.) o meno (luce, passaggio, ecc.); sono importanti per la determinazione dell'acquisto del diritto.

L'acquisto per determinazione del padre di famiglia presuppone l'esistenza in precedenza di un unico proprietario dei due fondi che ha creato una servitù di fatto al fine di avvantaggiare il primo di benefici di cui disponeva il secondo, come nel caso di un pozzo d'acqua situato su uno dei due fondi, dal quale una rete idrica conduceva al secondo fondo. In tal caso, se uno dei due fondi viene ceduto ad altri, si viene a costituire la servitù, perché esistono opere visibili, ed è perciò una servitù apparente (nel senso che appare visibile); salvo che non si stabilisca nel contratto di alienazione che tale servitù sia estinta. In altre parole, se un fondo (appartenente allo stesso proprietario di un altro fondo legato al primo da una servitù) o parte di esso viene trasferito ad altri (con atto inter vivos o mortis causa; in quest'ultimo è frequente la divisione di un fondo a favore di più eredi), le servitù in esso presenti passano all'acquirente se sono apparenti, viceversa, se non sono apparenti si estinguono.

Coattive. Le distinzioni sopra elencate si riferiscono a diritti nascenti da atti volontari. Ma possono originarsi anche coattivamente (1032), perché stabilite dalla legge, sia privatisticamente, su richiesta del proprietario del fondo dominante, con sentenza del giudice, che pubblicisticamente, con un atto amministrativo della pubblica amministrazione.

Quelle coattive di tipo privatistico presuppongono che un fondo si trovi in stato di necessità, condizioni descritte dal codice (1033-1057). La necessità del fondo non è detto che sia estrema, basta che il fondo di trovi una situazione prevista dalla legge e che ne sia chiesta l'attivazione al giudice. Questi stabilirà anche l'ammontare dell'indennizzo spettante al proprietario del fondo servente.

Per le servitù volontarie a carico di un fondo che è concesso in usufrutto, queste possono essere generate solo se non riducono il diritto dell'usufruttuario, il quale deve essere previamente sentito.


Condizione per l'opponibilità verso i terzi dei diritti reali sugli immobili è la loro trascrizione alla conservatoria dei registri immobiliari.



IL POSSESSO.


Ci sono delle norme del c.c. che hanno riguardo a situazioni di fatto. Il possesso è il potere sulla cosa corrispondente all'esercizio di un diritto di proprietà o di un altro diritto reale di godimento (1140). Si può possedere direttamente nelle proprie disponibilità, oppure attraverso altri nella forma della detenzione.. Perché ci sia possesso vero e proprio occorrono due elementi: uno oggettivo che è il possesso concreto della cosa, e l'altro soggettivo che è la convinzione di tenere la cosa con l'intenzione di farla propria. Se ad esempio do la cosa in prestito, posso avere il requisito soggettivo, la convinzione di esserne il proprietario, ma non ho più il possesso materiale. È il caso della detenzione, che è di colui che ha nelle sue mani la cosa di altri. Il possesso è presunto fino alla prova della detenzione (1141).

Quando si parla di possesso si vengono a contrapporre situazioni di fatto a situazioni di diritto.

La situazione di fatto è comunque rilevante e produttiva di situazioni giuridiche, perché attraverso il possesso si può arrivare ad essere titolari del diritto corrispondente.

La ragione di una simile posizione del sistema giuridico sta nella necessità di tutelare un interesse generale a non creare situazioni instabili dovute al fatto di dover sempre dimostrare la proprietà da cui dipende il possesso effettivo della cosa da parte del proprietario.

Il possesso è tutelato anche in funzione della corretta circolazione della ricchezza, affinchè i beni immobili siano sempre attribuibili ad una persona. L'usucapione è infatti un modo di acquisto della proprietà attraverso il possesso; per un bene mobile è richiesto, in più, che il possesso sia in buona fede (1153). Il possesso in buona, cioè compiuto nell'ignoranza di ledere un altrui diritto, è presunto (1147).

La portata dell'art. 1153 è piuttosto ampia. Tutela la circolazione della ricchezza sotto forma di beni mobili. Infatti chi possiede in buona fede un bene mobile e ha un titolo idoneo a trasferire la proprietà al momento della consegna della cosa, ne resta proprietario a tutti gli effetti, anche se chi lo ha venduto non era legittimato a vendere.

L'azione di reintegrazione nel possesso può essere esercitata soltanto dal possessore. Sorge a questo punto il problema di determinare la posizione del soggetto rispetto alla cosa: possessore o detentore. Ma è il comportamento dello stesso soggetto che ha nelle sue mani il bene a svelare la sua posizione.

Ad esempio, il locatario e il comodatario sono detentori. Il primo perché paga il canone, il secondo perché è obbligato utilizzare la cosa secondo il suo normale impiego ed alla restituzione.

Il detentore diventa possessore solo in forza di una atto giuridico, per esempio se l'affittuario compra il bene, o se si rifiuta di pagare il canone senza lasciare l'appartamento, e trattandosi di bene immobile, quindi non essendo necessaria la buona fede, se il proprietario non rivendica nulla, trascorso il termine sarà usucapito. La tolleranza del proprietario, però non permette l'usucapione, deve esserci un vero e proprio disinteresse verso la cosa. Ciò è valido anche per le servitù; se per esempio il mio vicino passa sul mio fondo senza averne un reale bisogno ed io lo permetto per tolleranza di vicinato, non potrà realizzarsi una servitù di passaggio.

Le cose extra commercio, ad esempio quelle demaniali, che non possono essere acquistate in proprietà, possono essere possedute, nel caso a titolo di concessione, ed esiste una tutela di tale possesso con le azioni possessorie.

Un importante momento dottrinale è l'inversione dell'onere della prova per il proprietario che non ha il possesso, mentre la regola impone a chi rivendica un diritto contro la proprietà di qualcuno a dimostrare il suo.

Le azioni possessorie possono essere esperite anche dal proprietario, cosa che gli permette di ottenere più rapidamente effetto, senza comunque precludersi la possibilità di ricorrere all'azione di rivendica.

L'azione di reintegrazione può essere proposta anche dal detentore.




Effetti e modi d'acquisto del possesso.


Anche il possesso, come i diritti reali, si acquista a titolo originario o derivativo. Nel primo con l'apprensione della cosa e con l'aspetto psicologico di volerla fare propria. A titolo derivativo, quando il possesso passa da un soggetto ad un altro, ad esempio per successione ereditaria universale. A differenza, nel caso della successione a titolo particolare, come può essere il legatario, il nuovo possessore può decidere se aggiunge il possesso del suo dante causa. È questo il caso dell'accessione del possesso (1146), per godere dei benefici così maturati.

La buona fede del possesso è quella soggettiva (1147). L'acquirente in buona fede fa suo il bene mobile che non era di proprietà del venditore (1153) se ha un titolo valido al momento del trasferimento.

È diversa dalla buona fede oggettiva richiesta in materia contrattuale che si richiama alla solidarietà contrattuale.

Per il codice la buona fede si presume, quindi sta alla controparte dimostrare il contrario. Il possesso attuale non presume quello trascorso, mentre si presume quello intermedio tra un possesso precedente ed uno attuale.



Effetti del possesso.


Sono previsti determinati effetti del possesso dal codice



In ordine alla disciplina della restituzione dei frutti in conseguenza della rivendicazione.


Se per effetto di una rivendicazione si deve restituire una cosa che è produttiva di frutti, c'è differenza in relazione alla buona o alla cattiva fede che aveva il possessore.

Se il possessore è in buona fede questi dovrà restituire i frutti della cosa solo dal momento della domanda di restituzione, tenendosi quelli precedenti.

Se è in cattiva fede, dovrà invece restituire tutti i frutti o rimborsare l'equivalente.

Tutti e due avranno comunque diritto al rimborso delle spese sostenute per i miglioramenti o le riparazioni varie.

Anche qui si differenzia se è in buona o cattiva fede. Nel caso di cattiva fede c'è solo un indennizzo per i miglioramenti e non un rimborso o indennità propria e piena.

Bisogna poi distinguere se i miglioramenti o addizioni sussistono o no al momento della consegna del bene.

Le spese straordinarie invece vanno sempre rimborsate.

Questi istituti vengono comunque richiamati anche da varie leggi speciali.

Per miglioramento si intende un aumento di valore della cosa. La spesa straordinaria invece non porta un aumento di valore, almeno nella  maggior parte dei casi. Perché ci sia un miglioramento c'è bisogno dell'opera dell'uomo.

Bisogna comunque distinguere se il miglioramento viene dall'opera oppure no. Può ad esempio il miglioramento, venire per opera di un soggetto esterno; in questo caso c'è il pagamento dell'indennità e non dell'incremento reale di valore del bene.

Il miglioramento deve comunque essere duraturo e non transitorio.

Il diritto di ritenzione è una forma di autotutela del possessore, il quale tiene la cosa fino a quando non è corrisposta l'indennità. Questo diritto di ritenzione è concesso comunque solo al possessore di buona fede.

Miglioramenti e addizioni non sono la stessa cosa. Le addizioni sono un qualcosa che si aggiunge conservando però la stessa identità alla cosa. Il miglioramento invece va a costituire un tutt'uno con la cosa principale. Alcune volte però il miglioramento può essere rinnovabile dal bene in possesso. In questo caso può però succedere che rinnovare il bene costa più del bene stesso. Se invece per esempio faccio una cosa su un fondo questa viene a costituire un tutt'uno con il bene e non è certo rinnovabile. E' quindi palesemente un miglioramento, come lo può essere anche una piantagione di alberi ecc. L'addizione è invece una cosa aggiunta che può essere tolta in qualunque momento e senza tante spese. Se il proprietario vuole trattenere l'addizione alla cosa dovrà pagare l'indennità, secondo l'aumento di valore se è in buona fede.



Quando il possesso vale titolo.


Un altro effetto del possesso in buona fede è quello che determina l'acquisto del bene mobile (1153). In questo caso si prevedono, come requisiti: la buona fede, il possesso e un titolo astrattamente idoneo. Astrattamente idoneo (a trasferire la proprietà), perché se fosse perfettamente idoneo la proprietà sarebbe già pacifica.

Il 1153 è una deroga (al principio che ognuno non può dare più di quello che ha; nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet) per favorire la circolazione dei beni mobili e tutelare quella degli immobili: Infatti, se non ci fosse, quando si compra un bene mobile non si sarebbe mai sicuri di esserne proprietari pacificamente.

Nel diritto germanico medioevale per esempio si è riconosciuto al possesso di beni mobili il titolo della buona fede, riconoscendo che il bene mobile sia acquistato anche in base al solo possesso in buona fede. Questo principio e stato seguito anche nel codice Napoleone del 1804 con un eccezione che prevedeva, sì l'acquisto di un bene mobile per possesso in buona fede, consentendo, però, la tutela del proprietario a cui fosse stata rubata la cosa o l'avesse smarrita. A questo era quindi riconosciuta l'azione di rivendicazione. Tale norma fu trascinata nel codice del 1865 che prevedeva anche il pagamento dell'indennità al possessore in buona fede. Questa soluzione è sparita nel codice del 1942., mentre è ancora presente in altri ordinamenti europei.

Il c.c. del 1942 ha invece optato per la tutela della circolazione dei beni mobili, con molti problemi per i beni mobili storici ed artistici.

Quindi la regola che il possesso vale titolo è buona per certi tipi di bene, ma non altrettanto per certi altri.

Il 1153 determina un acquisto immediato e basato sui 3 requisiti indicati dall'articolo stesso, senza aspettare che il bene venga acquistato per usucapione a condizione quindi della buona fede, dell'atto astrattamente idoneo, e del possesso (proprietà pretoria).

Se manca uno dei tre requisiti si dovrà aspettare l'acquisto per usucapione. Se manca il possesso non si fa proprio niente. Se manca l'atto astrattamente idoneo e c'è possesso e buona fede acquisterà la proprietà per usucapione di 10 anni. Nel caso comunque di beni d'arte, ci sono delle leggi speciali che vanno osservate prima di acquistare.

La buona fede è sempre difficile da dimostrare.

La buona fede non può essere considerata tale quando l'acquirente è in colpa grave o quando conosceva la provenienza illecita del bene (incauto acquisto - penale). Se si conosce l'illegittima provenienza del bene, ma il soggetto che vende è in perfetta buona fede, il secondo acquirente che fosse a conoscenza di tale provenienza è sempre in mala fede.

Si acquista con questa regola a titolo originario la proprietà, l'usufrutto, l'uso e il pegno sui beni immobili. Non per i diritti reali che si riferiscono a beni immobili. Sono escluse anche le universalità di mobili (biblioteca) e i beni mobili registrati .

A proposito di questi ultimi c'è un disegno di legge che intende cambiare il regime degli stessi.

Se il proprietario di un bene mobile vende a due persone diverse in buona fede, in due momenti diversi e con titoli astrattamente idonei, la proprietà passerà a chi ne ha il possesso. Se invece la cosa venduta è un bene immobile, il novo proprietario sarà chi per primo ha trascritto l'atto (trascrizione dichiarativa).



Usucapione.


Per l'altro modo di acquisto a titolo originario, l'usucapione, diremo che è valido anche per i beni immobili, le universalità d'immobili, i beni mobili registrati e i beni mobili non soggetti al 1153.

L'usucapione è anche detto prescrizione acquisitiva, per contrapporlo alla prescrizione estintiva, con la quale ha in comune le caratteristiche della decorrenza del tempo e l'importanza del comportamento del soggetto, con la differenza che quest'ultima fa estinguere il diritto, mentre il primo lo fa acquistare.

La prescrizione estintiva è comunque uno strumento molto più ampio, dato che quasi tutti i diritti possono estinguersi.

L'imprescrittibilità di un diritto è un'eccezione.

L'usucapione si riferisce solo a diritti reali e non a diritti di credito o personalissimi.

L'usucapione si basa sul possesso e sulla decorrenza di un tempo stabilito che cambia a seconda del tipo di bene e della buona o mala fede.

20 anni per gli immobili, universalità di beni e beni mobili con mala fede, abbreviati a 10 anni per buona fede.

10 anni per i beni mobili registrati ridotti a 3 con usucapione abbreviato per buona fede.

Se per un bene mobile manca solo un titolo astrattamente idoneo, ma c'è possesso in buona fede l'usucapione abbreviata e di 10 anni. Per l'usucapione abbreviata di bene immobile oltre alla buona fede ci deve essere anche il titolo astrattamente idoneo.





Beni


regola


in mala fede


in buona fede


in buona fede con titolo astrattamente idoneo


Immobili e diritti reali di godimento su immobili




art. 1158




art. 1158




art. 1158




art. 1159


Universalità di mobili e relativi diritti reali di godimento




art. 1160




art. 1160




art. 1160




art. 1160


Fondi rustici con abitazioni annesse in località montane o con basso reddito




art. 1159 bis




art. 1159 bis




art. 1159 bis



con titolo registrato

art. 1159 bis

L.346/76



Mobili e relativi diritti reali di godimento




art. 1161




art. 1161




art. 1161




alla consegna


art. 1153


Mobili registrati e relativi diritti reali di godimento




art. 1162




art. 1162




art. 1162


con titolo trascritto


anni dalla trascrizione

art. 1162



Possesso qualificato.


Normalmente non è richiesto il possesso in buona fede, ma ad usucapionem, o qualificato, cioè pacifico, pubblico (nec vis, nec clam) e continuato (non interrotto).

Se c'è clandestinità o violenza, finchè non cessano tali circostanze non decorre il tempo per l'usucapione.

Continuo significa che non ci deve essere interruzione della situazione di fatto per oltre un anno (1167).

Dopo l'interruzione il tempo deve decorrere per intero come se iniziasse ex novo il possesso.



Tutela del possesso.


Mentre le azioni per la tutela della proprietà si chiamano petitorie, quelle per la tutela del possesso si chiamano possessorie.


Reintegrazione o spoglio. Quando un possessore è spogliato della cosa con violenza o occultazione, entro un anno dallo spoglio, può chiedere al giudice la restituzione della cosa (1168). L'azione spetta anche al proprietario o al detentore a meno che non lo sia per servizio, tolleranza o ospitalità. Se lo spoglio è clandestino, l'azione si prescrive a partire dal giorno in cui se n'è avuta notizia. Il terzo acquirente a conoscenza dello spoglio (pertanto in mala fede) non può esimersi dal subire l'azione (1169).


Manutenzione. È l'azione con cui si interrompe una turbativa nei confronti di chi possiede, da più di un anno, senza violenza o clandestinità (o a un anno dalla cessazione di tali circostanze) un immobile, un diritto reale di godimento o un'universalità di mobili. In altre parole, quest'azione è concessa a chi ha il possesso qualificato del bene. Quest'azione spetta anche al possessore che abbia subito lo spoglio senza violenza o clandestinità (1170), come alternativa all'azione di reintegrazione. Le molestie possono essere di fatto o di diritto, a seconda che siano rivolte a limitare il diritto o che siano dirette all'esercizio di un'azione legale per limitarlo.


Nunciazione. È l'azione (cautelare) che si esperisce con denunzia di nuova opera oppure con denunzia di danno temuto. La denunzia di nuova opera spetta al proprietario, o al titolare di un diritto reale di godimento, o al possessore di un fondo, che risulti danneggiato da un'opera in costruzione da meno di un anno (e non ancora ultimata). L'autorità giudiziaria svolge dapprima accertamenti sommari, quindi si pronuncia sulla sospensione o meno dei lavori, prendendo opportune cautele di risarcimento, o del danno al costruttore per la sospensione, o del danno al diritto del denunciante per la mancata sospensione, a seconda di come risulterà dalla sentenza definitiva (1171). Si distingue, quindi, una fase sommaria e una successiva fase inquisitoria più approfondita. La denunzia di danno temuto, invece, si riferisce a qualcosa che esiste già e che incombe pericolosamente sulla cosa oggetto del diritto (proprietà, usufrutto, servitù, possesso, ecc.). L'azione tende a che il giudice verifichi lo stato di pericolo immediato di un danno grave. Anche qui il giudice prende precauzioni per il risarcimento del danno eventuale di una delle parti. È logico che l'azione deve prevenire il danno, altrimenti si tratterebbe di un risarcimento del danno da fatto o atto illecito.



LE OBBLIGAZIONI.


Diritti personali, o di credito o relativi.


I diritti reali, esaminati finora, sono quelli, come abbiamo già detto, che si rivolgono a tutti e che non hanno bisogno del concorso dell'opera di nessuno al di fuori del titolare del diritto stesso.

Esiste, però, nella vita sociale, anche la necessità di forme di relazione in cui un soggetto operi a vantaggio di altri per ottenere fini riconosciuti dall'ordinamento giuridico che altrimenti i singoli soggetti non potrebbero conseguire. Tali situazioni giuridiche comprendono diritti riferibili ed esigibili solo a determinate persone, legate in rapporti che li obbligano a tenere un preciso comportamento, o più in generale, una precisa prestazione.

Il codice non definisce ne' le obbligazioni e ne' il rapporto obbligatorio, ma la dottrina classica vi sopperisce:

Obbligatio est iuris vinculum quo necessitate adstringimus alicuius solvende rei secundum nostre civitates iura [Gaio].

È un rapporto dal quale scaturisce un vincolo tra un soggetto passivo (debitore) che deve fornire una prestazione in favore di un soggetto attivo (creditore).



Distinzioni tra diritti reali e di credito.


Caratteristiche dei diritti

reali

Di credito

tipicità

Atipicità

assolutezza

Relatività

immediatezza

mediatezza

inerenza

non inerenza


Tipicità significa tassatività dei diritti riconosciuti dall'ordinamento.

Assolutezza con riferimento all'efficacia erga omnes.

Immediatezza indica l'assenza del concorso e della partecipazione nell'esercizio del diritto.

Inerenza nei riguardi della relazione che unisce il titolare del diritto all'oggetto dello stesso in qualunque posto si trovi.


Oggi, però, tali caratteristiche non assicurano più una netta distinzione tra diritti reali e diritti di credito, perché, per esempio, un contratto preliminare, se registrato, è opponibile ai terzi, quindi, il contratto, pur essendo certamente espressione di un rapporto obbligatorio, con la registrazione perde la caratteristica della relatività.

Per i diritti di credito non è possibile una tutela esterna, cioè nei confronti di chi è estraneo al rapporto, ma, oltre al caso sopra rappresentato, a partire dagli anni '70, la giurisprudenza ha concesso la possibilità, per il creditore, di ottenere il risarcimento per il danno subito derivante dall'inadempimento del debitore provocato dal terzo. In questa fattispecie, il debitore inadempiente per causa a lui non imputabile (1218) (che dimostri , cioè, di non avere avuto modo di fornire la prestazione, avendo tenuto un comportamento conforme alla normale cura o diligenza del buon padre di famiglia) non è ritenuto responsabile (responsabilità contrattuale), ma sarà il terzo a dover risarcire il danno (per responsabilità extra contrattuale) ex art. 2043.

La giurisprudenza ci fornisce un esempio del passato remoto ed uno più recente.

A) Caso Superga. La società del Torino calcio chiese il risarcimento del danno per la mancata prestazione dei giocatori deceduti nel disastro aereo. La Corte ci Cassazione respinse il ricorso.

B)  Caso Moroni. Il terzo che causò la morte, e quindi l'inadempimento del contratto che il calciatore aveva sottoscritto con la società Torino calcio, fu condannato a risarcire il danno alla squadra secondo le norme dell'illecito civile extracontrattuale.

È evidente l'evoluzione percorsa dalla giurisprudenza verso l'appiattimento della distinzione tra diritto reale e relativo rispetto alla caratteristica dell'assolutezza.

La distinzione che garantisce ancora una netta distinzione è quella basata sul tipo di titolo di acquisto.

I diritti reali si acquistano sia a titolo originario che a titolo derivativo, mentre i diritti relativi si acquistano solo a titolo originale.




L'obbligazione.


L'obbligazione è un vincolo giuridico per cui il debitore è tenuto ad una prestazione, valutabile economicamente, nell'interesse del creditore.


Elementi dell'obbligazione sono:

La dualità del rapporto;

L'interesse del creditore;

La prestazione.


Dualità del rapporto. È chiaro che per poter esistere un'obbligazione è necessario che nel rapporto siano presenti almeno due parti, di cui una passiva ed una attiva. Le due situazioni non è detto che siano nettamente delimitate e definite, perché possono esserci diritti e doveri reciproci, come nel caso della compravendita.

Interesse del creditore. Perché ci sia rapporto obbligatorio bisogna individuare l'interesse del creditore. Questo elemento non deve mai mancare in tutta la durata del rapporto, oltre che esserci nel momento dell'assunzione dell'obbligo.

Prestazione È l'oggetto dell'obbligazione. Deve essere economicamente valutabile, anche se il beneficio non è di tipo patrimoniale (1174). La prestazione è libera, ma deve essere degna di tutela da parte dell'ordinamento (1322). Il concetto di "valutabilità economica della prestazione" collima con il contenuto dell'art. 814, che dice che l'energia è considerata un bene quando è suscettibile di valutazione economica. Il carattere di patrimonialità del rapporto si evince da una norma dettata per i contratti, per i quali è tassativo che la prestazione (non l'interesse del creditore) sia di tipo patrimoniale (1321). I beni non patrimoniali (i beni demaniali dello stato, ad esempio) non essendo suscettibili di valutazione economica, perché non sono commerciabili, non possono essere oggetto di un contratto. Non è necessario che il beneficio diretto al creditore (ossia il suo interesse), sia un bene patrimoniale, ma è sufficiente che l'interesse che questi ha alla prestazione sia in qualche modo riconducibile, mediante un indice di patrimonialità, ad una valutazione economica (esempi ne sono la caparra penitenziale e la clausola penale, oppure la realizzazione di un'opera pittorica).

Le prestazioni possono essere in:

dare

fare

di mezzi: prestazione senza garanzia di risultato, con rischio a carico del creditore (es. medici o avvocati)

di risultato: prestazione con garanzia di risultato con rischio a carico del debitore (es. appalto d'opera o servizio - 1655)

non fare (o permettere)



Dualità delle situazioni soggettive.


Il rapporto obbligatorio si sviluppa intorno ai due aspetti del credito e del debito, e la legge vuole che questa relazione sia condotta da ambo le parti con correttezza (1175).

Il metro di valutazione della correttezza è quella clausola generale che va sotto il nome di buona fede (1337). Ma non è la buona fede del possessore che non deve possedere con la coscienza di ledere un diritto altrui (buona fede soggettiva), è una cosa diversa il comportamento delle parti che rispondere a criteri oggettivi,  per questo si tratta di una buona fede oggettiva, che si misura con la diligenza del buon padre di famiglia (1176).

Tra creditore e debitore deve esistere un rapporto di cooperazione. Il debitore deve preoccuparsi di adempiere all'obbligo fornendo la prestazione secondo l'interesse del creditore, il quale a sua volta deve creare le condizioni adeguate a che possa ricevere la prestazione, senza che il debitore sia gravato da ulteriori oneri.



L'interesse del creditore.


Il debitore può adempiere anche perché mosso dall'interesse di realizzare la sua personalità, quindi la remissione del debito da parte del creditore non ha efficacia se il debitore non accetta.

L'interesse del creditore è uno degli elementi costitutivi dell'obbligazione, perché se viene a mancare anche solo per un momento, e il debitore accetta la remissione, l'obbligazione si estingue.

Tale interesse può essere tale che il creditore chieda la prestazione direttamente dal debitore; a questo è concesso di devolvere a terzi solo se il creditore non ha un interesse a ricevere la prestazione personalmente dal debitore (1180), il che significa che non basta il capriccio del creditore, ci deve essere un interesse, come può essere quello di farsi dipingere un ritratto dall'artista debitore e non da un suo allievo.





Coercitività della Prestazione.


Dal combinato disposto del 1174 e del 1218 si evince che il mancato adempimento è gravido di effetti tendenti al riequilibrio del rapporto.

Di fronte all'inadempimento il debitore è perseguibile. Il creditore ha a disposizione le azioni persecutorie per ottenere la prestazione oppure un risarcimento del danno che il debitore dovrà pagare facendo conto su tutto il suo patrimonio di beni presenti e futuri.

L'adempimento non è coercibile per i casi di obbligazioni naturali (debiti di gioco, sentimenti di gratitudine, ecc.) che non sono riconosciute dal nostro ordinamento, quindi non ricevono tutela giudiziaria (2034) (1933), fatta salva la soluti retentio, ovvero la prerogativa del creditore di trattenere la prestazione se assolta volontariamente dal debitore (eccetto che questi sia incapace). In altri termini l'irripetibilità della prestazione da obbligazione naturale si applica a condizione che non ci sia violenza (libera volontà del debitore) e, di conseguenza, che il debitore sia in quel momento in grado odi intendere e di volere. L'ordinamento, se da un lato non riconosce effetti giuridici alle obbligazioni naturali, da un altro deve comunque tutelare degli obblighi morali o sociali, se questi sono spontaneamente ammessi coi fatti dal debitore, riconoscendo effetti non all'obbligazione, ma al suo adempimento.

Il principio giuridico è applicabile anche all'adempimento di un obbligazione, pur giuridicamente rilevante, si sia prescritta, o sia stata comunque estinta (anche annullata da sentenza passata in giudicato).




Si distinguono 2 categorie di obbligazioni naturali, tipizzate (2° co. art. 2034) e non tipizzate (1° co.). Qualche autore parla di obbligazioni rispettivamente imperfette e generiche. Imperfette (tipizzate), perché non è concessa l'azione legale per la sua tutela (debiti di gioco - 1933).

Le obbligazioni naturali non vanno confuse con gli atti di liberalità (donazioni - testamento), con i quali hanno delle attinenze. Entrambe mancano di coercitività, cioè non costituiscono obbligo giuridico finchè non gli si è dato corso; chi dona non ha nessun obbligo di farlo. Differiscono concettualmente perché, mentre gli atti di liberalità costituiscono la massima espressione della libertà negoziale, quindi fondamentalmente sulla liberà volontà del dante causa, le obbligazioni naturali si fondano su un obbligo morale o sociale.



Tipologia delle obbligazioni.


Ci sono tre elementi strutturali del rapporto obbligatorio. Uno di questi è la dualità del rapporto, la coesistenza cioè di due situazioni soggettive.

Si ammette che in una o in entrambe vi siano contemporaneamente più soggetti, implementati comunque in due fronti: la parte creditoria e la parte debitoria.

In questo caso si distinguono obbligazioni: parziaria o solidale.



Obbligazioni parziarie o solidali.


Parziaria: nella quale i debitori, o i creditori, sono titolari di una quota dell'obbligazione, cioè devono adempiere o ricevere la prestazione ciascuno per la propria parte;

Solidale: se invece devono adempiere (o ricevere) per intero.


Dal lato passivo la legge fissa la presunzione di solidarietà. Se le parti tacciono a riguardo, nel senso che non risulti diversamente stabilito nel titolo costitutivo dell'obbligazione, si intende che i diversi debitori sono tutti tenuti all'adempimento per intero dal creditore. Questa presunzione va a favore del creditore, che vede aumentare le possibilità di ottenere la prestazione, potendo chiederla a uno qualunque dei creditori, e ciò fa comodo quando uno o alcuni dei creditori non sono solvibili.

Il debitore a cui è stato richiesto l'adempimento può a sua voltare rivolgere agli altri debitori la quota di regresso, e nel caso che uno o più di questi fossero insolvibili, il valore della prestazione sarà ripartito tra i rimanenti debitori solvibili.


Esistono delle eccezioni riguardo ai coeredi, i quali rispondono solo per la loro quota d'eredità.

L'erede, se universale, peraltro eredita il complesso delle situazioni del dante causa, quindi anche le eventuali passività, per le quali risponde anche con il suo patrimonio. Se ci sono più eredi, questi non risponderanno solidalmente delle obbligazioni, ma solo nella misura della quota d'eredità, e mai per l'intero debito.


Il rapporto obbligatorio ha altri aspetti; se ad esempio uno dei creditori compie una ricognizione del debito per interrompere la prescrizione, anche gli altri debitori ne beneficiano. La prescrizione si interrompe anche per atto di riconoscimento del debitore. Ma l'ammissione del debito di uno dei debitori produce effetti di interruzione della prescrizione anche per gli altri debitori ? Oppure, la costituzione in mora fatta ad uno dei debitori, ha effetti anche sugli altri ?

C'è una regola generale dettata dall'ordinamento, per cui, in presenza di solidarietà attiva o passiva, si estendono gli atti favorevoli alle parti agenti, e non invece per gli atti a sfavore delle parti (1294) (754 - coeredi).

La costituzione in mora è un atto del creditore che crea uno svantaggio per il debitore, quindi in questo caso non si estendono gli effetti agli altri debitori cui non è stata comunicata.

Il riconoscimento del debito di uno dei debitori solidali non coinvolge gli altri, mentre andrà a vantaggio di tutti gli altri creditori solidali (1309).

Stesso per la remissione del debito, essendo a favore di tutti i debitori, si estenderà anche a loro, salvo che il creditore non abbia specificato l'esclusione degli altri debitori. Il creditore può anche rinunciare alla solidarietà verso uno dei debitori, conservandola per i rimanenti.

Il codice non si esprime per la solidarietà attiva. Peraltro vi è la presunzione opposta, cioè, se le parti non stabiliscono diversamente nel titolo, si intende che i creditori abbiano stipulato un'obbligazione parziaria. Pertanto, se un debitore vuole assolvere alla prestazione, la deve rendere a ciascun creditore per la sua quota, e non interamente ad uno solo di essi, perché in tal caso l'obbligazione non si estinguerebbe.

Esiste l'eccezione dei depositi bancari (conti correnti e cassette di sicurezza), che per legge sono solidali dal lato attivo, ovviamente se vi fossero più cointestarari del deposito.

Esempio di situazione attiva parziaria: se due coniugi in regime di comunione dei beni vendono una casa, sono titolari della metà del credito ciascuno, quindi l'acquirente dovrebbe pagare il prezzo metà ad uno e metà all'altro coniuge; a meno che non sia diversamente stabilito nel contratto di compravendita.



Obbligazioni divisibili e indivisibili.


A seconda che la stessa prestazione sia divisibile o meno:

Divisibile: quando la prestazione è divisibile, cioè quando non perde la sua essenza nell'essere divisa;

Indivisibile: quando dividerla significherebbe renderla sostanzialmente diversa e perciò inservibile per gli scopi cui era destinata, oppure quando le parti ne hanno stabilito l'indivisibilità.


Un'auto non è divisibile senza che perda la sua essenza, di conseguenza anche l'obbligazione avente ad oggetto la consegna di un'auto sarà indivisibile.

Alle obbligazioni indivisibili si applicano le norme sulle obbligazioni solidali.



Obbligazioni cumulative e alternative.


Cumulative: più prestazioni da adempiere tutte;

Alternative: da adempierne una sola tra quelle stabilite.


Se ci sono più prestazioni nell'ambito di una stessa obbligazione, questa può rispondere a obbligazioni cumulative o alternative, a seconda che esista la previsione che le prestazioni siano rese tutte oppure una di esse soltanto, senza trascurare, nel secondo caso, a chi sia attribuita la facoltà di scelta della prestazione da rendere.

Un esempio di obbligazione cumulativa è un pacchetto viaggio offerto da un tour operator, contenente il viaggio e il soggiorno, due prestazioni riferite ad una sola, e vanno adempiute tutte.

Se le prestazioni sono alternative (es. 1179), il debitore si libera se adempie ad una di queste, a scelta, di norma, del debitore (1286), se non stabilito diversamente nel titolo. Per esempio la vincita di un premio per l'acquisto di un bene a scelta del vincitore in un determinato negozio. Il titolare del ius decidendi, una volta comunicata la scelta o data esecuzione a una prestazione, non può più cambiare idea; l'obbligazione diventa semplice, non è più alternativa.

Da questo possono derivare effetti connessi al perimento della cosa.



Nascita di un'obbligazione.


Sono fonti di obbligazioni, i contratti, i fatti illeciti ed ogni altro atto o fatto idoneo a produrle (1173).

Da questa classificazione nasce il problema aperto della tipicità delle obbligazioni, per via delle ultime parole, nelle quali confluiscono quei tipi che la dottrina classica definiva quasi ex contratto e quasi ex maleficio (fatto illecito).

Ci sarebbe spazio per supporre che il legislatore abbia lasciato volutamente aperto il problema per sancire l'atipicità delle obbligazioni. Ma è forse un falso problema, perché i 6 tipi di obbligazione che trovano posto nel codice sono i soli che si sono visti nell'esperienza giuridica, e questo perché tutti i casi, nella realtà, sono riconducibili al contratto o al fatto illecito.



Estinzione del rapporto obbligatorio.


L'estinzione naturale è quella dell'adempimento.

Per adempimento s'intende l'esatta prestazione che emerge dal combinato disposto dei due articoli del codice:

Diligenza nell'adempimento. Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività.

Responsabilità del debitore. Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno se non prova che l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.


Esatta prestazione significa che deve soddisfare tutti gli interessi del creditore, quindi il comportamento del debitore deve tendere a che il creditore sia soddisfatto nei suoi bisogni oggetto del rapporto.

Il creditore da parte sua deve favorire l'adempimento del debitore, quindi non deve ostacolare, anzi deve mettere in atto tutto quanto è nelle sue possibilità affinchè il debitore non abbia oneri aggiuntivi.

Gli articoli seguenti al 1176, fino al 1217, sono riferiti alle modalità che qualificano come esatto l'adempimento (surrogazione, mora del creditore, ecc.).

Dal 1218 in avanti sono definiti i canoni di adempimento (mora del debitore); dal 1224 in poi si tratta del pagamento, che è una forma di adempimento.

La diligenza del buon padre di famiglia è quella dell'uomo medio. È una sorta di unità di misura per valutare la bontà del comportamento. In ogni caso si valuta caso per caso, non in modo astratto e generale. Sarà compito del giudice la valutazione, tenendo anche conto delle capacità professionali del debitore.

Ad esempio, se per conoscere la situazione di appartenenza di un immobile mi rivolgo ad un conoscente, la bontà delle informazioni potrà non essere delle migliori, e la responsabilità di quella persona saranno valutate rispetto all'uomo medio. Se invece incarico un professionista, questo avrà necessariamente una responsabilità maggiore.

Al criterio generale del 1° comma del 1176 sull'uomo medio, soccorre quello del 2° che impone la valutazione caso per caso.

Il debitore ha diritto alla quietanza, le cui spese rimangono a suo carico comunque.

Ci sono tre elementi che influiscono sull'esatto adempimento: il luogo, il tempo e i soggetti (l'adempiente o il ricevente la prestazione).

Se non ci sono accordi sul luogo di adempimento e non si può evincere dalle circostanze, il codice fissa alcuni principi, come il luogo dove è sorta l'obbligazione, o, se la prestazione è in denaro, il luogo di domicilio del creditore.

Negli altri casi la prestazione va adempiuta al domicilio del creditore. Se adempiere nel domicilio del creditore, quando questi avesse cambiato domicilio, risultasse più oneroso, il debitore può chiedere di adempiere presso il proprio domicilio. Quindi, in definitiva i criteri rispetto al luogo sono tre.

L'altro elemento che costituisce le modalità d'adempimento è quello del termine.

In mancanza di accordi sul momento dell'adempimento, il creditore lo può chiedere la prestazione in qualsiasi momento (1183). In questo caso il debitore può rivolgersi al giudice perché fissi un termine. L'adempimento può essere lasciato all'arbitrio di una delle parti, mentre l'altra può chiedere di fissare un termine. Se il termine si rende necessario, lo stabilisce il giudice. 

Se le parti hanno stabilito il termine (ad es. 30 gg. data fattura fine mese), si presume che il beneficio del termine vada a vantaggio del debitore, se non è stato stabilito il contrario (1184).

Quando il beneficio del termine è in favore del debitore, ma questi decade prima della scadenza, ad esempio per diminuzione delle garanzie prestate per sua colpa, è tenuto all'adempimento immediato (1186) (2743). La garanzia principale è l'intero patrimonio del debitore, ma vi sono anche garanzie specifiche su una parte di esso: il pegno, l'ipoteca, ecc..

La conseguenza più importante per la decadenza del termine, in mancanza di adempimento immediato, è l'esecuzione forzata dei beni del debitore.

Il computo del termine è stabilito dalle norme in materia di prescrizione, ed è lo stesso utilizzato per computare il trascorrere del tempo nel diritto, anche processuale.

Il giorno di partenza non si conta.

Il giorno di scadenza si calcola intero, cioè il termine scade a mezzanotte dell'ultimo giorno.

Se la scadenza è in un giorno festivo, salvo usi locali, si protrae al successivo giorno feriale.

Se l'unità di misura è il mese, il termine scade alla fine dello stesso giorno di partenza nel mese che risulta.

L'altro elemento dell'esatto adempimento è il soggetto, sia quello che deve rendere la prestazione che quello che la deve ricevere.

Non sempre ad adempiere sarà necessariamente il debitore, ma può essere un terzo a rendere la prestazione, come nel caso del padre che paga il debito del figlio.

Il codice prevede che l'adempimento sia reso da un terzo a condizione che il creditore non abbia un interesse particolare per richiedere la prestazione direttamente al debitore (es. un intervento chirurgico da parte di un famoso specialista) (1180 ). Il creditore può rifiutare la prestazione da un terzo se il debitore ha comunicato la sua contrarietà (1180 ). La scelta di accettare la prestazione spetta in ultimo al creditore, è la sua posizione a ricevere la maggior tutela.

Il terzo che ha reso la prestazione può surrogarsi al creditore, subentrando in quella posizione, ed esigendo la prestazione a sua volta dal debitore.

Di regola la prestazione va resa al creditore, oppure al suo rappresentante o comunque legittimata a ricevere, ma se avviene ad altra persona e il creditore ratifica l'adempimento, il debitore si libera dal vincolo (1188).

Se mancano le circostanze della ratifica o dell'approfittamento del creditore, il debitore non è liberato dall'obbligazione.

Esiste differenza tra la capacità del debitore e quella del creditore. Perché l'obbligazione possa estinguersi per adempimento, è richiesta la capacità del solo creditore (1190); il debitore, anche se incapace, non può ripetere l'adempimento vantando la sua incapacità (1191). Il creditore non può liberarsi dell'obbligazione con l'adempimento al creditore, se questo è incapace di intendere e di volere in quel momento, a meno che non dimostri che la prestazione è andata comunque a vantaggio del creditore (ed esempio se si rende al minore d'età).

La capacità di agire del debitore è rilevante al momento del sorgere dell'obbligazione. Qui, il codice, per capacità intende quella naturale di intendere e di volere, diversa dalla capacità legale, richiesta per i contratti e i matrimoni, che si consegue con la maggiore età (2).

L'adempimento a persona apparentemente legittimata libera il debitore in buona fede, ed impegna chi ha ricevuto la prestazione a renderla al titolare del credito (1189)(2033). Ad esempio tizio che afferma di essere rappresentante del creditore, vanta al debitore una procura (che deve avere la stessa forma dell'obbligazione, quindi può essere anche orale), e riceve da lui la prestazione. La procura, anche se scritta, può essere stata revocata; in entrambi i casi il falso rappresentante assume l'obbligazione verso il creditore, liberando il debitore iniziale.




Altri modi di estinzione.


Oltre all'adempimento e all'impossibilità sopravvenuta, ci sono altri modi di estinzione dell'obbligazione.

Si è detto che l'adempimento deve essere esattamente eseguito, e si sono anche visti gli elementi che influiscono sull'esattezza della prestazione.

Si è anche evidenziato il criterio di collaborazione tra creditore e debitore basato sulla correttezza e buona fede.

Spesso si richiede la collaborazione del creditore, ad esempio quando si deve consegnare qualcosa, questi deve aprire i locali per ricevere la consegna. Se il creditore non pone in condizioni di poter eseguire la prestazione possono intervenire complicazioni del rapporto, con maggiori oneri per il debitore, o addirittura danni.

Se le cause dell'inadempimento si riconducono all'atteggiamento scorretto del creditore, il debitore può considerarsi liberato.


Mora del creditore.

È parificata all'esatta prestazione l'offerta formale, oppure quando è impossibile per cause del creditore (se rifiuta illegittimamente) (1206). Il debitore non sarà inadempiente e non potrà essere costituito in mora, neanche per ritardo dell'inadempimento. Però, perché si verifichino gli effetti sul creditore che non collabora, lo si deve costituire in mora in modo formale, cioè rispondente a determinati requisiti (1208): se in denaro (o in beni fungibili) con offerta reale; altrimenti per mezzo di notifica (intimazione a ricevere) fatta da un ufficiale pubblico. Gli effetti riguardano l'interruzione degli interessi verso il debitore, le spese di conservazione o deposito della cosa, nonché il risarcimento del danno (1207). In ogni caso gli effetti si verificano dal giorno dell'offerta se convalidata da sentenza passata in giudicato, oppure accettata dal creditore. Il debitore, per impossibilità sopravvenuta, della prestazione si libera, mantenendo ogni diritto alla controprestazione eventuale.

Il giudice, chiamato a convalidare l'offerta, accerterà che questa sia legittima, e poi che risponda ai requisiti di formalità.

L'offerta reale, di per se', non libera il debitore, ma è tesa ad ottenere la costituzione in mora del creditore, e a far ricadere su di lui gli effetti. Siamo in presenza di ritardo, ma l'adempimento è ancora possibile.

Infatti, il debitore che abbia costituito in mora il creditore, per liberarsi deve attuare l'azione di deposito (della merce o del denaro).

L'offerta reale è riferita a denaro, titoli di credito o beni mobili, e si svolge presso il domicilio del creditore. Le cose mobili che si è stabilito di consegnare in altro luogo sono proposte con offerta per intimazione a ricevere, esperita dall'ufficiale giudiziario, nelle forme previste per l'atto di citazione.

Se è una prestazione di fare, il creditore deve predisporre le condizioni necessarie per ricevere l'adempimento.

Se la prestazione è la consegna di un bene immobile, oggetto dell'intimazione sarà la presa di possesso dell'immobile (1216).

In ogni caso l'impossibilità di adempiere deve essere verbalizzata da un pubblico ufficiale autorizzato (un notaio ad esempio, non un poliziotto)(1212).

Per evitare che l'obbligazione resti in piedi a lungo, il debitore può ricorrere al deposito, che deve essere approvato dal giudice o dal creditore stesso (1210). Ciò estingue l'obbligazione, con spese a carico del creditore. È comunque un procedimento che spetta solo al debitore, è un suo diritto potestativo. Per l'immobile è previsto l'intervento di un sequestratario.

Mora del debitore.

L'inadempimento del debitore avviene quando è scaduto il termine per la prestazione, o quando abbia adempiuto solo in parte o in modo non esatto. Il ritardo è inadempimento. L'inadempimento non è più ritardo quando la prestazione è diventata impossibile o inopportuna (quando la prestazione è connessa a particolari circostanze, verificatesi le quali non ha più ragione d'essere).

Dal momento in cui l'adempimento può avvenire, partono i termini di prescrizione, che devono essere interrotti dal creditore con un atto di costituzione in mora (ritardo qualificato). Perché dal ritardo si passi alla mora è necessario un comportamento formale, oppure che il ritardo si qualifichi secondo quanto stabilito dall'ordinamento.

Quindi per costituire in mora il debitore occorre un atto formale (ex personam), oppure, in taluni casi previsti dalla legge, avviene automaticamente (ex re), (quelle da fatto illecito, quelle per le quali esiste una dichiarazione scritta del debitore di non volere adempiere, quando è scaduto il termine e la prestazione andava pagata al domicilio del creditore).

Gli effetti della mora del debitore, conseguenza del ritardo, sono: il risarcimento del danno (quello prevedibile al momento in cui sorse l'obbligazione), gli interessi moratori (al tasso che venne stabilito o a quello legale) (i moratori sono diversi da quelli compensativi del mutuo). Le conseguenze del perimento, ed il relativo risarcimento, ricadono sul debitore, anche se non dipendente da sua colpa.

Quando la prestazione è nel non fare, il fare è inadempimento, e non è pensabile un ritardo nell'adempimento o una prestazione di mora; sarà inadempimento definitivo (1222).




Tutela.


Ci sono due tipi di tutela: reale e risarcitoria.

Reale: la possibilità di ottenere comunque la prestazione anche in modo coatto.

Risarcitoria: quando invece della prestazione si vuole ottenere il risarcimento del danno derivante dal mancato adempimento.

Esistono comunque dei casi in cui il debitore è liberato dall'impossibilità sopravvenuta.

elemento oggettivo

impossibilità di attribuire ad un elemento imprevedibile (caso fortuito)di inevitabile forza maggiore.

a)   è una causa tale da rendere impossibile l'esecuzione della prestazione da parte di chiunque, non solo nel singolo debitore;

b)   la causa non è imputabile al debitore: caso fortuito, es. interruzione improvvisa dell'energia elettrica; forza maggiore può essere invece determinata da elementi naturali: es. per causa altrui, a causa di un ordine dell'autorità.

Se la responsabilità è imputabile al debitore dovrà risarcire il danno.

L'art. 2930 del codice civile, se non è adempiuto l'obbligo di consegnare un a cosa che si è deteriorata, mobile o immobile, l'avente diritto può ottenere la consegna o il rilascio forzato a norma delle disposizioni del codice di procedura civile.

Se nemmeno una di queste forme è possibile, si deve far ricorso alla tutela risarcitoria.

Sono dei casi di tutela forzata:

a.    per consegna o rilasci: se è scaduto un contratto di locazione e il locale non viene lasciato libero; il locatore può chiedere l'esecuzione forzata, tramite titolo esecutivo, avendo un procedimento di sfratto;

b.   esecuzione degli obblighi di fare in forma specifica: il creditore può ottenere che quell'opera sia realizzata da un terzo, ma a spese del debitore;

c.    esecuzione dell'obbligo di concludere un contratto: si può chiedere l'esecuzione dell'obbligo trasgredito e distruggere ciò che è stato costruito a spese del debitore, ovviamente ci deve essere il consenso del giudice; l'autotutela è ammessa solamente se concessa dall'ordinamento.

I criteri per i risarcimenti del danno sono menzionati dall'articolo 1218 (responsabilità del debitore), e 1223:"il risarcimento del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere la perdita subita dal creditore e il mancato guadagno che siano conseguenza immediata e diretta".

Es: ho consegnato ad un soggetto delle forme di formaggio perché me le custodisse e poterne ottenere la stagionatura; a causa del comportamento del debitore si ha un deterioramento del formaggio; il proprietario subirà una perdita, ma anche un mancato guadagno per non aver potuto vendere la merce.

Il codice detta anche i casi dell'inadempimento da parte dei soggetti ausiliari del debitore, che in ogni caso è tenuto al risarcimento per dolo o colpa di quelli.

A garanzia del rapporto obbligatorio sono previste diverse tutele per la conservazione del patrimonio del creditore.

Art. 2740 c.c. "il debitore risponde dell'inadempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri". E' una garanzia per il creditore che produce maggiori effetti quando l'obbligazione non è stata adempiuta, ma prevede anche alcuni strumenti cautelari che può esperire nei confronti del debitore.

Art. 2900 c.c. condizioni, modalità ed effetti per conservare la garanzia patrimoniale. Se si è verificato l'inadempimento, l'intero patrimonio del debitore costituisce garanzia. Se ci sono più debitori che hanno iniziato l'esecuzione forzata e il patrimonio non è sufficiente, ognuno ne può ottenere una parte in proporzione all'ammontare del credito.

Ci sono però alcuni creditori particolari, così detti chirografari.

Legittime prelazioni:

privilegio;

pegno;

ipoteca.


In alcuni casi non ha carattere reale, cioè non segue il bene che viene trasferito.

Il privilegio trova fondamento nella causa del creditore ed è previsto dalla legge.

Art. 2745 c.c. " Il privilegio è accordato dalla legge in considerazione della causa del creditore. La costituzione del privilegio può tuttavia dalla legge essere subordina alla convezione delle parti, può anche essere subordinata a particolari forme di pubblicità".


Nell'articolo seguente troviamo la distinzione tra privilegi:

privilegi generali: gravanti su tutti i beni mobili del debitore, non sono reali perché si tratta della totalità dei beni;

privilegi speciali: gravanti su determinati beni mobili e immobili, ha carattere reale.

Ne esistono alcuni convenzionali, che nascono per accordo delle parti; es.: privilegio speciale a favore dell'albergatore sui beni mobili situati nell'albergo . Art.2760 c.c.



IL CONTRATTO


Il contratto è un istituto rilevante che trova il suo ambito di applicazione principale nel diritto privato, ma che è applicabile anche in altre materie.

Il contratto è una delle fonti di obbligazione.

L'art. 1321 c.c. dice che il contratto è quell'accordo tra le parti .

È una fonte di obbligazione dal quale possono derivare sia effetti obbligatori che effetti reali con effetto circolatorio dei beni.

La permuta, ad esempio è un contratto di scambio di diritti reali. Da contratto può nascere un diritto di usufrutto, ma anche una servitù.

Anche quando il contratto ha effetti reali esso ha comunque sempre carattere obbligatorio.

Il contratto è lo strumento più diffuso per esplicare il principio ed il potere dell'autonomia privata.

Riconoscimenti dell'autonomia privata si trovano già nella costituzione, contenuti nel principio di iniziativa economica, art. 42.



Autonomia privata.


La categoria negoziale privata è la più ampia espressione di autonomia contrattuale.

Tutte queste regole trovano anche accesso nel diritto pubblico, dal momento che anche gli enti pubblici possono agire con strumenti di diritto privato. Questi, pertanto, sono considerati strumenti di diritto comune.

Il principio di autonomia privata esprime il potere che l'ordinamento riconosce ai privati di autoregolare i propri interessi.

Le regole possono essere emanate da un soggetto diverso da quello interessato, ed allora saranno dette eteronome, come ad esempio quelle del codice sul diritto di famiglia, emanate dallo Stato per curare gli interessi delle persone.

Anche un giudice, con una sentenza, può intervenire a regolare i rapporti di altre persone.

L'autonomia privata si classifica in contrattuale e negoziale. Queste due classificazioni sono legate fra loro nel senso che l'autonomia contrattuale è una specificazione dell'autonomia negoziale.

Nel codice civile, l'espressione "autonomia negoziale" non c'è, è un'elaborazione dottrinale, mentre è citata l'autonomia privata, come espressione di libertà del matrimonio, o del testamento, ecc.

L'autonomia negoziale è il termine in cui la dottrina racchiude tutte le autonomie private che il codice attribuisce ai soggetti in vari istituti. Essendo la dottrina soggetta alle correnti di pensiero, non tutti ammettono l'esistenza della categoria generale dei negozi giuridici.

Il principio dell'autonomia privata va ricondotto allo strumento del contratto, il quale può essere plurilaterale ed avere anche carattere patrimoniale.

Ad esempio, il contratto di società è plurilaterale (anche se oggi esiste anche la società unipersonale, che è però una contraddizione in soli termini).

Il testamento invece, che contratto non è, è un atto unilaterale e può avere natura patrimoniale o meno.

In definitiva si può parlare di autonomia privata generale, di autonomia contrattuale e di autonomia negoziale.

L'art. 1322 dice che le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto, nel rispetto dell'ordinamento.

Il contratto ha forza di legge tra le parti; questa è la tutela dell'autonomia privata.

Le parti sono libere di scegliere il contratto più idoneo tra quelli tipici (o nominati), ma anche formulare un contratto atipico (innominati) che sono pur sempre genericamente dalla legge. I contratti non specificamente previsti dalla legge devono, però, perseguire fini meritevoli di tutela (1322 ) da parte dell'ordinamento.

Il contratto di leasing, ad esempio, o quello di locazione finanziaria, sono contratti atipici, cioè non sono regolati dalla legge, ma trovano ugualmente accoglimento perché assolvono a fini utili che non contrastano con l'ordinamento.

Il leasing finanziario è una forma alternativa di finanziamento che ha, in certi casi, superato le potenzialità del contratto di mutuo. Nonostante oggi il leasing sia contemplato da certe norme, in materia fiscale o di incentivazione varia, non è mai stato disciplinato come istituto, che lo definisca come funzione e struttura.

Ogni contratto ha una propria causa e una propria funzione che lo distingue dagli altri contratti.

È proprio la causa che permette la distinzione di n contratto atipico da un altro; in base alla causa si può stabilire se quel contratto persegue fini meritevoli di tutela da parte dell'ordinamento.

Le prime sentenze sul contratto di leasing lo considerarono nullo perché non ne fu ravvisata la causa.

L'autonomia privata trova esplicazione già nella decisione e determinazione a fare un contratto, con la libertà di applicare il tipo più idoneo ai propri fini.

Alla stipula del contratto serve, poi, il consenso, oppure la convergenza degli interessi, come nel caso del contratto di società. I soggetti che pongono in essere un contratto cercano sempre di ottenere il soddisfacimento di un proprio interesse, che può essere comune ad altri nel caso della società.

Le parti possono anche scegliere le forme del contratto (libertà di forma del contratto: scritta, verbale, ecc.), fatte salve le norme che prevedono una particolare forma per certi tipi di contratto, come, ad esempio la forma scritta per la compravendita o per la traslazione di diritti reali. Ad esempi per le donazioni è previsto l'atto pubblico, alla presenza di due testimoni (atto pubblico solenne). A volte una norma può richiedere una forma specifica per garantirne la prova (ad probationem), come, ad esempio, nei contratti di assicurazione, per poter dirimere le controversie che potrebbero sorgere sull'applicazione delle clausole che il contratto contiene.

Un altro contratto che è previsto nella forma scritta è quello di transazione, col quale si previene o si risolve una lite in modo extragiudiziale.

Il principio generale è quello della libertà di forma, con specificazione di quei casi previsti dalla legge, nelle forme da essa stabilite.

È espressione dell'autonomia anche la libertà di scelta del contraente, anche se pure in questo caso ci sono limitazioni. Esistono casi in cui l'ordinamento non lo permette, ad esempio nel sistema delle locazioni urbane, o nella vendita di fondi agrari (prelazione del vicino coltivatore). Sono comunque regole definite da leggi speciali, ma pur sempre sulla scia di principi costituzionali.

A volte esistono imposizioni più forti, come l'obbligo a contrarre, ad esempio nei confronti di soggetti che operano in regime di monopolio. In questo caso non solo non si sceglie il contraente, ma si deve contrarre obbligatoriamente con chiunque lo chieda (2597).

Esistono poi delle limitazioni dettate dai criteri di protezione di determinate categorie di persone, o con riferimento alle modalità con cui certe attività economiche devono essere condotte.

L'art. 41 della costituzione è la norma destinata a impostare la regolazione dei rapporti economici non senza essere subordinati ad altri valori costituzionali.

A partire dagli anni 60, l'ordinamento, in applicazione della costituzione, ha emanato norme speciali che hanno limitato la libertà contrattuale, ad esempio del lavoro subordinato, per tutelare le categorie più deboli. Questo tipo di leggi sono prevalenti rispetto al codice civile che è comunque una legge pre costituzionale.




Il principio costituzionale della libertà contrattuale passa in secondo piano rispetto al principio di uguaglianza (art. 3 cost.), infatti, quando una delle parti si trova in stato di inferiorità, non avrebbe la reale possibilità di contrattare liberamente, quindi, in tal caso, la libertà agirebbe a favore esclusivo di una sola delle parti, la più forte.

La Corte costituzione stessa intervenne a richiedere un intervento del legislatore per riequilibrare rapporti tra contraenti di diverso peso specifico, e ciò avvenne puntualmente con leggi inderogabili, ad esempio nel settore dei contratti di lavoro subordinato.

Altri interventi si sono avuti nel settore delle locazioni di immobili urbani e per i contratti agrari.

Recentemente sono intervenute normative a tutela dei consumatori, con conseguente compressione dell'autonomia contrattuale, per riequilibrare la posizione di debolezza in cui viene a trovarsi il consumatore nei confronti di produttori e professionisti.

Quello di applicazione dell'articolo 3 della costituzione è un processo che è stato anche sollecitato dalle norme a favore del consumatore contenute nel trattato europeo, e dalle direttive comunitarie come quella sulla pubblicità ingannevole, o quella sulla tutela del consumatore per i contratti con i professionisti.

Ne sono un esempio le modifiche apportate al codice con l'inserimento dell'art. 1469 bis e seguenti in materia di rapporti tra consumatori e professionisti, secondo i quali le clausole vessatorie (che ledono una parte ingiustamente) sono considerate nulle, quindi disapplicabili nel contesto del contratto.

Altre limitazioni derivano dal cosiddetto ordine pubblico di struttura economica del Paese, che limitano la libertà contrattuale a riguardo della regolamentazione delle attività economiche.

Anche qui ci sono molte norme a riguardo, come quelle sulla libera concorrenza (contenute nel trattato U.E.) che vietano gli accordi tra imprese volti a falsare le condizioni di mercato e l'equilibrio della domanda e dell'offerta. La libera concorrenza va in favore del consumatore, ma anche dell'impresa.

Anche l'ordinamento italiano ha emanato al riguardo varie norme, a partire dalla L. 287/90 (libera concorrenza e istituzione del garante per l'editoria ed il mercato), che per la prima volta ha disciplinato la materia.

Ci sono poi delle norme che regolano la circolazione dei beni.


Nell'autonomia privata, e specialmente in quella contrattuale, accanto al potere di autoregolamentarsi che hanno i soggetti singolarmente rispetto ai rapporti, c'è anche l'autonomia privata collettiva, cioè il potere di autoregolamentarsi riconosciuto anche alle organizzazioni sociali, come i sindacati. In questo caso l'autonomia contrattuale è esercitata collettivamente dai soggetti rappresentativi, e va sotto il nome di autonomia collettiva.

Ultimamente ha trovato anche affermazione l'autonomia privata assistita, la quale richiede che il potere di autoregolamentazione sia valido solo se espletato in presenza dei rappresentanti di categoria. Oggi è presente solo in materia di contratti agrari di concessione.

In questa materia ci sono delle norme imperative ed inderogabili. L'istituto dell'autonomia contrattuale assistita bilancia le necessità sociali e quelle private. Qui il legislatore dà fiducia non al singolo, ma al suo rappresentante di settore il quale contratterà per suo conto.

L'autonomia assistita non è comunque da confondere con l'autonomia collettiva. La prima riconoscere un'autonomia ad assistere.

Art. 1321: definizione di contratto.

Art. 1322: libertà di scelta del contenuto e del tipo di contratto

Art. 1323: applicabilità sia ai contratti tipici che a quelli atipici delle norme per i contratti. Il contratto atipico deve essere conforme a quanto sancito dalle regole generali per i contratti, le quali trovano applicazione anche nei negozi unilaterali.

Art. 1324: le norme generali sui contratti si applicano anche agli atti unilaterali tra vivi aventi contenuto patrimoniale. Le manifestazioni di volontà inter vivos dell'agente possono essere anche unilaterali; ne sono esempi: l'atto costitutivo di fondazione, la procura, la rinuncia al mandato, le promesse unilaterali (1987 e seguenti), ogni forma di rinuncia ad un diritto. Al testamento, che è un atto mortis causa, non sono applicabile queste norme, appunto perché non sono tra vivi.

Valgono, per quei casi, ad esempio, le norme sui vizi di volontà (che deve essere manifestata senza influenza di altri con dolo violenza; alcuni vizi possono portare all'annullamento, come l'errore, ma questo deve essere riconosciuto dall'altra parte come tale, quindi non è applicabile nei negozi unilaterali tra i vivi).

In definitiva, non tutti i negozi o contratti sono disciplinati dalle stesse regole, ma solo da quelle applicabili.



Classificazione dei contratti.


Contratti a titolo oneroso e a titolo gratuito. Quelli onerosi hanno il sacrificio di una parte con il corrispettivo di un'altra. A titolo gratuito non ci sono corrispettivi (es. donazione).

Questa distinzione ha rilevanza nei riguardi della diversa valutazione della libertà contrattuale che fa l'ordinamento. In quelli gratuiti c'è meno vigore nella valutazione della responsabilità, mentre è più severa nei rapporti a corrispettivi patrimoniali. Ne è un esempio l'art. 1768, riguardo al deposito gratuito, in cui la responsabilità per il perimento della cosa è meno vigorosa di quella per un deposito a titolo oneroso.




Contratti unilaterali, bilaterali e plurilaterali.


Nei contratti unilaterali c'è la presenza di una sola prestazione. È il caso della donazione, o, per es., del deposito gratuito, o anche della fideiussione (garanzia personale) oppure il comodato.

Nei contratti bilaterali ci sono invece due prestazioni, e in quelli plurilaterali ce ne sono di più, per i quali si dice che sono a struttura aperta.



Contratti consensuali e reali.


Ci sono contratti che si differenziano per il modo di perfezionarsi.

La maggior parte dei contratti ha natura consensuale, cioè si perfezionano con la manifestazione del consenso.

Ci sono poi i contratti reali, che invece, per essere perfezionati, necessitano del requisito della consegna della cosa oggetto del contratto. Il comodato, per esempio, è un contratto reale, perché prevede la consegna di una cosa che il comodante concede al comodatario per farne un uso consono alla sua destinazione a condizione che si assuma le spese di esercizio e manutenzione. Lo sono anche il mutuo e il pegno.



Contratti sinallagmatici e non.


Sinallagmatici sono quelli in cui ad una prestazione deve corrispondere una contro prestazione, le quali sono tra loro vincolate. Tale vincolo sinallagmatico esiste sia al momento della stipulazione (sinallagma genetico) che durante la sua esecuzione (sinallagma funzionale).

Quando sorge il contratto, il vincolo sinallagmatico fa sì che, se la prestazione non avviene, venga meno anche la contro prestazione (es. la compravendita).

L'art. 1460, per i casi di scioglimento del contratto, menziona anche il vincolo sinallagmatico.

Tra i casi di scioglimento c'è anche la risoluzione. Un'altra ipotesi di risoluzione del contratto, oltre a quella per inadempimento, c'è quella per impossibilità di adempimento della prestazione.



Contratti associativi e di scambio.


Altra classificazione di contratti è tra contratti associativi e di scambio.

Quelli associativi non hanno interessi contrapposti, anzi hanno lo stesso scopo.

Quelli di scambio hanno invece rispettivamente interessi contrapposti, ad esempio in una compravendita, uno di acquistare e l'altro di vendere, cioè il primo vuole la disponibilità di un bene e l'altro vuole realizzare il migliore corrispettivo possibile.


Contratti commutativi e aleatori.


I contratti commutativi le prestazioni sono certe al momento della formazione del contratto, mentre in quelli aleatori almeno una prestazione non è certa, nel senso che è soggetta a determinati rischi o possibilità di realizzarsi o meno (es. contratto di assicurazione, oppure un contratto che preveda una rendita vitalizia, come una pensione integrativa).

Il rischio che una prestazione diventi impossibile dopo la stipulazione del contratto esiste anche nei contratti commutativi, ma in quelli aleatori è palese nel contratto stesso l'assunzione di un rischio particolarmente verificabile.



Requisiti del contratto.


L'art. 1321 si occupa della definizione del contratto come accordo tra due o più parti per estinguere, costituire o modificare un rapporto patrimoniale.

Il titolo seguente del codice si occupa dei requisiti del contratto, cioè degli elementi che devono essere presenti perché lo si possa dire perfetto, che non sono altro che gli elementi del negozio giuridico in generale.

Ci sono elementi comuni a tutti i negozi, quindi anche ai contratti, e che hanno natura essenziale, ai quali si aggiungono di volta in volta requisiti particolari che permettono la distinzione tra le varie forme di negozio.


L'art. 1323 elenca i requisiti:


l'accordo (volontà) delle parti;

la causa del contratto;

l'oggetto;

la forma (se richiesta dalla legge).



Accordo delle parti.


Per il contratto l'accordo corrisponde alla volontà delle parti (inteso anche per i contratti unilaterali, con la specificazione che la donazione, per esempio, richiede la volontà del donante, ma anche la volontà del beneficiario di accettare, anche se la relativa dichiarazione viene considerato un atto distinto dalla donazione in se').

Il codice parla di accordo tra le parti, intendendo per parti anche una pluralità di soggetti. La parte fa riferimento più all'interesse, cioè alla posizione del soggetto, che al soggetto stesso.

La volontà, è uno degli elementi essenziali degli atti o negozi giuridici in generale. La volontà deve essere, però, manifestata all'eterno della persona per poter essere presa in considerazione; deve essere riconoscibile dai terzi.

La manifestazione può comunque essere espressa, o tacita; recettizia o irrecettizia. Può essere espressa con segni comunicativi (parole verbali o scritte, cenni o gesti fatti ad esempio alle aste, ecc.). È tacita se non vengono fatti segni comunicativi, ma si assume un atteggiamento tale da trasmettere comunque all'esterno una significativa manifestazione di pensiero. È cosa diversa il silenzio. Tacere senza dare nemmeno l'impressione di avere assunto una decisione mediante un comportamento concludente, può avere effetti solo se è espressamente previsto, come nel caso della clausola del "silenzio assenso" o "silenzio rigetto".

La manifestazione tacita della volontà essere configurata come un comportamento concludente chiaramente ed inequivocabilmente manifestativa di una volontà precisa, non compatibile con una volontà diversa nel contenuto.

Ad esempio, se un creditore restituisce il documento titolo del debito, è chiara la volontà di porre in atto una remissione del debito, oppure, quando il chiamato a succede paga con i propri beni i debiti del defunto, appare chiara la volontà di accettare l'eredità.



Differenze tra dichiarazioni di volontà recettizie e non recettizie.


Sono recettizie le manifestazioni di volontà che producono subito degli effetti. Nei contratti le dichiarazioni devono essere necessariamente recettizie. Per latri negozi possono anche essere non recettizie, come può essere l'accettazione dell'eredità.

Se la volontà delle parti pone in essere un rapporto a contenuto patrimoniale, si è in presenza di un contratto, altrimenti (es. matrimonio) sarà un altro genere di negozio giuridico. Il matrimonio, infatti, è un accordo diretto a realizzare la convivenza e l'assistenza reciproca, quindi secondo il codice non può essere un contratto, perché la causa del matrimonio non è certo di natura patrimoniale, anche se vi sono inclusi aspetti patrimoniali di secondo piano, sui quali peraltro i coniugi devono esprimere un consenso al regime patrimoniale in cui vogliono contrarre matrimonio, in comunione o in separazione dei beni.

Quando si fa riferimento al contratto, ci si può riferire sia all'atto che al rapporto.



La causa.


La causa di un negozio, ed in particolare di un contratto, è la funzione o l'obbiettivo (in astratto) che persegue. È la ragione economico - sociale cui mira.

Il motivo, cioè l'obbiettivo concreto che si propone la parte, non ha rilevanza giuridica.

Se manca la causa c'è nullità (o inesistenza) dell'atto, in quanto è elemento essenziale, senza il quale il contratto o negozio non può dirsi neanche esistente. È nullo anche il contratto fondato su una causa illecita.

La causa deve essere meritevole di tutela, oltre che lecita, cioè non contraria a norme imperative dello Stato o all'ordine pubblico ed il buon costume. (1343) una causa illecita potrebbe essere quella del contratto col quale un soggetto si impegna a pagare una somma ad un pubblico ufficiale. Parificata alla causa illecita è la causa del negozio in frode alla legge (1344). In questo caso il contratto è conforme alla legge, ma con questo le parti si propongono di ottenere un risultato che non è consentito dalla legge, mediante un raggiro. Ad esempio con riferimento ad un contratto in cui una delle parti è più debole. Ad esempio la vendita con contratto regolare di un fondo a Tizio e non a Caio, che è confinante e coltivatore diretto, il quale ha diritto di prelazione.

Per i contratti tipici andrà verificata la corrispondenza della causa a quella stabilita dalla legge per quel contratto tipico.

Sulla causa si fonda la distinzione tra i vari contratti (compravendita da locazione).

Nel contratto unilaterale della donazione, per esempio, la causa è l'arricchimento di una parte senza vantaggio per l'altra.

L'importante quindi è andare a vedere se ciò che le parti hanno posto in essere è ciò che l'ordinamento riconosce come causa per quel tipo di contratto. Per esempio se ci fosse una rendita senza corrispettivo, non sarebbe un contratto di compravendita perché mancherebbe la causa di quel contratto, che notoriamente è la consegna di una cosa contro il prezzo.




L'oggetto.


L'oggetto è un requisito essenziale del contratto, e consiste o nel diritto o nella cosa che è, appunto, oggetto della prestazione.


L'oggetto è libero, ma dev'essere:


possibile;

determinato o determinabile;

lecito.


Possibile, perché, ad esempio, non si può, appunto, vendere la luna, perché il trasferimento non potrà mai avvenire; quindi non si concepisce un contratto in cui il fine, a priori, si sa che non sarà raggiunto. L'impossibilità può essere di fatto, come nel caso della vendita della luna, oppure di diritto, ad esempio, non si può vendere un bene demaniale, in quanto è un bene indisponibile (extra commercium) per definizione.

Lecito, ossia non contrario a norme imperative, all'ordine pubblico o al buon costume.

Determinato o determinabile, perché il contratto necessita di certezze, onde evitare errori nella formazione della volontà. Questo significa che, per esempio, in una compravendita il bene deve essere indicato con certezza, nel senso che non posso vendere un mio fondo, ma il fondo "corneliano". L'oggetto può essere determinato anche da un terzo (1349), oppure cosa futura (1348), cioè che deve ancora venire ad esistenza, salvi i limiti di legge (es. è nulla la donazione di cosa futura - 771).



La forma.


Un altro elemento essenziale del contratto è la forma.

Secondo il principio dell'autonomia contrattuale, la forma è libera salvo i casi stabiliti dalla legge.

Quando la legge richiede una determinata forma per un contratto, bisogna capire a che titolo, se ad substantiam, cioè quando è richiesta a pena di nullità, o se è richiesta ad probationem, cioè quando è richiesta per poter tutelare le parti vicendevolmente in un'eventuale controversia sui termini e le clausole del contratto.

La forma richiesta può anche essere di atto pubblico (2699) (o atto solenne), per richiamare l'attenzione degli stipulanti sull'importanza dell'atto che stanno per concludere. L'articolo 1350 elenca i casi in cui la forma scritta o dell'atto pubblico è richiesta a pena di nullità.

L'atto pubblico, cioè quella scrittura fatta innanzi ad un notaio o altro pubblico ufficiale (L. 15/68) con o senza i due testimoni (es. non sono richiesti nella costituzione di società per la quale è richiesta la forma pubblica solo se ci sono conferimenti di immobili).

Altri casi sono introdotti da leggi speciali, come quelle per la tutela dei consumatori.

Spesso le parti scelgono una forma specifica di loro iniziativa, ma solo ad probationem.

Attualmente, il problema dei contratti telematici, o a distanza, è stato appena disciplinato dal d. lgs. 185/99. Ma il problema della firma digitale, prevista dal D.P.R. 513/97, un regolamento governativo delegato con la L. 59/97 (Bassanini1), è che non è stato ancora attuato nella pratica. Quando sarà operativa, la firma digitale permetterà di contrarre via computer, ma si porrà il quesito della validità di quegli atti per i quali è prevista la forma scritta.

In generale, la firma deve essere autografa, salvo rare eccezioni di legge, tra cui appunto la firma digitale.


Il consenso si intende realizzato (1396) quando vengono a incontrarsi le volontà delle parti. Nella maggior parte dei casi, la fase della conclusione è quella preceduta dalle trattative.

Soltanto quando proposta e accettazione si incontrano il contratto può dirsi concluso. Proposta e accettazione possono essere parti di un unico contesto (conclusione simultanea del contratto), oppure in fasi successive. per il codice si ritiene validamente concluso il contratto nel momento in cui l'accettazione (nei termini della proposta) giunge al proponente (1335). L'indirizzo del destinatario può non coincidere ne' con il domicilio, ne' con la dimora e ne' con la residenza, ma potrebbe essere, in astratto, un luogo definito dalle parti. Ciò si deduce, come presunzione relativa, dalla possibilità lasciata al ricevente di eludere la dichiarazione di volontà ricevuta, se dimostra di non poter essere stato a conoscenza della stessa.

Proposta e accettazione possono comunque anche essere revocate, fino al momento in cui l'altra parte non ritiene ormai concluso il contratto: per l'accettazione, prima che si sia data esecuzione al contratto da parte dell'accettante; per la proposta (ancorché questa preveda prestazioni a carico solo del proponente, per cui non è più revocabile dal momento in cui è giunta al destinatario - 1333), la revoca può avere effetto solo se giunge prima della proposta (1328).

Il proponente può dare esecuzione prima dell'accettazione, ma deve darne previa comunicazione, pena il risarcimento dei danni (1327) (esecuzione tacita). Quando il proponente ha stabilito un periodo di validità dell'offerta (1329), la revoca non è efficace in quel lasso di tempo. L'accettazione che giungesse dopo quel termine non è efficace, salva la ratifica del proponente inviata per iscritto.

Un'applicazione della proposta irrevocabile (1329) è l'opzione (1331), la quale consiste nell'obbligo del proponente di mantenere ferma l'offerta, mentre l'altra parte è libera di accettare o meno, nell'ambito di un termine. In questo caso, infatti, la proposta si considera irrevocabile, ma si differenzia dalla fattispecie della proposta irrevocabile, perché nell'opzione ha natura contrattuale; peraltro, in quanto diritto di natura contrattuale, l'opzione può essere ceduta, mentre la proposta che sia irrevocabile non può essere lasciata a terzi se non è appunto previsto dal proponente (1332).

La proposta può essere aperta all'adesione di altri, o anche aperta a tutti (offerta al pubblico - 1336).

L'offerta è considerata valida come proposta se comprende tutti gli elementi necessari a formare il corrispondente contratto. Le offerte al pubblico sono, ad esempio, le vetrine di un negozio che espongono della merce ed i relativi prezzi, in mancanza dei quali si ritiene essere un invito a proporre. Chi fa l'invito a proporre si riserva di scegliere il tipo di cliente, come, ad esempio, il ristorante, che può rifiutarsi di servire il cliente che vuole consumare solo alcolici, senza ordinare il pasto; in realtà , il menù del ristorante, malgrado riporti i prezzi dei piatti e dei vini, è solo un invito a proporre.

Nella fase precedente la conclusione del contratto avvengono le trattative, nelle quali le parti devono tenere un comportamento di buona fede (1137).

Questa responsabilità precontrattuale si riferisce principalmente al fatto che non si possono interrompere le trattative senza un plausibile motivo, senza rispondere dei danni eventualmente arrecati, c.d. danni negativi, di natura extra contrattuale, in quanto appunto, precedono il contratto.



Spessissimo la conclusione del contratto è preceduta dalle trattative. Anche in questa fase ci può essere responsabilità, derivante dall'obbligo delle parti di comportarsi in buona fede. Si parla in questo caso di responsabilità pre contrattuale o extra contrattuale.

Esistono alcuni contratti, detti standardizzati, in cui non esiste la fase delle trattative, dato che l'offerta è fissa. Lo sono ad esempio i contratti di massa di fornitura di beni e servizi, che talvolta si concludono quasi inconsapevolmente, come quando si acquista un biglietto della metro o del bus (contratti di trasporto), ma che possono essere anche scritti, come quello della fornitura di acqua, gas, ecc., ma anche contratti come quelli turistici, d'assicurazione, bancari, ecc..

Le clausole dei contratti standardizzati sono già definite dal proponente e non sono oggetto di trattativa, per motivi di equità tra i diversi utenti (la parte accettante di un'offerta al pubblico di un servizio pubblico, anche se reso da privati, dato a tutti alle stesse condizioni, è un particolare tipo di contraente).

Le clausole del contratto hanno valore con la parte accettante se questa ne era a conoscenza al momento della sottoscrizione o se ne sarebbe stato a conoscenza se avesse usato l'ordinaria diligenza. Le clausole vessatorie, cioè quelle poste dal proponente a suo vantaggio, senza una contropartita, sono valide solo se specificamente accettate per iscritto (1341).

Se il sottoscrittore aggiunge clausole scritte a mano su un modulo predisposto dall'offerente, e queste sono in contrasto con quelle stampate, le prime prevalgono sulle seconde (1342). Si pensi ad una fideiussione bancaria in cui sia precisato che il fideiussore è solidale, ma prima della firma, a mano, il sottoscrittore inserisce una clausola di beneficio di escussione a suo favore, la banca non potrà rivalersi sul fideiussore finchè non avrà prima agito nei confronti del debitore originario.

Esistono alcune leggi speciali che riservano una tutela particolare ai consumatori, sulla scia delle direttive comunitarie(direttiva 97/7/CE) e sul trattato istitutivo della comunità europea (art. 153), e sono:

d. lgs. 185/1999 - Contratti a distanza;

legge 281/1998 - Disciplina dei diritti dei consumatori e degli utenti;

legge 52/1996, art. 25 - Attuazione della direttiva 93/13/CEE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (inserimento degli art. 1469 bis e ss. nel codice);

d. lgs. 11/1995 - Attuazione della direttiva n. 90/314/CEE concernente i viaggi, le vacanze ed i circuiti «tutto compreso»;

altri.


La disciplina introdotta nel codice dalla legge 52/96 per la tutela del consumatore dal professionista (dove per professionista si intende un'azienda pubblica o privata o un libero imprenditore) è di tipo generale, ma è speciale nei confronti degli rt. 1341 e 1342 che si applicano a tutti i contratti standardizzati e ai rapporti tra professionisti e professionisti, e che trattano la stessa materia in termini più generali e meno tutelativi della posizione dell'accettante; il consumatore o utente è infatti un accettante particolare, cioè non utilizza il contratto per fini lucrativi professionali.

Negli art. 1341 e 1342 si tratta di contratti, come già detto, predisposti unilateralmente dalle aziende e destinati agli utenti. Sarebbe impensabile che un'azienda di fornitura dell'acqua, ed esempio, si mettesse a trattare con ogni utente, oltre all'esigenza di mantenere condizioni contrattuali uguali per tutti.

Gli articoli dal 1469 bis al 1469 sexies trattano le clausole vessatorie, il loro accertamento e la loro eventuale inefficacia, ed infine, l'azione inibitoria esperibile dall'associazione consumatori con ricorso al giudice, che mira ad eliminare dal contratto tipo utilizzato dall'azienda fornitrice del servizio una clausola ingiusta.

In ogni caso, se una clausola è di dubbia interpretazione, si intende contraria agli interessi di chi l'ha formulata (1370).

Questa disciplina tende a riequilibrare le posizioni di proponente e accettante, laddove il primo gode del vantaggio di poter influenzare il mercato e fare offerte a condizioni inique.


Questi sono comunque tutti contratti consensuali.


Nel contratto di trasporto aereo le clausole vessatorie sono inserite nel biglietto, ma ciò rappresenta un'anomalia, in quanto, come si sa (1341 ), queste vanno sottoscritte specificamente.

Nei formulari che elencano le clausole, quelle vessatorie vanno riepilogate alla fine e sottoscritte in calce.

Questo della firma è un sistema di controllo solo formale delle clausole vessatorie, mentre le norme comunitarie hanno introdotto un controllo anche sostanziale con l'elencazione di casi concreti e la definizione di criteri di valutazione ed interpretazione delle clausole.


Le clausole vessatorie, quando non sono efficaci (perché poste senza tenere conto dei limiti imposti dalla legge), non fanno cadere l'intero contratto, ma solo restano inefficaci quelle. Possono essere dichiarate inefficaci d'ufficio da parte del giudice (mentre di norma le clausole di un contratto vanno fatte valere su istanza di parte).

Esiste una distinzione tra clausole vessatorie sospette, quelle cioè che si presumono tali fino a prova contraria, e clausole assolutamente vessatorie, anche se volute da entrambe le parti.



Efficacia del contratto.


Nei contratti consensuali, quando si è verificato il consenso, il contratto non può più essere sciolto.

Il contratto ha forza di legge tra le parti e non può essere sciolto se non per mutuo consenso di chi l'ha stipulato (1372), salvi i casi previsti dalla legge, ovverosia, ad esempio, quando ciò sia contenuto di una clausola a favore di una delle parti (1373 - recesso unilaterale), oppure per rescissione per inadempimento (1453). Il contratto può essere sciolto se ne viene chiesto l'annullamento.


Riassumendo, il contratto può essere sciolto:

con un altro accordo in tal senso;

con recesso unilaterale se previsto dal contratto;

con rescissione o annullamento se ne ricorrono i casi stabiliti dalla legge.


Il contratto concluso vincola le parti alle clausole d'uso e a quelle imposte dalle norme imperative. È questa la c.d. funzione integrativa operata dal codice nei riguardi del contratto.

Le clausole d'uso sono inserite d'autorità nel contratto e prevalgono su quelle poste dalle parti che fossero eventualmente difformi (1339). Sono tutte dettate a tutela della parte più debole, la quale potrebbe essere disposta ad accettare condizioni inique che l'ordinamento, e il principio di uguaglianza, condannano.

Ad esempio la disciplina degli affitti di immobili urbani tutela gli inquilini, essendo questa una categoria che si trova a dover soddisfare un bisogno fondamentale, per cui a volte è disposta ad accettare condizioni inique pur di procurarsi un alloggio.

Il contratto include anche le clausole d'uso, a meno che non siano state volutamente ed espressamente escluse dai contraenti (1374).



Il recesso.


È la facoltà, potestativa, di una delle parti, o anche di entrambe, di sciogliere il contratto, ed è legittimata dalla legge in taluni casi, oppure risulta dallo stesso contratto.

Il recesso è previsto per alcuni contratti tipici, mentre alcuni tipi di contratto l'escludono.

L'art. 1373 detta la regola generale del recesso, ma ci sono alcune specializzazioni.

Ad esempio in tema di contratto di lavoro subordinato, il recesso è previsto per entrambe le parti, ma è più a favore del lavoratore, ed ha una maggiore onerosità per il datore. Quest'ultimo, infatti, può recedere (licenziare) solo motivatamente, e con giusta causa (non una motivazione qualsiasi). Il lavoratore, invece, può recedere (dimettersi) a sua discrezione.

Analogo tenore si ha per i contratti agrari, e anche nelle locazioni in generale, in cui le parti non godono di pari condizioni.

Il recesso è consensuale quando sono le parti a prevederlo, salvo l'eventuale divieto da parte dell'ordinamento.



La penale.


Le parti possono definire anche una eventuale caparra convenzionale, che costituisce il corrispettivo per poter usufruire della clausola di scioglimento del contratto, la c.d. caparra penitenziale, o più semplicemente possono prevedere una clausola penale (1382) da versare invece della prestazione, una sorta di liquidazione (determinazione in denaro) anticipata del danno.


Quando la clausola penale non è prevista, il creditore può chiedere il risarcimento del danno da inadempimento, provando la consistenza e la relazione del danno alle responsabilità contrattuali del debitore. La penale viene inserita proprio per evitare quest'onere della prova nella relativa azione in giudizio. Infatti, quando la clausola è inserita nel contratto, vi è la presunzione del danno, per cui è chi danneggia che deve dimostrare il contrario (1382 ), e il creditore può ottenere la penale. La penale serve quindi a facilitare il risarcimento e migliorare la posizione del creditore.

Se non si specifica, nella clausola, il diritto del creditore al risarcimento dell'eventuale maggior danno, la penale esaurisce la controversia nell'importo in cui è stata fissata. Se il danno, invece, è inferiore, è ammesso il ricorso del debitore al giudice per la riduzione della penale (1384).

Il creditore può scegliere se chiedere l'esecuzione della prestazione oppure il pagamento della penale, a meno che questa si sia convenuta anche per il solo ritardo (1383) o per il parziale adempimento, caso in cui può cumulare le richieste.



La caparra.


La caparra confirmatoria è invece uno strumento di rafforzamento del contratto che rappresenta un risarcimento anticipato per responsabilità contrattuale (inadempimento o ritardo), e consiste nella consegna, da parte del debitore al creditore, di una somma di denaro o di altre cose fungibili che, in caso di inadempimento, possono essere fatte proprie dall'avente causa, previo recesso. Il danneggiato può comunque scegliere se recedere e trattenere la caparra, oppure se chiedere la prestazione o la rescissione, nel quali casi potrà chiedere un risarcimento ad hoc. Se l'inadempimento è di chi ha ricevuto la caparra, l'altra parte può recedere e chiedere la restituzione nel doppio.

Quando la prestazione è adempiuta regolarmente, la caparra deve essere restituita, ovvero imputata a prestazione.

È molto frequente nei contratti preliminari (es. preliminare di vendita immobiliare) e di compravendita.


Patologia del contratto.



Rescissione patologie genetiche (presenti al sorgere del contratto)

(stato di necessità e stato di bisogno con prezzo > del 50% del valore reale)


Risoluzione patologie funzionali (riscontrabili durante lo svolgimento del contratto)

(inadempimento, impossibilità sopravvenuta, eccessiva onerosità sopravvenuta)


nullità (assenza di un elemento essenziale o di un loro requisito)


Invalidità


annullabilità (vizio di volontà)



Inefficacia (stabilita dalla legge o se accordo contrario alla legge)


stabilito dalla legge

per recesso

stabilito dalle parti

Scioglimento del contratto


per mutuo consenso




Rescissione.


I contratti possono essere sciolti solo nei casi previsti dalla legge con il recesso unilaterale, la rescissione e la risoluzione.


La rescissione è un mezzo concesso dalla legge determinato da patologie genetiche, e si può fare solo in casi in cui al momento della stipula una delle parti risulta essere stata danneggiata, ad esempio, il contratto concluso in condizioni di pericolo (1447). Il pericolo si riferisce alla persona, non ai suoi beni. La rescissione del contratto concluso in stato di pericolo si verifica, ad esempio, quando una persona salva un'altra da una situazione di pericolo solo, ma a patto di un cospicuo compenso.

Alla base di una rescissione vi è sempre una condizione di squilibrio tra le parti al momento della stipula, ed una relativa lesione dei suoi interessi (1448). L'azione generale di rescissione, invece di quella dello stato di pericolo, prevede uno stato di bisogno, inteso come economico, noto alle parti, a causa del quale una parte accetta condizioni inique. L'iniquità è determinata da uno svantaggio pari o maggiore al 50% del valore effettivo della prestazione. Per esempio, Tizio, che ha bisogno di denaro, per poter essere operato, si rivolge a Caio, il quale, per sfruttare la situazione, acquista la casa di Tizio ad un prezzo pari alla metà del suo valore commerciale. In questo caso, dunque, Tizio potrà rivolgersi al giudice per ottenere la rescissione del contratto, per lesione ultra dimidium. Ad ogni modo il convenuto può chiedere di modificare l'offerta superando l'iniquità (1450).

I contratti aleatori non possono essere rescissi, perché la loro causa contempla il rischio di perdita di una parte a vantaggio dell'altra. In questi contratti il rischio va molto oltre la normalità.


La prescrizione dell'azione è di un anno (1449) dalla conclusione del contratto. L'eccezione di rescissione non può essere opposta se l'azione è prescritta.

Se la condizione iniqua implica un reato, la prescrizione sarà quella del reato (2947



Risoluzione.


La risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive può essere chiesta al giudice per inadempimento della controparte. Si può richiede o la prestazione coatta o la risoluzione, in ambo i casi si ha diritto al risarcimento.

Si può mutare il petitum in giudizio da prestazione coatta a risoluzione, ma non viceversa (1453).


La risoluzione è determinata da patologie funzionali, cioè a causa di eventi verificatisi dopo la conclusione del contratto. Il caso più frequente è quello di risoluzione per inadempimento, ma la si può chiedere anche per impossibilità sopravvenuta di adempiere, e per eccessiva onerosità sopravvenuta nell'adempiere.


Esistono casi speciali di risoluzione, disciplinati da leggi speciali, come nel caso del contratto di lavoro subordinato, o peri contratti di fondi rustici.


Nei casi di risoluzione per inadempimento si distinguono le risoluzioni di diritto e quelle del giudice. Nelle prime il contratto si scioglie automaticamente, nelle seconde avviene per sentenza (costitutiva, cioè gli effetti si producono dal momento della sentenza) del giudice.

La risoluzione di diritto ha come presupposto l'inadempimento, che deve avere una sua rilevanza (1455). In caso d'inadempimento, si può chiedere al giudice l'esecuzione del contratto, oppure la risoluzione, come meglio si crede; ma per ottenere la risoluzione di diritto deve essere stata inclusa una clausola risolutiva espressa nel contratto, quindi, verificatosi l'inadempimento, la parte lesa comunicherà di volersi avvalere della clausola, ma solo dopo almeno 3 giorni dalla scadenza del termine previsto dal contratto per l'adempimento, perché, anche in assenza della clausola risolutiva espressa, se il termine è essenziale (1457), l'inadempiente ha tempo 3 giorni per comunicare che intende adempiere, trascorsi i quali il contratto può intendersi risolto.

Se la clausola non è stata inserita, e il termine non è essenziale, per dar luogo ad una risoluzione di diritto, devono verificarsi 3 requisiti:

avere inviato la diffida ad adempiere;

scadenza del termine essenziale fissato nella diffida, di norma di quindici giorni;

inserimento nella diffida della clausola risolutiva espressa.


Per l'eccessiva onerosità sopravvenuta e impossibilità sopravvenuta della prestazione, è necessario il requisito della imprevedibilità ed eccezionalità degli eventi.



Nullità, annullamento e inefficacia.


Le cause di invalidità si dividono in nullità ed annullabilità.

Può darsi che un contratto (e in generale un negozio) nasca senza uno degli elementi essenziali, rendendolo nullo, cioè inesistente di fronte dell'ordinamento (la nullità deve e può essere richiesta da chiunque ne abbia interesse). Oppure può verificarsi che il contratto nasca in presenza di un vizio di uno degli elementi, senza che per questo sia nullo, ma può essere annullato su richiesta di una delle parti.

Nel primo caso si ha la nullità, nel secondo la parte interessata usufruirà dell'azione di annullamento.


La nullità (1418) non fa produrre effetti, e si verifica:

quando il contratto è contrario a norme imperative dello Stato (nullità virtuale) o al buon costume, a prescindere dagli effetti diversi che possono discendere dall'aver violato una norma imperativa (ad esempio, per i contratti agrari, la sanzione è la conversione di quelli vietati in altri non vietati);

quando manca uno degli elementi essenziali (causa, oggetto, accordo delle parti, forma);

altri casi stabiliti dalla legge (donazione con motivo illecito - 788, donazione a tutore - 779, patti successori -458).


Esistono altre ipotesi al di fuori di queste, e ipotesi in cui il contratto non è nullo del tutto, ma solo la parte che, ad esempio, è contraria alle norme imperative, una clausola, o un termine. Per esempio, la locazione deve avere un termine di almeno 4 anni, e se un contratto prevedesse una durata inferiore, tale termine si adeguerebbe alla norma. Questo, però, a patto che la clausola non sia essenziale per la volontà delle parti.


Il negozio nullo può essere convertito in un altro valido con una novazione, se le condizioni lo consentono. Per la conversione ci deve essere un requisito oggettivo, che la forma e la sostanza del contratto possano confluire nella forma e sostanza di un diverso contratto, ed un requisito soggettivo, rappresentato dalla volontà delle parti a non concludere un contratto che non può avere effetti, e che se fossero stati a conoscenza di un eventuale simile risultato avrebbero stipulato il contratto che risulterà dalla conversione (es. 2701 conversione di atto pubblico in scrittura privata, 602 conversione di testamento segreto in olografo).


Quando c'è nullità, il contratto non esiste per l'ordinamento giuridico, per questo non produce alcun effetto. La nullità non è prescrivibile (salvo usucapione di terzi sul bene oggetto), e può essere dichiarata anche d'ufficio dal giudice.


L'annullabilità, invece, è una patologia del contratto che scatta in presenza di vizi meno gravi.

Il negozio annullabile è affetto da qualche vizio, ma ciò non è letale per la sua validità, perciò produce effetti, che sono validi fino alla richiesta di annullamento da parte dell'interessato (1441), il quale, però, può ratificarli o sanarli (con atto di convalida), oppure può far decorrere il termine di prescrizione (5 anni - 1442). L'atto di sanatoria deve citare il contratto e i suoi vizi. Non si prescrive l'eccezione di annullamento(1442). Se ad esempio, passano i 5 anni e il contratto era viziato, dovrò osservare il contratto comunque, ma se devo ancora pagare una parte del prezzo, e per questo vengo citato in giudizio dalla controparte, posso eccepire l'annullabilità per vizio, ad esempio, della volontà.


L'annullabilità è prevista quando il negozio è posto in essere da un soggetto incapace di contrattare (1425) (incapacità legale - cioè maggiore età). L'annullamento può essere domandata dall'incapace o dal suo rappresentante. Se per interdizione legale, potrà essere chiesto da chiunque ne abbia interesse. Il negozio è annullabile a istanza di parte per incapacità naturale (428), cioè per incapacità di intendere e di volere, ma il contratto è annullabile solo se c'è mala fede della controparte (eccetto la donazione che, invece, è annullabile anche senza la mala fede - 775). Il termine di prescrizione decorre dal momento in cui l'incapace legale ha compiuto la maggiore età (1442).


L'annullabilità è proponibile anche per vizi della volontà, ossi a quando questa si è formata con: errore, violenza o dolo.

Il termine di prescrizione decorre dal momento in cui fu scoperto l'errore (1442).


Altre ipotesi sono contemplate da casi specifici del codice o di leggi speciali.


Peraltro si possono verificare casi di contratti che sono validi, non hanno vizi, eppure non producono effetti. Questo è il caso dell'inefficacia, che può dipendere dalla mancanza di un presupposto giuridico che fa si che non si possano produrre gli effetti voluti. Per esempio, il testamento, per produrre effetti, deve verificarsi la morte certa del testatore; se ciò non avviene, cioè se non si verifica la condicio iuris, il testamento non ha efficacia.


L'inefficacia può dipendere dall'applicazione delle norme sulle clausole vessatorie (1469 bis e ss.), oppure dal mancato rispetto delle norme sulla pubblicità dei contratti sugli immobili, che in tal caso non sarebbero opponibili ai terzi.



Inefficacia in presenza di condizione o termine (elementi accidentali del contratto).


Esistono condizioni di fatto che possono impedire l'efficacia del contratto, e sono le condicio facti, cioè la condizione sospensiva o risolutiva. Quindi, altro esempio di negozio inefficace, è quello sottoposto a condizione, per cui gli effetti si hanno se si verifica la condizione (sospensiva), oppure cessano se si verifica (risolutiva).


La condizione è un evento futuro e incerto al quale si assoggetta la produzione degli effetti. Il termine, invece, cui si è fatto già riferimento, è un evento futuro e certo.


Esistono negozi giuridici che non ammettono l'apposizione di elementi accidentali, come il matrimonio e l'accettazione o la rinuncia dell'eredità, oppure il riconoscimento di un figlio.


Il contratto può essere inefficace anche solo rispetto a certi soggetti. Ad esempio, il debitore, per sottrarre ai creditori i propri beni, li vende, facendo venire meno le sue garanzie privilegiate, o la semplice garanzia patrimoniale. In tal caso, avendo il debitore, l'intento di danneggiare il creditore, quest'ultimo avrà diritto all'azione revocatoria, che, se accolta, porterà all'inefficacia del contratto di compravendita nei soli confronti del creditore. Per il terzo acquirente, se a titolo oneroso e in buona fede, il contratto avrà valore. Mentre se il terzo acquirente era a conoscenza della garanzia sul bene, il creditore può agire direttamente e anticipatamente sulla cosa senza che il credito sia scaduto.




RESPONSABILITÀ DA ATTI O FATTI ILLECITI.


Responsabilità civile extracontrattuale (o Papiniana - 1173).


Le fonti delle obbligazioni sono, dunque, fondamentalmente, i contratti e gli atti o fatti illeciti (2043).

Per gli atti illeciti si parla di responsabilità extracontrattuale, con riferimento ad una pluralità di atti, tra i quali si sono aggiunti, ad opera della giurisprudenza della Corte di cassazione, anche quelli relativi ad interessi legittimi.

L'art. 2043 contiene la fattispecie generale di illecito civile, con obbligo del risarcimento, che è un principio giusnaturalistico. Si parla di responsabilità Aquiliana, perché era già prevista in una lex Aquilia dei Romani.

La fattispecie generale si applica dove non esiste una disciplina specifica (2048 e ss. o leggi speciali).

La sentenza della cassazione fa seguito all'art. 34 della Bassanini 3 del '98, ed ha una valenza molto ampia.


Art. 2043. Risarcimento per fatto illecito. Qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.


Sono evidenziabili due elementi costitutivi del fatto illecito: uno soggettivo, della consapevolezza (dolo o colpa) di colui che ha agito; e uno oggettivo, l'ingiustizia del danno, ovvero la lesione di un interesse meritevole di tutela. E sono due elementi essenziali, perché entrambi sono necessari, ma non sufficienti. Cioè, chi cagiona un danno ingiusto, ma ne' con colpa e ne' con dolo, può essere tenuto al risarcimento. Tra il danno e il comportamento di chi ha agito deve esserci il nesso di causalità.

La colpa consiste nell'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini dell'autorità, discipline varie, con un'azione svolta con negligenza, imprudenza o imperizia, ma senza il carattere della volontarietà del danno.

Il dolo implica invece una certa intenzionalità nel cercare gli effetti che portano al danneggiamento.

A ciò va aggiunto il criterio di imputabilità (2046), cioè la capacità naturale di agire, la capacità di intendere e di volere, a meno che il suo stato di assenza non dipenda da causa (es. ubriachezza), appunto imputabile al soggetto agente.


L'incapace legale, invece, risponde del danno causato (es. il minore d'età). Se il soggetto non era in grado di intendere e di volere, non sarà ritenuto responsabile e non dovrà risarcire il danno. Infatti, nel caso di danno arrecato da un incapace, il risarcimento è dovuto dai genitori o dal suo sorvegliante, se questo non dimostra di non aver potuto impedirlo (2047), e se questo non può risarcire, il giudice può stabilire un indennizzo a carico dell'incapace. Se un bambino, invece, è capace naturale (capacità naturale = capacità di intendere e di volere), risponde lui in prima persona. È imputabile solo il soggetto che ha agito con la capacità naturale.


Questi sono i presupposti su cui si basa la responsabilità extracontrattuale. La fattispecie del 2043 è talmente generica da avere un ambito di applicazione molto ampio. La responsabilità civile è una forma atipica, mentre tipica è quella penale. Lo stesso codice, però, subito dopo descrive casi specifici, e poi lo fanno altre leggi speciali. In alcuni casi il legislatore prescinde dalla colpa o dal dolo, lasciando irresponsabili alcuni soggetti.

Bisogna inoltre sottolineare come colpa o dolo non sono imputabili ai soggetti che danno una giustificazione in base agli articoli 2044 e 2045: legittima difesa e stato di necessità. Per il secondo è previsto solo un indennizzo stabilito dal giudice in via equitativa. Per il diritto penale, la legittima difesa è la reazione proporzionale all'offesa, perciò l'azione commessa per opporre una resistenza, non un'offesa ulteriore. Lo stato di necessità, ad esempio, si configura  quando un automobilista si scontra contro un veicolo in sosta per evitare di investire un ciclista ubriaco che gli ha tagliato la strada; l'automobilista non dovrà pagare il risarcimento del danno, ma semmai un indennizzo. Il risarcimento toccherà al ciclista, nella differenza tra indennizzo e danno.




La responsabilità extracontrattuale esula da uno specifico obbligo da rispettare, come nella responsabilità contrattuale, ma piuttosto un generico comportamento riguardoso dei danni che si possono arrecare al prossimo.

Una responsabilità extra contrattuale può trasformarsi in contrattuale se si verifica in violazione di un ordine o di un obbligo preciso preesistente. Questo può verificarsi, per esempio, in un incidente stradale, il soggetto danneggiato chiede il risarcimento; se il danneggiante non adempie, il danneggiato si rivolgerà al giudice, il quale emanerà una sentenza di condanna al pagamento, cioè un ordine, ossia un obbligo preciso. Se dopo la sentenza il convenuto continua a non voler pagare, sarà soggetto a responsabilità contrattuale. Gli effetti si riferiscono soprattutto alla prescrizione.

Il diritto di credito derivante da contratto, si prescrive in 10 anni, mentre quello derivante da responsabilità extracontrattuale, o meglio la relativa azione di risarcimento, si prescrive in 5 anni, che si riducono a 2 anni per gli incidenti stradali tra veicoli.


L'ipotesi di responsabilità pre contrattuale è una variazione di quella extracontrattuale, quindi le si applicano le norme del 2043 e seguenti.


Nella responsabilità extracontrattuale, l'onere della prova, in via generale, è a carico del danneggiato, che deve provare sia l'esistenza dell'elemento oggettivo, il danno ingiusto (nel suo ammontare), che quello soggettivo della colpa (o il dolo). Il danno dev'essere ingiusto, quindi, per esempio, è ingiusto il danno apportato ad un fondo per l'aver costruito un edificio senza il rispetto delle distanze imposte dal piano regolatore (872). Il danno non sarà ingiusto se il vicino costruisce nel rispetto delle norme del piano regolatore, anche se ostruisce la vista panoramica.

Il terzo elemento è il nesso di causalità, cioè il rapporto di dipendenza del danno dal comportamento del danneggiante.

Questo nesso di causalità esiste quando esiste una causalità adeguata, cioè, le conseguenze imputate al danneggiante devono essere quelle che in un determinato momento storico potevano essere determinate da quel comportamento. L'intervenire di eventi eccezionali vanno invece ad intervenire sul nesso casualità, cioè la fatalità dell'insorgere del danno a causa di eventi eccezionali che da soli avrebbero causato il danno, mentre nel nesso di causalità il comportamento dell'agente è causa del danno.

Ad esempio, le complicazioni delle condizioni del ferito di un incidente stradale non sono di tipo eccezionale. Se invece il ferito subisce un aggravamento per causa di un ulteriore incidente avvenuto durante il trasporto in ambulanza, allora si configura un caso di evento eccezionale, e, in quanto tale, non imputabile al responsabile del sinistro precedente, anche se a causa di quello il ferito si trovava a bordo del veicolo di soccorso.

Quindi la responsabilità extracontrattuale si relaziona ai soli danni immediati e diretti causati da qualcuno. Questo è il senso del terzo elemento dell'atto illecito: l'imputabilità.


Riassumendo, la responsabilità extracontrattuale dipende da tre elementi costitutivi:

colpa o dolo;

danno ingiusto;

imputabilità.


Inoltre, da qualche anno a questa parte, per danno risarcibile si deve intendere, oltre che la lesione di un diritto assoluto (la proprietà, oppure un diritto della personalità, per esempi), anche la lesione di un interesse inteso come diritto di credito, che ad esempio non venisse onorato dal debitore per colpa di un terzo, il quale potrà essere chiamato a rispondere del danno direttamente dal creditore principale. Oggi, anche un giudice amministrativo può condannare al risarcimento. Si assiste, quindi, ad una espansione dell'istituto del risarcimento.


Il danno economico è risarcibile secondo i principi della responsabilità contrattuale, quindi, sia come danno emergente che come lucro cessante (la lesione e le sue dirette conseguenze).

Ovviamente l'onere della prova grava sempre sul danneggiato.


Un altro aspetto importante è che risarcibile non è soltanto un danno di natura economica.

Peculiarità della responsabilità extracontrattuale è quella di dar luogo al risarcimento anche di danni non patrimoniali, come il danno biologico.

Il codice prevede espressamente il risarcimento del danno no patrimoniale, vincolandolo ai soli casi previsti dalla legge (2059), per esempio, la raccolta non autorizzata di dati personali, ai sensi della legge 675/96 (privacy).



Tipologia del danno.


I danni possono essere di tre tipi: economico, non patrimoniale, biologico. Quest'ultimo è di derivazione giurisprudenziale, ed è quantificabile con l'ausilio di alcune tabelle predeterminate dai tribunali e dai periti.

Il danno non patrimoniale di cui al 2059, corrisponde ad un risarcimento solo nel caso in cui l'illecito civile si rifletta da un reato penale, e si configura nel danno morale, ossia il prezzo per il dolore.

Nel danno economico rientra l'incapacità lavorativa, ossia quella situazione di impossibilità a produrre il proprio reddito col lavoro, e si quantifica anch'esso con l'ausilio di tabelle.

Se il danno è riferito alla persona, scattano automaticamente tutti e tre i tipi di danno. Si è quindi considerato ingiusto che la persona che era stata privata della capacità lavorativa non fosse risarcita del danno.

Il danno biologico è risarcibile indipendentemente dalla natura penale dell'illecito. A questo riguardo si è espressa la Corte Costituzionale, dicendo che il problema non è l'illegittimità dell'art. 2059, ma che il danno biologico è diverso da quello previsto da quell'articolo, e che deriva piuttosto dal combinato disposto del 2043 e dell'art. 32 della costituzione.


Riepilogando, per atto o fatto illecito, sono risarcibili: il danno economico (lucro cessante e danno emergente), il danno morale (quando è associato ad un reato) e il danno biologico (che un D.L. ha cercato di disciplinare nella sua determinazione, ma che poi è stato convertito in legge con modifiche senza la disciplina dettata in materia di risarcimento).


Il danno biologico è stato concesso anche ai parenti del danneggiato che hanno lamentato l'insorgenza di una nevrosi connessa all'assistenza che hanno dovuto prestare al parente paziente.


Responsabilità oggettive.


Rispetto alla norma generale (2043), esistono anche ipotesi specifiche disciplinate dagli art. 2049 - 2052, e anche da leggi speciali. Ad esempio la legge Mammì n.223/90, in materia di rettifica radiotelevisiva di informazioni errate trasmesse che hanno danneggiato l'immagine di talune persone. Ma ci sono norme speciali anche in materia di responsabilità del produttore di un bene difettoso immesso sul mercato, ed anche in materia di danno ambientale con relativo risarcimento allo Stato (art. 18 L. 349/86 - l'azione risarcitoria può essere proposta dal Comune, dalla Provincia o dalla Regione, oppure dall'amministrazione centrale dello Stato).


La responsabilità dell'imprenditore che immette un prodotto difettoso sul mercato è ammessa, anche se non c'è colpa o dolo (elemento soggettivo). È un tipo di responsabilità detta oggettiva, perché le manca l'elemento soggettivo della colpa, e che trova radicamento nel codice dentro norme non esplicite, come l'art. 2049 sulla responsabilità dei padroni e dei committenti, che pur non avendo colpa per gli atti compiuti dai loro domestici o commessi, devono comunque risponderne (es. la collaboratrice domestica, nel fare le pulizie fa cadere un vaso dalla finestra su un'auto, la responsabilità sarà del padrone di casa).


Un altro esempio di responsabilità oggettiva è quello derivante dalla custodia di animali.


In sostanza, si ha responsabilità oggettiva, quando il soggetto è chiamato a rispondere senza che nessun addebito soggettivo possa essergli contestato.


Sono più chiare le ipotesi di responsabilità oggettiva delineate dalle leggi speciali.


Invece, nel codice, come per l'art. 2052, per alcuni autori è responsabilità oggettiva, mentre per altri è responsabilità aggravata.




Anche il 4° comma del 2054 è da considerarsi una responsabilità oggettiva, perché il proprietario del veicolo, l'usufruttuario e il conducente, sono responsabili per i difetti di fabbricazione del veicolo che causino danni a terzi.


Nei casi già illustrati e previsti dagli art. 2047 e 2048, quello che interessa ai fini del risarcimento è la capacità naturale di intendere e di volere, quella d'agire è relativa. In particolare, il 2048 si riferisce alla responsabilità dei genitori che devono rispondere degli atti commessi dal minore che era capace di intendere e di volere, altrimenti si configura il caso precedente del 2047. Se, però, il genitore dimostra di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, a rispondere sarà chiamato il minore stesso. Non è un caso di responsabilità oggettiva, perché sul soggetto incombe la responsabilità per non aver vigilato diligentemente sul minore.

Per questa fattispecie è previsto il requisito della convivenza, che è fondamentale. Nell'esempio dei genitori separati, dove il figlio minorenne coabita con un solo genitore, il quale ne ha l'onere della vigilanza, la responsabilità del 2048 si fa risalire solo al genitore che lo ha in affidamento; nel caso che il danno emerga dal fatto commesso mentre il minore era temporaneamente vigilato dall'altro genitore, alcune sentenze hanno fatto risalire la responsabilità sempre al genitore che lo aveva in affidamento, cioè che vi coabita, perché le Corti hanno ritenuto che l'educazione abbia importanza primaria rispetto alla vigilanza.


Altri casi di responsabilità oggettiva è quella del produttore di un bene difettoso (Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1988, n. 224 - Attuazione della direttiva CEE n. 85/374 relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai sensi dell'art. 15 della l. 16 aprile 1987, n. 183). Per questo caso il termine di prescrizione dell'azione risarcitoria è di 3 anni. Se però non si configurano tutti gli estremi per la responsabilità del produttore, espressamente, il decreto dice che non sono esclusi i diritti al risarcimento garantiti da altre leggi eventuali.

Restano comunque esclusi da questa disciplina i prodotti agricoli che non sono trasformati. Sono però parificati ai prodotti trasformati quelli che vengono impacchettati e confezionati, perché comunque, in qualche misura, sono stati manipolati.

Nel D.P.R. 224/98, oltre alla riduzione della prescrizione, vi è un'altra norma in favore del produttore, quella della decadenza dopo 10 anni dall'immissione sul mercato di quel tipo di prodotto.




SUCCESSIONI.


Quando un soggetto muore il suo patrimonio va ai suoi eredi.

La terminologia successione mortis causa sta ad indicare che un soggetto subentra nei diritti del defunto. Anche la costituzione definisce le regole generali delle successioni facendo distinzione tra legittima e testamentaria.

Tutto questo è legato al sistema della proprietà provata.

Il codice tratta delle successioni nel libro secondo, a partire dall'art. 456. Questo è simbolicamente significativo, perché, il fatto si seguire direttamente il libro delle persone e della famiglia, vuol dire che questo istituto serve principalmente alla tutela del patrimonio di famiglia. È il problema della tutela della famiglia legittima del defunto.

Ma è un istituto che trova la sua importanza nel fatto di dare un proprietario alle cose del patrimonio. Solo in estrema ratio è lo Stato a essere erede, proprio per assicurare in ogni caso un titola, al fine di evitare il problema sociale dei beni vacanti.

Un'altra ragione e di carattere finanziario, dato che lo Stato fa dei prelievi sui trasferimenti dei cespiti patrimoniali.



Erede universale e legatario.


L'erede universale è colui che subentra in tutti i rapporti del de cuius, anche quelli passivi, è vi risponde anche con il proprio patrimonio.

Il successore a titolo particolare (legatario), è colui che succede solo nei rapporti espressamente indicati.

Mentre per l'erede è richiesta l'accettazione, per il legatario no, anche se può comunque rinunciare. Il legatario succede immediatamente. Nei confronti del legatario è tenuto l'erede, quindi il primo può chiedere al giudice di fissare un termine per l'accettazione dell'eredità. Talvolta, però, non è semplice capire se il chiamato a succedere nel testamento sia erede o legatario.



Successione legale.


Nel nostro ordinamento, la successione mortis causa, si apre nell'ultimo domicilio del defunto.

C'è anche la possibilità di redigere un testamento, che è un atto di liberalità mortis causa.

Quindi, nell'apertura della successione, bisognerà vedere prima di tutto se c'è un testamento. Se è così, si avrà una successione, in parte per testamento, e in parte legale. Se non c'è testamento si darà luogo alla successione legale.

La vocazione ereditaria è la chiamata a succedere. Una volta individuato l'erede, perché sia tale, c'è bisogno della sua accettazione. L'accettazione può essere anche tacita.



Successione necessaria.


Il nostro codice definisce 6 categorie di succedibili, cioè fino al 6° grado di parentela, dopo di che succede lo Stato.

C'è, però, una forte tutela della famiglia evidenziata dalle norme della successione necessaria in favore di eredi legittimati, cioè indicati tassativamente dalla legge.


Sono eredi legittimati:

il coniuge;

i discendenti legittimi, naturali e adottivi;

gli ascendenti, se in assenza dei precedenti.


Una quota dell'asse ereditario deve essere necessariamente riservata a questi eredi.

Le norme della successione legittima hanno riguardo di questo.

E' invece nella successione testamentaria che si può verificare una lesione degli interessi degli eredi legittimati.

Se il testamento non rispetta le quote legittime, le sue disposizioni di volontà non sono nulle, ma inefficaci nei confronti dei legittimati, i quali hanno 10 anni di tempo per impugnare il testamento è chiedere l'azione di riduzione.

Questa è un'azione personale che non può neanche essere chiesta dai creditori dell'erede leso nella legittima.

Tutto questo, perché, in ragione della tutela della famiglia, esiste la quota legittima, alla quale, però, i legittimati possono rinunciare non richiedendone l'azione relativa.



Successione testamentaria.


I testamenti ammessi dal nostro ordinamento sono 3: olografo, pubblico e segreto.

L'olografo è quello privato redatto dal testatore di suo pugno, gli altri sono quelli redatti dal pubblico ufficiale.

L'olografo viene tenuto con se' dal testatore nella sua abitazione.

Può succedere che il testamento sia nullo o che sia annullabile. Ognuno dei testamenti richiede delle forme specifiche, in mancanza delle quali si arriva alla nullità.

L'olografo deve essere scritto di pugno e sottoscritto; è richiesta poi anche la data, ma ad probationem rispetto ad altri testamenti precedenti, oppure in controversie riferite alla capacità di intendere e volere del testatore prima di un determinato giorno.

La sottoscrizione serve per identificare la paternità dell'atto e può anche essere una sigla o un diminutivo usuale.

La data può anche essere espressa in modo implicito (natale 2000).

Il testamento pubblico è ricevuto verbalmente dal notaio e messo per iscritto in presenza di 2 testimoni, che ascolteranno la rilettura da parte del testatore, prima di sottoscriverlo (forma solenne).

Il testamento pubblico è l'unico che può essere fatto da chi non sa leggere è scrivere.

Il testamento segreto può essere scritto dal testatore, o da un terzo (nel qual caso deve riportare la firma del testatore sopra ogni mezzo foglio).

Il notaio poi quando lo riceve, deve assolvere altre necessarie formalità per rendere valido il testamento segreto.

Il notaio non conosce il contenuto, ma adempie solo alle formalità del visto.



Istituti di tutela.


Ci sono degl'istituti tipici delle successioni, come l'azione interrogatoria, o la rappresentazione, che consente la successione dei discendenti in luogo dell'ascendente che non vuole o non può diventare erede.

Questo però si applica solo quando il chiamato a succedere è figlio o fratello del defunto. In questo caso, si avrà una successione per stirpi.


Un altro istituto tipico è quello della collazione, che ha lo scopo di assicurare la parità di condizione tra figli legittimi e naturali e il coniuge, i quali devono conferire agli eredi tutto ciò che hanno avuto dal defunto in donazione, per riequilibrare eventuali situazioni di disparità di trattamento. Ovviamente salva la lesione della legittima. Ci sono beni che sono sottratti alla collazione come per esempio le donazioni di modico valore fatta al coniuge e le spese di mantenimento.



Accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario del successore a titolo universale.


Un caso di tacita accettazione dell'eredità è quando l'erede è nel possesso dei beni del defunto. In questo caso ha 3 mesi di tempo per dichiarare o no se accetta l'eredità.

L'inventario si deve fare entro 40 giorni dall'accettazione con beneficio d'inventario.

Un altro caso di tacita accettazione dell'eredità è la riscossione di un credito del defunto.

Il termine per accettare l'eredità è di 10 anni .

Ci sono casi in cui il soggetto deve accettare con beneficio d'inventario, come nel caso dei genitori o del tutore che accettano l'eredità per conto di un figlio minore o di un interdetto giudiziale. Devono poi accettare con beneficio d'inventario anche tutte le persone giuridiche, quindi anche gli enti pubblici.






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