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Tema di attualità- argomento: Caso Calipari.
Introduzione e breve riassunto dei fatti che saranno rielaborati approfonditamente in seguito:
Era il 04/03/2005
quando dalla televisione, dalla radio, e dai telegiornali si apprendeva la
notizia che il funzionario dei servizi segreti del Sismi Nicola Calipari è
stato colpito nella sua auto, una Toyota, dove insieme a lui c'erano altri due
funzionari del Sismi e 424g61e la loro protetta, ovvero la giornalista rapita in Iraq,
e appena liberata da questi agenti dopo trattative su trattative, da dei
terroristi irakeni, il nome di questa giornalista è Giuliana Sgrena. Tutto
sembrava andare per il verso giusto, dopo la avvenuta liberazione della
giornalista, l'agente del Sismi aveva comunicato al governo a Roma e
all'ambasciata locale il positivo riscontro dell'operazione, la gran parte del
lavoro era stata completata, i rischi dopo che
il fatto è che gli
italiani stavano già rallentando, ma secondo
americani-,ciò
spiegherebbe il perché dei vetri posteriori sono rotti e più bersagliati dai
colpi di mitra, se io avessi voluto fermare l'auto non avrei perso tanto tempo
nel mirare ai passeggeri, quanto al conducente-che riporta una singola ferita
alla mano-, alle gomme dell'auto, o all'altezza del radiatore, ma non
all'altezza dei passeggeri, ne tanto meno agli sportelli. In quella sparatoria
rimase ucciso l'agente Calipari, e ferita
La ricostruzione della tragedia secondo l'Italia
Dei sopravvissuti all'episodio le testimonianze sono principalmente quelle della Sgrena, giacché l'autista, anch'egli appartenente al SISMI, non ha ovviamente rilasciato pubbliche dichiarazioni, sebbene abbia riferito dell'accaduto per via gerarchica.
Come riferito da
autorità governative,
Giuliana Sgrena ha aggiunto che non si trattava di un posto di blocco e che la pattuglia dei soldati USA non aveva fatto alcun segnale per identificarsi o per intimare l'alt, come era invece regolarmente accaduto negli altri posti di controllo precedentemente attraversati, iniziando decisamente a sparare contro la loro automobile.
La giornalista dichiarò inoltre che i sequestratori, poco prima della liberazione, le dissero che gli americani non volevano che tornasse viva in patria.
La ricostruzione della tragedia secondo gli americani
Secondo il governo
statunitense, la cui versione è stata diffusa il 1 maggio
, l'auto su cui
viaggiava
Nel corso della sparatoria, alcuni dei proiettili sarebbero stati accidentalmente deviati ed uno avrebbe centrato alla testa Calipari, protesosi in avanti per proteggere con il suo corpo la giornalista.
I funzionari americani hanno inoltre asserito che nessuno era a conoscenza dell'operazione condotta dal SISMI, né dell'identità delle persone a bordo di quell'auto, regolarmente presa a nolo all'aeroporto di Baghdad.
Il rapporto americano era inizialmente uscito con numerose censure (per circa un terzo dell'elaborato), che mascheravano sotto strisce nere i nomi dei soldati implicati ed altri dettagli; pubblicato su Internet in formato .pdf, il documento fu decifrato con una certa semplicità.
La differenza
principale, fra le due versioni, è costituita dalla velocità alla quale il
veicolo italiano si muoveva, che secondo gli americani era di circa
Un'altra divergenza riguarda la richiesta di arresto del mezzo per controllo, che secondo gli americani sarebbe stata operata correttamente, mentre secondo gli italiani non vi sarebbe stata affatto, mancando la segnaletica e non essendovi stati cenni o altre indicazioni in questo senso.
Se secondo gli italiani le forze americane erano state correttamente avvertite, dall'altra parte si è ribattuto che gli italiani non avevano invece dato avviso alcuno delle loro attività nella zona.
La vicenda ha scatenato una tempesta di reazioni motivate da ragioni umane, politiche e patriottiche. Mentre il sacrificio di Calipari veniva elevato ad atto eroico anche dal Papa, le cause dell'accaduto restavano torbide lasciando un varco per velenosi sospetti.
Era noto infatti che già il governo americano si era espresso in senso fortemente critico nei confronti dei servizi segreti italiani, che non avevano esitato (si sostiene da quella parte) a pagare ingenti riscatti per la liberazione di altri sequestrati in Iraq; tale condotta, si stigmatizza, costituirebbe un pericoloso incentivo per le bande criminali a compiere altri squestri di persona. Lo stesso Calipari, nel caso, sarebbe stato ben diretto destinatario di tali critiche, vista la centralità del suo ruolo in trattative tenute per precedenti rapimenti.
Ma anche volendo
supporre che non vi fosse una volontà di colpire proprio il Calipari (o
Va detto che un'efficace analisi del tutto matematica, effettuata a tavolino sulle possibili tempistiche verificabili con l'una e con l'altra delle velocità rispettivamente dichiarate, condurrebbe alla conclusione che se anche vi fosse stato avviso, non si sarebbe lasciato ai malcapitati il tempo di arrestarsi prima che venisse aperto il fuoco.
Da molte parti si è poi avanzata una ferma richiesta di rispetto della dignità nazionale, già - a dire di alcuni - vilipesa dalla condotta delle istituzioni statunitensi nel caso della "tragedia del Cermis", i cui responsabili erano stati tutti assolti o condannati a pene considerate irrisorie. Si richiese, in pratica, che se in questo caso si fossero accertate responsabilità, gli eventuali colpevoli fossero, stavolta, davvero sanzionati.
Al fine di stabilire cosa sia veramente accaduto, negli Stati Uniti è stata istituita una commissione d'inchiesta, ai cui lavori sono stati ammessi osservatori italiani nell'intento di produrre una relazione conclusiva comune, che potesse fugare qualsiasi dubbio circa la correttezza nei rapporti fra le due nazioni, giusta quanto ora detto circa gli umori popolari in Italia.
In Italia, la magistratura ha incontrato difficoltà ed impedimenti nello svolgimento della funzione inquirente a causa del particolare status della zona in cui si sono svolti i fatti, che risultava essere territorio iracheno sottoposto a controllo militare e sovranità di fatto statunitense; negato dagli Stati Uniti il permesso di far analizzare a tecnici della polizia scientifica italiana il veicolo su cui viaggiava Calipari, i giudici hanno dovuto attendere la conclusione dei rilievi americani per poter avere a disposizione il mezzo. Il diniego, motivato con esigenze di natura militare, ha di fatto provocato lo scadimento del valore probatorio del reperto, rendendo l'esame assai meno attendibile.
Nicola Calipari:
Nicola
Calipari, direttore delle Operazioni internazionali, era al servizio segreto
militare, il Sismi, dall'estate del 2002, ma la sua precedente vita
professionale si è consumata tutta nella polizia.
Nato a Reggio Calabria, 52 anni, era sposato e padre di due
figli. Laureato in Giurisprudenza, dice la fredda scheda biografica, "era
entrato in Polizia nel settembre 1979 come commissario in prova e assegnato
alla questura di Genova come addetto alla Squadra Mobile.
Aveva diretto
Due anni dopo passò alla Direzione centrale per
Una nota burocratica non può dire come faceva il suo mestiere.
Per spiegartelo, accettava di tanto in tanto di fare quattro chiacchiere.
Quando era possibile e spesso lo era in orari assurdi. Alle otto del mattino o
alle undici di sera. In pieno centro o in un bar di periferia. Sempre di
fretta. Non si sapeva mai dov'era, a quale faccenda fosse affaccendato. Per
giorni, il suo telefono sembrava muto per sempre. Quando cominciavi a pensare
che il numero fosse cambiato, sentivi il suo "pronto". Se accettava
di incontrarti era per provare a farti entrare nella testa che il Sismi non era
quel "pozzo nero" che siamo abituati a pensare.
"Lo so - ammetteva - non abbiamo un grande storia. Anzi.
La storia dell'intelligence italiana è costellata di opacità, di deviazioni
istituzionali, di interessi privati, di lavoro spionistico messo a servizio di
questo o quel potente. Oggi però non possiamo più permetterci un'intelligence
di quel tipo se teniamo alla sicurezza nazionale. Senza intelligence, il Paese
è senza bussola. Quei metodi un po' loschi appartengono a un altro mondo, a
un'altra storia. Lentamente bisogna cambiare. Piano, stiamo cambiando".
Qualche volta, Nicola appariva stanco, come esaurito. Esausto
per le lotte intestine che accendono ancora oggi il Sismi. Un vecchio gruppo di
potere che non molla, che condiziona e appesantisce il lavoro degli altri, un
modo di lavorare che "vende fuffa" a uso dei media e dei governi,
incapace di costruire una solida piattaforma d'intelligence. Stanco di una vita
che lo teneva lontano dalla famiglia, dai figli che - diceva - "sono la
mia vita e so che vorrei viverla di più". Non mollava. Testardo come un
mulo. Testardo come un calabrese.
"Potrei andarmene dal Sismi e confesso che mi capita di
pensarci. Poi, però, mi dico: no, non farlo, non devi farlo. Cambia ogni cosa,
può cambiare anche il Sismi. Io ho fiducia che ce la faremo ad avere un
servizio segreto di cui il Paese possa avere fiducia e rispetto. Già gli
americani hanno per noi gran rispetto. Se continuiamo a lavorare così, presto -
e sono pronto a scommettere - anche qui da noi l'Italia potrà guardare alla sua
intelligence non dico con orgoglio, perché certi pregiudizi sono difficili da
rimuovere, ma almeno con affidamento. E' un fatto che i nostri alleati fanno
già affidamento su di noi, anche se voi non lo sapete".
Gli piaceva fare l'agente segreto come aveva fatto il
poliziotto. Era stato un poliziotto - in Calabria alla squadra mobile di
Cosenza e poi all'antidroga e poi al nucleo di eccellenza (lo Sco) della
polizia criminale - capace di credere e dubitare allo stesso tempo. Come tutti
i buoni poliziotti. Si accontentava di sapere e mai voleva insegnare.
Soprattutto aveva in odio i "praticoni" e il loro cinismo. Quei tipi
che tutto hanno visto, tutto hanno toccato con mano, quei tipi che tutto
spiegano e di nulla conoscono il valore perché hanno una pelliccia sullo
stomaco. Nicola era contento di non aver il pelo sullo stomaco. Non si
vergognava di stare in ansia per gli uomini che gli erano stati affidati o di
avere timore di non farcela. Se ne saranno resi conto in questi anni, in questi
mesi le famiglie dei sequestrati. Toccava a lui rassicurare e informare oltre
che venire a capo della crisi. Sembra che tutti lo abbiano apprezzato. Forse
chi in quelle ore difficili ha potuto incontrarlo ha potuto rendersi conto che,
in alcuni giorni, era tormentato come un amico di famiglia.
La morte di Baldoni, ricordo, fu per lui una ferita e un
dolore autentico. In qualche modo, si sentiva responsabile di non averlo
salvato. Quando di Enzo non si seppe più nulla, Nicola Calipari apparve
inaspettatamente ottimista. Diceva: "E' una storia che contiamo di
risolvere presto". Non volle dire perché. Non volle spiegare che cosa lo
rendeva così fiducioso (mai aveva mostrato tanto entusiasmo). "Abbiamo
buone informazioni, vedrete...". Finì come finì e non si dava pace. Tenne
per sé nei giorni che vennero le ragioni di quella sconfitta, di che cosa andò
storto. Ogni volta, però, il nome di Baldoni lo azzittiva e non c'era più verso
di spiccicargli una parola.
Giuliana Sgrena:
Principali date del sequestro Sgrena
Secondo quanto riportato dai media radio-televisivi e della carta stampata, nonché da numerosi fonti di informazione online, il suo rapimento ad opera di un commando armato - in pieno giorno, il 4 febbraio - è avvenuto mentre si trovava a bordo di un'auto nella zona universitaria di Baghdad per recarsi nella vicina moschea di al-Mustafah ad effettuare alcune interviste ai profughi di Falluja.
Nel medesimo quartiere erano stati rapiti il 5 gennaio precedente la giornalista francese di Libération Florence Aubenas e il suo autista.
Dalla rivendicazione del sequestro via web da parte dell'Organizzazione della jihad islamica fino alla sua drammatica liberazione è stato tutto un succedersi di eventi: dapprima l'ultimatum di settandue ore indirizzato al governo italiano affinché venissero ritirate le truppe dall'Iraq; quindi, la sera del 7 febbraio l'annuncio - sempre via internet e sempre da parte dell'organizzazione terroristica - di una prossima liberazione della cronista, annuncio poi rivelatosi infondato.
È in questa circostanza che il gruppo terroristico che fa capo ad Abu Musab al-Zarqawi smentisce ogni coinvolgimento nel fatto; una pressione per la liberazione di Sgrena viene anche dal Consiglio degli Ulema sunniti.
Appelli vengono diffusi attraverso le emittenti satellitari arabe Al-Jazeera e Al-Arabya da parte dei colleghi de il manifesto, di esponenti della Lega Araba e del governo francese. Contestualmente, a poco più di una settimana dal rapimento, inizia un incessante susseguirsi di messaggi tesi a infondere ottimismo circa le sorti della cronista, tutti peraltro giudicati privi di fondamento dal Ministero degli Affari Esteri.
10 febbraio: l'Organizzazione della Jihad islamica reitera il suo ultimatum al governo italiano intimando di ritirare entro quarantott'ore le truppe dall'Iraq.
16 febbraio: Giuliana Sgrena appare - su uno scarno fondale con la sola scritta Mujahiddin senza confini - in un video fatto pervenire alla redazione della Associated Press di Baghdad. In un drammatico messaggio invoca il ritiro del contingente italiano e ammonisce affinché nessuno - neppure della stampa - si rechi in Iraq; chiede inoltre al suo compagno Pierluigi Scolari di mostrare le foto scattate ai bambini colpiti dalle cluster-bomb sganciate dalle forze statunitensi.
19 febbraio: si svolge a Roma una manifestazione cui partecipano cinquecentomila persone, presenti i leader dell'opposizione di centro sinistra mentre sono assenti esponenti del governo. Al-Jazeera e Al-Arabiya trasmettono - in lingua araba - il video che raccoglie le foto di Giuliana Sgrena ai bambini iracheni colpiti dalle cluster-bomb statunitensi.
21 febbraio: gli inviati stampa italiani lasciano la capitale irachena - ritenuta ormai zona ad alto rischio - su sollecitazione dei servizi segreti.
24 febbraio: riaffiora - ad opera di una televisione satellitare irachena, Al-Sharqia - la voce di una prossima liberazione di Sgrena.
4 marzo: dopo una settimana in cui ottimismo e scoramento si alternano senza soluzione di continuità, Giuliana Sgrena viene liberata grazie alla mediazione dei servizi segreti italiani; durante il trasferimento all'aeroporto di Baghdad, mentre sulla capitale irachena imperversa un violento temporale. Dopo aver attraversato parecchi check-point, l'auto sulla quale viaggia la giornalista de "il manifesto" viene illuminata da un potente faro ed immediatamente investita da una pioggia di colpi (prime voci riportano 300-400 colpi sparati) da parte dei soldati statunitensi.
Uno degli agenti del SISMI a bordo dell'auto - Nicola
Calipari - rimane ucciso sul colpo, raggiunto da un proiettile alla
testa, pare nel tentativo di proteggere la giornalista, la quale rimane
comunque ferita ad una spalla. Le prime notizie giunte ai giornali, parlano di
altri due agenti feriti a bordo dell'auto (tra cui uno in maniera grave). Nei
giorni successivi però, viene smentita la presenza di un quarto uomo ferito
gravemente: sull'auto,
Le ricostruzioni ufficiali statunitensi sostengono che l'auto non si era fermata al posto di blocco procedendo ad alta velocità, tesi peraltro contestata in Italia da fonti del governo italiano e dei servizi segreti e dalla stessa Sgrena, la quale aggiunge che non si trattava di un posto di blocco.
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