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I bisogni pubblici
Abbiamo visto dall'economia politica che il bisogno è una sensazione di desiderio o dolorosa, che spinge l'individuo ad appagarla o ad eliminarla e sappiamo che esistono i bisogni individuali (chiamati anche bisogni privati) che sono quelli che l'individuo sente come singolo (ES: mangiare, bere, vestirsi) ed i bisogni collettivi (chiamati anche bisogni pubblici) che sono quelli che l'individuo sente in quanto membro della collettività (ES: bisogni sentiti dall'individuo di ordine pubblico, dell'amministrazione della giustizia) Sappiamo anche che allo soddisfacimento dei bisogni individuali solitamente provvede l'individuo stesso acquistando beni e servizi invece per quanto riguarda quelli collettivi solitamente provvede lo Stato o un altro ente pubblico. Quindi possiamo dire che i bisogni pubblici sono quei bisogni che in un dato momento sono soddisfatti dallo Stato, costituito dagli organi dell'amministrazione centrale 333h78d (i ministeri) o da altri enti pubblici che sono le regioni, i comuni, l'INPS.
I bisogni pubblici vengono soddisfatti mediante i servizi pubblici che sono le prestazioni che lo Stato e gli enti pubblici forniscono ai cittadini
Si distinguono in:
I servizi pubblici generali che sono quelli che lo Stato e gli enti pubblici forniscono all'intera collettività (ES: ordine pubblico, difesa esterna)
I servizi pubblici speciali che sono quelli che lo Stato e gli enti pubblici forniscono a singoli individui che ne fanno richiesta (ES: servizio smaltimento rifiuti, servizio di trasporto urbano)
Lo Stato soddisfa i bisogni pubblici mediante servizi pubblici quindi per fornire ai cittadini tali servizi, deve effettuare delle spese pubbliche e per effettuare queste spese, lo Stato deve avere delle entrate.
Lo Stato solitamente si procura il denaro in 3 modi:
1.) facendo pagare i tributi ai cittadini
2.) emettendo titoli del debito pubblico (ES: buoni del tesoro) che i cittadini acquistano perché tali titoli fruttano un interesse
3.) stampando moneta
A partire dal XX secolo i compiti dello Stato sono cresciuti molto rispetto al XIX secolo, secolo in cui lo Stato si limitava a garantire l'ordine pubblico, l'amministrazione della giustizia e la difesa del paese da possibili aggressioni esterne e a pochi altri compiti, successivamente invece, lo Stati si è prefisso una serie di altri confini come fornire l'istruzione obbligatoria e gratuita per un certo numero di anni a tutti i bambini, erogare pensioni a tutti coloro che hanno svolto un'attività lavorativa, realizzare opere pubbliche come strade e ferrovie. Anche gli enti pubblici hanno delle entrate e delle uscite (ES: i comuni forniscono i servizi di polizia urbana e rurale, il servizio idrico, l'illuminazione pubblica) l'attività che lo Stato e gli enti pubblici svolgono per procurarsi i mezzi necessari per effettuare le spese pubbliche è chiamata attività finanziaria pubblica, caratterizzata da questi 2 elementi: entrate e uscite. La scienza delle finanze è la disciplina che studia i principi generali che regolano l'attività finanziaria pubblica.
Sappiamo che l'economia politica studia il comportamento degli individui nei rapporti economici, ovvero il comportamento dei soggetti economici (consumi, imprese, banche) Quindi le connessioni tra economia politica e scienza delle finanze sono assai strette. La scienza delle finanze ha uno stretto legame anche con la disciplina della politica economica, che studia gli interventi dello Stato nella vita economica di cui fanno parte la politica monetaria e creditizia, le politiche dei prezzi e dei redditi, le politiche relative ai tassi di scambio e al commercio estero. Secondo molti autori, rientra nella politica economica anche la politica finanziaria che studia gli interventi dello Stato relativi alle entrate e alle uscite dello Stato stesso e degli enti pubblici. Mentre la scienza delle finanze studia i principi generali che regolano le entrate e le spese pubbliche, la politica finanziaria analizza gli effetti che variazioni delle entrate e delle spese pubbliche producono sul sistema economico. Il diritto finanziario studia le norme giuridiche che disciplinano l'attività finanziaria pubblica quindi studia sia le norme che regolano le entrate sia quelle che regolano le uscite dello Stato e degli enti pubblici. La scienza delle finanze studia i principi generali ai quali deve ispirarsi il sistema tributario (cioè le imposte) di un paese e dice questo sistema deve avere certe caratteristiche di equità (ES: non deve colpire i poveri) afferma anche che le spese pubbliche debbono essere produttive. Invece il diritto finanziario studia le leggi che oggi in Italia disciplinano le imposte (chi deve pagarle e come) e le leggi che disciplinano le spese pubbliche. Il diritto tributario è quella parte del diritto finanziario che studia le norme giuridiche relative ai tributi (che rappresentano la principale entrata per lo Stato). Lo Stato e gli enti pubblici devono tenere una contabilità delle entrate e delle uscite che viene chiamata contabilità pubblica, e deve essere tenuta secondo le leggi che costituiscono il diritto finanziario.
Gli studiosi di scienza delle finanze hanno cercato di chiarire la natura dell'attività finanziaria pubblica e sulla natura di tale attività esistono diverse teorie:
Teoria dello scambio, secondo cui l'attività finanziaria sarebbe un caso particolare dello scambio economico. Questa teoria è criticabile perché lo scambio economico e l'attività finanziaria sono diverse, perché nello scambio economico vi è la libertà di contrattazione (sull'acquisto e sul prezzo) mentre l'attività finanziaria si basa generalmente sul potere dello Stato di imporre i tributi e di decidere quali servizi fornire ai cittadini, e sull'obbligo per il cittadino di pagare tali tributi.
Teoria del consumo, secondo cui l'attività finanziaria è una pura attività di consumo. Le spese pubbliche sono improduttive e rappresentano uno sperpero di ricchezza. Anche questa teoria è criticabile perché molte spese pubbliche sono utili (ES: spese che lo Stato sostiene per realizzare grandi opere pubbliche come porti e aeroporti)
Teoria della produzione, secondo cui l'attività finanziaria è un'attività produttiva, perché, mediante il denaro raccolto con i tributi, produce servizi pubblici che sono utili perché consentono ai privati di produrre una maggiore ricchezza (ES: lo Stato, se garantisce l'ordine pubblico o costruisce strade, facilita l'espansione delle industrie e dei commerci. La spesa pubblica è riproduttiva perché consente ai privati di produrre maggiore ricchezza. Anche questa teoria è criticabile perché non sempre le spese pubbliche sono produttive.
Teoria dell'utilità marginale, sappiamo dall'economia politica che ogni individuo ha dei bisogni che egli soddisfa mediante il consumo dei beni e dei servizi e sappiamo anche che con il suo reddito soddisfa prima i bisogni primari e poi quelli secondari. Ogni individuo avverte sia bisogni privati (mangiare, bere) sia bisogni pubblici (ordine pubblico, giustizia). L'individuo soddisfa i bisogni privati acquistando beni e servizi sul mercato e soddisfa i bisogni pubblici pagando i tributi allo Stato e agli enti pubblici che producono i servizi pubblici (polizia, giustizia). Attraverso i rappresentanti nel parlamento i contribuenti decidono i bisogni pubblici da soddisfare. Anche questa teoria è criticabile, i rappresentanti scelgono essi stessi quali sono i bisogni pubblici da soddisfare e prelevano dai contribuenti le somme necessarie per soddisfarli. Quindi l'individuo non ha la libertà di scelta per la soddisfazione dei bisogni pubblici.
Teoria politica, secondo cui l'attività finanziaria è una manifestazione della sovranità, del potere dello Stato che ha il potere di imporre tributi, e i cittadini sono obbligati a pagarli. Lo Stato determina i mezzi di cui ha bisogno per produrre i servizi pubblici e ripartisce il carico dei tributi tra i cittadini o tra i gruppi sociali (ES: fare pagare più imposte ai commercianti e ai proprietari terrieri e meno agli operai) e decide tale ripartizione sulla base di criteri puramente politici (di voler favorire una classe sociale anziché un'altra). Anche questa teoria è criticabile poiché lo Stato, nel decidere i tributi da imporre e le spese pubbliche da effettuare, non può basarsi su criteri puramente politici ma deve tenere conto anche di fattori economici come la necessità che il peso dei tributi non raggiunge il punto di soffocare l'attività delle imprese private.
Teoria sociologica, secondo cui la classe politica dirigente fa pagare le imposte ai cittadini, dando loro l'illusione che le somme che essi pagano vengono impiegate nel loro interesse per soddisfare bisogni pubblici. Invece la classe dirigente usa le entrate per fornire privilegi e compensi ai gruppi sociali che la mantengono al potere come giornalisti e intellettuali, clientele elettorali. Anche questa teoria è criticabile anche se contiene elementi di verità. Infatti tutti i cittadini hanno diritto al voto e ciò rende difficile per una classe dirigente di mantenersi al potere favorendo solo ristretti gruppi di individui o favorendo solo un gruppo sociale (ES: commercianti e non i lavoratori dipendenti)
Nel XIX secolo prevaleva l'ideologia di Laissez faire o del liberismo puro che ammetteva l'intervento dello Stato soltanto in alcuni casi. L'impostazione per cui lo Stato doveva limitare al minimo il suo intervento nell'economia doveva essere neutrale in modo da non turbare l'attività dei singoli individui, è alla base della cosiddetta finanza neutrale. E abbiamo visto che a partire dal XX secolo gli interventi dello Stato sono molti cresciuti. Oggi si attribuiscono all'attività finanziaria pubblica diversi compiti:
La stabilizzazione dell'economia nel breve periodo cioè la lotta alla disoccupazione e all'inflazione. Su questo ha insistito in particolare modo l'economista inglese John Maynard Keynes negli anni trenta. Lo Stato deve intervenire quando nel sistema economico vi sono dei disoccupati e le imprese private non compiono investimenti perché fanno previsioni pessimistiche sulla possibilità di vendere i beni che producono (ES: lo Stato può aumentare la spesa pubblica compiendo investimenti pubblici costruendo strade, ferrovie in modo da assumere i disoccupati, può diminuire le imposte che gravano sulle imprese e avendo maggiori disponibilità monetarie aumenteranno la produzione assumendo così i disoccupati). Supponiamo Invece vi sia inflazione cioè l'aumento dei prezzi, (ES: dovuto al fatto che gli individui hanno una maggiore disponibilità monetaria, di conseguenza la domanda dei beni è maggiore dell'offerta dei beni disponibili). In questo caso lo Stato deve intervenire, frenando l'aumento della spesa pubblica o aumentando le imposte (potrebbe farlo limitando l'aumento degli stipendi dei dipendenti pubblici e delle pensioni e questo determinerà una diminuzione della domanda di beni di consumo da parte dei dipendenti pubblici e dei pensionati)
Lo sviluppo del reddito nazionale nelle economie liberiste anche se lo sviluppo della produzione è lasciato all'iniziativa dei singoli e in modo particolare delle imprese private, lo Stato può stimolare in diversi modi tale iniziativa. (ES: usando la spesa pubblica per costruire infrastrutture, tali opere possono rendere possibile o facilitare la nascita di aziende private [agricoli, industriali, commerciali]) oppure può usarla per creare scuole professionali in modo da rendere i lavoratori più capaci e di ciò beneficiano le aziende private. In questi modi la spese pubblica favorisce il reddito nazionale
La redistribuzione del reddito tra i cittadini uno dei compiti principali che lo Stato moderno deve svolgere. Lo Stato deve far pagare imposte elevate ai ricchi ed erogare sussidi ai meno abbienti (sussidi ai disoccupati pensioni ai lavoratori invalidi o anziani) Inoltre si ritiene che lo Stato debba fornire certi servizi pubblici come l'istruzione, l'assistenza sanitaria gratuitamente o a basso prezzo a tutti i cittadini, si ha così il Welfare State (stato sociale)
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