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PURGATORIO - CANTO 1°

letteratura italiana



PURGATORIO


CANTO 1°


vv. 1-6 Dante e Virgilio hanno lasciato indietro il tempestoso mondo infernale. E ora Dante canterà del Purgatorio, cioè di quel secondo mondo ultraterreno, nel quale l'anima umana si purifica divenendo degna di ascendere al Paradiso.


vv. 7-12   Ora invoca le Sante Muse, affinchè la poesia che ha cantato la morta gente risorga 535d34f .


vv. 28-35 Non appena distoglie lo sguardo dalle quattro stelle, volgendosi un poco verso il polo artico, là dove era scomparsa la costellazioen dell'Orsa maggiore, vede vicino a se un vecchio, Catone l'Uticense che si uccise ad Utica per non sottomettersi a Cesare e per non sopravvivere alla perdita della libertà). Questi aveva la barba fluente e bianca, simile ai capelli che gli scendevano in dupplice lista dalle spalle sul petto.




vv. 40-48   Catone si rivolge a Dante e a Virgilio: "Chi siete voi, che siete usciti fuori dall'inferno, andando a ritroso del ruscelletto che discende verso il centro della terra? [.] Chi vi è stato di guida, o che cosa ha illuminato il vostro cammino, uscendo fuori dal buio profondo che avvolge in una eterna oscurità la valle dell'inferno? Sono forse state infrante le leggi infernali? O in cielo all'antico decreto ne è subentrato uno nuovo, per cui, pur essendo dannati, potete giungere alle rocce di questo monte, di cui io sono il guardiano?".


vv. 53-65  Virgilio gli risponde che una donna venne giù dal cielo lo pregò di aiutare Dante facendogli da guida nei regni dell'eternità. [.] E ora intende mostrargli quelle anime che si purificano sotto la custodia di Uticense.


vv. 77-82 Vigilio dice a Uticense che Dante è vivo e che lui, Virgilio, è fuori della giurisdizione di Minosse; si trova però nel Limbo, in cui si trova anche Marzia, la quale sembra ancora pregare Uticense di considerarla sua, e in nome del suo amore gli chiede di acconsentire alle loro preghiere e di fare loro attraversare i sette gironi del Purgatorio.


vv. 85-99 Ma Uticense risponde dicendo che Marzia ormai, trovandosi nel Limbo, non può più determinare le sue azioni. Se invece è una donna del cielo a guidare i loro passi, allora è sufficiente che Virgilio faccia la sua richiesta in nome di quella donna. Gli ordina poi di lavare il viso di Dante dalla fuligine infernale e di cingergli la vita con il giunco, simbolo dell'umiltà.


v. 127 Virgilio, con la rugiada, lava dal viso di Dante ogni residuo di caligine infernale.


v. 130 I due giungono nella spiaggia deserta, dove Virgilio cinge la vita di Dante con un giunco, come aveva ordinato di fare Catone Uticense.



CANTO 2°


vv. 1-9 Sull'isola del Purgatorio sta per spuntare il sole; a Gerusalemme, invece, va tramontando; sul Gange, è quasi mezza notte; il colore vermiglio dell'Aurora va sbiadendosi nel Purgatorio.


v. 16 Dante vede una luce procedere velocemente sul mare. Distoglie un attimo lo sguardo da essa per chiedere a Virgilio di cosa si tratti e quando rivolge nuovamente lo sguardo su di essa, la vede più luminosa e più grande di prima.


vv. 27-51 Appena Virgilio riconosce in quella luce l'angelo di Dio, grida a Dante di inginocchiarsi. [.] Il nocchiero celestiale giunge fino alla spiaggia con una navicella leggera, stando sulla poppa. Dentro la navicella stava una moltitudine di anime, alle quali fece il segno della santa croce e queste ultime si riversarono tutte sulla spiaggia.


v. 59 Le anime si rivolgono a Dante e Virgilio chiedendo loro se conoscono la via per andare sul monte.


vv. 76- Le anime si accorgono che Dante è vivo e una di esse si fa avanti e lo abbraccia con affetto, inducendo Dante a fare la stessa cosa: tre volte Dante tenta di abbracciarla, ma invano, perché l'altro era uno spirito, quindi era privo di materia tangibile. Dante riconosce in quell'anima Casella (un suo amico, musico e cantore), che gli dice: "Come io ti amai in vita, quando ero nel corpo mortale, così ti amo ora che sono fuori di esso.".


vv. 106-113 Dante chiede a Casella di cantargli un canto, affinchè la sua anima affaticata dal viaggio ne sia consolata. L'anima di Casella lo accontenta e inizia a cantargli la seconda canzone del Convivio.


v. 119 Ma ecco che arriva gridando Catone, il quale rimprovera le anime del purgatorio e ordina loro di andare a purificarsi dalle colpe che impediscono loro di vedere Dio. Così esse si allontanano, dirigendosi verso il monte per espiare le loro colpe.



CANTO 3°


vv. 1-9 Nella fuga repentina, Dante si accosta a Virgilio che è in preda a grave rimorso per il breve indugio concesso allo svago del canto.


vv. 10-21 Ripresa l'andatura normale, Dante, con gli occhi rivolti al monte, colpito dal sole alle spalle, vede davanti a sé l'ombra del proprio corpo, e teme di essere stato abbandonato.


vv. 22-27 Virgilio lo rimprovera per la sua diffidenza, ma allo stesso tempo lo conforta, ricordandogli che a Napoli riposa il suo corpo mortale.


vv. 46-51 Giunti ai piedi della montagna, ogni tentativo di salita è reso vano dal pendio più ripido di quello che conduce al castello di Lerici (presso la Spezia) o al villaggio di Turbia (vicino a Nizza).


vv. 52-63 Mentre Virgilio è fermo e indeciso, Dante scorge una schiera di anime che avanzano lentamente; le indica al maestro, perché chieda loro consiglio. E' la prima volta che il discepolo dà un timido consiglio al maestro: segni di sicuro progresso sulla via del bene!


vv. 64-72 Accettato il parere di Dante, e fatto un miglio di cammino, i poeti vedono gli spiriti arrestarsi meravigliati, come il viandante non più sicuro della sua strada.


vv. 73-78 Augurando la felicità eterna, Virgilio chiede loro la via più agevole per la salita.


vv. 88-102 Il corpo di Dante, proiettando ombra a destra, suscita meraviglia negli spiriti che si fermano; Virgilio dice loro che Dante è vivo, e le anime indicano la direzione da seguire.


vv. 103-145 Tra loro, è Manfredi, il principe svevo, figlio di Federico Ii, morto a Benevento, combattendo nel 1266 contro Carlo I d'Angiò. Tenta invano di farsi riconoscere da Dante, mostrando una ferita alla sommità del petto. Si rivela nipote di Costanza d'Altavilla e desidera che sua figlia Costanza lo sappia salvo in Purgatorio. Ferito mortalmente due volte, Manfredi implorò e ottenne da Dio il perdono dei peccati. Ma il cardinale Bartolomeo Pignatelli e Papa Clemente IV infierirono sul morto e, disseppellitolo dal tumulo eretto dalla pietà dei soldati, lo gettarono in terra sconsacrata. La maledizione dei due prelati non ha compromesso, però, la riconciliazione con Dio. Gli scomunicati, benchè pentiti, devono sostare nell'Antipurgatorio un periodo trenta volte superiore a quello della scomunica. Manfredi prega Dante che gli procuri suffragi dalla figlia Costanza.



CANTO 4°


vv. 7-18 Dante, affascinato dal canto di cAsella e da Manfredi, non si è accorto che sono passate tre ore e venti minuti.


vv. 19-33 In una stretta apertura, i poeti iniziano la salita [.] Dante procede aiutandosi con le mani e con i piedi.


vv. 34-51 Dante e Virgilio sostano in attesa di qualcuno che indichi loro la strada. [.] La pendenza del sentiero supera i 45 gradi, e Dante, sfinito, supera il balzo confortato da Virgilio. Dante arranca strisciando, quasi, allo stremo delle energie fisiche, ma vince: tanto può l'orgoglio, la volontà di non cedere!


vv. 52-57 Seduto, volto a oriente, Dante si meraviglia di essere colpito dal sole, a sinistra.


vv. 67-75 Gerusalemme e il Purgatorio sono antipodi, tra gli emisferi Nord e Sud: chi guarda il sole da Gerusalemme, lo vede volgere a sinistra; in senso contrario, chi lo osserva dal Purgatorio.


vv. 85-96 La salita, grave all'inizio, diventa, man mano, sempre più agevole, come è facile per una nave scendere seguendo la corrente di un fiume, quando lo sforzo non si avvertirà più, sarà prossima la cima. Dante si potrà, allora, riposare.


vv. 97-111 Uno spirito, in tono canzonatorio, dice loro che ci sarà bisogno di riposarsi assai prima. E' Belacqua, un pigro, seduto con altri pigri, con l'atteggiamento dell'uomo che se ne sta fermo per la sua indolenza. Dante vuole parlare con lui.


vv. 127-139 Per Belacqua è inutile tentare la salita; glielo vieta l'agelo portiere, perché i negligenti devono sostare nell'Antipurgatorio, per un tempo pari a quello trascorso nella pigrizia, in vita. Solo i suffragi delle persone in grazia di Dio possono abbreviare la sosta delle anime purganti.

Nel Purgatorio è mezzogiorno; nel Marocco è scesa la notte. Bisogna andare.



CANTO 5°


vv. 1-18 Dante fa ombra con il suo corpo e suscita la meraviglia di un'anima che richiama l'attenzione di altri spiriti che fissano insistentemente lo sguardo sul vivo che si aggira nel loro regno.

Virgilio lo esorta a non perdere tempo, e a non dimenticare la meta (di mantenere fermezza nei propositi).


vv. 19-45 Ripreso il cammino, altri spiriti interrompono la recita del Miserère, sorpresi dall'ombra proiettata da Dante. Due di essi si staccano dalla schiera per avere notizie precise. Virgilio riferisce loro che Dante è vivo ed esorta le anime ad usargli riguardo per ottenere suffragi. Le anime si rivolgono verso i poeti come una schiera di gente che corre sfrenatamente.


vv. 46-66 Questi sono spiriti finiti per morte violenta e vogliono essere riconosciuti per avere suffragi, bramando la felicità eterna. Chiedono a Dante di rallentare il passo, anzi, di fermarsi, e affermano di essersi pentiti, prima di morire. Dante non ne riconosce nessuno, ma è pronto a soddisfarli. Senza che Dante giuri, le anime credono alle sue promesse.


vv. 67-84 Iacopo del Cassero, da Fano, si rivolge a Dante, implorando suffragi, e racconta di essere stato assassinato dalgi sgherri di Azzo VIII, in una palude presso Oriago (nel Padovano). Si rammarica di non essersi diretto verso la Mira, mentre veniva inseguito, e, con note di crudo verismo, descrive la sua fine violenta, in un lago di sangue.


vv. 85-108 Anche Bonconte da Montefeltro, dimenticato dalla moglie Giovanna, implora suffragi. Fu un capitano ghibellino, morto a Campaldino (1289), di cui nessuno trovò il suo cadavere. Nella confluenza tra l'Archiano e l'Arno, ferito a morte, invocò la Madonna.

L'eremo di Camaldoli e tutta la valle del cosentino echeggiano delle grida di Bonconte moribondo. Il diavolo, irato per la sua salvazione in punto di morte, non potendone prendere l'anima, fa scempio del suo corpo.


vv. 109-129 In una furiosa tempesta di pioggia e di vento, nella valle del Casentino, l'Archiano si ingrossa, spinge il cadavere di Bonconte nell'Arno che lo travolge nei gorghi limacciosi e ne fa perdere ogni traccia.


vv. 130-136 Pia de' Tolomei, nata a Siena, morta in Maremma, invoca, per ultima, preghiere. Non un grido di vendetta contro il marito omicida ricordato, invece, solo nei momenti dolci del fidanzamento e dello sposalizio.



CANTO 6°


vv. 1-27 Attorniato dalle anime, Dante cerca di liberarsi promettendo suffragi, allo stesso modo con cui il vincitore nella zara (gioco a dadi) si scioglie dalla calca che spera di ricevere doni. Benincasa da Laterina, Guccio de' Tarlati, Federico Novello, Gano degli Scornigiani, Orso degli Alberti, Pier dalla Broccia fanno ressa per ottenere suffragi e accelerare la purificazione.

Monito alla donna di Brabante (Maria), seconda moglie di Filippo III di Francia, a pentirsi, se non vuole finire all'inferno.


vv. 28-57 Eppure, nel VI dell'Eneide, Virgilio aveva affermato la vanità dei suffragi! Perché, dunque, le anime li sollecitano?

Hanno ragione le anime di sperare nelle preghiere per i defunti da parte di chi è in grazia di Dio; non così era per i pagani, i quali vivevano fuori della grazia divina. Il difficile problema potrà, comunque, essere risolto da Beatrice, sulla vetta del Purgatorio: la ragione umana, di cui Virgilio è simbolo, non basta a risolvere una questione così difficile!

Al nome di Beatrice, Dante vorrebbe volare, ma sono le tre del pomeriggio, e occorrerà un altro giorno per arrivare sulla cima.


vv. 58-75 Un'anima solitaria e sdegnosa, il trovatore Sordello da Goito, osserva i poeti. Interrogata, non risponde, anzi, chiede loro notizie della vita terrena, pensando che vengano dal mondo dei vivi. Virgilio nomina il paese natale: Mantova, e, allora, in un impeto di carità patria, Sordello lo abbraccia.

L'oscuro trovatore italico, Sordello, diventa, improvvisamente, un gigante: per merito di Dante impressionato dal coraggio da lui dimostrato nel famoso compianto: In morte di Ser Blacatz.


vv. 76-90 Dante, commosso dall'abbraccio dei conterranei, rivolge un'invettiva all'Italia in preda all'anarchia, alla guerra civile che funesta la vita cittadina e nazionale: la lotta arde in tutta la penisola, una volta spezzato il freno delle leggi restaurate da Giustiniano. L'Italia per l'assenza dell'Imperatore è simile ad una nave senza nocchiero nella gran tempesta, è luogo di dolore e di ogni turpitudine.


vv. 91-96 Invettiva contro i papi. Usurpati maldestramente i poteri imperiali, la chiesa ha condotto l'Italia all'anarchia.


vv. 97-117 Invettiva contro l'imperatore. Dio punisca Alberto d'Austria e suo padre Rodolfo d'Asburgo che, curando solo gl'interessi della Germania, hanno abbandonato l'Italia dove potenti famiglie: Montecchi e Capuleti (a Verona), Monaldi e Filippeschi (a Orvieto), si sbranano, a capo di fazioni avverse. In rovina sono anche gli ultimi funzionari imperiali; in rovina la contea senese di Santfiora, osteggiata dal Papa e dai Senesi: la stessa Roma inutilmente invoca l'autorità imperiale e papale (il papa era ad Avignone).

Se l'imperatore non si commuove alle sventure d'Italia, si vergogni, allora, del potere che non esercita!


vv. 118-126 Lo stesso Dio sembra abbandonare il mondo, mentre tiranni improvvisati pullulano in ogni città.


vv. 127-151 Apostrofe contro Firenze. Arrogante e stolto, il popolo fiorentino ambisce solo ai pubblici uffici, ignaro d'ogni senso di giustizia. La frivolezza, soprattutto, è dannosa caratteristica dei fiorentini.

Con ricchezze male accumulate, la città è dilaniata dalle guerre e dalla follia.

Atene e Sparta, ben ordinate da Solone e da Licurgo, sfigurano di fronte agli ordinamenti fiorentini, che muoiono appena nati. Incarichi e costumi hanno vita effimera.

Firenze è una malata grave, in cerca di un'impossibile tregua dal dolore.



CANTO 7°


vv. 1-39 Dopo le accoglienze festose, Sordello chiede ai poeti chi siano, e Virgilio si manifesta: è morto prima della venuta di Cristo, e non si è salvato, perché pagano.

In preda a grande meraviglia, Sordello gli professa affettuosa devozione, e chiede in quale zona dell'Inferno si trovi. Il trovatore si umilia, celebrando il più grande dei poeti romani "gloria dei Latini", ma, insieme, si onora di essere suo conterraneo.

Virgilio è nel Limbo, per non aver conosciuto il vero Dio, sebbene abbia praticato le quattro virtù cardinali; chiede poi, la via più breve per giungere al Purgatorio.


vv. 40-48 Sarà guidato da Sordello, ma, poiché il tramonto è vicino, non si può più camminare; saranno mostrate, intanto, le anime dei personaggi illustri nella valletta amena.


vv. 49-84  La tenebra toglie forza alla volontà, dice Sordello; si può tornare infietro (peccare) o girare vanamente, finchè non riappaia il sole (luce contro l'errore).

Dopo pochi passi, ecco la valletta così come sulla terra i monti sono icavati da valloni sulle loro coste, trapunta di fiori d'ogni tipo, fragranti di meravigliosi, indistinti profumi. L'oro, l'argento, la cocciniglia, la biacca, il legno indiano, il colore azzurro del cielo, lo smeraldo se posti tuti insieme dentro la valle, sarebbero vinti singolarmente nel colore dall'erba e dai fiori, come una forza inferiore è vinta da una superiore. Le anime intonano il Salve Regina.


vv. 85-136 Dall'alto, Sordello inizia la rassegna dei principi: muto, nel rimorso di non aver soccorso l'Italia, Rodolfo d'Asburgo; in atto di consolarlo, Ottocaro II re di Boemia; Filippo III re di Francia ed Enrico di Navarra (padre e suocero di Filippo il Bello) palesano evidente dolore; Carlo d'Angiò fa coppia con il valoroso Pietro III d'Aragona al quale, morto il figlio Alfonso, sono successi gl'indegni Giacomo II, e Federigo II. I sovrani, nemici in vita, hanno ritrovato la concordia nel Purgatorio: una coppia si distingue su tutte le altre: quella di Carlo I d'Angiò e di Pietro III d'Aragona: quest'ultimo, divenuto re di Sicilia nel 1282, dopo che gli Angioini ne furono cacciati con la guerra dei Vespri.

Il valore, dono di Dio, raramente si eredita. Ugualmente sfortunato nei successori è Carlo I d'Angiò, perché suo figlio, Carlo II, gli è di tanto inferiore, di quanto Carlo I d'Angiò è da meno di Pietro III d'Aragona.

Più fortunato negli eredi è Arrigo III d'Inghilterra.

Ultimo, Guglielmo VII di Monferrato, ucciso dai sudditi ribelli che procurarono lunga e dolorosa guerra al Monferrato e al Canavese.



CANTO 8°


vv. 1-18 E' l'ora del tramonto che risveglia la nostalgia del navigante per la patria lontana, mentre la campana annuncia la fine del giorno.

Nel generale silenzio, Dante vede un'anima levare le mani in atto di preghiera; intona il Te lucis ante = Prima del termine della luce ti invochiamo., seguita da tutte le altre.


vv. 19-21  Dante si rivolge al lettore con un monito a cogliere la verità, al di là del senso letterale, nella descrizione che seguirà.


vv. 22-45 Dante guardando in alto, vede due angeli dirigersi in basso armati di due spade infuocate, prive di punta, e vestiti di verde (speranza). Si pongono a difesa della valletta, uno un po' sopra di Dante e Virgilio, l'altro sul lato opposto della valletta, inviati dalla Madonna contro il serpente (diavolo) che sta per giungere. Dante, impaurito, si stringe a Virgilio; i tre poeti (Virgilio, Dante e Sordello) scendono fra i principi. L'allegoria trionfa: nelle spade senza punta, nelle verdi vesti angeliche, nella premurosa vigilanza della Madonna, nella serpentina perfidia del diavolo. Nella chiara trasparenza dei simboli è la certezza della vittoria.


vv. 46-66 Nel buio del primo crepuscolo, Dante riconosce l'amico Nino Visconti che lo crede morto. A lui espone i motivi del pellegrinaggio ultraterreno, destando generale meraviglia. Sordello, infatti, si rivolge a Virgilio, Nino a Corrado Malaspina, per la grazia speciale da Dio concessa ad un vivo.

Dante, misteriosamente privilegiato a compiere un viaggio tra i morti è pregato da Nino a sollecitare i suffragi della figlia Giovanna, dato che la moglie Beatrice lo ha dimenticato, passando in seconde nozze con Galeazzo Visconti, e dimostrando come duri poco l'affetto. Beatrice morta, comunque, non avrà una tomba onorata, come quella che l'avrebbe accolta, se, vedova, fosse rimasta fedele al primo marito! Lo sfogo di Nino è risentito, ma senza eccedere la misura, anche se il suo rammarico è grande per l'infedele sua moglie.


vv. 85-108 Sul polo antartico brillano tre stelle (le tre virtù teologali): fede, speranza e carità, che hanno preso il posto delle quattro (virtù cardinali) viste, la mattina. Dante le fissa, perché lo aiutino nella meditazione e nella contemplazione.

Giunge il serpente, quello stesso che tentò Eva, con aspetto bello e seducente. Gli muovono contro gli angeli ed esso fugge: la tentazione diabolica è stata solo un simbolo, ed è stata anche debole: si è dissipata al volo degli angeli.


vv. 109-120 Incurante dell'assalto, Corrado Malaspina non ha mai distolto lo sguardo da Dante al quale augura di giungere felicemente al Paradiso terrestre. Gli chiede, poi, notizie di Val di Magra (nella Lunigiana) appartenente alla sua famiglia.


vv. 121-132 Dante esalta i Malaspina, lodandone la liberalità, il valore guerresco, la dirittura morale, non contaminata dalla corruzione dilagante.


vv. 133-139 La profezia dell'esilio (la prima nel Purgatorio): Malaspina predice che, fra sette anni, come vuole l'inarrestabile disegno di Dio, Dante sarà ospite della famiglia Malaspina, e ne conoscerà direttamente le virtù.



CANTO 9°


vv. 1-9 Vanno attenuandosi i colori dell'aurora, aureolata della costellazione dei Pesci; è la terza ora di notte; Dante, vinto dal sonno, si addormenta sull'erba su cui sedevano, Virgilio, Sordello, Nino, Corrado.


vv. 10-33 E' l'alba; la rondinella inizia il canto lamentoso, a ricordo della sua dolorosa trasformazione; Dante, con la mente riposata e, perciò, disposta a rivelazioni ammonitrici della realtà, vede in sogno un'aquila ruotante sui monti della Troade donde rapì Ganimede, il coppiere degli dèi. L'aquila afferra Dante, lo conduce alla sfera del fuoco, arde con lui, ma il caldo dell'incendio interrompe il sogno.


vv. 34-45 Come si meravigliò Achille quando, svegliato, si ritrovò nell'isola di Sciro, condottovi dalla madre perché partecipasse alla guerra di Troia, così si stupisce Dante. Gli è vicino Virgilio; il sole è sorto da due ore; giù, è il mare. Al risveglio, Dante diventa pallido come chi per spavento si sente gelare il sangue.


vv. 46-63 Virgilio conforta Dante dicendogli che ormai è arrivato al Purgatorio vero e proprio e gliene mostra la porta. Gli racconta che, mentre riposava, era arrivata una donna dicendo di essere Lucia (la grazia illuminante). Questa aveva chiesto a Virgilio di lasciarle prendere colui che dormiva, per aiutarlo nel suo cammino. Quindi aveva preso Dante addormentato e lo aveva condotto in volo nel Purgatorio. Sordello e gli altri erano rimasti nella valletta, mentre lui, Virgilio, aveva seguito le orme di Lucia. Mostratogli poi l'ingresso del Purgatorio, Lucia se ne era andata, e Dante si era svegliato.


v. 70 Dante si rivolge al lettore: "O lettore, vedi bene come io tratti una materia più elevata, e perciò non meravigliarti se la sostengo con arte più elaborata".


vv. 64-93  Come un uomo che si rassicura di un dubbio e che è confortato nella sua paura, dopo che gli è rivelata la verità, così Dante, confortato, riprende a camminare con Virgilio.

Vede tre gradini che conducono alla porta e un portinaio, che era un angelo, dalla luce abbagliante, che aveva in mano una spada sguainata (giustizia), ed era seduto sull'ultimo gradino.

All'angelo che domanda chi siano, chi li ha guidati, Virgilio risponde che una donna celeste li ha accompagnati.


vv. 94-105 Il primo gradino, di marmo bianco, lucente come lo specchio, simboleggia l'esame di coscienza; il secondo, ruvido e crepacciato, la contrizione; il terzo, rosso come il sangue che sprizza fuori dalle vene, l'ardore della carità. Su quest'ultimo, l'angelo poggia i piedi.


vv. 106-114 Dante, incitato da Virgilio, chiede umilmente all'angelo che apra loro la serratura, poi devotamente, s'inginocchia, si accusa dei peccati battendosi tre volte il petto, e implora misericordia. L'angelo gli imprime sulla fronte sette P (i sette peccati di cui si libererà nelle sette cornici), con la punta della spada.

La veste dell'angelo è color cenere (umiltà del sacerdote); egli ha in mano due chiavi: una d'oro -l'autorità del sacerdote- , l'altra d'argento -la scienza sacerdotale- necessarie per assolvere; la più preziosa è la prima; assai utile l'altra, per valutare le colpe e assegnare la penitenza. Avutele, entrambe, da S. Pietro, con l'esortazione ad essere sempre indulgente con chi si umilia. Chi, passata la porta, si volge indietro (verso il peccato), è respinto.


vv. 132-145 Si spalanca la porta con lo stesso ruggito emesso da quella del pubblico erario, in campidoglio, quando Cesare costrinse il tribuno Metello a consegnargli il tesoro dello Stato.

Le parole del Te Dio lodiamo, intonato dalle anime, mal si distinguono, sopraffatte dall'accompagnamento musicale.



CANTO 10°


vv. 1-6  La porta del Purgatorio, che si apre di raro, perché pochi si salvano, si richiude con fragore; Dante sente il rumore ma non si volta indietro.


vv. 7-27  Per una via tortuosa e stretta salgono cauti i poeti che, verso le undici del mattino, raggiungono un ripiano deserto e largo circa cinque metri (la prima cornice). I due poeti si inerpicano attraverso una fenditura della roccia, che sale tortuosamente piegando ora a destra ora a sinistra, così come l'onda che sulla spiaggia si ritrae e si avvicina.


vv. 28-45 La parete interna del monte è ripida e intagliata da immagini più perfette di quelle di Policleto e della natura stessa, pur essendo quest'ultima artefice perfetta. La base della parete era di marmo candido e tutta ornata di bassorilievi.

Nella parete vi sono molti esempi di umiltà: uno di essi rappresenta l'arcangelo Gabriele che annuncia la maternità alla Vergine che umilmente risponde: Ecco l'ancella di Dio.


vv. 46-69 Spinto avanti l'occhio, Dante contempla il bassorilievo rappresentante David presso l'Arca Santa, tra una calca di popolo. Si ode il canto della folla, si vedono levarsi le nubi dell'incenso, mentre David danza in onore di Dio, suscitando il dispetto della moglie Micol.

Un carro trascina l'arca santa affidata solo alla cura dei sacerdoti. Il levita Oza che volle trattenerla perché vacillava, venne fulminato da Dio: aveva osato sostenere un ufficio non affidatogli dalla divinità.


vv. 70-93 Nel terzo bassorilievo si esalta l'umiltà di Traiano che rende giustizia alla vedovella. Si agitano schiere di cavalieri, si muovono al vento le bandiere, e Traiano soddisfa la popolana cui è stato ucciso il figlio. Per tale atto generoso, si creò la leggenda dell'imperatore risorto, convertito e beatificato. La vedovella parla a Traiano come una persona nel cui animo urge il dolore.


vv. 94-99 Il miracolo dei bassorilievi parlanti è opera di Dio che "mai vide cosa per Lui nuova".


vv. 100-120  Avanzano lentamente i superbi, sottoposti a pena spaventosa: premuti da macigni, l'occhio li distingue a fatica.

v. 106 Dante si rivolge al lettore, dicendogli che non vuole che ne riceva un' impressione penosa, simile a quella destata dall'incubo di un sogno tormentoso. Non vuole che egli si distolga dal proposito di fare il bene, nell'udire come Dio esige che si saldi il debito del peccato. Dante offre quindi conforto al lettore, dicendogli di non badare alla sofferenza, perchèla pena cancella la colpa e conduce alla gioia eterna, ed è limitata nel tempo (male che vada, la punizione non andrà oltre il giorno del Giudizio Universale).


vv. 121-139 Dante reprime l'orgoglio degli uomini, esortandoli alla modestia. Dalla modestia, infatti, nascono i meriti che trasformano i poveri vermi umani in angeliche farfalle. Gli uomini sono superbi, eppure sono quasi insetti ancora incompleti, così come i vermi che non hanno ancora raggiunto il loro sviluppo totale!

Simili alle cariatidi, i superbi, più o meno premuti dal peso, camminano rannicchiati, allo stremo delle energie.



CANTO 11°


Prima cornice superbia


vv. 1-30 Inizia la parafrasi del Pater noster che, pur infinito, sembra circoscritto in cielo, per amore alle prime creature. Lode al nome, alla potenza del Padre e dello Spirito Santo [.].

La resistenza umana non sia cimentata col diavolo che la spinge al male. Questa preghiera è fatta per i vivi, perché le anime sono libere dal peccato.

Con questo augurio le anime girano la cornice, diversamente premute dal peso del masso, simile a quello di un incubo notturno.


vv. 31-36  Alla generosa preghiera delle anime rispondano con suffragi i vivi, per accelerare la purificazione!


vv. 37-72  Augurando alle anime di volare presto in cielo, Virgilio chiede una via agevole per Dante vivo.

Risponde Omberto Aldobrandeschi: la via è a destra; se la sua testa non fosse premuta dal sasso, volgerebbe lo sguardo al vivo per implorargli suffragi. Egli ricorda la nobiltà del suo casato, la fama di suo padre Guglielmo. La superbia ha rovinato tutti gli Aldobrandeschi. Ora, Omberto è umiliato per l'orgoglio tenuto da vivo.


vv. 73-99 Camminando a testa china, Dante viene riconosciuto da un altro superbo: Oderisi. Egli, per umiltà, esalta il proprio discepolo Franco Bolognese; non avrebbe fatto ciò da vivo! Pentitosi, espia, ora, il peccato di superbia.

La fama dura poco, diventando arida come i rami di un albero secco. Cimabue è stato superato da Giotto; Guido Guinizelli da Guido Cavalcanti, ma è nato chi supererà anche quest'ultimo.


vv. 100-108 La fama umana è un soffio di vento: la memoria di chi muore bambino o vecchio è ugualmente travolta dalla corsa dei secoli; mille anni, rispetto all'eternità, sono un battito di ciglia. La gloria mondana non è altro che soffio di vento che spira ora da una parte ora dall'altra, e cambia nome perché cambia direzione.


vv. 109-142 Provenzan Salvani fece risuonare il suo nome in tutta la Toscana: ora è dimenticato, perché la fama è come l'erba che appassisce al calore del sole.

Anche Dante, superbo, riceve la sua lezione di umiltà!

Tuttavia, Provenzan Salvani, da poco morto, non si trova nell'Antipurgatorio perché in vita si umiliò a chiedere l'elemosina per riscattare dalla prigione angioina un amico. Anche Dante esule proverà quest'umiliazione! (Seconda profezia dell'esilio



CANTO 12°


vv. 1-15 Mentre Dante procede curvo, affiancato a Oderisi, sente l'invito a procedere oltre quanto più celermente. Con la mente sgombra dalla superbia, avanza spedito, e contempla esempi di orgoglio scolpiti sulla strada. Virgilio lo esorta a guardare verso terra.


vv. 25-63 Vi sono esempi di superbia punita: Lucifero che precipita dal cielo come la folgore; Briareo trafitto dalle saette di Giove; Apollo, Pallade, Marte osservano i cadaveri dei giganti fulminati nella pugna di Flegra [...].

I numerosi esempi tratti dal mito e dalla storia sono medicina efficace per lo stesso dante, cosciente di essere anch'egli un superbo.


vv. 70-72 Apostrofe agli uomini superbi perché smettano di essere tali!


vv. 75-99 Virgilio dispone Dante alla riverenza per l'arrivo di un angelo e lo ammonisce ad utilizzare il tempo, essendo già passato il mezzogiorno.

Avvezzo all'esortazione a non perdere tempo, Dante fissa l'angelo che, brillando come una stella, invita a salire nella seconda cornice, anche se i più degli uomini cedono alle lusinghe del peccato. Con un colpo d'ala, l'angelo cancella una P dalla fronte del poeta.


vv. 100-126 Un passaggio stretto conduce alla seconda cornice, ma il pendio è lieve.

Un dolce canto: "Beati i poveri di spirito!", ben differente dai fieri lamenti infernali, accoglie i due poeti.

Dante si sente spedito nella salita; ne chiede il perché e apprende che una P è scomparsa dalla sua fronte. Cadute le altre P, sarà una gioia camminare.


vv. 127-136 Dante si accerta con la mano di una P, e Virgilio sorride.



CANTO 13°


Seconda cornice invidiosi


vv. 1-21  Si giunge al ripiano della 2^ cornice, simile alla precedente, ma di più breve diametro. Non si vedono anime, né bassorielievi, tanto livido ne è il colore (conveniente all'invidia).

Virgilio si rivolge al sole (Dio) perché lo guidi: "O dolce luce, in te fidando mi avvio per questo nuovo cammino, guidaci, come è necessario essere guidati in questo regno. Tu riscaldi il mondo, tu brilli su di esso: se un'altra ragione non si oppone a ciò, i tuoi raggi devono essere sempre nostra guida".


vv. 22-36 Fatto un miglio di strada, si sentono voci invitanti all'amore per il prossimo, che dicono: "Non hanno vino", frase detta dalla Madonna alle nozze di Cana; "Io sono Oreste", Oreste e Pilade; "Amate coloro da cui avete ricevuto male!", la massima di Cristo.


vv. 37-72 Dante è preso da una violenta commozione per le anime che si coprono di ruvidi panni, cilicio, si sorreggono a vicenda, con la testa ciondoloni una sull'altra, come i mendicanti sulle scalinate delle chiese. Un filo di ferro cuce loro le palpebre degli occhi.


vv. 73-96 Dante, augurando loro una rapida purificazione e, quindi, la visione di Dio, chiede se ci sia qualche italiano, e promette suffragi. Una connazionale invidiosa si fa riconoscere.


vv. 97-129 Avvicinatosi ancora, Dante vede un'anima col mento levato in su, come i ciechi, e la prega di rivelarsi: è Sapìa che si allietò della rovina del prossimo più che della propria fortuna. Superata l'età matura, si augurò la sconfitta dei senesi in Valdelsa e ne provò gioia smodata, fino a sfidare Dio.

Riconciliatasi con Dio in punto di morte, ha evitato la sosta nell'Antipurgatorio, per i suffragi di Pier Pettinaio, che l'ha ricordata nelle sue preghiere.


vv. 130-154 Sapìa chiede chi sia il vivo che le parla. E' Dante che, dopo la morte, rimarrà poco tempo nella II cornice, perchè quasi immune dall'invidia, mentre teme il tormento dei superbi.

Sapìa chiede suffragi a Dante e desidera che i parenti sappiano che è salva.



CANTO 14°


vv. 1-42 Due spiriti si meravigliano che un vivo visiti il Purgatorio e lo pregano perché si riveli.

Uno di essi, Guido del Duca, chiede a Dante da dove venga e chi sia. Egli risponde che viene dalla Toscana , bagnata dal fiume che nasce in Falterona, ma tace il proprio nome, per umiltà.

La Toscana è degna di scomparire! Tutta la valle dell'Arno è nemica della virtù per vizi congeniti o diventati usuali negli abitanti mutati in porci, come gli ospiti di Circe.


vv. 55-72 Guido fa una profezia: il nipote di Rinieri da Calboli, Fulcieri, podestà di Firenze, cacciatore furioso e crudele, come una belva sterminerà i Bianchi e i Ghibellini, lasciando la città disfatta per molti anni.

L'anima di Rinieri da Calboli rimane esterrefatta.


vv. 97-126 Ai grandi del passato sono succeduti i bastardi! Fabbro Lambertazzi, capo del ghibellinismo romagnolo, i Traversari e gli Anastagi (illustri famiglie di Ravenna) e le loro nobili tradizioni militari e civili, sono tramontati per sempre, e Guido li piange.

Brusco congedo da Dante, perché Guido ha solo voglia di piangere.


vv. 124-151 Esempi di invidia punita. I poeti si allontanano e odono la voce di Caino disperato, seguita da quella di Aglauro, mutata in sasso, perché invidiosa della sorella Erse.

Questi esempi sono un freno all'invidia, ma gli uomini si lasciano ingannare dal diavolo perché, ciechi alle bellezze del cielo, si fanno attrarre dai beni terreni.



CANTO 15°


vv. 1-39 Mancano tre ore al tramonto, in Purgatorio; in Italia è mezzanotte; il sole colpisce la faccia dei poeti.

Dante si difende dalla luce abbagliante, opponendo le mani agli occhi. Si tratta di vivissima luce riflessa. E' luce angelica, dice Virgilio, è un messo divino, e invita a salire nella 3^ cornice. Dante la sosterrà quando sarà puro dal peccato.

Un invito angelico accoglie i poeti: "Beati i misericordiosi". Il secondo annuncio è: "Godi tu che vinci!" e allude alla vittoria riportata sull'invidia.


vv. 40-57 Salendo, Dante chiede spiegazione sulle parole pronunciate da Guido del Duca ("divieto" e "consorte").

Virgilio gli spiega che Guido conosce gli effetti funesti dell'invidia e, perciò ammonisce a guardarsene. L'invidia nasce per il possesso di beni terreni, dei quali ognuno vorrebbe essere padrone assoluto; tutti invece, potrebbero godere dei beni celesti, senza timore di perderne nulla.


vv. 64-114  Il bene spirituale è come la luce che, tanto più penetra l'anima, quanto più questa arde di carità. Dio, quindi, infinito, tanto più concede il suo bene, quanto più sono quelli che lo amano. Beatrice, comunque, chiarirà questo problema. Si affretti, dunque, Dante a liberarsi, col pentimento, delle ultime cinque P.

Giunto nella 3^ cornice, Dante, rapito in estasi, ascolta esempi di mansuetudine: il lamento della Madonna per Cristo che si è allontanato a discutere coi dottori nel tempio; l'ira della moglie di Pisistrato per il giovane che ha baciato la figlia, mentre Pisistrato è lieto per questo atto di amore; la preghiera di S. Stefano che invoca il perdono per i suoi lapidatori.


vv. 115-145 Tornato alla realtà, Dante apprende da Virgilio di aver camminato per due miglia, come assonnato, e gli fa cenno della visione avuta.

Virgilio sa che la visione ha sollecitato Dante a soffocare l'ira; occorre, ora, procedere speditamente.

E' il vespero; ed ecco che un fumo scuro, come la notte, investe i poeti e toglie loro l'uso della vista.



CANTO 16°


Terza cornice iracondi


vv. 1-36 Un fumo pungente produce un buio infernale: Dante chiude gli occhi e cammina sorretto da Virgilio, che lo ammonisce a non separarsi da lui.

Voci concordi e del medesimo tono invocano l'Agnello di Dio: provengono da anime che vanno liberandosi dall'ira.

Uno spirito si accorge che Dante è vivo, e a lui il poeta chiede la via per la 4^ cornice, promettendo cose meravigliose se lo accompagnerà.

Senza uscire dal fumo, lo spirito si dichiara pronto ad accompagnare Dante e, se il fumo non consente di vedersi, l'udito li terrà uniti.


vv. 46-84  Quell'anima è di Marco Lombardo, un gentiluomo che rimpiange le virtù ormai scomparse; rassicura dante di essere sulla via giusta, e gli chiede suffragi.

Con dolore, Marco condanna la cecità mentale dei vivi che attribuiscono alle influenze celesti il bene e il male. Se così fosse, privi di libertà, gli uomini non dovrebbero avere meriti, né demeriti. Il cielo, in parte, stimola alcuni affetti, ma dà all'uomo la ragione perché distingua il bene dal male, e il libero arbitrio, per la conquista del bene. Dio crea l'anima razionale, non sottoposta alla pressione del cielo. Gli uomini sono dunque responsabili della corruzione!


vv. 85-105 Le leggi non sono osservate, perché il trono imperiale è vuoto, e il papa offre cattivo esempio.

Seguendo l'esempio della guida, gli uomini bramano solo i beni terreni.

Responsabile primo del male, dunque, è il papa, mentre la natura è capace di fare il bene e di evitare il male.

Roma, ottima reggitrice, ebbe due autorità: papa e imperatore, per il governo terreno e spirituale. Ora, il potere spirituale e temporale sono uniti nella stessa persona, sicchè si distruggono a vicenda. Considera con attenzione i frutti che ne derivano, poiché ogni pianta si conosce dal frutto che dà.


vv. 115-145 Prima delle lotte tra Federico II e il papa, nell'Italia settentrionale albergavano onore e cortesia; chiunque vi passi ora non trova più galantuomini.

Vi sono tre vecchi che, nel rimpianto dell'età antica, desiderano morire: Currado da Palazzo, Cherardo, Guido da Castello.

Il papa, assumendosi i due poteri, si è degradato.

Per questo, i Leviti (sacerdoti ebrei) non possedevano beni temporali!

Entro il fumo, si vede il raggio solare; Marco lascia Dante e si volge indietro.



CANTO 17°


Quarta cornice accidia


vv. 1-39 Dante si rivolge al lettore, ricordandogli che, non appena le nuvole iniziano a diradarsi, penetrano debolmente i raggi del sole. Così, gli occhi di Dante, ottenebrati a lungo dal fumo, denso come nebbia montana, si riaprono alla luce del sole morente.

Esempi d'iracondia punita: la metamorfosi di Progne che riempie la fantasia di Dante; la crocifissione di Aman al cospetto di Assuero, Ester, Mardocheo; Lavinia che piange la madre Amata suicida.


vv. 40-69 Dileguano le visioni alla luce dell'angelo che invita a passare nella 4^ cornice. L'occhio di Dante è incapace di sostenerla, come afferma anche Virgilio.

L'angelo è generoso e soccorre prima di essere pregato; chi, invece, indugia nel prestare aiuto è maligno.

Bisogna salire presto, prima che giungano le tenebre!

Sul primo gradino, l'angelo cancella un'altra P dalla fronte di Dante; ed esalta i pacifici.


vv. 70-105 Scende la sera; brillano le stelle; Dante giunge stanco nella 4^ cornice. Non si ode nulla. In questa cornice, si ripara l'amore non completamente diretto a Dio.


L'amore è:


  o naturale (istintivo), che non erra mai

  o liberamente scelto (d'animo). Questo può tendere:


  verso il male;

  verso cosa buona, ma con tropo vigore;

  verso cosa buona, ma con fiacchezza.


L'amore indirizzato a Dio, e quello giustamente limitato verso altri beni, è lodevole.

Se esso si piega al male, o smodatamente si volge verso le cose, o si dirige debolmente a Dio, è peccaminoso.

Amore è dunque fonte di virtù e di vizio.


vv. 106-139 Nessuno odia se stesso (nemmeno il suicida che ritiene la morte migliore della vita).

Le creature unite a Dio, e da Lui mantenute in vita, non possono odiarLo, perché, per Lui, esistono.

L'uomo, quindi, può odiare solo il prossimo, in tre modi:


  desiderandone la rovina per poter eccellere (superbia);

  augurandone il male per non essere superato nei beni e nella fama (invidia);

  ardendo di vendicare l'offesa ricevuta (ira).


Questi tre tipi di colpa si scontano nelle prime tre cornici.

L'uomo aspira a Dio per quietare il proprio animo, ma, se questo amore è fiacco, pecca di accidia (punita nella IV cornice).

L'amore esagerato per i beni terreni, si espia nelle ultime tre cornici.



CANTO 18°


vv. 1-74 Dante desidera sapere in che cosa consista l'amore che è fonte di bene e di male, ma evita di chiederne la spiegazione a virgilio, temendo di infastidirlo. Ma Virgilio se ne accorge e gli consente di parlare con franchezza.

L'inclinazione all'amore è una tendenza naturale.

Non ogni amore è degno di lode, anche se è lodevole l'inclinazione ad amare.

Dante ha capito cosa sia l'amore, ma non capisce perché l'anima, dirigendosi verso cosa esterna, per impulso naturale, meriti pena o premio.

Virgilio chiarirà il problema con i mezzi forniti dalla ragione; al soprannaturale, penserà Beatrice.

L'anima ha in sé una potenza istintiva che si palesa solo nell'azione; perciò, non si conosce l'origine delle prime conoscenze e dei primi movimenti naturali pe i quali non c'è merito né colpa.

A questi istinti si oppone la prudenza che vigila e distingue il bene dal male.


vv. 67-75 I filosofi, scoprendo il libero arbitrio, lasciarono dottrine morali per l'uso di questa libertà. Ne parlerà anche. Beatrice.


vv. 76-102 La luna, spuntata sulla mezzanotte, offusca le stelle, correndo verso occidente. Virgilio tace, Dante, soddisfatto, è vinto dal sonno che, però, dilegua, al sopraggiungere degli accidiosi.

Gli accidiosi, eccitati come le turbe invase da Bacco, avanzano spronati, per il contrappasso, da buon volere; la loro avanguardia grida esempi di zelo: Maria che visita Elisabetta; Cesare che, domata Marsiglia, procede per soggiogare Ilerda, nella Spagna.


vv. 103-129 Invito al bene operare che stimola la grazia divina.

Virgilio prega le anime perché indichino il cammino.

L'abate di S. Zeno, vissuto al tempo del grande Barbarossa, invitando Dante ad unirsi alla sua schiera, predice la fine prossima di Alberto della Scala che impose come abate di S. Zeno il figlio illegittimo e zoppo: Giuseppe. Dante ascolta, e non dimenticherà!


vv. 130-145 Due accidiosi gridano esempi di accidia punita: gli ebrei indolenti al seguito di Mosè, morti nel deserto, senza vedere la terra promessa; i compagni di Enea, rimasti in Sicilia, vinti dai disagi.

Allontanatesi le anime, la mente di Dante, non fissa più in alcun pensiero, vaneggia, fino a che gli occhi si chiudono nel sonno.



CANTO 19°


Quinta cornice avarizia


vv. 1-36 All'alba una donna ripugnante (avarizia, gola, lussuria) appare in sogno a Dante che, man mano, ne subisce il fascino, poiché la megera si trasforma in una bella sirena.

Ma S. Lucia ne mostra la putredine, e prima di andarsene, muove rimproveri a Virgilio che non è stato sollecito nell'evitare il maleficio operato dalla maliarda. Dante si sveglia.

Virgilio invita Dante ad alzarsi, e a dirigersi verso la prossima cornice.


vv. 37-51 Mentre il sole illumina tutto il Purgatorio l'effetto della visione precedente si fa sentire ancora nella mente di Dante che cammina curvo e pensieroso.

L'angelo della sollecitudine, quindi, invita i poeti ad entrare nella cornice successiva, e predica la beatitudine che si addice agli accidiosi "Beati quelli che piangono, perché saranno consolati".


vv. 52-145 Richiesto perché cammini pensieroso, Dante ne indica il motivo nel sogno avuto e Virgilio conferma che la mostruosa donna è il simbolo dei vizi che si espiano nelle utlime tre cornici del Purgatorio e, all'esortazione ad affrettare il passo, Dante, sollecito, raggiunge la quinta cornice.

Vi sono gli avari che, stesi bocconi, a terra, in fievoli lamenti condannano l'avarizia.

Virgilio chiede la via per salire nell'altra cornice. "A destra", risponde una voce.

Dante desidera parlare con l'avaro che ha dato l'indicazione, e Virgilio acconsente.

Gli avari giacciono bocconi perché furono attaccati ai beni della terra.

E' papa Adriano V, dei conti di Lavagna, solo per trentotto giorni pontefice. Eletto papa, si liberò dell'avarizia, preso da amore ardente per i beni celesti. Paga, ora, la colpa del vizio antico, secondo la legge del contrappasso: col corpo aderente alla terra, immobile, fin quando Dio vorrà.

Sta per inginocchiarsi Dante, riverente, ma il papa lo distoglie, professandosi suo confratello in Dio.

Nell'altra vita, gli onori terreni non valgono più!

Papa Adriano, desideroso di piangere per purificarsi, congeda Dante, raccomandandogli di procurargli suffragi dalla nipote Alagia, unico esempio di virtù nella famiglia.



CANTO 20°


vv. 1-9 Il papa Adriano V ha interrotto il colloquio con Dante per riprendere la penitenza. Dante ha dovuto cedere! I due poeti riprendono, quindi, il cammino lungo la roccia.


vv. 10-15 Invettiva contro l'avarizia (lupa) e invocazione del liberatore che la ricondurrà all'Inferno: "Sii tu maledetta, o avidità che sei antica quanto gli uomini, che induci al male più di tutti gli altri vizi, a causa della tua fame insaziabile oltre misura! O cieli [.], quando verrà il Veltro per opera del quale essa sarà cacciata dalla terra nell'Inferno?".


vv. 16-84 Un'anima di questa cornice esalta alcuni esempi di povertà e di generosità: Maria che partorì in una stalla; Caio Fabrizio che non si lasciò corrompere dai Sanniti; S. Nicolò che dotò tre giovanette, per sottrarle al vizio.

All'anima che esalta questi esempi, Dante chiede chi sia, promettendo in cambio suffragi. E' Ugo Capeto, il quale dice a Dante che risponderà alla sua domanda non perché spera di ottenere qualcosa da lui, ma per la grazia straordinaria che Dio gli ha concesso facendogli fare un viaggio nel regno ultraterreno. Ugo, prossimo a volare in cielo, è capostipite dei Capetingi, causa della corruzione del mondo.

Da Ugo, i discendenti: i vari Luigi e Filippi. Figlio di un beccaio, ascese al regno quando Carlo di Lorena, ultimo dei Carolingi, si fece frate. I discendenti furono onesti fin quando Carlo I d'Angiò ottenne la Provenza.

Carlo II d'Angiò mercanteggiò il matrimonio di sua figlia, sposa di Azzo VIII d'Este. Tanto può l'avarizia!


vv. 94-96 Ugo invoca la vendetta divina.


vv. 97-123 Di giorno, gli avari esaltano esempi di povertà; di notte, gridano esempi di avarizia punita: Pgmalione uccisore di sicheo; l'insensato re Mida; Acàn lapidato con i suoi perché rubò le spoglie di Gerico; Anania e Safira che morirono al rimprovero di San Pietro; Eliodoro cacciato dal tempio; Polinnestore uccisore del cognato Polidoro; Crasso ucciso dai Parti.

Non solo Ugo, ma tutte le anime esaltano, di giorno, la povertà e la liberalità.


vv. 124-151 Appena ripreso il cammino, un terremoto scuote la montagna del Purgatorio, come se essa stesse per precipitare. Dante ne è terrorizzato.

Le anime innalzano l'inno di gloria a Dio "Gloria a Dio nell'alto dei cieli", mentre i poeti rimangono immobili e dubbiosi.

Il cammino riprende,mentre Dante arde dal desiderio di conoscere la causa del terremoto e del canto dei purganti.



CANTO 21°


vv. 1-6 Dante brama conoscere la causa del canto di gioia delle anime, ma prova compassione per la pena degli avari, benchè giusta.

vv. 7-13 Uno spirito, apparso all'improvviso come Cristo risorto sulla via di Emmaus, saluta cortesemente i poeti.


vv. 14-36 Virgilio gli rivolge l'augurio di volare presto in Paradiso, che a lui è negato. Lo spirito rimane stupito del fatto che Virgilio, essendo un'anima del Limbo, abbia potuto accedere al Purgatorio.

Virgilio gli fa quindi sapere che a Dante, che appartiene al mondo dei vivi, è consentito andare in Paradiso, ma, vivo com'è, ha bisogno di guida, e lui, Virgilio, ha proprio quel compito.

Virgilio chiede a quello spirito la causa del terremoto che si è verificato poco prima. Ed è proprio ciò che vuole sapere Dante. La domanda di Virgilio penetra quindi nel desiderio di Dante con la stessa precisione con cui il filo penetra attraverso la cruna dell'ago.

In Purgatorio tutto avviene secondo leggi immutabili, ma i fenomeni tellurici e atmosferici (pioggia, neve, vento, arcobaleno, terremoto) si verificano fino all'ingresso del Purgatorio.


vv. 58-72 Il terremoto da poco avvertito è stato segno dell'avvenuta purificazione di un'anima pronta al volo; il grido è il segno di gioia per la conquistata libertà, e di lode al Signore (l'anima purificata dichiara di aver trascorso in questa cornice più di 500 anni; mentre in seguito, Purg. XXII vv. 92-93, dichiarerà di aver trascorso altri 400 anni nella cornice degli accidiosi).


vv. 73-102 Dante è soddisfatto, insieme a Virgilio. E' contento come chi prova tanto piacere nel bere quanto più la sete è grande.

L'anima purificata è quella di un poeta, vissuto sotto Tito, quando Gerusalemme fu distrutta per vendicare la morte di Cristo. Tolosano ebbe onori a Roma: è Stazio, l'autore della Tebaide e dell'Achilleide, rimasta incompiuta. Fu ispirato dall'Eneide virgiliana e, se Stazio avesse potuto conoscere Virgilio, volentieri, ora, sosterebbe un altro anno in Purgatorio.


vv. 103-136 Virgilio fa cenno di tacere, ma un sorriso balena sul viso di Dante, come chi fa un cenno d'intesa. Stazio ne chiede il motivo e Dante si trova in difficoltà, finchè Virgilio gli da il permesso di parlare. Così Dante risponde dicendo che ha sorriso alludendo a Virgilio, da lui, Stazio, esaltato.

Stazio si inchina per abbracciare le ginocchia di Virgilio, trattando le ombre come se fossero corpi consistenti e dimenticando l'inconsistenza corporea di esse.



CANTO 22°


Sesta cornice golosi


vv. 1-24   Accompagnato dalla benedizione angelica, liberato di un'altra P, Dante segue i poeti (Virgilio e Stazio) che lo precedono.

Virgilio, nel Limbo, ha saputo da Giovenale dell'affetto che Stazio ha per lui, e lo ricambia sinceramente come amico. Si meraviglia però, perché Stazio sia stato avaro.


vv. 25-30 Quando non si conosce la verità, sorge l'equivoco.


vv. 31-48    Non avaro, ma prodigo fu Stazio, e ne ha pagato il fio con 500 anni di espiazione, nella V cornice insieme agli avari.

Virgilio lo ha liberato dalla prodigalità con l'invito a usare la ricchezza a fini buoni. Molti, invece, si danneggiano per ignoranza.


vv. 49-93 Per il contrappasso, la colpa si cancella: Stazio è stato nella cornice degli avari, ma da prodigo!

"Mentre componevi la Tebaide -osserva Virgilio- tu non avevi la fede cristiana! Come potesti, dunque, seguire S. Pietro?".

Virgilio ispirò la poesia di Stazio e poi, gli fu lume per la conversione, con la IV bucolica annunziante l'era messianica. Poeta, dunque, e cristiano, ad opera di Virgilio!

Gli apostoli avevano già diffuso il cristianesimo e Stazio, per l'annuncio virgiliano, avvicinò la nuova setta, pianse per la persecuzione di Domiziano, fu battezzato, ma, per paura non palesò la fede: per questo è rimasto nella 6^ cornice, per più di 400 anni!


vv. 94-114 Chiede, quindi, notizie di Terenzio Afro, di Cecilio Stazio, di Plauto e di Lucio Vario.

Virgilio risponde che costoro, lui stesso, Persio, Omero, Euripide, Antifonte, Simonide e Agatone sono nel Limbo a ragionar di poesia. Ci sono anche Antigone, Deifile, Argia, Ismene, Isifile, Manto, Teti e Deidamia con le sue sorelle.


vv. 115-129 Alle undici i poeti, voltando sempre a destra, arrivano nella 6^ cornice. Dante ascolta i discorsi dei due antichi poeti.

Un albero, con i rami disposti a cono rovesciato, irrorato di acqua fresca, incuriosisce i poeti, mentre una voce invita alla temperanza.

Esempi di temperanza:

Maria alle nozze di Cana: non si preoccupava della propria bocca, ma pensava a provvedere che le nozze fossero onorevoli e complete;

Le antiche donne romane: per dissetarsi si accontentavano dell'acqua;

Il profeta Daniele: spregiò cibo e acquistò sapienza;

La prima età del mondo: nell'età dell'oro fame e sete resero saporose le hiande e dolce come nettare l'acqua dei ruscelli;

S. Giovanni Battista: si nutrì di miele selvatico e di cavallette, e fu glorioso e grande.



CANTO 23°


vv. 1-39 Virgilio invita Dante a non indugiare sotto l'albero.

Un canto di gioia e di dolore intonano le anime che, in fretta, avanzano dietro i poeti e li superano e si girano a guardarli con stupore. Sono ridotte pelle e ossa.

Dante pensa alla fame sofferta dagli ebrei, durante l'assedio di Gerusalemme.

Occhi infossati, viso affilato!


vv. 40-90 Dal fondo degli occhi, un'ombra fissa Dante e si meraviglia di vederlo in Purgatorio. Distrutto nel fisico, è riconoscibile dal timbro della voce: è Forese Donati che vuole sapere di Dante e dei due poeti che sono con lui.

Davanti all'amico sfigurato dalla fame, Dante ha voglia di piangere, non di parlare. Forese dice: "Acqua e frutti fanno dimagrire le anime che, come Cristo sulla croce, godono di soffrire per purificarsi".

"Se Foreste fu goloso fino al momento della morte, com'è che, morto solo da cinque anni, è già in Purgatorio?".

La fedele moglie Nella lo ha aiutato con i suffragi, vietandogli la sosta nell'Antipurgatorio.


vv. 91-111 Similitudine della Barbagia di Sardegna. Nella è esempio unico di bontà tra le impudiche fiorentine! Tra non motlo, dal pulpito delle chiese, si predicherà contro il loro malcostume che ha superato l'indecenza delle saracine.

Le raggiungerà presto la vendetta divina, prima che cresca la barba a un bambino, che ora è consolato dalla ninna nanna della mamma.


vv. 112-133  Preghiera a Dante, perché spieghi la sua presenza in Purgatorio.

E' molesto il ricordo del traviamento passato. Dante ha iniziato ieri il pellegrinaggio della redenzione, accompagnato da Virgilio che gli sarà al fianco fino al Paradiso Terrestre, dove Beatrice prenderà il suo posto. L'altro è Stazio, la cui purificazione ha provocato il terremoto.



CANTO 24°


vv. 1-42  I poeti e Forese camminano veloci, tra la meraviglia delle anime.

Stazio per essere vicino a Virgilio, indugia, anziché volare! Dante chiede dov'è Piccarda e se ci sono anime degne di nota.

In Paradiso, risponde Forese, e indica poi, col dito Bonagiunta, papa Martino IV che fu goloso divoratore di anguille.

Gli spiriti godono di essere indicati. Tra essi: Ubaldino della Pila, il vescovo Bonifazio Fieschi, Marchese degli Orgogliosi molto indulse al bere.

Dante, però, osserva Bonagiunta mentre mormora "Gentucca" e lo invita a parlare.


vv. 43-48  Terza profezia dell'esilio: una donna, ora giovanetta, accoglierà Dante esule, a Lucca. I dubbi di Dante saranno chiariti dalla realtà.


vv. 49-51  Bonagiunta vuol sapere se sia davanti a sé l'autore della canzone: "Donne che avete intelletto d'amore".

Dante risponde: "Canto ispirato ed esprimo i moti intimi del cuore".

Buonagiunta nota la profonda differenza tra la Scuola siciliana, toscana e quella del "dolce stil novo", cui Dante appartiene, capace di rendere vivo il sentimento e lucida la forma. Poi, tace contento di aver finalmente risolto un dubbio.


vv. 64-105  In fila, come le gru in volo, le anime, distolto lo sguardo da Dante, in fretta, riprendono il cammino. Forese, stanco, chiede quando potrà rivedere Dante. Dante dice che desidera morire perché Firenze va sempre più verso il male e la rovina.

La causa di tanta degradazione morale è Corso Donati che morirà fuggiasco cadendo da cavallo. Forese si congeda da Dante, scomparendo con la velocità del cavaliere che vuole distinguersi in giostra. Dante lo segue con lo sguardo e con la mente, finchè incontra un altro albero.


vv. 106-126  Sostano, sotto di esso, anime bramose che, non esaudite, se ne vanno, mentre una voce esorta all'astinenza.

Esempi di golosità punita: i centauri alle nozze di Piritoo, gli ebrei che non si trattennero dal bere, nonostante il divieto di gEdeone, ma da Gedeone respinti quando discese i colli, marciando contro i Madianiti.


vv. 127-154  Proseguono poi per un miglio, senza parlare.

Li riscuote la voce dell'angelo della temperanza che li indirizza verso la prossima cornice, il suo splendore abbaglia gli occhi di Dante. Dante sente un dolce colpo di vento colpirlo in mezzo alla fronte, e sente proprio muoversi l'ala dell'angelo, che lo avvolge di un profumato nembo d'ambrosia.

Con la leggerezza, dunque, del vento l'ala dell'angelo cancella dalla fronte di Dante la VI P, esaltando la virtù dell'astinenza.



CANTO  25°


settima cornice lussuriosi


vv. 1- 51 Sono le due del pomeriggio e i poeti, in fila indiana, salgono sulla scala.

Bramoso di chiedere, Dante si trattiene finchè, incoraggiato da Virgilio, domanda come le anime, che non hanno bisogno di nutrimento materiale, possano dimagrire.

Stazio chiarirà il problema.

Con il rispetto del discepolo dinanzi al maestro, Stazio, inizia il ragionamento che Dante capirà, se lo seguirà con attenzione. Il sangue che non viene assorbito dalle vene e rimane integro come un cibo che sia portato via dalla mensa non toccato da alcuno acquista nel cuore la virtù di dare sostanza e natura alle membra così come il sangue che circola nelle vene ha la facoltà di nutrire le vene e di trasformarsi in esse. Il sangue modificatosi in seme, unitosi a quello della donna, attraverso la matrice, quello maschile infonde a quello della donna, la virtù informativa, producendo il coagulo.


vv. 67-108  Quando nel feto il cervello ha raggiunto la perfezione, Dio infonde l'anima razionale che diventa unica fonte dell'attività umana.

Ammantata di un corpo aereo, l'anima diventa visibile, munita di tutti gli organi della sensibilità, e quindi, piange, ride, dimagrisce.


vv. 109-135  I poeti camminano sull'orlo della 7^ cornice, per evitare le fiamme, entro cui ardono i lussuriosi che recitano l'inno: Dio di infinita clemenza.

Esempi di castità:


parole attestanti la castità di Maria, che, allorquando l'arcangelo Gabriele le annunciò la maternità, rispose: <<Come è possibile ciò, dal momento che io non conosco uomo?>>.

Diana: la dea per conservarsi casta visse fra le selve, dilettandosi solo della caccia. Per questo scacciò una delle sue ninfe, Elice, sedotta da Giove.


Così il fuoco distrugge il peccato di lussuria.



CANTO  26°


vv. 1-66   Camminando tra le fiamme e il margine esterno della cornice, Dante proietta ombra, e le anime gli chiedono come mai ciò sia possibile, quasi fosse ancora vivo. Uno spirito, in particolare, ha osservato Dante: lo ha visto camminare lentamente, con rispetto, dietro Virgilio e Stazio, e lo prega di appagare la sua curiosità e quella di tutte le altre anime meravigliate della sua consistenza fisica, come se ancora non fosse caduto nei lacci della morte.

Dante sta per rispondere ma è trattenuto dall'arrivo di una schiera che avanza in senso opposto (sodomiti).

Scontrandosi, le anime si baciano. Allontanandosi, gridano esempi di lussuria: Sodoma e Gomorra, urlano i lussuriosi secondo natura; Nella vacca entra Pasife., i sodomiti.

Le anime vogliono la risposta di Dante.

Per grazia divina, dice Dante, compio da vivo un pellegrinaggio di redenzione. Chiede poi, chi siano le anime che l'interrogano, e quali quelle dell'altra schiera.


vv. 73-90  Beato Dante che, da vivo, visita l'oltretomba! La schiera opposta è dei sodomiti; l'altra, dei lussuriosi che assecondarono l'istinto, così come fanno le bestie, senza freno.


vv. 91-135  Guido Guinizelli si presenta a Dante che vorrebbe avvicinarlo e abbracciare il caposcuola degli stilnovisti, ma è trattenuto dalle fiamme. Guinizelli gli chiede perché lo stimi tanto. Per il valore delle tue poesie, risponde Dante, che dureranno tanto, quanto la lingua italiana. Guinizelli afferma che Arnaldo Daniello vale più di lui, ed è anche superiore a Girard de Borneil, a torto esaltato dagli stolti: proprio come avvenne per Guittone d'Arezzo, finchè non trionfò la verità.

Guinizelli implora suffragi da Dante e poi si tuffa tra le fiamme.


vv. 136-148  Dante è pronto ad ascoltare Arnaldo Daniello che volentieri comincia a parlare.

Al cortese invito, gentilmente risponde Arnaldo Daniello che soffre con gioia la pena del fuoco; condanna la vita trascorsa nel peccato; si conforta con la felicità che l'attende. Dante preghi per lui! Poi scompare nelle fiamme.



CANTO  27°


vv. 1-33  Sono le sei antimeridiane, a Gerusalemme; è mezzanotte a Cadice; è mezzogiorno al Gange; tramonta il sole nel Purgatorio.

L'angelo pronuncia la VI beatitudine "Beati i puri di cuore!" e invita ad entrare tra le fiamme. Dante si spaventa terribilmente. Lo conforta Virgilio: il fuoco tormenta, non uccide! Non brucia nemmeno un capello. Se ne può fare esperienza, avvicinando la veste alle fiamme. Ma è inutile che Virgilio gli ricordi di averlo soccorso in circostanze difficili, come quando, insieme, cavalcarono, nell'Inferno, il mostro Gerione. Dante non si lascia convincere!


vv. 34-69  Di là è Beatrice, aggiunge Virgilio.

Allora Dante guardo Virgilio che se lo trascina dietro. Virgilio sorride. Ormai i tre poeti sono al di là della barriera del fuoco.

Arsura terribile investe Dante, ma Virgilio lo sostiene, ricordandogli Beatrice.

Un angelo, dalla luce abbagliante, invita: "Venite, o benedetti del mio Padre!" Ed esorta ad affrettare il passo, nell'imminenza del tramonto.

Scompare il sole, appena saliti i primi gradini della scala.


vv. 70-108  I poeti si coricano sui gradini; Virgilio e Stazio vegliano, mentre Dante, guardando le stelle, più splendenti e grandi del solito, si addormenta.

Sogno di Dante: poco prima dell'alba, vede una donna giovane e bella che raccoglie fiori. E' Lia (vita attiva) che si prepara una ghirlanda, mentre Rachele (vita contemplativa) si specchia continuamente: come questa gode nel contemplarsi, così l'altra nell'adornarsi.


vv. 109-126  Alle prime luci del giorno, gradite al pellegrino che si avvicina alla patria, Dante si sveglia, mentre Virgilio e Stazio sono già levati.

Virgilio annuncia che il Paradiso Terrestre è vicino, e Dante, lieto, sale rapido la scala.


vv. 127-142  Ultime parole di Virgilio: la sua opera di guida è finita: "Hai visto, o figlio, il fuoco transitorio del Purgatorio e quello eterno dell'Inferno; sei venuto nel Paradiso Terrestre dove io con le mie sole forze non posso discernere più oltre. Io t'ho condotto fin qui pensando e sperando; ormai lasciati guidare da ciò che ti piace; sei fuori d'ogni difficoltà. Vedi il sole.. Vedi l'erbetta, i fiori. Ti puoi sedere e puoi andare tra essi finchè verrà Beatrice, colei che mi fece venire da te a salvarti nella selva. Non aspettare più la mia parola né il mio cenno: il tuo volere è ormai libero, rivolto al bene, e integro.: perciò io ti corono signore e guida di te stesso".



CANTO  28°


vv. 1-21 Ecco il Paradiso Terrestre nella selva meravigliosa, impregnata del profumo dei fiori, ristorata da zefiri che accarezzano le foglie, tra il cinguettio degli uccelli che salutano il ritorno della luce.


vv. 22-69   Avanzando nella foresta, Dante finisce sulle rive di un fiumicello dalle acque trasparentissime tanto che le acque più limpide sulla terra sembrerebbero contenere impurità. Si ferma e, guardando oltre, vede una bella donna.

Pregata di avvicinarsi, la donna, a passi brevii, con gli occhi abbassati, si avvicina a Dante, che ne percepisce più distinto il canto. E' Matelda, e avanza a piccoli passi. Guarda Dante come una fanciulla che abbassi pudicamente lo sguardo.

Giunta a tre passi di distanza, sollevai suoi occhi splendenti.


vv. 70-75 Il ruscello, largo appena tre passi, vieta a Dante di avvicinarsi di più, e per questo lo odia. Matelda sorride per le meraviglie create da Dio e si dice pronta a soddisfare le domande di Dante.


vv. 76-144 Dante chiede quale è la causa del vento e dell'acqua. Ma Matelda, per liberare Dante dall'errore che gli ottenebra la mente, risponde: Dio creò l'Eden per l'uomo che vi rimase poco, a causa del peccato originale.

Il monte sale tanto che, dalla porta del Purgatorio in su, si sottrae alle perturbazioni atmosferiche.

Il movimento dei 9 cieli genera vento che, colpendo la selva, fa stormire le piante, ne diffonde i semi che giungono anche nella nostra terra, e vi generano alberi ceh nessuno pianta; i frutti del Paradiso terrestre non si trovano in nessuna parte della terra.


L'acqua dell'Eden non nasce da una fonte alimentata dalla pioggia che è vapore condensato dal freddo, ma emana da dio e si riversa in due ruscelli: il Letè che toglie la memoria del peccato, e l'Eunoè che suscita il ricordo del bene.


vv. 145-148 Sorridono soddisfatti Virgilio e Stazio, e Dante rivolge lo sguardo a Matelda.



CANTO  29°


vv. 1-36  Finita la spiegazione, Matelda intona dolcemente come una donna innamorata e conclude con queste parole: "Beati quelli i cui peccati sono stati perdonati!". Poi si dirige contro la corrente del fiume, mentre Dante la segue dall'altra sponda e ascolta da lei l'invito a far attenzione a quello che apparità.

Si diffonde una luce intensa come quella del lampo accompagnata da soave melodia, e Dante rimprovera, dentro di sé, Eva che, con il suo peccato, privò gli uomini di tante gioie.

La luce acquista il colore del fuoco e la melodia si muta in canto.


vv. 37-42  Invocazione alle Muse: al monte Elicona (sede delle Muse) e ad Urania (scienza delle cose celesti) Dante chiede aiuto, impegnato a cantare argomenti difficili.


vv. 43-84  La processione simbolica: la aprono, al canto dell'Osanna, sette candelabri che brillano come la luna piena.

Dante è stupito, e così Virgilio. Matelda esorta Dante a guardare anche il seguito.

Avanzano dietro alle vive luci, come se fossero guide, personaggi biancovestiti; nell'acqua si riflette l'immagine di Dante che si ferma e guarda la luce dei candelabri che si leva in cielo con il colore dell'arcobaleno e del cinto lunare, entro lo spazio di dieci passi.


vv. 85-105  Ventiquattro seniori, coronati di fiordaliso, cantano le lodi della Madonna: "Benedetta sii tu, o Maria, tra le donne discendenti da Adamo, e benedetta sia per tutta l'eternità la tua bellezza!".

Li seguono subito dopo, così come nel movimento del cielo una costellazione prende il posto di quella che la precede, quattro animali (come i vangeli), ognuno dei quali cinto di una corona di verdi fronde e fornito di sei ali, come dice San Giovanni nell'Apocalisse, mentre Ezechiele ne attribuisce quattro a ogni animale.


vv. 106-154  Nello spazio tra questi 4 animali, vi è un carro (chiesa) tirato da un grifone (Cristo) con le due ali tese al cielo, fra i lati del candelabro centrale.

Con un carro così bello non solo i Romani non allietarono il trionfo di Scipione l'Africano o quello di Augusto, ma nemmeno il carro del Sole che, deviando dal suo cammino per l'imperizia di Fetonte, fu colpito con un fulmine da Giove, che accolse le preghiere degli uomini terrorizzati dal fatto che la terra fosse incendiata. Vicino alla ruota destra del carro, danzano in giro tre donne (virtù teologali): la Carità (rossa, come il fuoco), la Speranza (verde, come smeraldi), la Fede (bianca, come neve).

Vicino alla ruota sinistra, 4 donne (virtù cardinali: temperanza, giustizia, fortezza e prudenza) seguite da due vecchi (l'apostolo, dottore S. Luca, e S. Paolo, armato di spada).

Seguono 4 personaggi umili (scrittori di epistole sacre) e, da ultimo, un vecchio dormente (S. Giovanni autore dell'Apocalisse): tutti biancovestiti, ma senza corona, sfavillanti di carità.

Al rombo di un tuono, la processione si ferma.



CANTO 30°


vv. 1-21 Quando i sette candelabri si fermarono, i 24 seniori (gente verace), che si trovavano fra essi e il grifone, si arrestarono, volgendosi verso il carro, mentre uno di essi, come designato dal cielo, intonò: "Scendi, o sposa, dal Libano", seguito dagli altri.

Come risorgeranno i beati nel giorno del Giudizio finale, così, dal carro, si alzano tanti angeli, alla voce del grande vecchio, cantando il: "Sii benedetto tu che arrivi!" e gettando gigli a piene mani.


vv. 22-54 Attraverso una leggera nebbia, si può fissare il sole nascente; attraverso una nuvola di fiori, sparsa dagli angeli, appare una donna Beatrice) biancovestita, ornata di verde e di rosso ( i tre colori delle tre virtù teologali).

Dante che, da dieci anni, non aveva più avvertito il senso di religioso stupore della passione amorosa, ne risente, ora, la formidabile potenza.

Subendo gli effetti della presenza di Beatrice, Dante si volge con fiducia a Virgilio per rivelargli la trepidazione d'amore, ma Virgilio è scomparso e, nonostante le bellezze dell'Eden, Dante piange.


vv. 55-108  Piangerai per ben altro motivo, aggiunge Beatrice, e in lei, incoronata di rami d'olivo, rigida e altera, fissa lo sguardo Dante per ascoltare il rimprovero delle proprie colpe.

Dante si vergogna e si commuove, mentre gli angeli intonano: "In te, o Signore, ho sperato".

Al canto compassionevole degli angeli, il gelo del cuore di Dante si scioglie in sospiri e pianto.

Gli angeli che vedono in Dio il presente, il passato, il futuro, possono misurare l'adeguatezza delle parole di Beatrice alle colpe di Dante.


vv. 109-145  I benefici influssi dell'insondabile provvidenza divina che, in un animo buono, producono effetti mirabili, non furono accolti da Dante, assomigliato, qui, ad un terreno ubertoso, ma inselvatichito perché non coltivato, e pullulante di erbe maligne.

Le esortazioni di Beatrice finirono quand'ella morì, perché dante si volse alla filosofia, inseguendo false immagini di bene; né lo distolsero le buone ispirazioni impetrate da Dio: fu, perciò necessario trarlo dal traviamento con il pellegrinaggio nell'oltretomba, sotto la guida di Virgilio, pregato da Beatrice.

Dante, per sentire il beneficio delle acque del Letè, deve, ora, piangere.



CANTO  31°


vv. 1-75 Beatrice, rivolta a Dante, esige aperta confessione delle colpe imputategli, ma Dante non riesce ad articolare parola. Beatrice insiste, e Dante riesce ad emettere un sì tanto debole che si percepisce solo dal movimento delle labbra. In fievole pianto, Dante confessa il suo traviamento, alla morte di Beatrice. Il pianto di Dante merita il perdono di Dio. Per evitare altri traviamenti, Dante ascolti ora dove avrebbe dovuto rivolgersi, dopo la morte di Beatrice.

Proprio la caduca bellezza terrena di Beatrice doveva allontanare altre lusinghe dal cuore di Dante, ammaestrato a non cadere più nelle insidie.

Vergognoso come un bambino, con somma difficoltà, Dante adulto riesce a guardare con fronte alta la faccia di Beatrice.


vv. 76-117    Gli angeli non spargono più fiori; Beatrice guarda il grifone, e appare più bella di quanto non lo fosse in vita.

Dante sente orrore delle proprie colpe, tanto che cade come tramortito, ed ha riconoscenza per Beatrice che lo ha redento dal peccato.

Matelda immerge nel Letè Dante che si ritrova, al canto del Mi aspergerai.

Anche la sua testa è tuffata nelle onde.

Le 4 donne (virtù cardinali) lo tirano fuori dal fiume, quali ancelle di Beatrice, e lo invitano a contemplarne gli occhi. Affermano, poi, che le tre virtù teologali matureranno ancora di più l'acutezza visiva di Dante, per renderla adatta a cogliere la verità rivelata e, quindi, a godere la felicità del Paradiso.


vv. 118-145  Negli occhi di Beatrice giungono gli influssi del grifone con immagini sempre nuove.

L'anima di Dante gusta virtù soprannaturali, mentre le tre virtù teologali, avanzanti in danza, pregano Beatrice di mostrare a Dante il balenante sorriso della sua bocca.

Nemmeno il poeta più esperto e più dotato di fantasia descriverebbe lo splendore di Beatrice, che, liberatasi del velo, trionfa con la sua bellezza divina.



CANTO  32°


vv. 1-48 Le tre virtù teologali distolgono Dante dalla contemplazione di Beatrice, ma il suo occhio, come abbagliato dal sole, non distingue nulla.

Riacquistata un po' la vista, Dante vede volgere a destra la processione e il carro alla cui destra si dispongono: le tre virtù teologali, Matelda, Stazio, Dante stesso, mentre le 4 virtù cardinali si affiancano alla ruota sinistra. Il grifone muove il carro senza scosse vioelnte, ad indicare che il suo divino insegnamento non muta.

I 24 seniori passano davanti a Dante, Stazio e Matelda prima che il carro volga il timone per tornare indietro.

Lungo la selva disabitata per il peccato di Eva dopo uno spazio uguale a tre tiri di saetta, Beatrice scende dal carro; mormorando il nome "Adamo", tutti circondano un albero altissimo, privo di foglie, ed esaltano il grifone che non ne lacera il legno, ma ne rispetta l'integrità, come fondamento di ogni giustizia.


vv. 61-108  Dante ne è sopraffatto, e si addormenta, rinunciando a descrivere gli effetti del sonno.

Una viva luce e l'invito "Che fai?" risvegliano Dante. Si risveglia accanto a Matelda che indica Beatrice seduta ai piedi dell'albero, mentre il grifone torna in cielo.

Dante non sente altro, e vede Beatrice come se fosse stata lasciata lì a guardia del carro, contornata dalle sette virtù (teologali e cardinali), reggenti i sette candelabri.

Beatrice dice a Dante che poco tempo rimarrà nel Paradiso terrestre, perché destinato con lei eternamente in Paradiso, la città divina. Lo invita pertanto ad osservare le metamorfosi del carro per descriverle per il bene degli uomini della terra che vivono nel peccato.

Dante ubbidisce umilmente ai suoi ordini.


vv. 109-160 Un'aquila colpisce il carro con violenza, per cui questo si piega come una nave colpita da tempesta.

Una volpe (l'eresia) insidia il fondo del carro, ma Beatrice (la teologia) la mette in fuga.

Un'aquila riempie di piume il carro (donazione dei beni temporali alla chiesa), mentre si leva un grido di disapprovazione.

Un drago infila la sua coda (scisma) nel carro e se ne trascina dietro un pezzo, mentre il resto del carro è ricoperto, in uno spazio di tempo inferiore ad un sospiro, dalle penne nate dai beni temporali, donati con buona intenzione da Costantino.

Dagli spigoli e dal timone del carro, così trasformato, spuntano 7 teste cornute. Un essere mostruoso mai visto!

Sul carro siede sicura una meretrice (la curia romana), dallo sguardo impudico.

Vicino alla sgualdrina, un drudo che la bacia (Filippo il Bello) e, geloso che gli sia tolta, la percuote, scioglie il carro e, con lei, fugge attraverso la selva.



CANTO  33°


vv. 1-33  Le 7 ninfe (virtù cardinali e teologali), vedendo lo strazio della Chiesa, intonano lacrimando, "O Dio, vennero genti"; Beatrice partecipa al loro dolore e, rossa in viso, profetizza il rinnovamento della Chiesa.

Seguiti dalle sette ninfe, Dante, Stazio, Matelda, Beatrice si allontanano dal carro; Beatrice invita Dante a farsele più vicino e lo esorta a rivolgerle domande.

Preso da riverenziale timore, Dante dice che Beatrice conosce i suoi desideri, ma è invitato a vincere la vergogna e il timore, così da non parlare più come un uomo che parla nel sonno.


vv. 34-51  La sede di Avignone, i papi degeneri (dice Beatrice) aspettino immancabile vendetta.

Un imperatore degno (Dux) tornerà sul trono, ucciderà la ladra (chiesa che usurpa i diritti dell'impero) e il gigante (re di Francia).

Presto i fatti chiariranno l'oscura profezia, senza i danni subiti dai Tebani, dopo che edipo risolse l'enigma della Sfinge.


vv. 52-102  Riveli Dante come l'albero sia stato due volte devastato (dall'aquila e dal gigante), con offesa a Dio; chè l'albero esprime la volontà di Dio.

Per l'offesa fatta a Dio, Adamo sostò per più di 5000 anni nel Limbo.

L'albero della scienza del bene e del male, alto e a forma di cono rovesciato, indica il divieto divino di toccarlo. Questo ricordo, se non nitido, almento in immagine, rimarrà nella mente di Dante.

Dante non ricorda di essersi allontanato dagl'insegnamenti di Beatrice, perché ha bevuto l'acqua del Letè che produce l'oblio delle colpe. Beatrice parlerà, d'ora in avanti, sì da essere capita da un intelletto umano.


vv. 103-  E' quasi mezzogiorno; le sette ninfe si fermano come guide che incontrano novità; sostano all'ombra, vicino a due fiumi uscenti dalla stessa fonte, e poi si dividono lentamente come due amici.

A Beatrice Dante chiede che fiumi siano: nati da una stessa fonte e, poi, divergenti. Risponde Matelda, affermando di averne già parlato a Dante il quale, fra tente novità, ha dimenticato le cose dette.

L'acqua dell'Eunoè gli ravviverà la memoria.

Matelda è pronta, e invita Dante e Stazio a seguirla.

Dante vorrebe dilungarsi per esprimere la dolcezza dell'acqua dell'Eunoè, ma ne è impedito dallo spazio fissato per il Purgatorio. Il bagno nell'Eunoè lo ha reso degno di volare in Paradiso.
















































































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