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Sul c.d. rinvio in favorem nel sistema italiano di diritto internazionale privato

giurisprudenza



Sul c.d. rinvio in favorem nel sistema italiano di diritto internazionale privato










INTRODUZIONE




Una delle novità introdotte nel sistema di diritto internazionale privato italiano dalla legge di riforma n. 218/1995 è l'art. 13 che prevede il rinvio. In ogni caso l'aspetto più interessante di tale disciplina riguarda il comma 3, sul c.d. rinvio in favorem.

Ne riportiamo il testo:

Nei casi di cui agli articoli 33, 34 e 35 si tiene conto del rinvio soltanto se esso conduce all'applicazione di una legge che consente lo stabilimento della filiazione.

Si tratta della sistemat 757e44h izzazione di un'esigenza che si faceva sentire sempre più forte in dottrina e che era stata recepita già da alcune codificazioni europee.

Anche da una prima lettura della norma si comprende che nei casi previsti dal 3° comma dell'art.13 l'ammissibilità del rinvio è subordinata al presupposto che, per tal via, si possa conseguire il risultato materiale cui sono ispirate le disposizione de quibus, cioè lo stabilimento della filiazione.

Gli articoli 33, 34 e 35, infatti, sono espressione di una modalità di coordinamento tra ordinamenti, nota in dottrina, come "metodo delle considerazioni materiali" nel quale gli effetti materiali che si intendono tutelare condizionano direttamente la scelta della legge applicabile.

Occorre in ogni caso precisare che la norma si riferisce al cosiddetto metodo delle considerazioni materiali in senso stretto per distinguerlo da uno in senso ampio. Mentre nel primo si tratta di norme che attraverso un concorso alternativo di più leggi intendono favorire la realizzazione di un determinato effetto giuridico (valida costituzione di una situazione giuridica soggettiva in capo ad un soggetto) che, nel nostro caso, è il favor filiationis, nel secondo caso l'interesse materiale preso in considerazione è dato dalla presunta migliore conoscenza della legge applicabile, privilegiando così una delle parti del rapporto in causa.

Una prima osservazione è da farsi riguardo alla natura del rinvio in favorem rispetto al rinvio previsto dal 1° comma. Questo, con una definizione approssimativa, si configura come un principio di carattere generale del nostro sistema di diritto internazionale privato ed assume la funzione di determinare l'armonia internazionale delle soluzioni, principio immanente di ogni sistema di conflitto di tipo tradizionale. Il rinvio in favorem riguarda un sistema che consente di applicare una legge diversa da quella immediatamente richiamata dall'ordinamento del foro, al solo scopo, però, che quest'ultima sia più favorevole al perseguimento dell'effetto materiale richiesto.

Ma, di fatto, quali sono le modalità che l'ordinamento richiede ai fini del funzionamento di tale tipo di rinvio?

Prima di tutto esso sarà il mezzo attraverso cui costituire il rapporto di filiazione nel caso in cui non vi sia nessuna legislazione tra quelle direttamente richiamate che consenta l'attribuzione dello status di figlio, senza fare qui distinzioni tra la filiazione naturale, legittima e legittimata. Altrimenti esso opererà nel caso in cui, pur in presenza di un ordinamento richiamato che persegua questo scopo, ve ne sia un altro che permetta di raggiungere lo stabilimento di una filiazione più piena[1].

In altre parole, si tratta di favorire al massimo l'accertamento formale del rapporto di filiazione, avendo qui riguardo direttamente al favor validitatis del rapporto medesimo.[2]





Quindi si potrà tenere conto del rinvio solo in queste due ipotesi, quando, cioè, esso contribuisce al raggiungimento dello scopo cui è stato esplicitamente condizionato dal legislatore. <<In principio - come osserva Picone - non vi è motivo di ritenere che esso debba restare condizionato alla volontà di autoapplicazione delle leggi straniere richiamate dato che le medesime vengono in tal caso prese in considerazione dal foro soprattutto per il loro contenuto materiale, e non in quanto idonee dal loro punto di vista a regolare le relative fattispecie>>.[3]

Il rinvio in favorem si configura allora come una norma di conflitto a carattere sussidiario o residuale. Esso è in grado di operare unicamente in via subordinata al contenuto delle leggi richiamate in prima battuta, le quali restano, dunque, prioritariamente applicabili.

Per identificare l'esatta natura giuridica del rinvio in favorem è opportuno far luce sul rapporto intercorrente tra il comma 3 dell'art.13 e il principio generale espresso dal comma 1. Occorre domandarsi se il modo di operare del rinvio in favorem sia subordinato o meno al soddisfacimento dei requisiti per l'applicazione del rinvio ex comma 1.

In dottrina ci sono due orientamenti. Secondo parte della dottrina bisogna dare risposta positiva a tale interrogativo. In base a questa impostazione, occorre in ogni caso accertare: 1) se ciascuna delle leggi richiamate rinvii ad un'altra legge che accetti il rinvio - in caso di rinvio oltre - o che richiami la lex fori - in caso di rinvio indietro; 2) se dall'applicazione di tale normativa derivi lo status filiationiis. In questo caso, in osservanza delle regole generali in materia di rinvio, si applicano queste ultime due leggi. Il rinvio in favorem opererebbe seguendo i criteri generali del rinvio ma con un limite a posteriori ( o "limite esterno"[4]) ai fini dell'applicabilità della legge così individuata.

Altra dottrina ritiene invece che la prospettiva di applicazione del rinvio in favorem è del tutto diversa da quella cui si ispira il funzionamento del rinvio all'interno del metodo classico dei conflitti di legge. Il rinvio di tipo tradizionale, infatti, fa riferimento per quanto riguarda il coordinamento tra ordinamenti al metodo della c.d. localizzazione condizionata della fattispecie da regolare. Allora, poiché le disposizioni degli articoli 33, 34 e 35 sono improntate ad un metodo di coordinamento diverso, il loro modo di essere e di operare non potrà essere condizionato dai requisiti d'applicazione del rinvio previsti dall'art. 13 comma 1.[5]

La soluzione interpretativa cui aderisce Venturi è appunto questa che propende per una ricostruzione del modo di essere del rinvio in favorem in forma autonoma dalla regola espressa nell'art. 13 comma 1. Esso, assume, in definitiva, una natura sussidiaria e una funzione a carattere materiale autonome, che lo contraddistingue in maniera netta e decisa dal rinvio di tipo tradizionale.

In altri termini, il nostro sistema di diritto internazionale privato sembra ammettere due tipologie distinte di rinvio a seconda del sistema di coordinamento a volta a volta adoperato.









CAMPO DI APPLICAZIONE DEL RINVIO IN FAVOREM


Chiarita la autonoma e sussidiaria natura del rinvio in favorem, occorre domandarsi se esso sia un principio generale del nostro sistema di conflitto, per cui sarebbe applicabile a tutte le disposizioni ispirate al metodo delle considerazioni materiali , o se operi eccezionalmente ed esclusivamente nei confronti degli articoli 33, 34 e 35 in materia di filiazione, come abbiamo già visto.

Anche in questo caso si possono individuare in dottrina due principali posizioni contrapposte.

Parte della dottrina[7] interpreta tassativamente l'articolo 13 comma 3. Il presupposto logico-formale da cui si prende le mosse è quello in base al quale le varie leggi, dichiarate applicabili dal legislatore riguardo ad una norma di conflitto con finalità materiali, sono già in partenza "costruite" per essere potenzialmente idonee a produrre l'effetto voluto. De iure condito, si ritiene, da parte di questa corrente dottrinaria, che l'apertura mostrata dal legislatore con l'introduzione delle fattispecie di cui agli articoli 33, 34 e 35 debba essere intesa come un'eccezione al sistema in toto, e quindi valutata alla stregua dell'art.14 delle disposizioni preliminari al codice civile[8].

Altra dottrina[9], invece, sostiene che il rinvio in favorem sia perfettamente compatibile con questa particolare tipologia di norme di conflitto, adducendo a giustificazione una voluta più efficace tutela da parte del legislatore degli interessi materiali realmente tutelati e perseguiti.

Il dato testuale dell'art. 13 comma 3 avalla unicamente la prima soluzione. L'interpretazione è quell'attività ermeneutica diretta a ricercare e a precisare il significato da attribuire alla norma di legge stessa. Ma sappiamo che l'interpretazione letterale volta a valutare il significato proprio delle parole secondo la loro connessione (c.d. vox iuris) non è l'unico strumento ermeneutico di cui si deve avvalere l'interprete. Pari "dignità" ha l'interpretazione logica della norma che è volta a stabilire il vero significato della norma in riferimento al contesto in cui essa si inserisce e allo scopo che persegue (c.d. ratio legis). Quasi sempre si rende necessario verificare l'interpretazione letterale alla luce di quella sistematica, e quindi valutarne i risultati[10].

Come da più parti si sostiene, non è possibile ammettere od escludere aprioristicamente e dogmaticamente il rinvio, magari partendo da una rigida concezione delle norme di conflitto stesse. Occorre superare questa concezione formalistica, ormai appartenente al passato, per giungere ad una politicizzazione del diritto internazionale privato.[11]




Una teoria, dunque che impone un'interpretazione in funzione delle specifiche modalità di coordinamento tra ordinamenti e degli obiettivi che ogni modalità appunto persegue. In questo scenario appare evidente come il rinvio in favorem debba essere ricostruito alla luce del metodo di coordinamento tra ordinamenti delle considerazioni materiali "in senso stretto".

Per ciò che riguarda la possibilità o meno di un'interpretazione estensiva dell'art. 13 comma 3, occorre iniziare dall'analisi delle peculiarità proprie delle disposizioni di cui agli articoli 33, 34 e 35, onde evidenziare l'aspetto strettamente funzionale del rinvio in favorem e, quindi, dopo averne ricostruito un modello astratto di operatività in relazione ad una situazione tipo, valutare se non sussistano le condizioni per cui esso possa essere applicato anche per altre fattispecie giuridiche.

Cominciando la nostra analisi sulle disposizioni di cui trattasi da un'indagine sulle peculiarità tecniche e strutturali, è da evidenziare che siamo in presenza di norme di conflitto con finalità materiali, le quali richiamano alternativamente non più di due leggi (l'unica eccezione è costituita dall'art.34 comma 1, se i genitori hanno una diversa cittadinanza al momento della legittimazione) utilizzando sempre il criterio della nazionalità (del figlio o dei genitori). In alcuni casi, anzi, si fa riferimento ad un unico criterio di collegamento. Ciò avviene nell'ipotesi dell'art. 33 comma 1 e 34 comma 2, ma può avvenire anche nel caso dell'art. 33 comma 2, se vi sia identità di cittadinanza tra i genitori. È evidente allora il ruolo che il legislatore ha voluto attribuire al rinvio in queste ipotesi: esso amplia lo spettro delle possibili leggi che consentono uno stabilimento, o un migliore stabilimento, della filiazione[12]. Da quanto detto finora, è possibile astrattamente ricostruire l'ambito di operatività - tassativo o meno - del rinvio in favorem. Questa soluzione sembra calzare per quelle norme di conflitto che prevedono alternativamente un numero ristretto di criteri di collegamento a carattere "tradizionale"[13] (cioè di "stretta localizzazione spaziale) e per i casi in cui il rinvio possa effettivamente giocare in favorem. Diversamente avviene nei casi che non rientrano in tali due ipotesi.

Alcuni autori obiettano che, nelle norme di conflitto con finalità materiali, l'interesse tutelato è legato inscindibilmente con la localizzazione della fattispecie che il legislatore ha determinato appositamente. In altre parole, una ricerca "amplificata" dell'interesse tutelato dalla singola norma di conflitto con finalità materiali può condurre a soluzioni contrastanti con i principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico e, comunque, determina una ricerca del risultato materiale che va oltre la tutela presuntivamente massima accordatagli dal legislatore[14].

In realtà, quanto al primo aspetto, la natura sussidiaria del rinvio in favorem esclude di per sé la validità stessa di tale obiezione, in quanto esso non fa altro che "assistere" la norma, in caso di insuccesso dei criteri di collegamento prioritariamente applicabili, raggiungendo lo stesso risultato materiale. Il secondo aspetto mette in risalto la necessità di considerare attentamente la ratio della norma di conflitto con finalità materiali ai fini dell'operatività dell'art.13 comma 3. Non è sufficiente che il rinvio in favorem sia concretamente funzionale al conseguimento dell'interesse tutelato dalla singola disposizione di conflitto con finalità materiali, ma è allo stesso modo necessario verificare se ciò sia compatibile con la sua ratio legis



Tale obiezione cade però laddove si consideri che molto spesso nelle norme di conflitto con finalità materiali sono usati alternativamente criteri di collegamento tradizionali e, solo raramente, si fa riferimento a criteri più flessibili, come la "prevalente localizzazione" e la " connessione più stretta". Tali ultimi criteri esprimono la <<volontà sostanziale>> del legislatore nella determinazione della legge applicabile; riflettono, cioè l'intenzione del legislatore di rendere applicabile la normativa sostanziale di uno piuttosto che un altro ordinamento giuridico, prescindendo dall'auspicato coordinamento con gli ordinamenti stranieri.

In questo caso, allora, è evidente che il legislatore ha inteso stabilire un limite massimo di tutela oltre il quale non è possibile andare.

Al contrario, l'utilizzazione in concorso alternativo di criteri di collegamento tradizionali, quali la cittadinanza, il domicilio, la residenza, ecc., nell'ambito di un norma di conflitto con finalità materiali, fa presupporre l'intenzione del legislatore di assicurare una soglia minima di tutela per quegli stessi interessi materiali perseguiti. Qui il rinvio in favorem può ottimizzare il risultato altrimenti ottenibile utilizzando la legge direttamente richiamata dall'ordinamento del foro.

Come ha osservato il Davì è possibile pensare all'operatività del rinvio in favorem tutte le volte in cui il legislatore non ha inteso stabilire il grado massimo di favore ammissibile per un dato risultato, ma abbia, invece, indicato un limite minimo oltre il quale sarebbe lecito e possibile andare proprio attraverso lo strumento del rinvio.[15]

Questo è quanto se ci arrestiamo al campo delle ipotesi; de iure condito la soluzione non può che non essere interpretativa, cioè legata al caso concreto.




MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale (parte speciale), Torino, 1996, p.75. Occorre sottolineare che si tratta di un accertamento della filiazione più piena dal punto di vista meramente formale (ad esempio, attribuzione dello status di figlio legittimo e non solo riconosciuto). Né, in ogni caso, si sarebbe potuto fare riferimento alla sostanza della filiazione con riguardo alla differenziazione tra figlio legittimo, naturale e legittimato, dato che la legge di riforma del diritto di famiglia n.151/1975 ha eliminato tale "discriminazione". Tale aspetto oggi costituisce un limite (negativo) di cui il giudice deve tenere conto anche nell'applicazione del diritto straniero e che viene a configurarsi come un principio di ordine pubblico.

Al riguardo è interessante notare che il legislatore abbia inteso riferirsi alla validità formale del rapporto di filiazione, piuttosto che al favor filii, cioè al reale interesse del soggetto più debole.

PICONE, Le norme di conflitto.

PICONE, Le norme di conflitto. Ma le due espressioni le possiamo considerare equivalenti.

PICONE, I metodi di coordinamento tra ordinamenti nel progetto di riforma del diritto internazionale privato italiano, in Riv. Dir. Int., 1990, p. 666-667. È bene precisare che anche il metodo tradizionale della cosiddetta localizzazione spaziale non esclude, per la determinazione della legge in astratto applicabile, una presa in considerazione diretta o indiretta di interessi da tutelare, ma tali interessi assumono rilevanza in un momento successivo, in sede di applicazione del diritto straniero, attraverso il necessario rispetto del principio dell'ordine pubblico. Diversamente, nel metodo delle considerazioni materiali, tale rilievo è determinante fin dall'inizio ed orienta la stessa scelta della legge applicabile.



Come osserva Picone, qui si intende riferirsi solo alle norme di conflitto improntate al c.d. metodo delle considerazioni materiali "in senso stretto" e non anche a quello c.d. "in senso ampio". Queste ultime, infatti, sono caratterizzate dal fatto che attribuiscono ad una o più parti di un rapporto giuridico la possibilità di scegliere la legge applicabile in funzione soprattutto della migliore conoscenza del contenuto della stessa. Se così è, le norme di conflitto del tipo in esame sono specializzate dal fatto che il favor che perseguono, è inscindibilmente legato all'optio legis della parte interessata. In altre parole, poiché la migliore conoscenza della legge applicabile è l'obiettivo materiale perseguito dal legislatore e questo si intende tutelato, concedendo ad una o più parti del rapporto la optio legis, non si vede come il rinvio possa essere effettivamente in favorem; possa cioè condurre all'individuazione di una legge meglio conosciuta per la parte interessata.

Si vedano MOSCONI, Diritto internazionale privato e processuale (parte generale), Torino, 1996, p. 116 ss; BALLARINO, Diritto internazionale; POCAR, Il nuovo diritto internazionale privato, Milano, 1997, p. 31 ss.

Art. 14 Disposizioni preliminari al codice civile: <<Le leggi penali e quelle che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati>>.

Si veda per tutti, PICONE, La teoria generale.

SPERDUTI, Linee di una moderna concezione di diritto internazionale privato in Nuove frontiere del diritto e il problema dell'unificazione, Milano, 1979, p.869: <<L'interpretazione letterale deve cedere all'interpretazione logica, che tenga conto del contesto e dello scopo del sistema>>.

Con questa espressione si intende sottolineare il carattere funzionale proprio di ciascuna norma di conflitto, cioè il suo essere fondamentalmente strumento di realizzazione di determinati interessi ed obiettivi che si intendono perseguire. Certo questo è elemento proprio della teoria generale del diritto (ex facto oritur ius), ma nell'ambito della dottrina internazionalprivatistica ha assunto un valore "preminente" in un tempo relativamente recente , determinando una profonda revisione metodologica della concezione di diritto internazionale privato risalente a Savigny.

PICONE sostiene che <<. norme di conflitto tradizionali. diventano alternative in seguito alla indicata modalità di accoglimento del rinvio>>.

Un numero elevato di criteri di collegamento, invece, riduce logicamente le possibilità di richiamare una normativa sostanziale "nuova".

Si tratta di due aspetti differenti. Il primo riguarda la stessa legittimità di costruire una norma di conflitto che non sia più "neutra", ma che ricerchi la normativa sostanziale della fattispecie concreta con elementi di estraneità, avendo riguardo direttamente al suo contenuto e non semplicemente alla sua localizzazione. Su questo presupposto sono state evidenziate da parte di dottrina autorevole le problematiche - anche di legittimità costituzionale - che possono nascere dalla disparità di trattamento che il metodo delle considerazioni in senso materiale può generare.

Quanto al secondo aspetto, esso si riferisce alla presunta inscindibilità tra localizzazione spaziale della fattispecie da regolare e interesse materiale tutelato dalla norma di conflitto. Si parte dal presupposto che si sia voluto stabilire un limite assoluto all'intensità della tutela attribuita all'interesse materiale, subordinandola alle sole ipotesi in cui essa è esplicitamente accordata dal legislatore.

DALÌ, Le questioni generali di diritto internazionale privato nel progetto di riforma, in La riforma del diritto internazionale privato e processuale. Raccolta in onore di Edoardo Vitta, Milano,1994, p. 102.




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