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I COSIDDETTI "CARMI DOTTI" DI CATULLO

letteratura latina



I COSIDDETTI "CARMI DOTTI" DI CATULLO


Catullo per il fratello scrisse versi pieni di dolore nel carme 68 e nel 65, queste due poesie sono comprese fra i cosiddetti "carmi dotti". Il carme 65 è una elegia dedicatoria a un amico, all'oratore Quinto Ortensio Ortalo; una poesia dall'andamento concitato, come di un tumultuoso colloquio, che rende tutta la disperazione di Catullo che, per quanto oppresso dal dolore per la morte de 252i89c l fratello, manda all'amico Ortalo, perché non si creda dimenticato, una traduzione da Callimaco (appunto quella della "Chioma di Berenice, il carme 66).

Il carme 68 è una delle più complesse poesie catulliane, e di più difficile interpretazione, ma anche delle più intime, in cui tumultua una folla di sentimenti e di rievocazioni. Sembra un'unica poesia costituita da due parti scritte a distanza di tempo. La seconda parte, intreccia il mito di Laodamia coi motivi personali dell'amore per Lesbia e del dolore per la morte de 252i89c l fratello; la prima parte invece sarebbe come la lettera di accompagnamento della seconda.



Il carme 66, è la traduzione della "Chioma di Berenice" di Callimaco, in cui Callimaco rievocava la scoperta di una nuova costellazione che l'astronomo Conone aveva identificato col ricciolo che Berenice, sposa del re di Egitto Tolomeo III, aveva offerto come ex voto per il ritorno del marito da una spedizione.

Le "Nozze di Peleo e Teti" nel carme 64, è un epillio, cioè un breve poemetto, che narra le nozze di Peleo e Teti e ne trae motivo per cantare la gloria di Achille, l'eroe che da quella unione nascerà; al centro Catullo vi ha inserito un altro mito, quello di Arianna abbandonata da Teseo, nell'isola solitaria di Nasso: una vicenda che il poeta immagina raffigurata nei ricami della coperta nuziale.

L'altro epillio catulliano è l'Attis, carme 63, si ispira a un mito orgiastico, legato al culto di Cibele, portato a Roma, nel 204 a.C.; Cibele, la grande madre degli dei, figurazione misteriosa della Natura generatrice di tutti gli essere; a questa dea un giovane frigio, Attis, si è votato mutilandosi per farsi suo sacerdote. Nel carme Attis, con la mente finalmente limpida, piange il proprio gesto con un pianto che è tra i più dolorosi della letteratura latina.

Il carme 61 e il carme 62 sono due epitalamii, cioè due canti nuziali.

Il carme 61 è scritto per le nozze di Manlio Torquato, un amico di Catullo, con Vinia Aurunculea; e vuole essere cantato da un coro di giovinetti e di fanciulle durante la "deductio", cioè quando il corteo solenne accompagna la sposa dalla casa paterna a quella maritale. La poesia si apre con l'inno a Imeneo, dio delle nozze; seguono l'invito alla sposa a uscire dalla casa paterna e, finalmente, quando il corteo è giunto alla nuova casa, il saluto agli sposi e il congedo.

L'altro epitalamio, il carme 62, non accenna a nozze reali sembra un esercizio letterario. Si immagina cantato la sera delle nozze al sorgere di Espero, da due cori, uno di giovanetti e uno di fanciulli, alternativamente: da un lato le lodi del dio delle nozze, innalzate dai giovani, dall'altro il pianto della sposa strappata al grembo materno, per bocca delle fanciulle.






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