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Giovanni Pascoli - VITA, Pascoli e la Critica

letteratura italiana



Giovanni Pascoli


VITA

Allievo di Carducci, e suo successore alla cattedra di Bologna, nasce nel 1855, dopo la metà del secolo, a S.Mauro di Romagna: anche lui non è un cittadino. Quarto di 10 fratelli -cosa alquanto inusuale allora- suo padre era al servizio della famiglia Torlonia (era amministratore della Tenuta).

Comprendere e conoscere il versante biografico del Pascoli è importante, soprattutto per capire le sue poesie.
Dal 1862 va in collegio ad Urbino, nel 1867 muore suo padre (Cfr. "Il Ritratto" CC). Il dramma ascritto  alla morte del padre costituisce il punto d'inizio, l'archetipo da cui poi prenderà origine tutta l'intera vita del poeta ("lo sparo").

Sembra che in quell'anno, la famiglia Pascoli sia perseguitata da un'ala nera: infatti, mentre Giovanni continua la carriera accademica, una successione inesorabile di lutti costella "Il nido di Forlotti". Tutto ciò assurge ad un'immagine sacra, quasi martirizzata: una diaspora familiare.



Giovanni, nonostante ciò, pare seguire la sua strada: va a Firenze, dagli Scolopi, a frequentare il liceo classico: è qui che s'instilla tutta la cultura classica che si ritroverà nelle sue poesie. Vinta una borsa di studio, va all'università di Bologna, dove diviene allievo del Carducci. Qui, conoscerà anche Severino Ferrari. In questi anni, Pascoli si lascia andare alla sua voglia di sobillare, di protestare contro la politica. E sarà sbattuto anche in prigione, in seguito alla composizione di un'ode contro l'attentatore del Re. E' questo il periodo del Pascoli populista, assai vivo in quegli anni, forse anche perché aveva avuto l'idea di essere stato maltrattato: abbiamo quindi un riversamento dalla sfera interiore al mondo esteriore. Coadiuvato molto dal Carducci, nel 1882 si laurea con una tesi su Alceo, in seguito diventa professore liceale a Matera: un'esperienza vissuta drasticamente.

Non dimentica però il suo proposito principale: ricostruire il nido famigliare. Egli così va a riprendere le sorelle, Ida e Maria, che erano ospiti di alcune zie. Gli anni della "ricostruzione" sono quelli più felici, anche perché tutto sembra funzionare: lascia così Matera a si trasfer 818h73i isce a Livorno. Ha già iniziato anche a pubblicare qualche poesia - sui periodici e per i matrimoni. In questo periodo egli tenta di fidanzarsi, ma questo tentativo sarà osteggiato dal cerchio delle sorelle. Intanto, nel '91 esce "Myricae": una raccolta estremamente complicata dal punto di vista editoriale (infatti, ad ogni edizione cambiava l'ordinamento dei componimenti e ne aggiungeva di nuovi).

Pascoli entra così in contatto con gli ambienti più prestigiosi della lingua nazionale: ad esempio, "La Cronaca Bizantina", rivista romana dove il poeta in questione conobbe D'annunzio, con cui intreccerà una frequentazione lontana (vista la loro diversità sociale).

Quando Pascoli però entra in contatto con questo aggressivo mondo letterario inizia ad avere dubbi su di sé (soprattutto, circa il suo status di poeta).

Nel frattempo, ha iniziato a vincere un concorso ad Amsterdam sulla poesia latina (svariatissime volte) e, utilizzando i molteplici premi, si compra una casetta a Castelvecchio: il traguardo del nido ricostruito. Questa idilliaca serenità, però, viene seriamente compromessa da una "catastrofe": Ida si sposa (anche se poi si renderà conto di aver commesso un errore).

E' scontato constatare che ognuno, avvicinandosi a questo nucleo quasi irreale,  percepisce una forte, quasi opprimente, vischiosità parentelare .

In seguito, viene nominato ordinario di letteratura a Messina (cfr. "Sorella" MY) e continua a pubblicare. Escono poi i "Poemetti", nel 1903 i "Canti di Castelvecchio" e, un anno dopo, i "Poemi Conviviali". Altre opere saranno "Odi e Inni" e i "Carmina".

Nel 1905, dopo aver insegnato a Pisa, arriva a conquistare il posto del Carducci: non riesce ad inserirsi però poiché l'ambiente universitario gli va stretto ed inoltre, si sente schiacciato dall'ombra del suo mostro.

Pascoli si trova così costretto a vivere con la sorella Maria: vestale del fratello, sempre pronta a cacciare via qualunque ipotetica "rivale". Ecco perché abbiamo tutto del Pascoli, perché la sorella ha conservato tutto, se pur con qualche taglio.

Le ultime opere pascoliane sono dei libri falliti, così come la vita: un uomo teso ad essere quello che non è. E quando il Pascoli si veste di panni non suoi diventa raccapricciante, quasi comico: "La Grande Proletaria si è mossa" ne è un esempio, volta ad esaltare la tragica impresa coloniale.

Baldacci, nel suo saggio, ritiene che sia proprio lui il primo, vero, proto- fascista della nostra letteratura, in quanto risponde a delle piccole esigenze che si sono poi trasfuse nell'ideologia littoria.

Muore nel 1912 di cirrosi: una vita infame; un poeta straordinario.

Pascoli e la Critica

Mai un poeta, da diversi secoli a questa parte, è riuscito ad attirare l'attenzione dei critici migliori (hanno scritto almeno un libro di Pascoli). Ma perché?

Veniva riconosciuta nella sua poesia una piccola rivoluzione che, senza ombra di dubbio, avrebbe aiutato le generazioni future. Pascoli è un pre crepuscolare, un pre simbolista; un autore capace non solo di dipingere poeticamente "quadretti bucolici" ma di elevare la sua poesia ai più alti livelli (basti pensare alla filosofia indiana, positivista, all'introduzione della psicologia).
Il grande estimatore del Carducci, alias Benedetto Croce, guarda Pascoli con una certa diffidenza: ai suoi occhi appare un "piccolino che fa piccola poesia". 
Dopo la sua morte, però, tutti (e dico tutti) si occuperanno di Pascoli- cosa che offuscherà la fama del Carducci-. Tra questi critici sono da annoverare Emilio Cecchi, il romagnolo Renato Serra, Boggese, De Benedetti (che lo definì "una rivoluzione inconsapevole") e così via.

Nessuno, però, scrive prima della sua morte, perché il problema della poetica pascoliana è costituito dalla lingua Con pascoli, insomma, non si avrà mai un giudizio improrogabile. Inoltre, egli è stato un grande ammiratore del Carducci: ma mentre il primo è il poeta della "salute", Pascoli è il cantore del disagio e della sconfitta (non troveremo mai, infatti, nella produzione di rilievo pascoliana un atteggiamento paragonabile al virulento periodo giambico del Carducci).


Gianfranco Contini e "Il Linguaggio di Pascoli"

Negli anni '50, si arriva ad una svolta della critica pascoliana. Gianfranco Contini, infatti, tiene un discorso a Castelvecchio di Barga , intitolato "Il Linguaggio del Pascoli". Egli sostiene che la vera rivoluzione Pascoli l'ha fatta col linguaggio. Contini identifica 2 tipologie di poeti:

Poeti Monolinguisti: sono coloro che usano volutamente un linguaggio uniforme (Petrarca: la cui poesia è ridotta ad un unico linguaggio).


Poeti Polilinguistici: poeti che usano un linguaggio differenziato, come ad esempio Dante: il polilinguismo dantesco sta nel rifiutare una canonizzazione linguistica. E tra questi, è da annoverare anche il nostro Pascoli.


Secondo Contini, Pascoli attinge da svariati vocabolari dialettali con i quali infarcisce tutte le sue poesie. Inoltre, sono presenti dei linguaggi speciali, costituiti per lo più da termini tecnici relativi alla vita culturale. Una cosa va detta, il linguaggio del Pascoli è tutto fuorché monotono.

Due sono gli aspetti linguistici presenti nel Pascoli:


Linguaggio Post- Grammaticale: uso dei linguaggi specifici e termini gergali ("Italy").







Linguaggio Pre- Grammaticale: interiezioni, esclamazioni, onomatopee. Connotato dalle imitazioni dei suoni delle cose. Questo linguaggio, già presente ne "Gli Uccelli" di Aristofani, sarà presente anche in Pasolini e Zarzotto.



Questi due linguaggi sono in comunicazione tra loro, e tendono a fondersi. Ciò è spiegato dal fatto che certi elementi a- grammaticali [Ch'io] finiscono col semantizzarsi e diventare particelle grammaticali [Anch'io].  Ecco, quindi, che certe trame si svelano, ecco che si inizia a penetrare nel profondo dell'intricato mondo pascoliano. In apparenza, Pascoli la rivoluzione linguistica pascoliana può sembrare piccola, ma in realtà questa è una delle trasformazioni più colossali per la poesia italiana. Il poeta apre degli spazi sconfinati, dove poi prenderanno vita i movimenti poetici del futuro 900 poetico italiano. Una rivoluzione inconsapevole, certo, anche se il Pascoli ne era più che certo.




Pascoli Simbolista

Pascoli si muove anche in parallelo con le nuove esperienze letterarie europee: Il Pascoli simbolista è incarnato dal poeta delle "Myricae" e, ancora di più, dei "Canti Di Castelvecchio".

Edoardo Sanguineti, che realizzò una famosa antologia edita da Einaudi nel 1970, identifica nel pascoli il poeta della piccola borghesia italiana, la quale non vedeva l'ora di rinnegare la sua radice rurale e contadina. E quindi, sempre secondo il Sanguineti, il poeta romagnolo è stato un "fabbricatore di  macchinette per lacrime" . Il Pascoli non fa altro che ricordare la pietà primitiva e delirante per i defunti: in preda ad uno stillicidio senza fine. E' quasi paragonabile ad un culto, una venerazione per la ctonia tribù. Facendo ciò, egli coinvolge i suoi lettori, allargando la loro piccola visuale. Anche in questo caso, i possibili lettori si dividono. Ed è anche vero che il Pascoli è il sintomo di una nuova realtà storica che, a differenza del suo mentore, non richiama il popolo alle antiche glorie, esecretando invettivamente l'ambiente risorgimentale. Il richiamo pascoliano si erge su una base: più semplice, quasi banale, che però ha una risonanza immane, poiché evoca la cosa che accomuna tutti gli esseri umani: la morte e il dolore.

Sanguineti, inoltre, vede nel Pascoli 2 anime: il poeta sperimentatore, caratterizzato da un forte dinamismo, affiancato dal poeta patetico, bloccato in una staticità. Ovviamente, l'anima da "sperimentatore" è quella che apporta le più grandi innovazioni, specie e soprattutto, al linguaggio.


Ci sono varie posizioni circa la "linea capitale" della produzione pascoliana:

Linea "Myricae" / "Canti di Castelvecchio"

Linea "Myricae" / "Poemetti" (Baldacci)

Vicende Famigliari (Garboli: il quale ha "montato" la produzione pascoliana a proprio piacimento, in un'edizione dei meridiani.

Le "Myricae"

Le "Myricae" sono viste come il libro migliore di Pascoli. Ma che senso ha dire questo?
Sono poesie corte; dei lampeggiamenti; poesie di tipo paesaggistico dove il personaggio si tiene abbastanza in disparte (cosa che non accade, invece, nei "Canti"). Sono poesie legate all'aspetto del
fonosimbolismo :ossia, l'associare i suoni ad un significato che però non è espresso. C'è sempre, nelle poesie myricee, un susseguirsi di collegamenti tra suono e senso, e la scelta fonica, talvolta, prevale su quella semantica.
Questo libro cambia in quegli anni, e racchiude in sé un intento velleitario: sembra quasi che sia stato falsificato l'intento iniziale dell'opera. Se si guarda l'indice, infatti, c'è una poesia distaccata dalle altre, "Il Giorno Dei Morti". Racchiude, in un certo senso, tutta l'opera e si fa portavoce dell'importanza di questo taglio funebre(come se l'unico nido possibile fosse quello sotto terra, dove tutta la famiglia si ricompone). E' quindi presente  anche il tema del
pianto, non solo dei vivi, ma anche dei morti.

La citazione iniziale, che poi sarà usata anche all'occhiello dei "Canti",  è una scelta dichiarata dell'autore: egli vuol cantare temi e cose umili ("humus"), ma riferisce il suo intento citando un illustre poeta latino. Le poesie, quindi, sono arbusti (come le tamerici): piccole, brevi, collocate in un mondo campestre fatto di piccole (ma non minimali) cose.
Il pascoli, così facendo, riesce ad ottenere, ossimoricamente parlando, il
sublime in basso non è detto che le umili tamerici sviluppino un'idea piccola e ridotta della poesia; tutt'altro, Pascoli tocca l'integralità della poesia

Quando il Pascoli smetterà di cantare i temi agresti, passerà a temi più vasti, ascritti ad una visione cosmica dove collocare questo simbolismo. Lo stile delle Myiricae, il più delle volte, è comunque di tipo nominale. E ciò sarà alla base dei crepuscolari, ad esempio Govoni.

Queste poesie corrispondono ad un'idea prevalente nel '900: la poesia non deve essere esplicita, ma fatta togliendo il superfluo (Ungaretti). Non è tanto la brevità ad influire, ma lo spessore del non detto.  E ciò corrisponde ad un'idea molto alta di poesia: la poesia pura. Attraverso questa sinteticità, almeno nella poesia del Pascoli, si vuole sempre esprimere qualcos'altro.
Si può dire che questo procedimento si avvicina all'
analogia: lo stabilire connessioni tra elementi molto simili fra loro. Non è una similitudine (il "Così" / "Come" tende a sparire infatti). Questo sarà anche alla base di alcune avanguardie, come ad esempio il Futurismo.

Quindi, mettendo in relazione tra loro due termini che magari sono in antitesi, molto probabilmente si vuole stabilire un legame più profondo, più elevato della semplice similitudine.


L'opera, è suddivisa in gruppi:

v    Il Giorno Dei Morti: Introduzione programmatica

q   Dall'alba al Tramonto: In estate, il poeta cattura dei momenti che vanno dal risveglio mattutino sino al crespucolo (momento topico soprattutto nei "Canti"). Sono presenti in questa sezione poesie come "Patria"; "Illusioni e Speranze"

q   Ricordi: comprende le più antiche poesie myricee, legate per lo più a impressioni e ricordi giovanili. I componimenti sono forse un po' troppo Carducciani ["Rio Salto"], ma sono presenti anche poesie legate al ricordo della madre ["Anniversario"].

q   Creature: racchiude immagini di bambini sofferenti e ignari della loro sorte. Emerge in questo gruppo poetico il tema del "nido

La Civetta

q   Le Pene del Poeta: con le "Gioie del Poeta" costituiscono un insolito manifesto estetico. In questa parte viene messo in luce il mancato appagamento del poeta, conscio che la forma è sempre inferiore all'idea.

q   Ultima Passeggiata: sul finire dell'estate, il poeta compie l'ultima passeggiata prima del ritorno in città e ne trae fuori una serie di quadretti realistici, che però nascondono significati ben più profondi.["Lavandare"] ["La Via Ferrata"]. E' la sezione più legata alle altre, essa è stata pubblicata svariate volte, sempre arricchita. Essendo stata pubblicata come opuscolo è da considerarsi come un poemetto indipendente. Le poesie, non a caso, seguono la forma del madrigale e il Pascoli si rifà proprio a quello antico, tipico del Petrarca. Quest'ultima parte è una sorta di contemplazione: una passeggiata che passa attraverso vari quadretti (piacque infatti a D'annunzio e Carducci). E' una poesia di cose, descritte attraverso un'economizzazione poetica. Il linguaggio è infarcito di termini colti e basato sulla paratassi.

Dialogo: narra di un ipotetico dialogo tra rondini e passeri. Se le prime adorano volare alte nel cielo, gli altri preferiscono le cose comuni, che soddisfano e allietano l'animo come nessun'altra. Importante soprattutto per l'uso del linguaggio a- grammaticale.

Nozze: posizione strategica per questo componimento, in cui il poeta è paragonato all'usignolo ed entrambi danno il loro canto per nulla, nonostante l'altra schiera di poeti e lo spietato pubblico.

q   Le Gioie del Poeta: proseguimento del manifesto estetico, dove vengono esaltate le virtù del poeta.

q   Finestra illuminata: serie di madrigali, legati tra loro da un unico tentativo del poeta: rivelare il mistero di una finestra illuminata che egli guarda nella notte.

Solitudine: mette in risalto il contrasto fra la città e la campagna, sino ad arrivare alla conclusione che l'affanno dell'uomo non è altro che un lontano ronzio per chi è conscio della vanità della vita e cerca la pace.

Campane a sera: il suono delle campane livornesi riporta il poeta ai tempi dell'infanzia trascorsa ad Urbino.

q   Elegie

Ida e Maria

q   In campagna: quadretti anche questi, che ritraggono scene di vita campestre. Vi sono inclusi componimenti come "L'assiuolo", "Temporale". E' una sezione dove ci sono delle poesie che stanno ad indicare un tema che sarà sviluppato in seguito: l'indeterminato, la ricerca del non detto.

q   Primavera

Germoglio: come i germogli spariscono in autunno, anche i nostri sogni sono destinati a svanire.

q   Dolcezze

q   Tristezze

Il Bacio Del Morto

La Notte dei morti

I Due cugini

q   Tramonti

q   Il Cuore del Cipresso

q   Alberi e Fiori: poesie d'occasione che propongono immagini vegetali le quali poi assurgono ad un valore simbolico più profondo

Colloquio: si ricollega ad "Anniversario": il poeta parla con la madre, sino ad arrivare a tranquillizzarla della sua condizione.

In Cammino: si riallaccia al tema del "pellegrino", ossia ogni uomo.

Ultimo Sogno



Pascoli e il 900

Queste poesie corrispondono ad un'idea prevalente nel '900: la poesia non deve essere esplicita, ma fatta togliendo il superfluo (Ungaretti). Non è tanto la brevità ad influire, ma lo spessore del non detto.  E ciò corrisponde ad un'idea molto alta di poesia: la poesia pura. Attraverso questa sinteticità, almeno nella poesia del Pascoli, si vuole sempre esprimere qualcos'altro.
Si può dire che questo procedimento si avvicina all'
analogia: lo stabilire connessioni tra elementi molto simili fra loro. Non è una similitudine (il "Così" / "Come" tende a sparire infatti). Questo sarà anche alla base di alcune avanguardie, come ad esempio il Futurismo.

Quindi, mettendo in relazione tra loro due termini che magari sono in antitesi, molto probabilmente si vuole stabilire un legame più profondo, più elevato della semplice similitudine.



Poesie analizzate

Rio Salto - MY- Ricordi

Il tema è quello del ricordo infantile provocato dalla lettura di poemi cavallereschi. E' un sonetto.
E' una rappresentazione di un sogno, di una visione o comunque di una fantasticheria.
Il vento, ancora una volta, partecipa all'emblema "movimento", sul quale si erge tutta la poesia. E' presente inoltre una contemplazione della visibilità sia auditiva che significativa.

I Puffini dell'Adriatico - MY- Ricordi

Contestato per l'eccessivo uso pittorico (non a caso, sembra un quadro) e lo smoderato compiacimento decorativo.

Le cose parlano ed abbiamo così un linguaggio del mondo. La poesia coglie in sé un momento (particolare); inoltre, la presenza umana è fuori dalla poesia, è solo percezione (chi ascolta, infatti, non viene menzionato nella poesia). Si catturano così dei fotogrammi e si prende poi in esame ognuno di questi.

La Civetta - MY-

E' una poesia che rientra nel versante più oscuro delle "Myricae", non volta al tema mortuario, bensì a quello della premonizione mortuaria. Si lega alle tematiche del neo- gotico e ad altri autori (Arturo Groff). Quindi, c'è si un Pascoli simbolista, ma più propenso al nero. La poesia è intessuta su una serie di echi che si ripercuotono in tutto il suo decorrerre, anzi sembrano fungere anche da legante per le varie strofe.

Si riscontra l'uso della parola "nido": un locus protetto, al riparo da tutto ma, almeno in questo caso, in pericolo perché addormentato .

Il "forse" è usato per instillare nel lettore una sorta di incertezza, di mistero, nonostante quella pascoliana sia una poesia nomenclatoria.

Le ultime 2 strofe iniziano con la parola "morte", poiché il Pascoli dà  una spiegazione, una risposta alle sue paure.

Quest'abitudine a prendere in considerazione l'inconoscibile, velato di una minaccia che incombe, avrà una grande fortuna nella letteratura.

Di Lassù- MY- Ultima Passeggiata

Il punto di vista, in questo componimento, non è nemmeno più quello della macchina da presa, ma dell'allodola, che vola alto e da lassù vede come appare il mondo ad un'altezza così vertiginosa. Negli ultimi 2 versi, entra in scena la figura del contatido, in cui si prefigura un futuro di raccolte abbondanti per questa sua fatica.

La Via Ferrata - MY

Nel componimento sussiste una simmetria assoluta tra 2 elementi:

la via ferrata

il telegrafo

Nell'ultima quartina ci si sofferma sul suono di ciascuno dei 2 elementi: abbiamo anche in questo caso una grande apertura pittorica che fa apparire Pascoli come un grande paesaggista.

Il treno non viene mai nominato (un po' come nel carducciano "A Satana"), è quindi una specie di protagonista occulto della poesia. Questo elemento è introdotto grazie ad un'accumulazione di vocaboli che hanno un'evocazione sia semantica che espressiva: agiscono quindi sul piano fonoespressivo. Nell'ultima strofa, infine, abbiamo una sorta di paragone mancato, intessuto sull'analogia.

L'assiuolo - MY- In Campagna

I meccanismi costitutivi di questa poesia ricorrono spessissimo nella produzione pascoliana. E' presente il tema della visione impedita: la nebbia e la caligine,infatti, impediscono al poeta di vedere lontano.

Abbiamo oggetti, posti in primo piano, delineati  e perfettamente riconoscibili [piano determinato], ma collocati su uno sfondo vago[piano indeterminato] ("Dov'era la luna?").

Sintagmi come "Alba di Perla" "Nebbia di Latte" sono frequentissimi nella poesia pascoliana. E questo è molto rilevante, in quanto l'autore non ha usato l'aggettivo ma il sostantivo.

Tutta la poesia è eretta sul contrasto fra determinato ed indeterminato:  lo sfondo e la luna. E' una poesia dove i suoni arrivano ad impulsi, come segnali.

Ogni strofa si chiude con "chiù", il verso dell'uccello che da il titolo alla poesia, inoltre questo elemento è sempre in rima col penultimo verso che lo precede.

Molto spesso, le onomatopee sono in relazione con altre parole non onomatopeiche. Il "chiù" è forse ricollegabile alla poesia di Poe "Il Corvo"(letta sicuramente dal Pascoli) che, alla fine di ogni parola, riporta le parole "never more".

La I° strofa è prevalentemente visiva.

Nella II°, invece, prevale l'indistinto, accentuato anche dalla presenza della nebbia che non permette di vedere cosa c'è sullo sfondo. Il termine "cullare", ricollegabile a "nido", è legato a questo concetto dal verso successivo: qualcosa si muove tra le foglie ed è riparato da queste.

La III° strofa è il punto, soprattutto dove c'è la parentesi, dove viene messo in risalto cosa veramente sta dietro: c'è qualcosa, ma non viene detto e questo "mistero" è enfatizzato anche dall'uso dei puntini di sospensione. Le porte non si aprono più: cioè, non è possibile stabilire un contatto tra morti e vivi e ciò è enfatizzato dalle porte e il cancello.

Un accenno anche ai "sistri", usati dagli antichi egizi durante i ridi della dea Iside, la quale ridava vita ad Osiride, sotto la luna.

Novembre - MY

Anche questa poesia è incentrata sul tema delle grandi domande, con la quale si cerca di dare una risposta ai più grandi interrogativi del mondo.

Prevale lo stile nominale ed un forte uso dell'interpunzione: quest'ultima agisce sulla metrica, tanto da agevolare il ritmo, ma è anche capace di ostacolarlo e modificarlo. E' basata sull'inganno dei sensi, le percezioni, una realtà contraddittoria: il problema di percepire il mondo.

Si parte da una situazione iniziale di chiarezza (l'aria, il sole) tanto che si sente nel cuore l'ardore del biancospino. Abbiamo poi, però, un brusco passaggio: tutto è vuoto, sia il terreno che il cielo.

L'ultima strofa si incentra sul tema di una predominanza auditiva: il silenzio pervade tutto ciò che c'è intorno. L'ultimo verso, almeno fonicamente, somiglia quasi ad una lapide che seppellisce la poesia e tutto ciò che sta intorno.

Il Lampo- MY

La poesia si apre con una rivelazione, la quale coinvolge il cielo e la terra: il lampo.

E il cielo e la terra, in questo caso, divengono un tutt'uno.

La terra è colta come preda di un tragico travaglio.

Questa poesia è stata scritta ripensando  alla morte del padre: un uomo, in agonia, ferito, apre gli occhi nel bel mezzo della notte ed ha davanti ai suoi occhi questa visione apocalittica.

Il ricordo del padre è legato soprattutto alla "casa", la quale appare nella notte come un'apparizione fantasmatica. Ma la casa è anche un occhio che guarda noi, mentre noi la guardiamo.

L'occhio è il sipario oscuro del mondo che, appena vede questa orrende visione, si chiude all'improvviso.

Canti di Castelvecchio

Vedono la luce nel 1903, data in cui esce anche "Alcyone" di D'annunzio. Pascoli è già famoso e con quest'opera pare stabilire un collegamento più che diretto con le "Myricae": e ciò è convalidato dallo stesso autore, con la citazione all'occhiello dell'opera, che rimane la stessa. Però, nonostante i libri nascano sotto questa insegna, finiscono poi col divergere, tanto che i "Canti" saranno assimilabili più ai "Poemetti" anziché alle "Myricae".

E' un libro che, come l'Alcyone, racconta un anno intero (D'annunzio, racconterà l'estate). Entrambi, quindi, prenderanno il calendario in esame. L'opera si spingerà più in là, rispetto alle poesie myricee, visto che le tendenze saranno riprese a lungo dall'autore.

Il Gelsomino Notturno

Chi cerca il Pascoli simbolista, lo troverà sicuramente in questo componimento.

In questa poesia si parla di sesso, ovviamente, a modo del Pascoli. Ed egli è comunque un poeta che conduce la poesia su due piani, ed è la sua prerogativa far giocare l'epitalamio in questione su questi due livelli.

Già l'occasione parla da sola: sono queste delle poesie unite in opuscoli nuziali, usati in veste celebrativa, ma anche in veste di "dono".

Il gelsomino è una poesia che  è intessuta sul gioco fra "dire" e "non dire": sulla reticenza e l'allusione. Il componimento è reso in uno stile molto dotato, tipico delle tendenze di fine secolo.
Il tutto è nascosto sotto una serie di correlativi esterni che sono apparentemente neutri.
E' un episodio di voyeurismo pascoliano , che gioca sul piano dell'esterno e quello dell'interno: una doppia vicenda.

Il primo e il secondo verso di ogni strofa hanno l'accento sulla 2°,5° e 8° sillaba; il terzo e il quarto, invece, sulla 3°,5° ed 8°.


La "E" iniziale presuppone un artefatto: c'è quindi un qualcosa a cui il poeta si riallaccia. La poesia si apre sull'apertura, come se si aspettasse qualcosa.

Da non sottovalutare anche il momento, topico per la poesia pascoliana: la notte: una notte che, pur essendo il momento riservato al ricordo dei defunti, rappresenta il sommovimento interiore, la scossa dell'anima. Si crea quindi, già all'inizio, un sistema duplice: chi vive la poesia e chi guarda.


"Sono Apparse": è una sorta di magia. Le farfalle crepuscolari, di colore scuro,  con un volo lento e malinconico, appaiono tra i viburni. Sono creature che danno un
effetto misto: sono protagoniste del crepuscolo, ma contribuiscono anche alla fecondazione dei fiori.


Qualcosa sta per nascere

 
"Si tacquero i gridi": si passa adesso ad un aspetto auditivo, dove c'è un accumulazione di silenzi. Da ricordare anche che non vengono mai nominati gli esseri umani che popolano la "casa".

Si tacquero i gridi

 
La casa bisbiglia
 

Qualcuno sta per addormentarsi

 

Mondo Notturno

 









L'acme della poesia si raggiunge nel sintagma "dai calici aperti si esala": in cui il gelsomino apre i suoi fiori e manda per l'aria un odore simile a quello delle fragole rosse. La vita quindi inizia a nascere rigogliosa sulle fosse (le tombe) e quindi è presente il solito contrasto tra morte e vita la vita dalla morte trae nutrimento.

"Chioccetta": rappresenta le Pleiadi. E quindi, c'è un paragone tra il mondo rurale e il cielo che diventa un pollaio. Questa è una sinestesia (le stelle, ammassate l'una accanto all'altra, sembrano dei pulcini). Sono queste delle metafore rassicuranti, in quanto rapportano il grande al piccolo, il lontano al vicino. Il microcosmo, congiunto al macrocosmo.


La tecnica con cui viene descritta la vicenda è quasi cinematica: "Passa un lume su per la scala".


"E' l'alba": siamo tornati al punto di partenza. I fiori sono un poco gualciti, perché durante la notte c'è stato un travaglio. "Si cova dentro l'urna" sta ad indicare sia l'ovario del fiore, che il grembo della madre; mentre il "non so che" si riallaccia ancora una volta all'emblema dell'indeterminato.


Il I° verso è un novenario sdrucciolo. Ma non rima con segreta, non è una rima infatti. "li", infatti, si attacca al verso successivo.

PETALI

LISI COVA

SEGRETA


Canti di Castelvecchio Il ritorno a S.Mauro

Inizialmente, questo corpus finale, doveva uscire separatamente. Infatti il poeta aveva intenzione di pubblicare anche i "Canti di S.Mauro", dove avrebbe rivisitato il luogo della sua infanzia consacrandogli, proprio come è accaduto per Castelvecchio, un intera serie di poesie.

La pubblicazione di questi componimenti nasce inizia, sottoforma di un opuscolo per le nozze della figlia del sindaco di S.Mauro.

Il Pascoli, però, ritornava al suo luogo natale col pensiero e dopo un po', i Canti Di S.Mauro, non videro la luce.

Ci resta però questa parte, acclusa ai "Canti di Castelvecchio".

Le poesie che precedono questa parte, infatti, Sono paragonabili a degli affreschi che esemplificano la tragedia del pascoli: da "La Cavalla Storna" a "Il Ritardo", tutte incentrate sul dramma del Pascoli giovane.

Il "ritorno" nasce dalla presa di coscienza che ciò che è stato distrutto non può essere sostituito da nient'altro: resta una sensazione di vuoto, di fallimento interiore. E' possibile, quindi, solo rivisitare i "fantasmi", entrare in contatto con loro.

L'input che porta alla composizione del "Ritorno" si trova ne "Il Ritardo": si parla del nido di 2 rondini che tornano alla loro dimora quando è già inverno. C'è un ritorno alla memoria: una memoria fallibile, però, che rischia di sopraffare la realtà; la logica. E' un ricordo che si percepisce, ma in modo diverso.

La memoria è come una gloria (Garboli) che gli fa perdere l'identità e lo porta al di fuori delle normali dimensioni spazio- temporali.
E nel "Ritorno", parla un Pascoli che è simile ad uno spettro, prigioniero di un maleficio che lo richiama al luogo del misfatto.

C'è l'incertezza sul dove si è, già presente in "Patria", c'è una vita immaginaria, anziché una vita vera.

L'estraniazione da se stessi, si ritrova anche in "Giovannino", dove è presente il tema del Doppio.

In "Ritorno a S.Mauro" c'è anche il tentativo di commistionare tra loro le 2 anime pascoliane: quella garfagnina e quella romagnola. Ciò porta all'apertura di una ferita, di un dramma.

Le Rane

E' la poesia di un ritorno. Pascoli, per motivi di lavoro, torna in Romagna e poi (sempre in compagnia delle sorelle) va a S.Mauro. La prima parte è caratterizzata da una forte incertezza, nella II°, invece, è presente il ritorno al passato. Una prigione dischiusa in cui si rischia di rimanere intrappolati e non uscirne più.

Questo viaggio è compiuto da un "Io" pieno di ferite.

E tornare a S.Mauro dimostra che tutto è rimasto uguale. Questo è ciò che rende spettrale questa sezione: poiché S.Mauro non esiste, non c'è più.

La poesia si apre con la ripetizione, molto forte, del sintagma "ho visto" impressione fortissima, dettata dalla visione del rosso, un colore allarmante.

La Tessitrice

La protagonista della poesia non è reale, ma un'immagine che ha in sé le suggestioni di donne diverse. Certo, anche in questo caso, c'è un ritorno al mondo adolescenziale (In Romagna), dettatto dall'innamoramento, se pur abbozzato, nei confronti di questa figura femminile. La poesia risente molto delle figure leopardiane di Silvia e Nerina.

La poesia è fatta di doppi quinarfi, divisi a metà da una pausa molto forte.

La poesia è permeata dal silenzio e ciò sta a simboleggiare un rapporto impossibile tra i due: nasce così una comunicazione gestuale. Il pianto diventa quindi l'unico segnale comunicativo tra i 2, le lacrime sostituiscono le parole, sono il vettore emozionale.

Le rime, inoltre, ricorrono più frequentemente rispetto alla media. Ciò contribuisce a dare quell'impressione di cantilena (canto facile, popolare, abbastanza memorabile).
Essendo fuori dal tempo e dallo spazio, la poesia è bloccata, e questo blocco tocca sia la protagonista, che il poeta.

La tessitrice è bloccata nel ricordo del poeta, e vive sono quando entra in azione il suo ritorno al passato (purgatorio memoriale).

L'unica azione visiva è costituita dalle lacrime: il tutto è un mondo ridotto, minimalista, dove ogni cosa è esemplificata dall'essenzialità.

E' una porta, angosciosa, che il poeta apre sull'aldilà.

Quando tutto sarà finito, la tessitrice dormirà, sepolta accanto alla tomba del poeta (ancora una volta, la morte vista come unico sollievo).

C'è però una nuova concezione: il ricordo non ridà la vita ai morti: la tessitrice, al termine del componimento, è morta.

Casa Mia

Incentrata sul tema de nido, di quella famiglia romagnola, subito dopo "lo sparo" (cfr "Nido di Forlotti" CC).

La ridondanza delle rime e la ripetizione di queste colloca la "casa" in una spirale temporale.

Nelle prime redazioni, questa poesia era molto più corta: mancava infatti la parte centrale.

Siamo di fronte ad un finto senso di realtà, quasi visionario, un'apparizione spettrale. Il cancello è il varco che però non viene oltrepassato durante la poesia: il simbolo dell'esclusione dal nido (in questo caso, la condizione limbica del poeta è riconducibile a quella di "Giovannino", anche lui impedito dall'oltrepassare il cancello del camposanto).

Pascoli torna a S.Mauro, ma cosa terribile è che tutto è rimasto identico come il poeta l'aveva lasciato (Garboli). Anche in questo caso le lacrime hanno una funzione espressiva.
Ci sono 3 strofe che vengono ripetute, se pur inversamente, nella parte finale del componimento.

Il linguaggio è ricco di termini comuni, abbastanza usuali. C'è un conflitto tra il principio di realtà, e il desiderio di regressione. E il principio di realtà sembra essere reclamato, se pur con un'ironia tragica, dalla Madre morta.

Il fantasma della madre non è consolatorio, anzi, come tutti quegli spettri pascoliani, è pervaso dalla riluttanza.
Questo luogo è come l'inferno, chi varca quel cancello può finire accanto alla "tessitrice", sotto il cipresso.


Tra San Mauro e Savignano


E' la poesia che chiude il cerchio Myricae/Canti: infatti, riveste una funzione simile a quella de "Il Giorno dei Morti". Il Pascoli vuol dire che queste due raccolte sono in collegamento fra loro, e sono chiuse, in questo scrigno cimiteriale, da questi 2 cardini. Il padre gli parla dall'aldilà e lo incorona, implicitamente, poeta. Quindi, il "Giovannino" trascende nel nuovo Pascoli.




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