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LA RONDA

letteratura italiana



LA RONDA


Fino ad ora abbiamo delineato un panorama culturale intriso di novità, diversificato, vivace e tendente all'internazionale. Per apparire chiara questa scena culturale ha bisogno di evidenziarsi nella sua completezza, e per far ciò è necessario considerare due particolari tessere (capitoli 4-5 del testo di Pupino).

Il quarto capitolo del testo è dedicato alle riviste letterarie, in particolare a La Ronda. Esso riporta in apertura un giudizio di Cardarelli, nel quale l'autore sostiene che La Ronda sia una voce "letteraria" matura.

La rivista La Ronda nasce nel 1919. Fino al 1919 le riviste (tra cui La Voce) si esprimono liberamente; successivamente, invece, nel ventennio fascista la maggior parte dei letterati diventano funzionari del regime e le riviste,per sopravvivere, si isoleno in programmi di pura letteratura, scevra da coinvolgimenti politici.

Il panorama del 900 si caratterizza per la presenza di alcune riviste:

Il Leonardo del 1903,nata a Firenze;



La Voce 1908

Lacerba

La Voce

La Voce, in particolare, è una delle rivi 131i85b ste che si impone maggiormente. Essa nasce nel 1908 e muore nella sua biforcazione in Voce Bianca nel 1916. Questa rivista nasce con un progetto culturale impegnativo: essa si proponeva si saldare la frattura tra politica e cultura, favorendo la nascita del ruolo di letterato impegnato.

La prima Voce, quella di Prezzolini, è una rivista che non si dimentica il suo proposito letterario, ma che assume come suo proposito principale quello di richiamare gli intellettuali ad assumere un ruolo più impegnativo nella società. per questo motivo, la rivista affronta tematiche attuali: il problema del mezzogiorno, l'irredentismo, l'analfabetismo, l'emigrazione e l'educazione sessuale. Ciò mostra la volontà della rivista di incidere sulla società del tempo. una rivista con così ampi programmi ebbe anche problemi relativi alla gestione; La Voce accolse la produzione dei poeti più giovani, le sperimentazioni e le discussioni letterarie più disparate sul decadentismo e sulla letteratura russa. Questa apertura ce mostra la rivista diventa la ragione della sua importanza, ma anche la causa della sua scissione: nel 1914 La Voce si ramifica. Un ramo della rivista conserva il carattere vario; l'altro, La Voce Bianca (dal colore della copertina), tratterà solo di problemi strettamente letterari. Guidata dal De Robertis, La Voce bianca accoglierà nelle sue pagine le produzioni di Ungaretti, Cardarelli e Palazzeschi e si aprirà a discussioni di carattere filosofico. L'esperienza de La Voce bianca terminerà nel 1916. Sulle sue pagine scriveranno anche Bacchelli, Baldini e Serra, nomi di alcuni dei protagonisti de La Ronda.

La Ronda, a differenza delle altre riviste, quasi tutte fiorentine, nasce a Roma. Tanti critici che hanno analizzato il lavoro di questa rivista hanno polemizzato sul suo lavoro, vedendo in esso quasi un intento poliziesco.

La scelta del nome della rivista nasce dal progetto della stessa: quello si garantire l'ordine tra la letteratura del'epoca. Tuttavia questo nome era già stato adottato da molte rivista tra Genova e Livorno, per cui si potrebbe pensare ad una scelta di comodo, semplice, poco ragionata; tuttavia, guardando al panorama culturale dell'epoca, ci si rende conto che esso era caratterizzato da un grande disordine: convivevano all'epoca proposte culturali diversissime che si intersecavano tra loro in maniera caotica. Per questo, forse, la rivista si proponeva di ripristinare un ordine: l'etichetta potrebbe far sotto intender un certo controllo, ma non di certo di carattere poliziesco.

La rivista mostra, fin dagli albori, l'attenzione ad una letteratura e ad un letterato che non fossero subordinati a problemi sociali. Ciò accadeva anche ne La Voce: nonostante l'apertura a livello tematico, era fuori discussione l'autonomia della letteratura.

La Ronda viene pubblicata dal 1919 al 1922, con l'eccezione di un pubblicazione speciale nel 1923.

È chiaro che la rivista si propone un ritorno della letteratura come valore a sé stante, disimpegnata da ogni valore politico, filosofico e sociale (programma di disimpegno). Ciò comporta, ovviamente, un ritorno al linguaggio nobile, modellato sui classici e una polemica nei confronti del Futurismo, del Crepuscolarismo. Tale ritorno al classicismo non interessa solo nel linguaggio, ma è qualcosa di più profondo: è il recupero della Humanitas. La letteratura de La Ronda è una letteratura che mira alla ricostruzione morale dell'uomo. Bacchelli nel 1919, volendo evidenziare il programma della rivista, disse che gli scrittori legati alla rivista assumevano come unico dovere quello di scrivere libri belli e buoni, senza preoccuparsi di altro, lasciando ad altri esperti il compito di affrontare i problemi politici ed economici del paese. Il classicismo de La ronda si basava quindi sul rigore formale (eleganze nello stile) e nella formazione morale.

La rivista inizia ad operare nel momento in cui il fascismo inizia la sua ascesa: l'atteggiamento che la Ronda assunse nei confronti della nuova corrente politica fu molto discusso. La rivista, infatti, decise di non prendere posizioni, (anche se non rifiutò totalmente la dottrina fascista) per rimarcare la sua idea di una letteratura fine a sé stessa.

Come già accennato, la rivista accoglie polemiche nei confronti del Futurismo. Prezzolini, nel 1920 afferma che La Ronda è forse l'unica rivista letteraria che ha posto al proprio centro l'istanza dell'ordine letterario. Ordine letterario che potrebbe sembrare pura restaurazione, ma  Pupino, inserendo un saggio su La Ronda in Ragguagli di Modernità, ci dimostra che il richiamo alla nostra tradizione può valere molte valenze. Il classicismo Cinquecentesco significò l'irrigidirsi di certe regole e di certi modelli che apparvero come invalicabili agli scrittori, che si adeguavano o si avvicinavano ad esso: è questo un classicismo che non comporta innovazione. Il classicismo de La Ronda, invece, si richiamò alla tradizione, ma offrendo modelli vari, vide aprirsi la strada della letteratura ad una evoluzione. Tali modelli, infatti, non erano invalicabili, ma si proponevano solo di offrire una guida nel caos letterario per guidare gli scrittori verso una letteratura che si muova nel rispetto delle tradizioni. Ciò non significa che La Ronda promuovesse una letteratura chiusa alle novità d'oltralpe ma faccia in modo che queste siano un arricchimento e non un turbamento, uno stravolgimento della produzione italiana: la rivista si proponeva di richiamare l'attenzione sullo stile e sulla lingua facendo in modo che il recupero non fosse fine a sé stesso, ma un aiuto per proseguire in maniera ordinata.

La Ronda pone come esempio due scrittori, Manzoni e Leopardi, considerati scrittori con risonanza europea, il che costituisce un elemento importante perché il ritorno alla tradizione non diventa sinonimo di chiusura o nazionalismo. La Ronda non si propone una azzeramento del nuovo ma un ripensamento verso le nuove tendenze per non andare verso il caos: recuperare le radici ma non chiudersi nei propri confini. Come già detto, la rivista offriva come modelli Leopardi e Manzoni. Leopardi è, secondo gli autori della rivista, un autore in cui appare evidente il connubio tra modernità e innovazione: esso si nota particolarmente nei paesaggi, che sono immaginati, nelle scelte linguistiche, che non vanno verso la democratizzazione della cultura (l'autore sceglie parole antiche- ma non anticate - perché la lingua deve avere caratteristiche suggestive e non precisare).

Il classicismo della rivista è un recupero del passato per rivolgersi all'avvenire, per costruire su di un'identità nazionale il nuovo. Nel momento in cui la poesia offre Leopardi come modello, pensa all'autore in senso totale e si riferisce anche alle opere in cui egli è prosatore e non poeta (Zibaldone - Operette Morali) ed in particolare, riferendosi alla componente filosofica delle opere, gli autori della rivista notano che, quando il peso del discorso è evidente, traspare una certa stanchezza nella pagina. Leopardi è considerato modello e cultore per l'aspetto linguistico: la sua è una lingua non aperta alla modernità, ancorata alla tradizione, elegante di un'eleganza che consiste nell'indeterminato, nell'irregolare rispetto agli usi medi (parole antiche). La Ronda richiama al modello leopardiano perché esso si opponeva alle tendenze letterarie coeve (la poesia realistica e quella scapigliata, con la loro attenzione agli aspetti umili e quotidiani, avevano abbassato il tono linguistico e reso la poesia prosastica) offrendo un modello di poesia attuale, comunicativa, capace di trasmettere motivi autobiografici e esistenziali. Leopardi era considerato un autore ricco di risonanze: nella sua aggettivazione antica, affiancata a parole reali (solitario, ermo colle) si coglie una rara pregnanza di significati. La poesia di Leopardi, pur essendo elegante,è capace di rappresentare i sentimenti più profondi degli uomini di ogni tempo.

Nel 1921, al terzo anno di vita della rivista, un articolo redazionale conferma il progetto de La Ronda come rivista estranea a tutto ciò che non fosse letteratura, altissima professione di stile.

Anceschi, quando riflette sul classicismo de La Ronda, lo vede in chiave non positiva, perché sostiene che esso interruppe il fertile movimento di idee che La Voce aveva inaugurato e sostituisce ad esso l'ideologia dello stile rinunziando così a quel dibattito politico/culturale di cui l'Italia aveva bisogno. Tuttavia, se riflettiamo sulle opere degli scrittor che collaborarono con La Ronda, è evidente in esse la ricerca dello stile affiancata a fermenti di grande modernità. in Cardarelli, ad esempio, lo stile è curato, ma dalla sua poesia trapela quel sentimento di vuoto, di nulla, carico di oscure inquietudini esistenziali tipico della poesia coeva; inoltre, la frammentarietà delle espressioni ci riconduce alla frammentazione della poesia tipica dell'epoca. Il culto della forma e dello stile non significano,quindi, l'annullamento delle inquietudini dell'epoca: la classicità non diventa una gabbia ed è in ciò che risiede la modernità de La Ronda.

La Ronda, concludendo, è ritorno alla letteratura come valore a sé stante, disimpegnata, diletto, anche attraverso un linguaggio adorno, legato alla tradizione.





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