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RENATO FUCINI

letteratura italiana



RENATO FUCINI


L'analisi dell'autore Renato Fucini avrebbe dovuto precedere  l'analisi della Serao per ragioni cronologiche.

Renato Fucini, nato nel 1843, è considerato dalla storia letteraria uno scrittore legato al Verismo provinciale-campagnolo. Nato in Toscana, avrebbe avuto ben pochi contatti con Napoli se non avesse accettato l'invito di Pasquale Villari e si fosse perciò trasferito in questa città per portare avanti una sorta di inchiesta su di essa.

Renato Fucini si dedica inizialmente alla poesie e un nucleo consistente di sonetti con lo pseudonimo Neri Tanfucio, anagramma del suo nome.  Intraprende la carriera universitaria a Pisa, indeciso se iscriversi alla facoltà di Medicina, per seguire le orme paterne, o a quella di Agraria. Sceglierà alla fine la facoltà di Agraria, anche se non eserciterà mai un'attività legata alla sua laurea: sarà infatti assunto come aiuto ingegnere. Gli anni che trascorre a Pisa sono anni di incontri, durante i quali emerge la sua vena poetica; vena poetica che darà vita alla prima raccolta di sonetti intitolata "Cento sonetti in vernacolo Pisano" (1871). La raccolta contiene poesie dialettali ed in lingua che ebbero un notevole successo: durante la vita dell'autore il libro conoscerà ben 25 edizioni. Esse affrontano tematiche legate a 454e42e lla scontento della classe piccolo borghese nell'età post-unitaria. La delusione, l'amarezza e la denunzia contenuta nelle poesie è espressa in maniera chiara, talvolta con ironia.



Nel1877 Renato Fucini viene invitato da Pasquale Villari a recarsi a Napoli e a scrivere una sorta di reportage sulle reali condizioni della città. Infatti il Villani, storico e politico nato e formatosi a Napoli, dopo i moti del 1848 si era stabilito a Firenze e da qui si era reso conto che il governo post-unitario non si occupava dei problemi della neonata nazione e trascurava in particolar modo il meridione. Aveva perciò scritto una serie di articoli in cui denunziava la miseria che la sua città natale era costretta a sopportare; articoli che raccolse poi nelle cosiddette Lettere Meridionali, in cui il malgoverno era additato come il maggior responsabile delle sofferenze dei napoletani (è da sottolineare che il governo aveva promosso la cosiddetta piemontesizzazione, processo per cui le norme vigenti nello stato sabaudo erano state estese ai regni annessi). Il Villari, come già detto, storico e politico, ebbe immediatamente coscienza dei problemi del Meridione, e sostenne che tale situazione potesse essere sottoposta all'attenzione del governo grazie all'intervento di alcuni intellettuali. Questi avrebbero dovuto analizzare la condizione del meridione, ed in particolare quella della città di Napoli così che la loro denunzia non potesse essere tacciata di esagerazione dal governo, come era stato fatto per gli scritti del Villari: era molto più semplice, da aprte del governo, infatti, attribuire le condizioni di degrado del meridione alle caratteristiche genetiche delle popolazioni. L'intellettuale rivolse il suo invito allo scrittore De Amicis, che si era dedicato in precedenza alle cronache di viaggio e i cui scritti su Costantinopoli e Parigi erano molto noti. Il De Amicis rifiutò l'invito, che invece fu accolto dall'inglese Jessie White Mario e dal toscano Renato Fucini. I reportage dei due autori, però, non furono graditi al Villani che espresse un giudizio negativo sia sull'opera di Jessie White Mario, sostenendo che questa fosse una inglese e che non potesse comprendere i problemi fino in fondo, sia sull'opera del Fucini, affermando che la sua non è affatto una denunzia ad occhio nudo ma fatta con l'occhio del letterato. Nonostante il giudizio del Villani, Jessie White Mario era stata effettivamente legata alla città di Napoli: nel 1860 vi aveva prestato servizio come crocerossina con Garibaldi e per questo aveva conosciuto e denunziato la malasanità di tutti gli enti sia laici che religiosi. In seguito alla proposta del Villani, ella scrive con molta attenzione una serie di articoli che nel 1876 pubblica sulla rivista il e che poi riunisce nel 1877 in un volume intitolato "La miseria in Napoli".  In questa sua opera Jessie White Mario affronta tutti i problemi della città: la formazione dei suoi giovani, la scarsità di igiene, la prostituzione. Inoltre ripercorre in essa alcuni capitoli del Mastriani, in particolare alcuni passi de i Vermi, de Le Ombre e de I Misteri di Napoli poiché crde che molti debbano tener presente il repertorio bibliografico di questo scrittore, che dovrebbe svolgere per Napoli la stessa funzione che Dickens aveva svolto per l'Inghilterra (stampa popolare). La scrittrice, inoltre, propone soluzioni interessanti ai problemi analizzati: riguardo alla formazione dei giovani, ella sostiene che la battaglia al'analfabetismo debba essere portata avanti con sistematicità e durezza: per questo propone la creazione di navi-scuola (usando navi disusate), sperimentate in Inghilterra, affinché i giovani apprendano in un contesto sociale incontaminato, lontano da quello di nascita, mestieri legati all'arte della navigazione.

A differenza della Mario, il Fucini sosterrà nel suo reportage che di fronte a tale degrado non è in grado di fare proposte.  

Renato Fucini giunge a Napoli il 3 maggio del 1877 e vi rimane fino al 30 maggio per portare a termine il suo reportage. Porta con sé alcune lettere di presentazione del Villari che presentò al politico Giustino Fortunato. Già in queste lettere è presente una sorta di programma in cui il Villari suggerisce al Fucini in che maniera procedere.  Come la Serao, anche il Fucini usava un taccuino su cui appuntava le cose che colpivano maggiormente: tale taccuino contiene appunti presi con uno stile essenziale e stringato, eredità della sua professione di aiuto-ingegnere ed è stato pubblicato per permettere un confronto rispetto alla struttura narrativa del reportage finale. Esso testimonia inoltre che il Fucini appuntava a Napoli gli avvenimenti che lo colpivano e poi si dedicava alla revisione del materiale una volta ritornato nella sua città.



L'opera Napoli ad Occhio Nudo presenta una struttura "epistolare": essa consta di nove lettere datate il cui destinatario è un amico non specificato, che immaginiamo essere il Villari. Sei lettere sono dedicate alla città di Napoli, alla sua popolazione, ai quartieri poveri, al camposanto vecchio, alla gita al Vesuvio, ai suoi personaggi tipici e alla festa di San Gennaro; tre lettere sono invece dedicate ai dintorni della città, a Sorento, ad Amalfi, a Pompei, alla festa di Montevergine e a Capri. Tale struttura testimonia la volontà del Fucini di dare una visione ampia della situazione partenopea: sono incluse nel reportage descrizioni dei luoghi tradizionalmente mete dei viaggiatori.

Quando giunge a Napoli il Fucini non è impreparato e da ciò discende che la sua visione della città non è completamente "ad occhio nudo": egli legge le guide sulla città del 700 e dell'800 in cui erano descritte le sue sezioni più belle , ma legge anche i numerosi saggi sulla camorra e sull'igiene che circolavano all'epoca.  Amante della pittura, ed in particolare dello stile dei Macchiaioli, il Fucini rende nel suo reportage la stessa impressione che i Macchiaioli rendevano nelle loro tele: le descrizioni dei paesaggi si alternano con notazioni di colore come le macchie dei quadri del Fattori, per cui alle luci e ai colori di Sorrento e di Capri (la cui descrizione in particolare è quasi idilliaca: l'isola è collocata una dimensione che ha dell'onirico) si oppongono le ombre dei quartieri poveri.

Come nelle precedenti denunce del Villari e di Jessie White Mario, i toni della denuncia sono talvolta raccapriccianti, come si legge nelle rappresentazioni dei cimiteri dei poveri (dove erano presenti 365 fosse comuni), della miseria della popolazione (secondo il Fucini i 4/5 degli abitanti di Napoli vivevano in miseria), delle case senza pavimento, senza i servizi igienici, senza suppellettili, case nelle quali convivevano persone e "talpe". Il fatto che il Fucini denomini "talpe" gli animali che vede nelle case del popolo anziché "topi"ci fa comprendere che lo scrittore toscano forse non comprende fino in fondo la realtà che lo circonda e rende più chiaro anche il suo avvilimento di fronte alla disastrosa situazione della città partenopea. L'atteggiamento dello scrittore, però, non si limita all'avvilimento: nelle pagine in cui egli descrive la disumana sepoltura di una giovane di 30 anni nel cimitero dei poveri, lo scrittore afferma di essere curioso. Tale nota di cinismo, mista anche ad una sorta di "divertimento", crea una certa perplessità nel lettore e ha portato anche a valutazioni discordanti nella ciritica: lo Sgroi e il Baldacci, comunque, hanno definito Napoli ad OcchioNudo rispettivamente come "Eccezionale" e " Il libro più bello di Renato Fucini".

Rispetto alle novelle, in cui il Fucini aderisce ad un programma veristico per cui la narrazione è priva di commento, nell'opera "Napoli ad Occhio Nudo", la presenza dell'autore si avverte in più punti ("Ti racconto", "Questo mi ha incuriosito"). Le novelle, tuttavia, dedicate alla vita e ai paesaggi della Maremma, sono più "vicine" all'autore, per ciu si può avere la sensazione leggendole che l'autore senza più vicino a sé questo soggetto letterario.



Come già detto, il Fucini rispetto a Jessie White Mario, per cui Napoli ha speranze di risollevarsi, non riesce a proporre soluzioni per i mali che descrive, ed anzi esprime un giudizio piuttosto negativo sulla città e sui suoi abitanti: il popolo napoletano è una vergogna dell'umanità e deve essere isolato dal resto degli italiani perché potrebbe "contagiarli". Nel 1860, Cavour aveva mandato un osservatore nel Meridione che sulla città partenopea espresse lo stesso giudizio del Fucini.

È doveroso sottolineare l'ampio diaframma letterario presente nell'opera del Fucini: dalla lettera in cui è descritta, in maniera intensa e poetica, la  passeggiata di notte sul Vesuvio, emerge chiara la reminescenza della ginestra leopardiana. In essa, anziché con l'usuale "voi", l'autore si rivolge al destinatiario con il "tu", quasi a voler sottolineare il carattere più intimo di del discroso. Il Fucini può contare su una solida formazione classica e letteraria italiana: studia nel classicista collegio dei Barnabiti, dove conosce la poetica e le opere di Dante, di Ariosto, di Tasso, di Manzoni e di Leopardi.

Il limite più evidente dell'opera Napoli ad occhio nudo, risulta essere, senza ombra di dubbio, il suo carattere di scritto commissionato: lo sguardo su Napoli non  è frutto di un naturale desiderio dell'autore e ciò rende il suo sguardo talvolta distante e distaccato. Nonostante ciò, l'opera ebbe una notevole fortuna editoriale (edizioni Legogne) appena pubblicato, per poi passare nel dimenticatoio per 33 anni. Durante questo periodo lo stesso Fucini definì la sua opera "Un librettaccio". Tuttavia nel 1913 Napoli ad Occhio Nudo fu ripubblicato assieme ad una serie di pere legate alla questione meridionale e da allora fu ripubblicato nel 1919, 1941, 1976, 1977, 1997, 2001, 2004, a testimonianza dell'interesse crescente per questo testo. Oggi, infatti, l'opera non è più vista solo ed esclusivamente come un'opera di denuncia sociale, ma anche come un prodotto letterario.

Per ciò che concerne una valutazione strutturale dell'opera, la struttura epistolare, probabilmente frutto di una influenza del Villari, risulta assai efficace. Da un punto di vista linguistico, la lingua utilizzata dal Fucini è aulica, ricercata,che nelle pagine dedicate alla miseria di Napoli si arricchisce di tessere gergali. Tuttavia il Fucini non è un buon conoscitore del vernacolo napoletano per cui Fortunato lo rimprovera per l'uso del napoletano e, quando l'autore scrive U Nostro Conte invece che U Conte Nostro, questi gli sottolinea che a Napoli non avrebbe mai potuto sentire una frase simile (Grammatica napoletana Galiano).

Nonostante Verga e Capuana apprezzarono l'opera del Fucini, il quale fa riferimenti anche a Zola nella descrizione del cimitero dei poveri, nessuno ha mai osato accostare la sua opera a quella dello scrittore verista per eccellenza. L'atteggiamento dei due scrittori è, infatti, profondamente diverso: mentre Verga si cala all'interno del mondo che rappresenta, Fucini rimane, anche nelle novelle, il borghese colto che racconta e commenta gli umili da un punto di vista alto e intellettuale, provando pietà o ironizzando su di essi.






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