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Contesto Storico

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Contesto Storico

L'Illuminismo nacque in Inghilterra verso la fine del 1600. L'Inghilterra era allora il paese più industrializzato d'Europa, ma qui il movimento non ebbe modo di svilupparsi appieno. Lo stato inglese era infatti improntato sul liberalismo e di conseguenza la borghesia vedeva tutte le sue proposte esaudite dal Governo. Maggiore sviluppo lo ebbe in Francia dove invece vi era una situazione politica e sociale critica. La società francese era divisa in tre classi sociali: Aristocrazia e Clero,che detenevano il potere, e 3° Stato che invece non godeva di alcun diritto. Il 3° stato era molto ampio e al suo interno vi si poteva trovare sia il contadino che il piccolo imprenditore. Proprio per questa "Diversa gamma" di persone iniziò a definirsi una 4° classe, formata dalla borghesia, che iniziò ad acquisire potere economico e che iniziò a sentire l'esigenza di partecipare alla vita politica dello stato. Fu proprio alla borghesia che gli illuministi si rivolsero. Infatti secondo loro la povera gente era troppo impegnata nel cercare di sopravvivere per poter capire le loro proposte, mentre la borghesia, essendo critica nei confronti della società tradizionale fondata sui privilegi e non sulla legge, avrebbe capito tutto.

I principi di riforma illuministici furono seguiti da alcuni sovrani europei,che videro in questi un modo per mantenere il loro potere. Il Settecento fu quindi per l'Europa un periodo di riforme. Despoti illuminati furono Federico II di prussica, Caterina II di Russia e l'imperatrice Maria Teresa D'Austria e suo figlio Giuseppe II. Le riforme che caratterizzarono il dispotismo illuminato riguardarono la modernizzazione e la laicizzazione dello stato. La modernizzazione dello stato consiste nel rendere lo Stato stesso più efficiente. Ad esempio si diffuse il catasto,un registro con l'indicazione della proprietà di tutti i terreni e delle loro caratteristiche,istituito da Maria Teresa D'Austria. Oppure venne riformata l'amministrazione della giustizia,come fece Federico II di prussica,che abolì la tortura e ridusse fortemente la pena di morte. La Laicizzazione dello stato consiste invece nell'allontanamento dello stato stesso dalla chiesa,fino a scontrarsi con questa. Ad esempio si istituirono le prime scuole statali o come fece Caterina II di Russia,si confiscarono molte proprietà della chiesa. Anche per l'Italia il '700 fu un periodo di riforme. In particolare per la Lombardia, che faceva parte dell'impero d'Austria. Oltre al catasto,Maria Teresa introdusse una maggiore libertà religiosa,fondando numerose scuole statali,abolendo la tortura e limitando la pena di morte. Anche il Regno di Napoli,con Carlo III di Borbone, conobbe un periodo di riforme: venne introdotto il catasto e riorganizzata la giustizia. Allo stesso modo, nel Granducato di Toscana,Pietro Leopoldo fece bonificare molti terreni paludosi e parte della Maremma. Eliminò alcuni dazi che rendevano difficile il libero commercio e abolì,oltre alla tortura,anche la pena di morte. Gli unici 2 pa 414h75e esi che non introdussero riforme furono l'Inghilterra e la Francia, le "Madri" dell'Illuminismo. In Inghilterra la maggior parte delle riforme del dispotismo illuminato erano già state fatte nel '600. In Francia invece,il Ministro Turgot incontrò l'opposizione dei nobili, per nulla disposti a perdere i loro privilegi.




Che cos'è l' Illuminismo

L' Illuminismo è un movimento ideologico e culturale, inteso a portare i <<Lumi>> della ragione in ogni campo dell' attività umana, allo scopo di rinnovare non soltanto gli studi

e le varie discipline ma la vita sociale intera.

L'Illuminismo fu il modo di pensiero organico della borghesia, nella lotta per completa conquista del potere economico e politico.

Nacque in Inghilterra ma raggiunse il suo massimo splendore in Francia la quale ben presto divenne un vero << parti Philosophe>>.

Meno impetuosa e radicale fu la fioritura dell'illuminismo nella stessa Inghilterra, dove pure esso era sorto con Locke, perché il nuovo equilibrio fra Aristocrazia e borghesia stabilì un clima favorevole al conservatorismo ideologico.

Fu illuminante la risposta che diede Kant, nel 1784, alla domanda <<Che cos'è l' Illuminismo?>>, affermava che l' Illuminismo era l' uscita dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso.

La minorità è l' incapacità di avvalersi del proprio intelletto senza la guida di nessuno. Come già detto, l' area francese, nella seconda metà del secolo, esprime con maggiore vivacità e abbondanza di iniziativa, il nuovo clima culturale.

Infatti qui troviamo i principali esponenti dell' Illuminismo europeo, da Voltaire, la cui idea di tolleranza era un diretto corollario dell'idea illuminista di religione naturale contro l'oscurantismo delle verità rilevate (lui diceva <<Io posso anche non condividere ciò che tu pensi, ma mi batterò affinché tu possa esporre il tuo pensiero>>) a Montesquieu, il quale sosteneva che il potere del monarca dovesse essere limitato a leggi e organismi costituzionali, da Diderot a d' Alembert (i fondatori della celebre Enciclopedia), ed infine Rosseau il quale critica la società vista come una continua sopraffazione del forte sul debole, del ricco sul povero, iniziata con l'istituzione della proprietà privata, egli inoltre condivide con gli illuministi il medesimo clima culturale ma si differenzia da essi nell' elaborazione della sua originale concezione filosofica, che valuta il progresso delle arti e della scienza come negativa per la vita morale e la libertà per gli uomini.

Colpisce in Voltaire l' ampiezza dello sguardo con cui osserva, valuta, compara le civiltà, in un arco storico lunghissimo, secondo un metodo che non è mai moralistico, ma sempre affollato di esempi e casi che egli raccoglie <<alla maniera degli inglesi>>. Ed è sulla base dei casi e degli esempi riportati, che Voltaire giunge a definire il principio della Tolleranza, e la sua legge universale e necessaria a individuare la terapia contro l' intolleranza nelle pluralizzazione delle fedi e delle religioni.

Dalla convinzione che la ragione sia una prerogativa presente in tutti gli uomini, deriva l'atteggiamento di apertura degli illuministi verso qualunque civiltà, è l'atteggiamento che viene definito, cosmopolitismo, cioè l'uomo razionale e cittadino del mondo.

Al cosmopolitismo è strettamente legato il Filantropolismo illuministico, la disponibilità ad amare e a soccorrere gli altri uomini, in quanto tutti egualmente portatori di ragione.

Nel 1764 Cesare Beccaria promulgò il trattato "Dei Delitti e delle Pene", nel quale esamina e combatte la crudeltà delle pene e l'irregolarità delle procedure criminali, argomenti lungamente trascurati in contrapposizione con i progressi avvenuti in molti altri campi, soprattutto scientifico e filosofico. Il successo, che riscosse la divulgazione di tale opuscolo e di cui si meravigliò lo stesso Beccaria è da ricondurre sia ai nuovi concetti trattati, come l'abolizione della pena di morte, sia allo stile chiaro e semplice, che lo rendeva alla portata di ogni persona anche minimamente colta, sia al fatto che per la prima volta i principi di una riforma penale erano espressi in modo sistematico e conciso. Nel primo capitolo Beccaria, sviluppando la teoria del contratto sociale di Rousseau, afferma che gli uomini, unendosi in società, hanno sacrificato una parte della loro libertà individuale, per godere la restante con sicurezza e tranquillità. Le leggi rappresentano quindi la volontà generale, che è l'aggregato delle particolari, e la pena di morte non può che essere illegale dal momento che nessuno può aver voluto delegare ad altri uomini l'arbitrio di ucciderlo. Per questo motivo la pena da infliggere alla maggioranza dei cittadini deve essere il carcere per periodi più o meno lunghi a seconda della gravità del delitto fino all'ergastolo per i delitti più gravi. Però la morte di un cittadino può ritenersi utile in due circostanze: quando, nonostante in carcere, abbia ancora relazioni e una potenza tali da minacciare la sicurezza nazionale, oppure col fine di distogliere altri dal commettere delitti. Ma afferma che l'animo umano è turbato maggiormente dalla durata della pena che dalla sua intensità, perché la nostra sensibilità è più facilmente mossa da lievi ma ripetute impressioni, piuttosto che da una scossa forte ma passeggera. Quindi il freno più forte contro i delitti non è il terribile ma momentaneo spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo ma duro esempio di un uomo privo di libertà per il resto della sua vita. Un'ulteriore dimostrazione della vanità della pena di morte proviene dal ragionamento assurdo che le leggi, che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettano uno esse medesime e per allontanare i cittadini dall'assassinio ne ordinino uno pubblico. Infine Beccaria legge negli atti d'indignazione e disprezzo con cui ciascuno guarda il carnefice, che è pure un innocente esecutore della pubblica volontà, un buon cittadino, che contribuisce al bene pubblico, un'unanime repulsione verso quell' atto barbarico, che definisce "una guerra della nazione contro un cittadino". Tutte queste argomentazioni a proposito della pena di morte indussero molti Stati a modificare il loro costume giudiziario. Il primo ad abolirla nel 1786 fu il granducato di Toscana, forse per il fatto che il trattato di Beccaria era stato pubblicato per la prima volta proprio a Livorno, seguito dall'Impero Asburgico e da parecchi altri. Solo nel 1889 il Regno d'Italia cancellò dal proprio codice penale la pena di morte, anche se il fascismo la reintrodusse nel 1926, ma venne definitivamente soppressa dalla Costituzione repubblicana con l'articolo 27. Nonostante questo, molti paesi continuano ad emanare esecuzioni capitali senza prestare minimamente attenzione ai moti di protesta che si alzano da associazioni quali "non toccate Caino", che si battono per l'abolizione della pena di morte. Basta pensare al caso degli USA dove, se è vero che alcuni Stati hanno abolito la pena di morte, altri, che la prevedono tuttora, hanno ripristinato con una certa frequenza le esecuzioni delle sentenze capitali, talvolta riguardanti adolescenti o minorati mentali, riconosciuti sì colpevoli di gravi crimini, ma in realtà essi stessi vittime di violenze da parte di ambienti in cui vigono la droga, l'alcolismo, la miseria e l'ignoranza. Erroneamente si pensa che la pena capitale possa fungere da deterrente nei confronti della criminalità, ma questa ipotesi viene subito smentita se prendiamo in considerazione le statistiche. Infatti confrontando la situazione negli Stati Uniti con quella negli Stati in cui la pena più grave è l'ergastolo si può notare che il tasso di criminalità rimane invariato. Io mi schiero contro questa atroce pena riflettendo sulla possibilità di un errore giudiziario che, nel caso di una esecuzione capitale, sarebbe irreparabile, oppure pensando all'uso che se ne potrebbe fare in ambito politico per eliminare eventuali avversari, come accadde nel il periodo del Terrore durante la Rivoluzione Francese. Inoltre la giustizia non può essere lasciata in balia delle emozioni del momento o del sentimento di vendetta, che appartiene alla primordiale istintività dell'umanità, ma va esercitata in maniera razionale ed equa, evitando di lasciarsi condizionare dai turbamenti emotivi e dai risentimenti. D'altronde bisogna rendersi conto che è ormai indispensabile andare oltre la semplice repressione dei fenomeni delittuosi, accompagnandola ad un'efficace prevenzione dei comportamenti criminosi, mediante la rimozione del degrado sociale, che alimenta le devianze sociali e gli atteggiamenti criminosi.


Illuminismo in Italia

Già nella prima metà del secolo gli intellettuali italiani si erano fatti interpreti di una sentita esigenza di rinnovamento culturale e civile. Quando il moto riformistico ha inizio anche in Italia, essi si impegnano in una serrata polemica contro le vecchie istituzioni, offrendo la loro fattiva collaborazione ai sovrani "illuminati". Il loro ambiente sociale e la loro formazione non cambiano granché rispetto al recente passato; quasi tutti hanno infatti una cultura specifica, che riflette le tendenze e gli interessi più vivi caratteristici della loro regione di provenienza: ad esempio, molti Napoletani compiono studi giuridici, mentre i Lombardi e i Toscani, che spesso sono aristocratici e proprietari terrieri, hanno per lo più competenze tecnico-scientifiche ed economiche legate alla cura dei loro interessi privati.

Gli illuministi italiani non hanno difficoltà a riconoscere quanto devono alle esperienze europee e francesi in particolare. Tuttavia, in Italia, anche se non mancano studi fecondi e l'impegno a favorire con ogni mezzo il progresso della società, non si raggiungono mai le asprezze polemiche degli stranieri, e, rispetto ai "philosophes" (i "filosofi" francesi), gli intellettuali italiani hanno minore libertà di pensiero e più scarsa autonomia anche nell'azione pratica.

Infatti, una caratteristica specifica del nostro paese è che la maggior parte degli intellettuali riformatori è composta da funzionari e consiglieri statali. Questa veste permette loro, senza dubbio, di aprire una breccia nell'isolamento che ha accompagnato la cultura italiana per quasi due secoli e di partecipare attivamente, appoggiando o suggerendo iniziative concrete, al processo di svecchiamento e di razionalizzazione delle antiquate strutture statali. D'altro canto, il ruolo che ricoprono li costringe non solo a adattare i propri interventi a prospettive di riforma politica diverse da regione a regione, ma soprattutto a rispettare il rapporto di subordinazione allo Stato e al sovrano, che era già tipico dei secoli precedenti. In tal modo resta loro preclusa ogni possibilità di assumere posizioni conflittuali rispetto allo Stato stesso, o addirittura di sovvertire le strutture, come avverrà ad esempio in Francia, con la Rivoluzione del 1789.

L'Illuminismo italiano presenta altri aspetti specifici. Ad esempio, in esso strumenti di espressione tradizionali coesistono con idee e proposte nuove: una prosa agile e moderna, come quella dei fratelli Pietro e Alessandro Verri, di Cesare Beccaria e di Antonio Genovesi nasce nello stesso momento in cui per trasmettere un messaggio di grande impegno e valore civile, autori come Giuseppe Parini e Vittorio Alfieri usano con altrettanta efficacia le forme proprie della tradizione classica.

Anche i centri di produzione e di coordinamento culturale già esistenti, come le accademie, cercano di ampliare i propri interessi e obiettivi, uscendo dal campo strettamente letterario per affrontare argomenti di vasta portata sociale, e sostenere idee e iniziative di carattere innovativo; ma ben presto appaiono inadeguati al compito: sorti come associazioni per dibattere e approfondire discipline e argomenti specifici, non possono essere rinnovati in modo tale da rispondere ad esigenze diverse e tanto più vaste. Per questo motivo un gruppo di letterati, già aderenti all'Accademia dei Trasformati, di indirizzo arcadico, fonda a Milano, tra la fine del 1761 e l'inizio del 1762, la battagliera Società dei Pugni. Guidata da Pietro e Alessandro Verri e da Cesare Beccaria, essa si ribella all'impostazione ancora fortemente letteraria propria delle accademie ed elabora un concreto programma di riforma basato su un generoso impegno civile e politico. Due anni dopo, i suoi membri danno vita al primo periodico italiano, di ispirazione illuminista, "Il Caffè", un vivace mezzo di intervento intellettuale che apre prospettive davvero originali di divulgazione e di confronto delle idee, cercando di interessare e di coinvolgere un pubblico vasto e composito.

In Italia la diffusione delle teorie illuministiche avvenne su piani e livelli diversi: coinvolse aree specifiche e certamente più preparate a ricevere il dibattito dei lumi (tra queste Milano, Venezia e Napoli), produsse un rapido cambiamento negli interessi degli scrittori e nei generi letterari, si attestò intorno ad alcuni problemi principali come la rinascita del teatro, lo sviluppo della letteratura giornalistica, la rinascita di un interesse per le materie economiche e storico-giuridiche, una ripresa della poesia dai toni civili e riformisti. Napoli, grazie anche all'attività dell'Accademia degli Investiganti, fu il primo centro in Italia a introdurre le teorie filosofiche di Descartes e l'atomismo materialistico di Gassendi: a fianco dell'importante università crebbero e si svilupparono le discipline giuridiche e economiche, il cui più illustre rappresentante fu l'abate Antonio Genovesi, che tenne dal '54 la prima cattedra in Europa di economia politica, dando luogo a un'intensa scuola di pensiero, più tardi raccolta da Gaetano Filangieri e dall'allievo Ferdinando Galiani. Milano rappresentò invece il centro propulsore delle riviste e dell'editoria, delle riforme civili e della critica, anche se molto moderata, della nobiltà: umanitarismo, filantropismo, politica culturale volta alla modernità, acquisizione del sensismo francese, rinnovamento poetico furono i passaggi più interessanti del ventennio milanese 1755-1775. Un orientamento più marcatamente letterario e mondano spettò invece a Venezia, che fu la città di Vivaldi, di Goldoni, di Casanova, dei pittori Pietro Longhi e del Canaletto, dei fratelli Carlo e Gasparo Gozzi (il primo autore di teatro in perenne polemica con Goldoni, il secondo direttore della "Gazzetta veneta" e dell'"Osservatore veneto"), di viaggiatori e poligrafi come Francesco Algarotti e Saverio Bettinelli. Nell'ambiente veneziano maturarono la riforma teatrale goldoniana, che ambiva alla costruzione di un teatro moderno, socialmente riconoscibile nella realtà economica e psicologica della Venezia mercantile, ma che dovette subire la contrastata opposizione del tradizionalismo linguistico delle Fiabe teatrali di Carlo Gozzi e di Pietro Chiari.

Gli illuministi italiani accettano da quelli del resto d'Europa l'idea che la letteratura non possa limitarsi a restare un esercizio intellettuale isolato e autonomo; essa deve contribuire a diffondere il vero, rivelato e illuminato dalla luce della Ragione, e deve collegarsi alla realtà sociale prefiggendosi il raggiungimento del benessere collettivo. Trasformata così in strumento di progresso, la letteratura non può limitarsi ad uno scopo puramente edonistico. Tuttavia, gli illuministi italiani condividono con il sensismo la teoria che l'opera d'arte viene giudicata attraverso i sensi, dai quali ricaviamo il piacere del bello. La letteratura dovrà quindi avere contenuti veri e utili e una forma piacevole.

Molti scrittori considerano arcaici, inutili e pedanti i generi e gli stili letterari del passato, e conducono una dura battaglia contro di essi. La polemica è particolarmente accesa per quel che concerne la questione della lingua, e acquista toni aspri soprattutto nei confronti del purismo e dell'Accademia della Crusca.

Nel panorama variegato e diseguale dell'Illuminismo italiano, Napoli rappresenta uno dei centri di più intensa elaborazione e diffusione delle nuove idee. Si tratta, va detto subito, di un'esperienza tutta di vertice, tale cioè che non seppe (né volle) coinvolgere strati sociali esterni al circuito esclusivo degli intellettuali di professione. D'altronde, le condizioni della società italiana, e particolarmente di quella meridionale, erano talmente degradate da rendere impensabile ogni ipotesi di larga partecipazione a iniziative e movimenti di carattere culturale: l'analfabetismo era diffuso a gran parte della popolazione; non esisteva una classe media paragonabile neanche lontanamente alle borghesie francesi, inglesi e tedesche; la vita economica ristagnava; le interferenze ecclesiastiche sulla libertà di pensiero restavano pesantissime; l'intera penisola era subalterna alle scelte politiche asburgiche o francesi. Eppure, anche in queste sfavorevolissime condizioni, vi furono intellettuali capaci di fare proprie le esigenze di una cultura più libera e moderna. Il fatto che molti di essi abbiano vissuto e lavorato a Napoli non deve stupire: nella capitale del Regno, infatti, era ancora viva e attualissima la grande lezione del Vico e del Giannone, su cui si era venuta formando un'intera generazione di studiosi; inoltre, un ruolo notevole ebbe la presenza di Bernardo Tanucci, primo ministro dal 1767 al 1776, che svolse un'intelligente politica riformatrice, volta a favorire forme di progresso civile e a moderare il potere clericale. In questo contesto poterono emergere le originali e brillanti personalità di studiosi come gli economisti Antonio Genovesi e Ferdinando Galiani, i giuristi Gaetano Filangieri e Francesco Mario Pagano, il filosofo Giuseppe Palmieri. Comune a tutti costoro fu la tendenza a occuparsi di manifestazioni e aspetti concreti della vita sociale (l'economia, il diritto), piuttosto che della speculazione teorica sui grandi princìpi universali. Questa concretezza, se da un lato seppe in molti casi ispirare iniziative di riforma, dall'altro limitò l'orizzonte ideale di questi intellettuali, inducendoli a una costante collaborazione con il potere (gran parte di loro furono pubblici funzionari) e impedendo che dalla loro riflessione nascessero alternative veramente radicali.

Accanto a Napoli e Milano vi furono altri centri, soprattutto nell'Italia settentrionale fra Veneto e Piemonte, che aderirono in modo più o meno esplicito e coerente alle nuove idee. La linea espressa dagli intellettuali di quest'area non è, da un punto di vista ideologico, così omogenea come quella degli illuministi napoletani e milanesi, anzi, talvolta non è nemmeno riconducibile all'Illuminismo in senso proprio, come, per esempio, nel caso del veneziano Carlo Gozzi, che alla cultura "dei lumi" fu dichiaratamente avverso. Più che di filosofi o di specialisti, si tratta spesso di viaggiatori e di poligrafi, come il veneziano Francesco Algarotti, il torinese Giuseppe Baretti, il mantovano Saverio Bettinelli. Tuttavia, pur nell'orientamento un po' dispersivo e superficiale del loro lavoro, questi scrittori sono in qualche misura partecipi del processo di rinnovamento che si sta attuando nella cultura europea: il loro Illuminismo consiste soprattutto in una costante aspirazione alla chiarezza e alla concretezza dello stile, nella polemica contro il conformismo e la pedanteria di una stanca tradizione (bersaglio prediletto, l'Arcadia), e nell'impegno per un'informazione culturale allargata ad un pubblico quanto più vasto possibile. In questo senso è significativo che molti fra questi intellettuali siano stati anche giornalisti, come il Baretti, fondatore nel 1763 della rivista "La frusta letteraria", Apostolo Zeno, che dà vita a Venezia nel 1710 al "Giornale de' letterati d'Italia", Gasparo Gozzi, che, sempre a Venezia, fonda e dirige prima "La gazzetta veneta", poi "L'osservatore veneto". La dimensione europea di gran parte dei letterati settecenteschi dell'Italia settentrionale è confermata anche dal loro cosmopolitismo e dalla loro corrente conoscenza delle grandi lingue europee: per esempio l'Algarotti scrisse, oltre che in italiano, in tedesco e in francese, il Baretti visse a lungo in Inghilterra e ne conobbe bene la lingua e la letteratura, Melchiorre Cesarotti tradusse alcuni Canti di Ossian del poeta scozzese James Macpherson, lanciando una moda che influenzerà profondamente il primo Romanticismo italiano. Insomma, va riconosciuto a questi scrittori il merito di avere sprovincializzato la cultura italiana e di avere preso contatto in modo attivo con le più vivaci esperienze della contemporanea cultura europea.

Cause sociali

Politicamente prima della rivoluzione c'era un assolutismo rigido in cui vi era un clero con posizioni conservatrici e una nobiltà senza peso politico, che non produceva niente ma con privilegi fiscali. C'era uno scollamento fra la direzione politica e le forze operanti. La borghesia (da quella imprenditoriale a quella agraria) del 1700 era sempre più all'avanguardia. I philosophe legarono la loro battaglia a quella della borghesia, cosicché cultura ed economia si saldarono insieme, la borghesia fondò la propria battaglia politica su ragioni ideologiche.

Mentre invece in Inghilterra l'illuminismo si diffuse facilmente come dibattito libero poiché c'era una politica aperta; in Francia, più chiusa, per reazione divenne più combattivo.

Gli illuministi pensavano che bastasse il lume della ragione per produrre un progresso, per questo poi non furono tanto entusiasti della rivoluzione francese, non l'avevano prevista e non la desideravano neanche.

Fondamentale era per loro diffondere l'idee, che era anche il loro unico obiettivo: l'Enciclopedia era per questo un progetto nobile ed innovativo perché era un quadro organico.

Vantaggi e novità: introduzione di materie tecniche e scientifiche che si associano alla letteratura, cosicché la cultura non era più fatta solo di letteratura. Non vi era più una struttura gerarchica delle materie: vi sono più voci. Evoluzione della cultura: gli autori stessi dell'Enciclopedia si resero conto che la cultura non è statica.

Un efficace mezzo di diffusione fu il pamphlet: degli opuscoli basati su un'organizzazione serrata, servivano per produrre un convincimento immediato ed erano adatti per una diffusione rapida della cultura.

Un riflesso politico dell'illuminismo fu il dispotismo illuminato, ovvero volevano, con un processo graduale, illuminare il sovrano. Negli altri paesi questo sembrò realizzarsi, ma non in Francia, qui, la rivoluzione francese dimostrò che non bastavano l'idee. Bisogna fare i conti anche con l'istinto, infatti il terrore abbrutì gli uomini.

La battaglia dei lumi fu combattuta per l'affermazione dello spirito critico e la negazione del concetto d'autorità.  Il dovere di un uomo era quello di osservare tutto alla luce della ragione. La dignità dell'uomo stava nella sfida della conoscenza. Principale bersaglio di tale battaglia fu per questo la Chiesa: la detentrice del principio d'autorità; di cui si denota principalmente l'oscurantismo (rifiutare la conoscenza, non avere spirito critico), ed è dogmatica.

La fede rifiuta il senso e il concetto della discussione, dà un'educazione rigida, ma non per questo gli illuministi erano contro Dio e la religione. Quello degli illuministi era piuttosto un rifiuto dei dogmi. Gli illuministi si resero conto che in fondo tutte le fedi pregano lo stesso Dio, un dio che ha creato il mondo e l'uomo e perciò lo ama. Razionalmente i contenuti sono uguali, poi gli errori dell'uomo hanno costruito costruzioni senza senso. La loro era una religione antidogmatica: vedevano nelle varie fedi le somiglianze, rincontrarono gli stessi personaggi; anche loro credevano in un Dio.

Erano inoltre contro:

l'assolutismo regio, contro i regimi assolutistici, contro le disuguaglianze fra le classi, poiché per loro non esistono disuguaglianze, le quali provengono dai pregiudizi.

Battaglia per l'educazione: gli illuministi partivano dal presupposto che la natura, che non è convenzionale, sia buona e la società sia corrotta, per cui l'educazione dovrebbe ricondurre l'uomo alla natura. La ragione è naturale, per cui dire naturale è uguale a dire razionale.

Se non è così, è perché la ragione è abituata ai pregiudizi. Solo la conoscenza può garantire all'uomo di svilupparsi nel modo giusto, eliminare pregiudizi e limiti.

Che cosa bisogna fare?

Rispettare l'indole, per questo c'è bisogno di un'educazione non coercitiva.

Donare senso critico alla ragione.

Formare un cittadino, un uomo libero, ma non un selvaggio, un cittadino che abbia sensibilità per i problemi sociali.

L'educazione non può essere affidata a privati perché così sarebbe indirizzata, di parte e dogmatica. Lo stato deve fornire l'educazione che deve essere gratuita e uguale per tutti.


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L' illuminismo é l' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. Minorità é l' incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stessi é questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude ! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza ! - é dunque il motto dell' illuminismo. La pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall' eterodistinzione ( naturaliter maiorennes ), tuttavia rimangono volentieri minorenni per l' intera vita; e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. E' tanto comodo essere minorenni ! Se ho un libro che pensa per me,un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene, ecc., io non ho più bisogno di darmi pensiero da me. Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. A far sì che la stragrande maggioranza degli uomini ( e con essi tutto il bel sesso ) ritenga il passaggio allo stato di maggiorità, altrochè difficile, anche molto pericoloso, provvedono già quei tutori che si sono assunti con tanta benevolenza l' alta sorveglianza sopra costoro. Dopo averli in un primo tempo istupiditi come fossero animali domestici e aver accuratamente impedito che queste pacifiche creature osassero muovere un passo fuori dal girello da bambini in cui le hanno imprigionate, in un secondo tempo mostrano ad esse il pericolo che le minaccia qualora tentassero di camminare da sole. Ora questo pericolo non é poi così grande come loro si fa credere, poiché a prezzo di qualche caduta essi alla fine imparerebbero a camminare: ma un esempio di questo genere rende comunque paurosi e di solito distoglie la gente da ogni ulteriore tentativo. E' dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui é diventata pressoché una seconda natura. E' giunto perfino ad amarla, e attualmente é davvero incapace di servirsi del suo proprio intelletto, non essendogli mai stato consentito di metterlo alla prova. Regole e formule, questi strumenti meccanici di un uso razionale o piuttosto di un abuso delle sue disposizioni naturali, sono i ceppi di una eterna minorità. Anche chi da essi riuscisse a sciogliersi, non farebbe che un salto malsicuro sia pure sopra i più angusti fossati, poichè non sarebbe allenato a siffatti liberi movimenti. Quindi solo pochi sono riusciti, con l' educazione del proprio spirito, a districarsi dalla minorità e tuttavia a camminare con passo sicuro. Che invece un pubblico si illumini da sé è cosa maggiormente possibile; e anzi, se gli si lascia la libertà, é quasi inevitabile. In tal caso infatti si troveranno sempre, perfino fra i tutori ufficiali della grande folla, alcuni liberi pensatori che, dopo aver scosso da sé il giogo della tutela, diffonderanno il sentimento della stima razionale del proprio valore e della vocazione di ogni uomo a pensare da sè. V' é a riguardo il fenomeno singolare che il pubblico, il quale in un primo tempo é stato posto da costoro sotto quel giogo, li obbliga poi esso stesso a rimanervi, non appena abbiano a ciò istigato quelli tra i suoi tutori che fossero essi stessi incapaci di ogni lume. Seminare pregiudizi é tanto pericoloso, proprio perchè essi finiscono per ricadere sui loro autori o sui predecessori dei loro autori. Perciò il pubblico può giungere al rischiaramento solo lentamente. Forse una rivoluzione potrà sì determinare l' affrancamento da un dispotismo personale e da un' oppressione avida di guadagno o di potere, ma mai una vera riforma del modo di pensare. Al contrario: nuovi pregiudizi serviranno al pari dei vecchi a mettere le dande alla gran folla di coloro che non pensano. Sennonché a questo rischiaramento non occorre altro che la libertà ; e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà , qyella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi . Ma da tutte le parti odo gridare : ma non ragionate ! L' ufficiale dice : non ragionate , ma fate esercitazioni militari ! L' intendente di finanza : non ragionate , ma pagate ! L' ecclesiastico : non ragionate , ma credete ! (C' è solo un unico signore al mondo che dice : ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete , ma obbedite !) Qui v' è , dovunque , limitazione della libertà ! Ma quale limitazione è d' ostacolo all' illuminismo , e quale non lo è , anzi lo favorisce ? Io rispondo : il pubblico uso della propria ragione deve essere libero in ogni tempo , ed esso solo può attuare il rischiaramento tra gli uomini ; invece l' uso privato della ragione può assai di frequente subire strette limitazioni senza che il progresso del rischiaramento ne venga particolarmente ostacolato . Intendo per uso pubblico della propria ragione l' uso che uno ne fa, come studioso , davanti all' intero pubblico dei lettori . Chiamo invece uso privato della ragione quello che ad un uomo è lecito farne in un certo ufficio o funzione civile di cui egli è investito . Ora per molte operazioni che attengono all' interesse della comunità è necessario un certo meccanismo , per cui alcuni membri di essa devono comportarsi in modo puramente passivo onde mediante un' armonia artificiale il governo induca costoro a concorrere ai fini comuni o almeno a non contrastarli . Qui ovviamente non è consentito ragionare , ma si deve obbedire . Ma in quanto nello stesso tempo questi membri della macchina governativa considerano se stessi come membri di tutta la comunità e anzi della società cosmopolitica , e si trovano quindi nella qualità di studiosi che con gli scritti si rivolgono a un pubblico nel senso proprio della parola , essi possono certamente ragionare senza ledere con ciò l'attività cui sono adibiti come membri parzialmente passivi . Così sarebbe assai pernicioso che un ufficiale , cui fu dato un ordine dal suo superiore , volesse in servizio pubblicamente ragionare sull' opportunità e utilità di questo ordine : egli deve obbedire . Ma è iniquo impedirgli in qualità di studioso di fare le sue osservazioni sugli errori commessi nelle operazioni di guerra e di sottoporle al giudizio del suo pubblico . Il cittadino non può rifiutarsi di pagare i tributi che gli sono imposti ; e un biasimo inopportuno di tali imposizioni , quando devono essere da lui eseguite , può anzi venir punito come uno scandalo (poiché potrebbe indurre a disubbidienze generali) . Tuttavia costui non agisce contro il dovere del cittadino se , come studioso manifesta apertamente il suo pensiero sulla sconvenienza o anche sull' ingiustizia di queste imposizioni . Così un ecclesiastico é tenuto a insegnare il catechismo agli allievi e alla sua comunità religiosa secondo il credo della Chiesa da cui dipende , perchè a questa condizione egli é stato assunto : ma come studioso egli ha piena libertà e anzi il compito di comunicare al pubblico tutti i pensieri che un esame severo e benintenzionato gli ha suggerito circa i difetti di quel credo , nonché le sue proposte di riforma della religione e della Chiesa . In ciò non v' é nulla di cui la coscienza possa venir incolpata . Ciò che egli insegna in conseguenza del suo ufficio , come funzionario della Chiesa , egli infatti lo espone come qualcosa intorno a cui non ha libertà di insegnare secondo le sue proprie idee , ma che ha il compito di insegnare secondo le istruzioni e nel nome di un altro . Egli dirà : la nostra Chiesa insegna questo e quello , e queste sono le prove di cui essa si vale . Tutta l' utilità pratica che alla sua comunità religiosa può derivare , egli dunque la ricaverà da principi che egli stesso non sottoscriverebbe con piena convinzione , ma al cui insegnamento può comunque impegnarsi perchè non é affatto impossibile che in essi non si celi qualche velata verità , e in ogni caso , almeno , non si riscontra in essi nulla che contraddica alla religione interiore . Se invece credesse di trovarvi qualcosa che vi contraddica , egli non potrebbe esercitare la sua funzione con coscienza ; dovrebbe dimettersi . L' uso che un insegnante ufficiale fa della propria ragione davanti alla sua comunità religiosa é dunque solo un uso privato ; e ciò perchè quella comunità , per quanto grande sia , é sempre soltanto una riunione domestica ; e sotto questo rapporto egli , come prete , non é libero e non può neppure esserlo , poiché esegue un incarico che gli viene da altri . Invece come studioso che parla con gli scritti al pubblico propriamente detto , cioè al mondo , dunque come ecclesiastico nell' uso pubblico della propria ragione , egli gode di una libertà illimitata di valersi della propria ragione e di parlare in persona propria . Che i tutori del popolo ( nelle cose spirituali ) debbano a loro volta rimanere sempre minorenni , é un' assurdità che tende a perpetuare le assurdità . Ma una società di ecclesiastici , ad esempio un' assemblea chiesastica o una venerabile "classe" (come essa si autodefinisce presso gli olandesi), avrebbe forse il diritto di obbligarsi per giuramento a un certo credo religioso immutabile , per esercitare in tal modo sopra ciascuno dei suoi membri , e attraverso essi sul popolo , una tutela continua , e addirittura per rendere eterna questa tutela ? Io dico che ciò è affatto impossibile . Un tale contratto , teso a tener lontana l' umanità per sempre da ogni progresso nel rischiaramento , è irrito e nullo in maniera assoluta , fosse anche che a sancirlo siano stati il potere sovrano , le Diete imperiali e i più solenni trattati di pace . Nessuna epoca può collettivamente impegnarsi con giuramento a porre l' epoca successiva in una condizione che la metta nell' impossibilità di estendere le sue conoscenze (soprattutto se tanto necessarie) , di liberarsi dagli errori e in generale di progredire nel rischiaramento . Ciò sarebbe un crimine contro la natura umana , la cui originaria destinazione consiste proprio in questo progredire ; e quindi le generazioni successive sono perfettamente legittimate a respingere quelle convenzioni come non autorizzate ed empie . La pietra di paragone di tutto ciò che può imporsi come legge a un popolo sta nel quesito se un popolo possa imporre a se stesso una tale legge . Ciò sarebbe sì una cosa possibile , per così dire in attesa di una legge migliore e per un breve tempo determinato , al fine di introdurre un certo ordine , ma purché nel frattempo si lasci libero ogni cittadino , soprattutto l' uomo di Chiesa , di fare sui difetti dell' istituzione vigente le sue osservazioni pubblicamente , nella sua qualità di studioso , cioè mediante i suoi scritti ; e ciò mentre l' ordinamento costituito resterà pur sempre in vigore fino a che le nuvole vedute in questa materia non abbiano raggiunto nel pubblico tanta diffusione e credito che i cittadini , con l' unione dei loro voti (anche se non di tutti) , siano in grado di presentare al vostro sovrano una proposta tesa a proteggere quelle comunità che fossero d' accordo per un mutamento in meglio della costituzione religiosa secondo le loro idee , e senza pregiudizio per quelle comunità che invece intendessero rimanere nell'antica costituzione . Ma concertarsi per mantenere in vigore , fosse anche per la sola durata della vita di un uomo , una costituzione religiosa immutabile che nessuno possa pubblicamente porre in dubbio , e con ciò annullare per così dire una fase cronologica del cammino dell' umanità verso il suo miglioramento e rendere questa fase sterile e per ciò stesso forse addirittura dannosa alla posterità , e questo non è assolutamente lecito . Un uomo può sì per la propria persona , e anche in tal caso solo per un certo tempo , differire di illuminarsi su ciò che egli stesso è tenuto a sapere ; ma rinunciarvi per sé e più ancora per la posterità , significa violare e calpestare i sacri diritti dell' umanità . Ora ciò che neppure un popolo può decidere circa se stesso , lo può ancora meno un monarca circa il popolo , infatti il suo prestigio legislativo si fonda precisamente sul fatto che nella sua volontà egli riassume la volontà generale del popolo . Purché egli badi che ogni vero o presunto miglioramento non contrasti con l' ordinamento civile , egli non può per il resto che lasciare i suoi sudditi liberi di fare quel che credono necessario per la salvezza della loro anima . Ciò non lo riguarda affatto , mentre quel che lo riguarda è di impedire che l' uno ostacoli con la violenza l' altro nell' attività che costui , con tutti i mezzi che sono in suo potere , esercita in vista dei propri fini e per soddisfare le proprie esigenze . Il monarca reca detrimento alla sua stessa maestà se si immischia in queste cose ritenendo che gli scritti nei quali i suoi sudditi mettono in chiaro le loro idee siano passibili di controllo da parte del governo : sia ch' egli faccia ciò invocando il proprio intervento autocratico ed esponendosi al rimprovero che Caesar non est supra grammaticos , sia , e a maggior ragione , se egli abbassa il suo potere supremo tanto da sostenere il dispotismo spirituale di qualche tiranno nel suo Stato contro tutti gli altri suoi sudditi . Se ora si domanda : viviamo noi attualmente in un' età illuminata ? allora la risposta é : no , bensì in un' età di illuminismo . Che nella situazione attuale gli uomini presi in massa siano già in grado , o anche solo possano essere posti in grado di valersi sicuramente e bene del loro proprio intelletto nelle cose della religione , senza la guida d' altri , é una condizione da cui siamo ancora molto lontani . Ma che ad essi , adesso , sia comunque aperto il campo per lavorare ed emanciparsi verso tale stato , e che gli ostacoli alla diffusione del generale rischiaramento o all' uscita dalla minorità a loro stessi imputabile a poco a poco diminuiscano , di ciò noi abbiamo invece segni evidenti . A tale riguardo quest' età é l' età dell' illuminismo , o il secolo di Federico . Un principe che non crede indegno di sè dire che considera suo dovere non prescrivere nulla agli uomini nelle cose di religione , ma lasciare loro in ciò piena libertà , e che quindi respinge da sè anche il nome orgoglioso della tolleranza , é egli stesso illuminato e merita dal mondo e dalla posterità riconoscenti di esser lodato come colui che per primo emancipò il genere umano dalla minorità , almeno da parte del governo , e lasciò libero ognuno di valersi della sua propria ragione in tutto ciò che é affare di coscienza . Sotto di lui venerandi ecclesiastici , senza pregiudizio del loro dovere d' ufficio , possono liberamente e pubblicamente , in qualità di studiosi , sottoporre all' esame del mondo i loro giudizi e le loro vedute che qua e là deviano dal credo tradizionale ; e tanto più può farlo chiunque non é limitato da un dovere d' ufficio . Questo spirito di libertà si estende anche verso l' esterno , perfino là dove esso deve lottare contro ostacoli esteriori suscitati da un governo che fraintende se stesso . Il governo infatti ha comunque davanti agli occhi un fulgido esempio che mostra che nulla la pace pubblica e la concordia della comunità hanno da temere dalla libertà . Gli uomini si adoperano da sè per uscire a poco a poco dalla barbarie , purché non si ricorra ad artificiosi strumenti per mantenerli in essa . Ho posto particolarmente nelle cose di religione il punto culminante del rischiaramento , cioè dall' uscita dell' uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso ; riguardo alle arti e alle scienze , infatti , i nostri reggitori non hanno alcun interesse a esercitare la tutela sopra i loro sudditi . Inoltre la minorità in cose di religione é fra tutte le forme di minorità la più dannosa ed anche la più umiliante . Ma il modo di pensare di un sovrano che favorisce quel tipo di rischiaramento va ancora oltre , poiché egli vede che perfino nei riguardi della legislazione da lui statuita non si corre pericolo a permettere ai sudditi da fare uso pubblico della loro ragione e di esporre pubblicamente al mondo le loro idee sopra un migliore assetto della legislazione stessa , perfino criticando apertamente quella esistente . Abbiamo in ciò un fulgido esempio , e anche in ciò nessun monarca ha superato quello che noi veneriamo . Ma é pur vero che solo chi , illuminato egli stesso , non ha paura delle ombre e contemporaneamente dispone a garanzia della pubblica pace di un esercito numeroso e ben disciplinato , può enunciare ciò che invece una repubblica non può arrischiarsi a dire : ragionate quanto volete e su tutto ciò che volete ; solamente obbedite ! Si rivela qui uno strano inatteso corso delle cose umane ; come del resto anche in altri casi , a considerare questo corso in grande , quasi tutto in esso appare paradossale . Un maggiore grado di libertà civile sembra favorevole alla libertà dello spirito del popolo , e però pone ad essa limiti invalicabili ; un grado minore di libertà civile , al contrario , offre allo spirito lo spazio per svilupparsi con tutte le sue forze . Se dunque la natura ha sviluppato sotto questo duro involucro il germe di cui essa prende la più tenera cura , cioè la tendenza e vocazione al libero pensiero , questa tendenza e vocazione gradualmente reagisce sul modo di sentire del popolo ( per cui questo , a poco a poco , diventa sempre più capace della libertà di agire ) , e alla fine addirittura sui principi del governo il quale trova che é nel proprio vantaggio trattare l' uomo , che ormai é più che una macchina , in modo conforme alla di lui dignità .

Königsberg in Prussia , 30 settembre 1784






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