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FRANCESCO PETRARCA - Le opere in Latino

letteratura italiana



FRANCESCO PETRARCA


Le opere in Latino

Il De Vita Solitaria. È un'opera di carattere religioso e morale. Fu elaborato nel 1346 ma successivamente ampliata nel 1353 e nel 1366. L'autore vi esalta la solitudine, tema caro anche all'ascetismo medioevale, ma il punto di vista con cui la osserva non è religioso: al rigore della vita monastica Petrarca contrappone l'isolamento operoso dell'intellettuale, dedito alle letture e alla scrittura in luoghi appartati e sereni, in compagnia di amici e di altri intellettuali. L'isolamento dello studioso in una cornice naturale, secondo Petrarca, favoriva molto la concentrazione; ed è da questa sua posizione che è derivata l'espressione "umanesimo cristiano" di Petrarca.


Il Secretum. È un dialogo immaginario tra Petrarca e Sant'Agostino, fu composto fra il 1347 e il 1353. Si tratta di una meditazione religiosa e morale, ambientata durante gli anni della crisi spirituale di Petrarca acuita dalla decisione del fratello Gherardo di ritirarsi in convento. Nei tre libri che lo compongono, l'autore confessa le sue debolezze di uomo, medita sulla seduzione delle passioni terrene, sulla fragilità della volontà, sulla precarietà della vita terrena e sul problema della morte. Il Secretum è l'opera che meglio di tutte riflette la crisi interiore dell'autore; il desiderio di assaporare le gioie del mondo e il richiamo alla religione, all'importanza dei valori dello spirito. Egli si sente lacerato dall'attrazione per ciò che era "peccato" e dal bisogno di pentimento e di redenzione. Sullo sfondo della crisi di Petrarca si proietta la crisi della cultura religiosa medioevale, e il profilarsi all'orizzonte della cultura umanistica, che proponeva al centro della visione dell'esistenza l'uomo e la sua realizzazione nella vita terrena. Il tormento interiore di Petrarca è, quindi, simbolo del momento di trapasso da un'epoca a un'altra.




Le Epistulae. Sono componimenti letterari scritti da Petrarca in latino ed indirizzate agli intellettuali suoi contemporanei, ai signori, agli uomini di Chiesa. Si tratta di un patrimonio letterario fondamentale per capire la sua poetica e la funzione che egli attribuiva alla letteratura. L'Epistulae di Petrarca tracciano il ritratto ideale del letterario, che deve fare da guida agli uomini del suo tempo, ai quali offre la saggezza ottenuta attraverso la conoscenza della letteratura latina.


Le opere in Volgare

Petrarca scrisse in lingua volgare solo due opere, il Canzoniere, la raccolta di liriche, e i Trionfi, un poema allegorico. Petrarca era convinto che fosse il latino la lingua letteraria per eccellenza. Ma allo stesso tempo si rese conto che non era più possibile proporre opere in latino. Il vol 515c26f gare invece costituiva una risorsa linguistica nuova e dava la possibilità di raggiungere forme espressive d'elevato valore artistico.


Il Canzoniere. Il cui titolo originale è Rerum vulgarium fragmenta, è una raccolta di liriche in volgare, scritte in occasioni diverse. Si tratta di 366 componimenti poetici scritti da Petrarca dal 1335 circa fino alla sua morte, e si distribuisce in due parti: "in vita" e "in morte" di Laura, la donna che il poeta amò anche dopo la sua scomparsa, continuando a ricordarla, a desiderarla e a celebrarla bei suoi versi. L'amore per Laura, sempre inappagato e tormentato, è espresso dal poeta a volte attraverso visioni create dalla propria fantasia o dalla memoria, a volte attraverso immagini che rivelano l'indifferenza della donna, altre ancora attraverso i suoi lamenti, la sua richiesta di pietà per le sofferenze patite e di perdono per non avere trovato la forza di vincerle.

Anche dopo la morte di Laura, il ricordo di lei domina l'animo del poeta il quale sente sempre più incalzante il trascorrere del tempo che porta via con se tutti i beni terreni.

Nel sonetto iniziale della raccolta "voi ch'ascoltate in rime sparse il suono", il poeta invita i lettori a seguire il suo percorso d'esperienza, che va dal pentimento per il primo "giovanile errore" alla vergogna per gli atti compiuti, e si conclude con l'amara consapevolezza che "quanto piace al mondo è breve sogno".

Petrarca tira il bilancio negativo della sua esistenza vissuta nella schiavitù amorosa e manifesta la predisposizione all'analisi psicologica, ponendo l'accento sul conflitto tra sentimenti contrastanti e sull'incapacità di dominarli.

Attraverso il tema dell'amore per Laura, si esprime l'io del poeta in un processo di autoanalisi che rivela la coscienza di un malessere profondo, generato dal dissidio tra il desiderio di gloria e il bisogno di solitudine.


PETRARCA TRA MEDIOEVO E UMANESIMO

Motivi petrarcheschi nell'umanesimo e nel rinascimento.

  • L'intellettuale non è più legato ad un preciso ambiente cittadino, ma diventa un cortigiano, pur conservando la sua assoluta indipendenza intellettuale, sostiene con le sue capacità e la sua creatività il prestigio dei Signori che lo beneficano con rendite, onori e protezione.
  • L'attività intellettuale e la poesia portano alla conoscenza di sé e garantiscono la formazione dell'uomo "integrale", capace di impegnarsi civilmente, ma anche di godere dell'arte e delle bellezze della natura.
  • Lo studio dei classici deve essere fatto attraverso la filologia; l'imitazione dei grandi del passato deve essere attiva e creativa. I testi classici vanno studiati senza preoccupazioni extratestuali di tipo teologico, morale e filosofico.
  • Il latino è la lingua letteraria per eccellenza, ma anche il volgare può essere nobilitato dal poeta e diventare strumento di comunicazione poetica.































VOI CH'ASCOLTATE IN RIME SPARSE IL SUONO


Parafrasi

Oh voi lettori, che ascoltate in queste poesie

l'eco (il ricordo) di quei sospiri d'amore di cui io nutrivo il mio animo

all'epoca della mia giovinezza, quando si sbaglia facilmente

ed ero in parte un uomo diverso da quello che sono ora,

spero di trovare pietà e perdono nello stile incostante in cui io piango e mi lamento

fra i muti di speranze e i muti di dolore

presso coloro che per esperienza conoscono l'amore,

spero di trovare speranza e perdono.

Ma capisco molto bene che un tempo

sono stato motivo di chiacchiere per tutta la gente,

per cui mi vergogno di me stesso

e il frutto del mio vaneggiamento

è la vergogna e il pentimento e riconoscere chiaramente

che tutto ciò che è gradito al mondo, è un sogno destinato a svanire.


Spiegazione

Questo è il sonetto d'apertura del Canzoniere, scritto probabilmente dopo la morte di Laura, nel 1350 ca. Ricordiamo che il poeta aveva fatto il suo primo incontro con Laura nel 1327. A questa egli riguarda con nel sonetto con distacco, la analizza con obbiettività. Qui Petrarca si fa giudice di se stesso e, rievocando le esperienze del passato, medita sull'insensatezza del suo "vaneggiar" e provvisorietà delle cose terrene.

Se nell'età della giovinezza l'amore trascinò il poeta tra speranze e affanni, ora egli considera che quelle speranze e quelli affanni furono vani, inutili, e che di quell'amore gli restano solo vergogna e pentimento. Caduto ogni entusiasmo giovanile, l'animo del poeta sembra riconquistato dalla luce di una interiore pacata, saggezza. Ma dal fondo delle sue mature riflessioni, scaturisce improvviso un amaro giudizio sulla realtà della vita, con il quale egli sembra liquidare tristemente la sua vicenda personale, che riflette, comunque, la condizione di tutta l'umanità.

In questo sonetto il poeta analizza l'intera esistenza: passato e presente si intrecciano nella sua coscienza, il primo attraverso il ricordo del "giovanile errore", il secondo nella dimensione del pentimento e della vergogna.

Nell'ultima terzina il poeta fa un lucido e spietato bilancio della sua esperienza di vita: il pentimento e la coscienza che quanto attrae di più nel mondo è effimero, di breve durata. Questi ultimi tre versi racchiudono il senso più profondo dell'esperienza del poeta, la certezza a cui è approdato dopo il lungo tormento.












ERA IL GIORNO CH'AL SOL SI SCOLORARO


Parafrasi

Era il giorno in cui al sole si scolorirono i raggi

per pietà del suo creatore (Dio),

quando io ne fui catturato, e non me ne difesi,

poiché i vostri begli occhi, donna, mi legarono (a sé).


Non mi pareva momento

da difendersi dagli assalti d'Amore:

perciò ero tranquillo senza timore,

per cui i miei lamenti cominciarono in mezzo alla sofferenza generale.


Amore mi trovò del tutto disarmato

e (trovò) aperta la via al cuore attraverso gli occhi,

i quali sono diventati porta e passaggio di lagrime:


perciò a mio giudizio non gli fece onore

ferire me con una freccia mentre ero in quello stato,

(e) non mostrare neppure l'arco a voi (a Laura) ben difesa.


Spiegazione

Petrarca vide per la prima volta Laura in una chiesa, un venerdì santo, e s'innamorò subito, perdutamente. La circostanza, la funzione religiosa, non era propizia al divampare della passione d'amore. La lirica contiene un paragone tra la sofferenza di Cristo e quella del poeta, ma, mentre di Cristo è spirituale e sublime; quella del poeta è terrena, perciò colpevole.

Nel sonetto di Petrarca l'evento sacro, la morte di Cristo, appena richiamata nei primi due versi, si oppone a quello profano, l'innamoramento del poeta per Laura. Laura è una creatura terrena e l'amore che il poeta prova per lei non ha carattere mistico, è un amore sensuale, suscitato dai "begli occhi" di lei (come nella tradizione stilnovistico).























MOVESI IL VECCHIEREL CANUTO ET BIANCHO


Parafrasi

Il vecchietto canuto e pallido si allontana

dal caro luogo dove ha trascorsa la sua vita

e dalla famigliola sconvolta

che vede il caro padre venire meno;


poi da lì si aiuta quanto più può con la buona volontà

negli ultimi giorni della sua vita

trascinando il corpo vecchio sfinito dall'età

e stanco per il cammino;


e arriva a Roma seguendo il desiderio,

per ammirare l'aspetto di colui

che spero di vedere di nuovo lassù nel cielo:


allo stesso modo talora io, misero, cerco

in altri, donna, per quanto è possibile,

la vostra vera immagine amata.


Spiegazione

Come un vecchio si mette devotamente in cammino verso Roma per vedere la Veronica, cioè il panno con il quale, secondo la credenza, fu asciugato il volto di Cristo; così il poeta cerca in ogni volto quello della donna amata; con la speranza di vedere tra esse la "disïata forma vera" di Laura.

Il sonetto è costruito sulla similitudine tra la figura del vecchio pellegrino e quella del poeta, teso in una vana ricerca sintetizzata in una sola terzina. C'è una sproporzione, quindi, tra i due termini, ma essa deriva dal fatto che Petrarca ha voluto mettere in primo piano "il vecchierel canuto e biancho", una figura di lirica bellezza che domina l'intera scena risaltando viva nel suo ambiente di tenerezza familiare.

Tutta la famiglia trepida per lui che parte sostenuto dalla sola devozione religiosa, e se ne va trascinando eroicamente le membra stanche in nome di un'aspirazione che lo lega a Dio e nella quale si placano le ansie della sua anima.

L'ultima terzina ritrae lo stato d'animo del poeta; è segnata di quella tristezza che invade tutto il sonetto e che esprime il tema centrale della riflessione di Petrarca: il contrasto tra il desiderio amoroso e la pace dello spirito che, nella versione religiosa, impone che si debbano spegnere i fuochi delle passioni.

Traspare negli ultimi tre versi la stanchezza della vana ricerca, l'amara delusione per la mancata realizzazione del desiderio di vedere Laura, dannoso anche se naturale, perché nutrico da un cuore che, anziché dominare la passione, è da essa incatenato.

Al senso di scoraggiamento e all'intimo affanno del poeta dobbiamo la creazione dell'indimenticabile figura del vecchio pellegrino che un filo invisibile lega a quella del poeta schiavo d'amore.










SOLO ET PENSOSO I PIÙ DESERTI CAMPI


Parafrasi

Solo e pensoso nei più deserti campi

Vado per la mia strada misurando i miei passi lenti e stanchi

E mantengono gli occhi attenti a fuggire

Dove la terra rechi impressa le tracce della presenza umana.


Non trovo altra difesa che mi sottragga

Dall'evidente malignità della gente che mi fa provocare vergogna ed imbarazzo,

perché nei miei atteggiamenti spenti

si vede il fuoco che arde dentro di me:


al punto che io sono convinto che monti, spiagge,

fiumi, boschi sappiano di che genere

sia la mia vita che agli altri è nascosta.


Eppure non so trovare

Sentieri così aspri e selvaggi,

che l'Amore non mi segua sempre.


Spiegazione

Come ogni innamorato, Petrarca cerca la solitudine, non per rivivere più intensamente nel ricordo il suo amore, ma per sfuggire alla grossolana curiosità della gente e per ritrovare pace nel suo animo tormentato. La lentezza dei suoi passi, la pensosità del volto fanno trapelare la fatica della sua lotta interiore contro un sentimento che ormai è cosi forte da togliersi ogni gioia e cosi radicato nel suo cuore da seguirlo ovunque.

"Solo et pensoso": questi due aggettivi esprimono il tormento interiore di Petrarca che, nella solitudine dei "più deserti campi", si scioglie in una sorta di colloquio del poeta con se stesso e con Amore.

Quella di Petrarca è una grandezza di sentire il bisogno di trovare nella solitudine quell'ampiezza di confini che è propria della natura: monti, piagge, fiumi. unici leali testimoni del suo Amore che, nell'ultima terzina, acquista un senso di vanità e di tormento senza fine.




















PADRE DEL CIEL, DOPO I PERDUTI GIORNI


Parafrasi

Dio Padre, dopo i giorni spesi male,

e dopo le notti consumate nell'inutile desiderio amoroso,

in compagnia di quell'attrazione sensuale che si accese nel mio cuore,

contemplando gli atti per mia sfortuna così leggiadri della mia amata,


voglia tu ormai che tramite la luce della tua Grazia io ritorni

ad un'altra vita rivolta ai valori spirituali, e ad azioni più nobili,

così che il Demonio resti scornato,

per aver teso invano le sue reti.


Oggi si compie, mio Signore, l'undicesimo anno

da quando io fui sottomesso allo spietato dominio opprimente,

che si accanisce su chi più ne è preso.


abbi pietà della mia non nobile sofferenza;

e volgi i miei pensieri, ora lontani dal giusto, al Cielo;

ricorda ai miei pensieri che oggi si compie l'anniversario della tua crocifissione.


Spiegazione

Questo sonetto è una preghiera a Dio affinché abbia pietà del poeta e gli dia la forza di liberarsi dal "dispietato giogo" che lo coinvolge gia da 11 anni. È la voce di un'anima che aspira a placare il tumulto dei sentimenti d'amore. Composta nel venerdì santo del 1338, la lirica trova ispirazione nel commosso turbamento del poeta, mesto e pentito della sua debolezza d'uomo, al ricordo del sacrificio di Dio.

Sono passati 11 anni dal giorno in cui il poeta si lasciò avvincere dal fascino di Laura e ancora non è riuscito a liberarsi da quella passione che egli non volle e non seppe respingere; ora avverte la vanità che suoi terrestri ardori e invoca Dio perché riconduca la sua mente a più nobili propositi. In questa trepidante invocazione egli denuncia la sua debolezza e il desiderio di liberarsi da quella seduzione che l'ha fatto delirare per giorni e notti intere. Confessare così la sua colpa è come liberarsi da un peso che lo opprime e spegnere finalmente quei pensieri d'amore che per tanto tempo hanno dominato la sua anima. È una confessione spontanea, un'analisi sincera dei pensieri che protestano dentro, una preghiera a Dio ad aver pietà di lui. Anche il tono dell'invocazione è misurato e grave quasi a rendere evidente il suo desiderio verso il Cielo, come chiaramente si può notare nell'ultima terzina, invasa da un sentimento di tranquilla, ma profonda religiosità.

Nelle liriche del Petrarca, e soprattutto in questo sonetto, si notano tracce di una concezione religiosa particolarmente segnata dal senso di colpa e del peccato, che nei poeti d'amore della generazione precedente non si riscontrano. N'è la prova lo stesso atteggiamento spirituale del poeta, il suo insistere sul pentimento, il suo bisogno di essere perdonato, il suo senso d'indegnità e d'abbattimento.











ERANO I CAPEI D'ORO A L'AURA SPARSI


Parafrasi

I biondi capelli erano sparsi al vento,

intrecciati in mille dolci nodi

e ardeva in modo straordinario

la luce splendente dei suoi occhi, ormai offuscati a causa dell'età;


e il volto sembrava che esprimesse nel colore sentimenti di pietà,

e non so se la mia fosse solo un'illusione o no,

tanto più rapidamente il poeta arse d'amore,

quanto gia nel suo animo era la disposizione ad amare.


Il suo andare non era quello di una creatura umana,

ma di uno spirito angelico, e le parole

avevano un suono diverso da quello di una voce puramente umana.


Egli vide uno spirito celeste, un vivo sole,

e se così non fosse, comunque la sua piaga non si sanerà,

come una ferita non guarisce, perché l'arco non è più a corda tesa.


Spiegazione

La bellezza di Laura sfiorisce col passare degli anni, ma non per questo il poeta può cessare di amarla e di contemplarla nel ricordo di come gli apparve la prima volta. Il sonetto descrive, quindi, l'apparizione della donna gentile, come l'abbiamo ammirata in Guinizelli, in Cavalcanti, in Dante. Ma qui la creatura è più terrena e tutta la lirica sembra ricevere luce dalla luminosità dei suoi capelli d'oro e dai colori splendenti e indefiniti del suo volto giovane.

L'immagine di Laura si sviluppa per quasi tutto il componimento. Nel suo ricordo il poeta, evocando la bellezza fisica e spirituale della donna del tempo in cui l'aveva conosciuta e si era innamorato di lei, cerca nei suoi tratti e atteggiamenti la giustificazione del suo innamoramento; ove il passato s'intreccia col presente.

Dal verso 1 al verso 12 si sente l'eco dei toni e delle immagini della poesia stilnovistica; ma negli ultimi 2 versi si rivela pienamente la differenza fondamentale che descrive gli occhi di Laura ormai privi di quella luce incantevole che una volta ammirava: Laura sembra una creatura soprannaturale, uno "spirito celeste, ma non lo è. Anche se il suo aspetto è angelico e la sua voce celestiale, essa è una creatura di questo mondo e come tale è soggetta al fluire inarrestabile del tempo che esercita il suo inesorabile potere distruttivo.















CHIARE, FRESCHE ET DOLCI ACQUE


Parafrasi

Chiare, fresche e dolci acque del fiume

nel quale si bagnò il corpo

della signora del mio cuore;

gentil ramo al quale decise

(sospirando mi ricordo)

di appoggiarsi;

erba e fiori che la gonna

graziosa ricopriva

con l'angelico seno,

il cielo reso sacro, sereno,

dove l'amore mi trafisse il cuore attraverso lo sguardo di Laura;

ascoltate tutti

le mie dolenti ultime parole prima che muoia.


Se il mio destino è veramente come credo

e il cielo in ciò si impegna,

che l'amore chiuda questi occhi in lacrime,

una buona sorte possa far sì che il mio infelice

corpo sia sotterrato in questi luoghi,

e possa l'anima tornare in cielo ormai libera dal corpo.

La morte sarà meno dolorosa

se ho questa speranza

del temuto passaggio da una vita all'altra:

perché lo spirito stanco

non potrebbe mai in posto più tranquillo

né in una più tranquilla fossa

lasciare la carne tormentata e le ossa.


Forse verrà ancora il tempo

che in questo abituale luogo

torni la fiera bella e mansueta,

e là dove lei mi vide

quel giorno presso il fiume Sorga,

volga lo sguardo desiderosa e lieta,

cercandomi: oh spettacolo pietoso!

vedendomi ormai fatto polvere tra i sassi.

A questa vista, amore l'ispiri

in modo che sospiri

così dolcemente da ottenere per me misericordia

e riesca a vincere il rigore della giustizia divina

col suo pianto.


Dai bei rami scendeva

(dolce il ricordo)

una pioggia di fiori sopra il suo grembo;

e lei si sedeva

umile e glorificata,

già coperta dai fiori caduti.

Alcuni fiori cadevano sul lembo della veste,

altri sulle bionde trecce

che oro e perle incastonate

parevano quel giorno guardandole;

altri si posavano per terra, e altri sulle onde;

altri ancora con grazioso volteggio

girando sembravano dire: qui regna amore.


Quante volte io dissi

allora pieno di stupore e ammirazione:

lei di certo nacque in paradiso.

Fino a tal punto

il divino portamento,

il volto, le parole e il dolce riso di Laura

mi avevano tolto la coscienza di me stesso

e mi aveva allontanato dalla realtà

che sospirando dicevo:

Qui come venni io, o quando?

credendo di trovarmi in cielo, pur non essendoci.

Dal quel momento in poi ho amato tanto

questi luoghi che altrove non ho pace.


Se tu fossi elegante, bella come vorresti essere,

potresti senza timore

uscir dal bosco e andar tra la gente.


Spiegazione

In questa canzone, il Petrarca rievoca la figura di Laura immersa nelle acque del fiume Sorga, presso Valchiusa. È un ricordo lontano ma lucidissimo: la figura di lei acquista realtà e dolcezza dalla natura che la circonda. Dopo questo quadro iniziale il poeta introduce repentinamente il triste presagio della propria morte, e fantastica su di essa, ne mitiga la drammaticità con la speranza che il suo corpo possa ricevere sepoltura in quel paesaggio ridente e con il sogno che Laura, tornando in quei luoghi desiderosa di vederlo, lo pianga dopo averne scoperto la tomba. Ma sul vagheggiamento del futuro prevale ancora l'esaltazione della bellezza di Laura nella cornice naturale, circondata e coperta di fiori. È con questa immagine paradisiaca, che rende quelle rive e quei prati cosi cari al poeta, egli chiude la sua lirica affidandole il messaggio da portare tra la gente che non conosce quei luoghi.

Nella prima stanza il poeta si rivolge agli elementi della natura, testimoni del suo amore, e li invita ad ascoltarlo, a dargli "udienza". La strofa è ricca di suoni e parole che concorrono a esaltare la bellezza di Laura e del luogo. Petrarca fa uso di varie parole chiave che ruotano intorno a "bellezza" e con le quali esprime una visione di grazia, leggiadria che coinvolge sia Laura che la natura, perfettamente fuse.

Nella seconda stanza si nota un contrasto con la prima, in quanto si passa ad un presagio di morte: se è destino del poeta morire d'amore, che si compia qui, in questo posto così a lui caro, perché testimone del suo amore. Le parole chiave di questa strofa girano tutto intorno alla parola "morte". Nella terza stanza la tristezza del presagio sfuma in un sogno di consolazione: il poeta sogna di essere morto e che Laura torni in quel luogo desiderosa di vederlo. Ne trova la tomba e allora, con gesto d'amore, s'asciuga le lacrime "col bel velo" e prega Dio che abbia pietà di lui. Il pensiero della morte non incute più paura al poeta, ma bensì un senso di pace.

Nella quinta stanza la visione del poeta è cosi suggestiva da farlo cadere in uno stato di estasi in cui la realtà si dissolve dandogli l'illusione di "esser in ciel". In questo suo abbandono al ricordo e al sogno, egli tocca la gioia suprema. Gli ultimi tre versi formano il congedo dove il poeta si rivolge direttamente alla sua lirica e la invita a uscire dal luogo che la fa da sfondo e ad andare tra la gente.

PACE NON TROVO, ET NON Ò DA FAR GUERRA


Parafrasi

Non trovo pace e non ho nessuna guerra da fare,

e ho paura, e spero, e ho caldo, e sono un pezzo di ghiaccio;

e volo su nel cielo, e giaccio a terra;

e non ho nulla, e ho tutto il mondo.


Amore m'imprigiona così che né mi libera né mi tiene chiuso,

non mi tiene prigioniero né mi scioglie dai lacci;

non mi da il colpo di grazia, né mi toglie il ferro dalla ferita;

non mi vuole vivo, ma non mi libera da questa sofferenza.


Non riesco a vedere, né riesco a parlare e grido;

e ho spero di morire, e chiedo aiuto;

e porto con me odio e rancore, e amo l'altra gente.


Mi nutro di dolore, e piangendo rido;

ugualmente non mi sono gradite né la morte né la vita;

e in questo stato mi ritrovo, a causa vostra.


Spiegazione

Questo sonetto è tra i più importanti del canzoniere grazie alla sua raffinatezza stilistica; ed è quello in cui sono espressi i contrasti psicologici generati dalla passione amorosa. È costruito sull'accostamento di frasi in opposizione tra loro.



























O CAMERETTA, CHE GIÀ FOSTI UN PORTO


Parafrasi

O cameretta, che in passato gia fosti un rifugio per me

Ai pesanti affanni del giorno,

sei diventata adesso fonte dei miei lamenti notturni,

che il giorno tengo nascoste per vergogna!


O mio lettino, che mi rechi pace e conforto

In tante sofferenze, di quante urne piene di pianto

Ti bagna l'amore, con quelle mani bianche;

che sono così ingiustamente crudeli soltanto con me.


Non fuggo dalla mia intimità e dal mio riposo,

ma da me stesso e dalle mie fantasie,

che altre volte hanno esaltato il mio animo;


e quel volgo, che ho sempre odiato e fuggito,

adesso cerco come rifugio:

per la pura di restare solo.


Spiegazione

Anche questo sonetto è testimonianza della complessa psicologia di Petrarca e del suo tormento che lo induce a controllare le sue azioni, consapevole di essere in continua contraddizione con se stesso.

Cercava, un tempo, la cameretta come rifugio alla sua dolce meditazione d'amore, ora la sente luogo di dolore e di smarrimento; sul suo letto raccoglieva i suoi sogni e le sue speranze, ora lo fugge perché non concede riposo al suo tormento; e, cosa ancora più incomprensibile, lui che cercava la solitudine, adesso cerca la compagnia di quel volgo che pur non ama. In quest'ultima constatazione si manifesta il senso di un'angoscia lucida e senza scampo, di una tempesta interiore senza fine. Questo sonetto si oppone, quindi, alla lirica "Solo et pensoso."; e si può inoltre osservare come le liriche di Petrarca riflettono stati d'animo anche assolutamente opposti, che sono la testimonianza della sua inquietudine interiore.




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